Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 12
Tornando al discorso del confronto tra il principio di non discriminazione e il
principio di uguaglianza, bisogna notare che tra i due sussiste una importante
differenza. Il primo nasce infatti come tutela verso ordinamenti giuridici diversi
da quelli dello Stato di appartenenza, mentre il secondo sancisce una norma di
carattere più generale. Al momento, quindi, sono poche le norme che si ritengono
applicabili anche alla c. d. discriminazione fiscale inversa, cioè la discriminazione
che colpisce il cittadino (o in alcuni casi il residente) in maniera più gravosa dello
straniero. La discriminazione inversa, rappresenta per così dire la frontiera del
principio di non discriminazione ovvero il limite al di là del quale la tutela non
viene più concessa. 3
Il concetto di discriminazione fiscale, presume naturalmente che la differenza di
trattamento sia ingiustificata, sia con riferimento alle due situazioni poste a
confronto, sia con riferimento alle finalità della norma.
Per accorgersi dell’evidenza di questa affermazione basti pensare, che qualora il
diverso trattamento appaia giustificato, costituirebbe condotta discriminatoria
piuttosto un trattamento uguale di situazioni differenti, visto che in linea logica
sarebbe esso ad essere ingiustificato.4
Nel corso dei successivi capitoli, si vedrà come sia la stessa Corte di Giustizia
della Comunità Europea ad utilizzare il criterio della giustificazione di eventuali
differenti trattamenti per valutare se essi siano o meno conformi al divieto di
discriminazione.
La discriminazione è quindi tale in quanto il diverso trattamenti appaia
irragionevole e arbitrario.
Da quanto detto, si può vedere come il concetto di discriminazione sia spesso
legato alla libera valutazione delle Corti, proprio per questa sua caratteristiche di
genericità e indeterminatezza .
3
I casi di tutela di fenomeni definibili di “discriminazione inversa” sono invero molto rari, ciò non
toglie che tuttavia se ne renderà conto nel corso della trattazione , anche in considerazione del fatto
che all’interno della Comunità Europea esistono alcune importanti eccezioni.
4
Naturalmente, l’imprescindibile soggettività dell’analisi fa in modo che vi sia uno spazio talvolta
anche consistente per permettere un trattamento medesimo di situazioni non analoghe, né del resto
sarebbe possibile conferire una regolamentazione diversa ad ogni singola situazione.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 13
A ciò si aggiunga che un divieto di non discriminazione internazionalmente
riconosciuto o desumibile dal diritto consuetudinario, a tuttora non esiste.5
Tenendo quindi anche conto delle differenze normative, spesso assai rilevanti, che
separano i sistemi giuridici dei diversi Paesi, si deve concludere che il principio in
analisi, assume un contorno di mutevolezza e variabilità a seconda
dell’ordinamento giuridico nel quale viene codificato. Si pensi che lo stesso
articolo 24 del modello Ocse di convenzione contro le doppie imposizioni, che
contiene “un esempio” 6 di principio di non discriminazione, viene spesso
inglobato con incompletezza nelle convenzioni bilaterali, persino ad opera dei
Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico.7
Da quanto detto si deve evincere che nella pratica, il principio di non
discriminazione esiste solo nei limiti mutevoli delle norme che lo prevedono. Si
configura così un quadro confuso nel quale le varie previsioni legislative si
intrecciano a livello nazionale, bilaterale e comunitario creando tutele diverse a
seconda della nazionalità della persona fisica o giuridica ( o in taluni casi persino
della residenza, tenuto particolare conto che essa rappresenta in genere il criterio
chiave per determinare l’appartenenza ad un ordinamento giuridico di un soggetto
in materia fiscale) che si presume oggetto di discriminazione . Nell’ambito di
questo diritto a “macchia di leopardo” si hanno così previsioni più stringenti e
rigorose che si sovrappongono ad altre invece più blande e facilmente superabili.
Il principio di non discriminazione, così come interpretato dalla Corte di Giustizia
della comunità Europea, sembra, ad esempio, andare ben oltre le generiche
previsioni di uguaglianza contenute nel diritto interno e le normative
antidiscriminatorie accolte nei trattati bilaterali.
