Introduzione
VIII
stretta, devono condividere un futuro di pace fondato su principi
comuni, e che l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali
di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, tutto
ciò in un contesto in cui la persona è al centro dell’azione, in uno
spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
Lo scopo del presente lavoro consiste nel tentativo di ricostruire,
seppur brevemente, il ruolo e la portata dei principi comunitari
posti a fondamento dell’Unione europea e, nella specie, il ruolo del
principio di non discriminazione con particolare riguardo per il
settore fiscale.
Il primo capitolo fornisce un quadro di riferimento normativo e
affronta la tematica delle relazioni esistenti tra i diversi principi.
In particolare, l’attenzione è rivolta all’esame del principio di
proporzionalità, del principio di sussidiarietà, e delle interrelazioni
con il principio di non discriminazione oggetto di studio.
Inoltre, nel medesimo capitolo, è effettuato un necessario
confronto tra il predetto principio di non discriminazione ed il
principio di eguaglianza sancito nell’articolo 3 della Costituzione
italiana, al fine di capire se e in che misura sussiste un rapporto di
identità.
Premesso che, in ambito comunitario il ruolo svolto dalla Corte
di giustizia è di notevole rilievo, nel secondo capitolo ci si occupa
nello specifico del metodo usato dai giudici comunitari al fine di
Introduzione
IX
stabilire la sussistenza di trattamenti discriminatori: il c.d. rule of
reason test è un metodo che si distingue un pò dai normali “canoni
di lavoro” dei nostri giudici, in quanto si caratterizza per la
valutazione e la selezione giudiziale degli interessi.
Nel capitolo secondo inoltre, una particolare attenzione è rivolta
alla pronuncia Schumacker, che rappresenta il punto di svolta in
ordine ai criteri di riferimento usati per la valutazione del principio
di non discriminazione.
Nel successivo capitolo, ci si sofferma principalmente sui profili
fiscali, analizzando sia le convenzioni contro le doppie
imposizioni, che si pongono come elemento di studio in relazione
al rispetto del principio di non discriminazione, sia il problema
della Harmful Tax Competition, ovvero il contrasto alla
competizione fiscale dannosa e le conseguenze legate a tale
pratica.
Nell’ultima parte del presente lavoro infine, si cerca di spiegare
quale sia l’utilità e il valore che porta con sè il principio di non
discriminazione nel complesso assetto della Comunità, anche in
considerazione delle prospettive future di evoluzione, tenuto
debitamente conto che attualmente l’Unione europea sembra
essere giunta, sia sotto il profilo economico, sia sotto il profilo
politico e giuridico, ad un livello di integrazione strutturale più
solido, e di cui è testimonianza la recente Costituzione europea.
Capitolo I
1
CAPITOLO PRIMO
Il principio di non discriminazione fiscale
nell’ordinamento comunitario
1.1 Il divieto di discriminazione, ovvero il pari
trattamento dell’uguale ed il diverso trattamento
del diverso, tra l’articolo 12 del Trattato C.E.E. e la
nuova Costituzione dell’Unione europea
La prima parte del Trattato della Comunità economica europea
contiene i principi a cui la Comunità deve conformarsi
nell’esercizio delle proprie competenze.
Nell’ambito dei suddetti principi, uno tra i fondamentali, è
rappresentato dal principio di non discriminazione disciplinato
dall’articolo 12
1
.
1
A. CELOTTO, L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, a cura di R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO, 2001,
Il Mulino, p. 171; L. S. ROSSI, Carta dei diritti fondamentali e Costituzione
dell’Unione europea, 2002, Milano, Giuffrè, p. 116.
Capitolo I
2
In particolare, l’articolo 12 del Trattato C.E.E. dispone che: “Nel
campo di applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio
delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni
discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.
Il principio di non discriminazione si sostanzia nel divieto di
porre in essere un trattamento disparitario tra i cittadini della
Comunità che sia fondato sulla loro nazionalità.
Nella prospettiva dell’integrazione comunitaria
2
, pertanto il
principio in parola è contenuto in via mediata in numerose
disposizioni del Trattato come, ad esempio, l’articolo 39, che
disciplina la libertà di circolazione dei lavoratori, l’articolo 43, che
disciplina la libertà di stabilimento, l’articolo 56 che disciplina la
libera circolazione dei capitali, l’articolo 49, che disciplina la
libera prestazione dei servizi e, infine, l’articolo 23 che disciplina
la libera circolazione delle merci
3
.