5Cfr. Albrecht , “The taxation of aliens under international law”, in British yearbook of
international law, 1952 p.145. La medesima opinione è riscontrabile in Adonnino, op. cit. e
Amatucci F.: “L’interpretazione e l’applicazione del principio di non discriminazione
nell’ordinamento tributario italiano” in Rivista di diritto tributario 1999 Fasc. 2.
6
Si vuole con questa espressione sottolineare come il principio di non discriminazione, proprio per
la sua mutevolezza non sia un “unicum”.
7
Si veda a riguardo il capitolo I della parte III interamente dedicato al principio di non
discriminazione codificato nel modello Ocse.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 14
La situazione qui delineata, viene ulteriormente complicata dalla constatazione
che la non discriminazione in materia tributaria, non dipende solo da norme di
natura fiscale, ma si deduce in molti casi anche da divieti più generali. Il caso più
evidente riguarda ancora la Comunità Europea, dove, una fondamentale
previsione antidiscriminatoria in tema di imposte dirette è stata dedotta dal
principio di libertà di circolazione delle persone e dal principio di libertà di
stabilimento, senza che il Trattato di Roma menzionasse nulla a riguardo delle
imposte di tale natura.8 Nella configurazione del principio in analisi, quindi si
dovrà tener conto anche di queste previsioni legislative extrafiscali, in mancanza
delle quali, la trattazione si presenterebbe sicuramente non solo incompleta, ma
profondamente scorretta.
L’ultima constatazione che desidero fare riguarda la scarsa determinatezza della
norme in esame. La presenza infatti di testi legislativi che debbano applicarsi ad
un gran numero di fattispecie e talvolta ad un discreto numero di ordinamenti
giuridici nazionali, porta con se una gran quantità di problemi interpretativi,
spesso di ardua soluzione. Il diritto in materia, quindi appare ancorato a poche
certezze, la principale delle quali risulta, almeno per i rapporti comunitari, l’opera
interpretativa della CGCE, alla quale, proprio per quanto detto, sarà dedicato
ampissimo spazio nei capitoli successivi.9
8La questione sarà trattata nel capitolo IV parte I.
9
Anche per quanto concerne i trattati internazionali, la CGCE ha assunto in molti casi un ruolo di
notevole importanza. Si veda ad esempio la rilevanza delle decisioni della Corte in merito alla
diretta applicabilità della normative GATT e WTO nel diritto comunitario, argomento trattato nel
capitolo II della parte III.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 15
2.La struttura dell’opera.
La presente trattazione si divede in tre parti.
Nella prima parte si affronterà l’argomento delle norme discriminatorie di origine
comunitaria, le quali assumono una grande rilevanza per il nostro sistema
giuridico. In particolare ci si riferirà alle cinque grandi libertà previste dal
Trattato, la libera circolazione delle merci, la libera circolazione dei servizi, la
libertà di stabilimento, la libertà di circolazione dei lavoratori e la libertà di
circolazione dei capitali oltre che alla disciplina degli aiuti di stato in ambito
comunitario e al regime previsto del Trattato per risolvere il problema della
doppie imposizione.10
La parte seconda della tesi sarà invece dedicata esclusivamente alla
giurisprudenza della CGCE la cui opera risulta assolutamente imprescindibile per
la definizione del principio in esame. Essa si costituirà dell’analisi di cinque
sentenze che vengono in genere unanimemente considerate le più significative
sull’ argomento, sentenze che hanno posto svolte fondamentale nella definizione
del principio di non discriminazione in ambito comunitario, arrivando là dove
interessi di parte e veti incrociati tra Paesi membri avevano fino ad allora
impedito di giungere per altra via. Nell’ultima parte, invece, si analizzerà il
principio di non discriminazione in abito extra - comunitario, al fine di delineare
un quadro il più possibile completo del fenomeno; in particolare si analizzerà
l’articolo 24 del modello di convezione bilaterale contro le doppie imposizioni
consigliato dall’ Ocse e il principio medesimo così come accolto nell’ ambito del
GATT, dell’ OMC, del Mercosur e del Nafta.