2
L’integrazione europea si configura, sin dalle origini della Comunità, come un
processo nel cui alveo gli Stati nazionali avanzano, trasferendo parte delle loro
reciproche relazioni e delle loro attività di governo ad un nuovo organismo, le cui
istituzioni possiedono ab inizio, o acquistano progressivamente, autorità e poteri
superiori a quelli dei Paesi membri. G. ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione
europea, Tomo I, 1998, Giuffrè, pp. 46 e ss. .
D’altro canto, l’integrazione con il diritto comunitario è, in sostanza, anche una
integrazione con quello degli altri Paesi membri, e le decisioni della Comunità altro
non sono che le decisioni collettive degli Stati membri. N. LIPARI, Diritto privato
europeo, vol. I, 1997, Padova, p. 36.
3
L’argomento sarà oggetto di trattazione specifica al paragrafo quarto del presente
capitolo.
Capitolo I
3
Posto che il parametro di riferimento per valutare l’esistenza di
un trattamento discriminatorio è la nazionalità, occorre precisare
che quest’ultimo deve essere inteso in un’accezione ampia: infatti,
il concetto di nazionalità non va riferito soltanto all’appartenenza
di una persona fisica o giuridica ad una data collettività
organizzata a Stato, ma più in generale ai vincoli che in modo
effettivo e sostanziale legano una qualsiasi fattispecie
riconducibile in capo ai soggetti e rilevante per l’ordinamento al
sistema economico-sociale di uno o più Stati membri.
In materia di libera circolazione delle merci, ad esempio, il
divieto di discriminazione non fa riferimento alla cittadinanza
dell’operatore economico, ma alla nazionalità del mercato di
origine o di destinazione del bene oggetto di scambio
4
.
Inoltre, è importante tener presente che in realtà il diritto
comunitario, anche se vieta espressamente soltanto la
discriminazione sulla base della nazionalità, proibisce comunque
ogni discriminazione che, fondandosi su diversi criteri distintivi,
giunga allo stesso risultato, determinando così specifiche ed
ulteriori situazioni di discriminazione, le cosiddette ipotesi di
discriminazione indiretta e discriminazione a rovescio
5
.
4
M. V. BENEDETTELLI, Il giudizio di eguaglianza nell’ordinamento giuridico
delle Comunità europee, 1989, Padova, Milani-Cedam, pp. 208-209.
5
Si parla infatti di discriminazioni indirette e di discriminazioni a rovescio per
distinguerle dalla discriminazione diretta, cioè dalla discriminazione vera e propria,
in quanto palese, nel senso che una norma nazionale dispone un trattamento che
Capitolo I
4
Oltre al Trattato C.E.E., vi è un altro documento importante che
contiene un’affermazione formale del principio di non
discriminazione in ambito comunitario ed è rappresentato dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
6
.
L’articolo 21, primo comma, della Carta dei diritti, infatti
dispone che: “E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione
discrimina sulla base dell’elemento espressamente protetto dal Trattato, cioè quello
della nazionalità delle persone fisiche o delle persone giuridiche.
La discriminazione indiretta invece, si ha quando una norma nazionale prevede un
trattamento discriminatorio sulla base di un criterio diverso da quello tutelato
direttamente dal diritto comunitario, ma che comporta lo stesso risultato della
discriminazione diretta; in particolare, la discriminazione indiretta si caratterizza per
l’utilizzo, da parte dello Stato, di un criterio di distinzione che in apparenza è neutro,
in quanto diverso dal criterio espresso della nazionalità. Oggi è pressoché impossibile
stabilire a priori quali criteri possano essere utilizzati per eludere il divieto di
discriminazione in base alla nazionalità, tuttavia, grazie all’interpretazione della
Corte di giustizia europea, si possono analizzare, di volta in volta, le diverse
situazioni, in maniera tale da scoprire nuove forme di discriminazione indiretta.
Per quanto riguarda invece la cosiddetta discriminazione a rovescio, essa rileva
l’ipotesi in cui ad essere discriminato è il cittadino dello Stato membro la cui
normativa si assume discriminatoria; praticamente, nella discriminazione a rovescio,
il soggetto agisce come cittadino che, risiedendo in un altro Stato membro, ricorre
contro il proprio Stato di cittadinanza in qualità di non residente. C. LONGO, in Il
principio comunitario di non discriminazione in materia di imposte dirette, di C.
LONGO, A. MONDINI, 2002, Università di Bologna, Master universitario “A.
BERLIRI”, pp. 5; 7.
6
La Carta dei diritti fondamentali si presenta come documento di riferimento
costituzionale dell’Unione europea. A. MANZELLA, S. RODOTA’, P.