10
E’ fuori dubbio infatti, che la doppia imposizione su un reddito costituisce discriminazione ai
danni di chi la subisce, discriminazione che risulta, in base a quanto detto, vietata solo nel limite in
cui norme applicabili la avversino.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 16
PARTE PRIMA
IL PRINCIPI DI NON DISCRIMINAZIONE NELL’
UNIONE EUROPEA
1. Accenno sulla giurisdizione comunitaria.
2. Il principi di non discriminazione nell’unione Europea.
3. Il principio di non discriminazione e la libera circolazione delle
merci: l’articolo90.
4. Il principio di non discriminazione la libertà di stabilimento e la
libertà di circolazione delle persone.
5. Il principio di non discriminazione e la libera circolazione dei
servizi.
6.Il principio di non discriminazione e la libera circolazione dei
capitali.
7. Il principio di non discriminazione e la disciplina degli aiuti
pubblici alle imprese.
8. Il principio di non discriminazione e il problema della doppia
imposizione.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 17
CAPITOLO I
CENNI SULLA GIURISDIZIONE COMUNITARIA
E SUL CONFLITTO DI NORME.
SOMMARIO : 1.Introduzione. 2. Peculiarità della Corte di Giustizia della Comunità
Europea. 3.Il rapporto tra diritto interno e diritto comunitario. 4.L’istituzione del
tribunale di primo grado. 5.Caratteristiche del giudizio davanti al tribunale e del
giudizio d’impugnazione. 6. La domanda di pronuncia pregiudiziale.
1.Introduzione.
La prima parte di questo lavoro si occuperà del principio di non discriminazione
nel diritto comunitario, e si troverà quindi a dover affrontare numerosi problemi
tipici di questo ramo del diritto, come la questione del conflitto tra norme
nazionali e norme comunitarie o l’opera della Corte di Giustizia della Comunità
Europea, organo, che del diritto comunitario è il sommo garante.
In tale contesto si ritiene opportuno iniziare la trattazione con un breve capitolo
sulla giurisdizione comunitaria, capitolo che, senza alcuna pretesa di porre in
essere una trattazione esaustiva sull’argomento o di intervenire all’interno di
complessi dibattiti dottrinali, desidera solamente agevolare la comprensione delle
parti successive a coloro che, apprestandosi alla lettura, siano digiuni della
materia.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 18
2.Peculiarità della Corte di Giustizia della Comunità Europea.
La Corte di Giustizia della Comunità Europea istituita con il Trattato di Roma, si
prefigge non soltanto il compito di promuovere il rispetto del diritto
nell’interpretazione e applicazione del Trattato11, ma ha anche il fine di essere
punto di riferimento per i singoli soggetti nazionali.12
La Corte assume nell’ordinamento CEE il ruolo di strumento principale per la
diffusione e l’evoluzione del diritto comunitario ed ha inoltre un ruolo
fondamentale nel migliorare la completezza del sistema e nell’eliminare le
incongruenze all’interno dello stesso. Risulta infatti indiscutibile come l’operato
della Corte sia stato finora assolutamente centrale per l’evoluzione del diritto
comunitario, cosa che risalterà molto chiaramente anche dai capitoli successivi.
Una caratteristica fondamentale della Corte di Giustizia è la legittimazione
all’azione sia da parte degli Stati contraenti, sia da parte dei privati, siano essi
persone fisiche o giuridiche.
Sono quindi aditi all’azione presso la CGCE, sia gli organi giurisdizionali dei vari
Stati contraenti, sia le altre istituzioni comunitarie sia tutti i soggetti di diritto
degli Stati membri che siano titolari di una legittimazione ad agire in seno al
diritto interno.
Bisogna rilevare come in prima approssimazione, circa le modalità attraverso le
quali è garantito il rispetto del diritto comunitario, la Corte di Giustizia della
Comunità goda solo di una competenza per attribuzione, cioè può agire solo in
forza di espressa previsione del Trattato che le dia il potere giurisdizionale13;
11
L’articolo 220 del Trattato recita: “ La Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto
nell’interpretazione e nell’applicazione del presente Trattato”.