MELOGRANI, E. PACIOTTI, Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, 2000, Bologna, Il Mulino, p. 36. Pur
non avendo carattere direttamente vincolante, può essere impiegata dai giudici
comunitari come una guida alle comuni tradizioni dei Paesi membri e come supporto
interpretativo degli atti della Comunità. M. BARBERA, Discriminazioni ed
eguaglianza nel rapporto di lavoro, 1991, Giuffrè, p. 120. Inoltre, oggi essa riveste
sicuramente maggiore importanza, alla luce, come si vedrà subito dopo, della nuova
Costituzione Europea. Si è sempre pensato d’altronde, che la Carta era inserita in un
processo ancora aperto e che avrebbe continuato a far parlare di sé. R. BIFULCO, M.
CARTABIA, A. CELOTTO, L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, 2001, Il Mulino, pp. 20-21; 23.
Capitolo I
5
fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o
l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la
religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di
qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza
nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le
tendenze sessuali”.
Il comma secondo della medesima norma invece, dispone che:
“Nell’ambito di applicazione del Trattato che istituisce la
Comunità europea e del Trattato sull’Unione europea, è vietata
qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le
disposizioni particolari contenute nei Trattati stessi”.
Come si evince dal testo della norma sopra riportata, il primo
comma dell’articolo 21 ha una formulazione estremamente ampia,
più ricca di quella posta all’articolo 12 del Trattato C.E.E., mentre
il secondo comma riprende il contenuto dell’articolo 12 del
Trattato medesimo.
Nonostante l’identica formulazione, la differenza tra l’articolo 12
del Trattato e la norma richiamata della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea consiste principalmente nelle
finalità perseguite, in quanto la Carta mira a vietare tout court le
discriminazioni con una norma di carattere negativo, mentre la
disposizione del Trattato impegna gli organi comunitari ad
assumere azioni volte a combattere le discriminazioni con norma
di carattere positivo.
Capitolo I
6
È importante rilevare inoltre, che solo con la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea si incomincia ad intravedere
una risposta alle richieste di dotare l’Unione di un catalogo di
diritti scritto: infatti, il 31 Maggio del 2001, il Parlamento europeo
ha approvato una risoluzione per l’adozione di una Costituzione
dell’Unione europea.
La Costituzione europea è stata in effetti proclamata il 18 Giugno
del 2004 e, nello stesso anno, il 29 Ottobre, è stata firmata a Roma
dai venticinque rappresentanti dei Paesi membri, ed entrerà in
vigore nel 2009
7
.
La nuova Costituzione dell’Unione europea riprende tutti i
principi del Trattato e della Carta, e mantiene fermi i valori dei
singoli Stati membri contenendo, peraltro, un espresso
riconoscimento del principio oggetto di riflessione.
L’articolo 6 della Costituzione dell’Unione europea infatti
dispone che: “Nei settori dell’applicazione della presente
Costituzione e fatte salve le disposizioni particolari da essa
previste, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla
nazionalità”.
7
Prima dell’effettiva entrata in vigore nel 2009, i 25 Stati devono ratificare il
documento, ed il processo dovrebbe concludersi intorno alla metà del 2006, più
probabilmente nel 2007, anno in cui la Romania e la Bulgaria dovrebbero
raggiungere gli attuali 25 membri dell’Unione. A ratifica conclusa, le nuove norme
sostituiranno così il Trattato. S. PARUOLO, Unione europea: avviata la ratifica
della nuova Costituzione europea, in Affari sociali internazionali, n° 4/2004,
FrancoAngeli s.r.l., anno XXXII, p. 77.
Capitolo I
7
Ciò posto, appare chiaro che, trovando una sua ulteriore
esplicitazione anche nella Costituzione europea, il principio di non
discriminazione risulta rafforzato e, pertanto, continua a consentire
il mantenimento dei singoli sistemi nazionali e delle rispettive
“frontiere”, ancorché le regole ivi previste siano di ostacolo ai
movimenti e alle transazioni; tuttavia, il principio de quo non
richiede lo smantellamento di tutti gli ostacoli che s’incontrano nel
varcare i confini, ma esige soltanto l’applicazione dello stesso
trattamento a fattispecie similari, ovvero del diverso trattamento a
fattispecie diverse, nel rispetto del più generale principio di
eguaglianza
8
.
8
A. FANTOZZI, Non discriminazione e non restrizione: la “negative integration”
nell’epoca dell’allargamento, Convegno di studio sui modelli impositivi comunitari
nell’Europa allargata, Bologna, 24-25 Settembre 2004, p. 4.
Capitolo I
8
1.2 Il rapporto tra il principio di eguaglianza contenuto
nell’articolo 3 della Costituzione italiana ed il
principio di non discriminazione in ambito
comunitario
L’articolo 3 della Costituzione, al primo comma, stabilisce che:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Questa prima parte della disposizione costituzionale esprime la
base del principio di eguaglianza nel nostro ordinamento giuridico
- la cosiddetta eguaglianza formale - che rappresenta l’eguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge e garantisce a ciascuno di essere
valutato per ciò che egli è come persona, tutelandone l’identità
individuale e la pari dignità sociale
9
.
9
M. BARBERA, Discriminazioni ed eguaglianza nel rapporto di lavoro, 1991,
Giuffrè, p. 259. Tutte le Costituzioni degli Stati membri dell’Unione riconoscono
l’eguaglianza davanti alla legge come eguaglianza formale, che consiste nella
soggezione di tutti ad un’unica legge, legge ovviamente intesa quale atto emanato
dalle Assemblee rappresentative. G. AMATO - A. BARBERA, Manuale di diritto
pubblico, vol. I, 1997, Il Mulino, p. 311. Al comma primo dell’articolo 3 della
Costituzione, si pongono sullo stesso piano l’eguaglianza di fronte alla legge e la pari
dignità sociale. Infatti, il primo contenuto dell’eguaglianza che evidenzia in cosa essa
consista, è la pari dignità sociale; essa è il primo campo nel quale deve operare il
principio di eguaglianza. La pari dignità sociale è il presupposto dell’eguaglianza di
fronte alla legge o, al contrario, il risultato dell’applicazione concreta
dell’eguaglianza di fronte alla legge. G. DE SIMONE, Dai principi alle regole -
Capitolo I
9
I costituenti, opportunamente, si sono preoccupati di andare oltre
sancendo l’obbligo dello Stato di garantire l’effettiva fruizione
della libertà e l’effettiva garanzia dell’eguaglianza.
Il secondo comma della medesima norma, infatti, affida allo
Stato il compito di rimuovere quegli ostacoli di ordine economico
e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana; ciò
rappresenta la cosiddetta eguaglianza in senso sostanziale
10
.
Appare opportuno effettuare una valutazione in ordine al
rapporto esistente tra il principio di non discriminazione e il
principio di eguaglianza.
Nel confronto con il principio di non discriminazione, il
contrasto da sempre esistito (e tuttora esistente) tra la regola posta
al primo comma e quella posta al secondo dell’articolo 3 della
Costituzione
11
, acquista maggior rilievo, poiché “nell’evidente
Eguaglianza e divieti di discriminazione nella disciplina dei rapporti di lavoro,
2001, Giappichelli, pp. 1- 2; 7. Nello stesso senso si è espresso A. BALDASSARRE,
secondo cui il principio di eguaglianza è necessario completamento della concezione
della dignità umana che è libertà eguale. Diritti della persona e valori costituzionali,
1997, Giappichelli, p. 153.
10
Il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana recita: “E’ compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”.
11
G. DE SIMONE sostiene che il rapporto tra l’eguaglianza formale e l’eguaglianza
sostanziale è controverso e che tra i due principi vi è un potenziale conflitto: se
l’uguaglianza sostanziale costituisce un obiettivo del legislatore, lo strumento per
raggiungerlo è un diritto diseguale, un diritto che sacrifica l’eguaglianza formale. M.
AINIS ritiene tra l’altro che tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale ci
Capitolo I
10
difficoltà di coniugare il rispetto delle differenze con il principio di
eguaglianza formale, lo strumento per esorcizzare la problematica
di costruire un diritto veramente rispettoso delle diverse identità, è
stato il divieto di discriminazione, in quanto considerato come il
primo mezzo per garantire il principio di eguaglianza formale ai
sensi del comma primo della Costituzione”.
Infatti, comunque si ricostruisca il rapporto tra eguaglianza
formale ed eguaglianza sostanziale, e comunque si legga il
contenuto del dovere di rimuovere gli ostacoli di fatto alla pari
dignità tra cittadini, vi è una doverosità di interventi legislativi,
volti a vietare che i cittadini siano discriminati a causa di sesso, di
razza, di lingua, religioni, opinioni politiche, condizioni personali
e sociali, e la tecnica dei divieti di discriminazione costituisce
l’unico strumento utilizzabile per garantire il principio di
eguaglianza formale, e si pone quindi nel rapporto di mezzo a fine
rispetto a tale principio
12
.
Conseguentemente, il principio di non discriminazione è
perfettamente conforme non solo al primo comma dell’articolo 3
sarebbe lo stesso rapporto che corre tra regola ed eccezione, sicché l’eccezione,
formulata dopo, si impone sulla regola. Secondo un’altra impostazione di L.