12
“La Corte di Giustizia della Comunità Europea , infatti, non è solo un organo attraverso cui è
assicurato il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati - anche se ,
come vedremo, attraverso diverse modalità- ma è altresì un importantissimo punto di riferimento
per mezzo del quale risalta la terziarietà dell’ente di fronte ai soggetti statuali.” M. Airoldi, La
tutela del privato nella giurisdizione comunitaria, pag. 154 in “Rimedi giuridici e pubblica
amministrazione”, a cura di C. M. Gallo.
13
Ciò è ribadito dall’art.7 (ex art.4 ) del Trattato dove si ricorda come “ Ciascuno degli organi
della comunità Europea (Parlamento Europeo, Consiglio, Commissione, Corte di Giustizia e
Corte dei Conti) agisce nel limite delle attribuzioni che le sono conferite con il presente mandato.”
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 19
Al di fuori di detta ipotesi, sarà compito dei giudici nazionali, disapplicare le
disposizioni della legge nazionale che siano in contrasto con quanto previsto dal
Trattato, tali disposizioni dovranno cioè essere valutate “tamquam non esset” al
fine della decisione della controversia davanti al giudice nazionale.
3.Il rapporto tra diritto interno e diritto comunitario.
Il rapporto tra diritto interno e diritto comunitario, almeno per quanto concerne
l’Italia, risulterebbe regolato nel seguente modo14: il conflitto tra norme, deve
essere risolto garantendo comunque l’applicazione del diritto comunitario, anche
da parte del giudice nazionale, senza che la successione temporale possa
influenzare il risultato del contrasto normativo. Il fatto che la norma italiana sia
incompatibile con quella comunitaria, non significa che essa sia automaticamente
incostituzionale, a meno che essa non risulti tale da impedire l’osservanza del
Trattato di Roma e delle successive modifiche, nel qual caso si deve ritenersi
proponibile il giudizio davanti alla Corte Costituzionale.15
Si deve quindi ritenere, coerentemente con quanto affermato a più riprese anche
dalla CGCE16, che i regolamenti comunitari abbiano piena efficacia obbligatoria e
diretta applicazione in tutti gli Stati membri, e quindi non necessitino di alcun
provvedimento di ricezione o adattamento; stesso discorso vale per le direttive
comunitarie, a patto che siano sufficientemente “chiare e precise e non
condizionate”17 nel senso di non implicare completamenti o ulteriori valutazioni
14
A riguardo si vedano le seguenti sentenze, Corte di Giustizia della Comunità Europea, 1 marzo
1966 causa 48/65, 31 Gennaio 1978 causa 94/77 e Corte costituzionale 5 Giugno 1984 in Riv.
Dir. Priv. Proc. 1984, 297.
15
Corte Costituzionale sentenze n. 170/1984.
16
Corte di Giustizia della comunità Europea, 4 dicembre 1974, causa 41/74 in Raccolta 1974, pag.
1348.
17
Corte di Giustizia della Comunità Europea, sentenza del 22 giugno 1989 causa 103/88 in
Raccolta 1989, pag. 1839.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 20
discrezionali da parte degli Stati membri. A ciò, si aggiunga la diretta applicabilità
delle statuizioni contenute nelle sentenze interpretative o dichiarative.
Si deve quindi dire, che a differenza del diritto pubblico internazionale, la norma
comunitaria “self – executing” risulta immediatamente applicabile nei territori
degli Stati membri, visto che “ E’ Stato attuato da ciascuno degli Stati membri un
parziale trasferimento agli organi comunitari dell’esercizio della funzione
legislativa, in base ad un pregresso criterio di ripartizione di competenze per le
materie analiticamente indicate nella parte seconda e terza del Trattato” il che
comporta per l’autorità in queste materie “la corrispondente limitazione di quella
propria degli organi costituzionali dei singoli Stati membri”.18
Si è verificata cioè una volontaria attribuzione di sovranità agli organismi
comunitari,e una contestuale rinuncia all’esercizio di tali competenze da parte dei
Paesi membri; a causa di questo, non si può riconoscere allo Stato nazionale il
diritto di emanare atti normativi nei settori di competenza del diritto comunitario,
i quali, nel caso fossero anche nel caso fossero posti in essere posteriormente alla
normativa comunitaria, dovrebbero venir disapplicati.19
Si può quindi vedere qui la grande differenze tra la normativa comunitaria e il
diritto internazionale pubblico, il secondo infatti, necessita di atti normativi di
recepimento per entrare nei singoli sistemi giuridici nazionali.