GIANFORMAGGIO, invece i due valori sarebbero pienamente coerenti tra loro e
l’eguaglianza sostanziale, definita anche come pari opportunità di perseguire i
progetti di vita e di partecipare all’organizzazione delle società, costituirebbe uno
sviluppo dell’eguaglianza formale. G AMATO - A. BARBERA, Manuale di diritto
pubblico, vol. I, 1997, Il Mulino, pp. 324 - 325.
12
G. DE SIMONE, Dai principi alle regole - Eguaglianza e divieti di
discriminazione nella disciplina del rapporto di lavoro, 2001, Giappichelli, pp. 10 e
ss. .
Capitolo I
11
della Costituzione, ma anche al secondo, mostrando così due dati
certi: in primo luogo, il principio comunitario e quello di
eguaglianza esprimono un bisogno etico di eguale trattamento
degli individui, cosicché, i concetti di eguaglianza e di non
discriminazione sono entrambi densi di valore morale
13
, e quindi la
ratio dei divieti di discriminazione non è riconducibile in questo
contesto a motivazioni di tipo economico, ma si ricollega invece
ad obiettivi di eguaglianza distributiva e a quel processo di
estensione all’attività privata, della tutela dei diritti fondamentali
della persona, comune all’esperienza storica di tutti gli
ordinamenti occidentali
14
.
In secondo luogo, come ulteriore dato certo che in realtà
costituisce il pilastro del rapporto tra i due principi, il divieto di
discriminazione è in realtà solo l’espressione specifica del
principio generale d’eguaglianza, anch’esso parte dei principi
fondamentali del diritto comunitario, che infatti impone di non
trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una
differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata.
Quest’ultima affermazione fa capo ad una vera e propria
enunciazione storica del principio di eguaglianza, che risale
all’enunciazione appunto aristotelica del principio di giustizia,
13
F. AMATUCCI, Il principio di non discriminazione fiscale, 1998, Milani-Cedam,
vol. LXXXVII, pp. 11 e ss. .
14
M. BARBERA, Discriminazioni ed eguaglianza nel rapporto di lavoro, 1991,
Giuffrè, pp. 176; 191.
Capitolo I
12
secondo la quale l’eguale va trattato in modo eguale e il diseguale
in modo diseguale.
Sulla suddetta affermazione si è consolidata tra l’altro la
posizione della Corte costituzionale
15
- alla quale si è allineata
anche la Corte di giustizia, che chiamata a confrontarsi con i
concetti di eguaglianza e non discriminazione sin dai primissimi
anni della sua attività, non tarda ad affermare che discriminazione
15
La Corte costituzionale italiana ha modellato il suo sindacato sull’articolo 3
secondo il modulo dell’eguale trattamento a situazioni eguali, e del razionalmente
diverso a situazioni diverse. Secondo la Corte infatti, l’interpretazione del principio
di eguaglianza contiene l’implicita affermazione che a situazioni diverse non può
essere imposta una identica disciplina legislativa. B. CARAVITA, Oltre
l’eguaglianza formale. Un’analisi dell’articolo 3 comma 2 della Costituzione, 1984,
Padova, Milani-Cedam, pubblicazioni dell’Istituto di diritto pubblico della Facoltà di
Giurisprudenza Università degli studi di Roma “La Sapienza”, serie 3, vol. 48, pp.
150 - 151- 152; 164.
Sul presupposto quindi che non solo situazioni uguali siano trattate in maniera
uguale, ma anche che situazioni diverse siano trattate in maniera ineguale, tipica è la
sentenza n. 21/1961, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nella materia
tributaria, del “solve et repete” (prima paga il tributo, poi chiedi la restituzione). Pur
essendo “misura particolarmente energica ed efficace al fine dell’attuazione del
pubblico interesse alla percezione dei tributi”, viola l’articolo 3 della Costituzione in
quanto non distingue tra contribuente ricco e contribuente povero parificando
situazioni tra loro diverse. G. AMATO - A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico,
vol. I, 1997, Il Mulino, p. 318. Nello stesso senso si è espressa M. D’AMICO in
L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, a cura di R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO, 2001, Il Mulino, p.
329. Eguaglianza e giustizia d’altronde, costituiscono un binomio inscindibile da
coniugare con prudenza e da ponderare con attenzione. G. DE SIMONE, Dai
principi alle regole - Eguaglianza e divieti di discriminazione nella disciplina del
rapporto di lavoro, 2001, Giappichelli, p. 6.
Per un approfondimento sul legame del principio di eguaglianza con il principio di
giustizia fiscale in particolare, si può vedere il capitolo II, alla nota 29, di pagina 82.