Quindi il singolo giudice che si trovi di fronte al contrasto tra una norma
nazionale e una di diritto pubblico internazionale che non sia stata recepita, dovrà
applicare la prima e ignorare la seconda, mentre nel caso in cui il contrasto si crei
con il diritto comunitario, che sia espresso in una forma tale da renderlo
direttamente applicabile, o derivi dalle statuizioni contenute nelle sentenze
interpretative della Corte di Giustizia della Comunità Europea, detto giudice,
potrà decidere di disapplicare direttamente la norma nazionale, oppure chiedere
una pronuncia pregiudiziale alla Corte ex articolo 234 del Trattato. Tale articolo
recita infatti:
18
Corte Costituzionale Italiana, sentenza 183/1973 in Giur. Cost. 1973, 3401.
19Cfr. E. Nuzzo, “ Riflessioni in margine ai rapporti tra trattati contro le doppie imposizioni e
talune regole impositive del diritto comunitario e del diritto interno” Rivista di diritto tributario,
1993 fasc.6 pt.1 pag.739-749.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 21
“La Corte di Giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull’interpretazione del presente trattato.
b) Sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della
Comunità e della BCE.
c) Sull’interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del
Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di
uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per
emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte
di giustizia di pronunciarsi sulla questione.”
4.L’istituzione del Tribunale di primo grado.
In base all’art.22520 del Trattato, la Corte di giustizia è affiancata dal Tribunale di
primo grado.
“Alla Corte di giustizia è affiancato un Tribunale competente a conoscere in
primo grado con riserva d’impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per i soli
motivi di diritto e alle condizioni stabilite dallo statuto, di talune categorie di
ricorsi determinate conformemente al paragrafo 2 “
Per quanto concerne le ragioni dell’istituzione di un doppio grado di giudizio, esse
sono elencate nella stessa Decisione del Consiglio, e sono costituite, sia dalla
volontà di migliorare la tutela giurisdizionale, sia da quella di specializzare la
Corte di Giustizia sul compito di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto
e quindi la certezza del diritto stesso.21
La Corte viene quindi riconosciuta come supremo organo interpretativo del diritto
comunitario e come organo giudicante competente per i ricorsi dei soggetti
privilegiati mentre al Tribunale è riservata la tutela giurisdizionale dei privati.
20
Già articolo 168A.
21
Decisione del Consiglio 88/591.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 22
Diversi autori hanno riesaminato la decisione del Consiglio trovando incomplete
le giustificazioni fornite e proponendone delle diverse, in particolare Codinanzi22
ritiene determinante l’obbiettivo di ridurre il carico di lavoro sulla Corte, mentre
Waelbroeck rileva come fondamentale è stato anche il desiderio di ridurre
l’arretrato della CGCE la quale aveva inoltre dimostrato scarsa propensione ad
esaminare questioni complesse sotto il profilo probatorio, e dalla speranza che il
tribunale avrebbe esteso la ricevibilità di certi tipi di ricorso diventando una sorta
di Consiglio di Stato Europeo.
Tuttavia come rilevato da Airoldi23 nessuna delle motivazioni appare da sola
sufficiente a giustificare il provvedimento, visto che i singoli scopi potevano
essere perseguiti anche in modi differenti e in particolari la specializzazione della
Corte poteva essere ottenuta attraverso l’istituzione di apposite sezioni in seno alla
Corte stessa così come previsto dall’ex art.165 comma 2° ( ora art.221)24, mentre
per ridurre il carico di lavoro il provvedimento più logico non può non apparire un
aumento del numero dei giudici.
Sebbene alcuni degli argomenti su elencati non sono di certo stati estranei alla
norma, alcuni autori25 concludono che probabilmente al di là delle motivazioni
citate dal legislatore stesso, vi è la volontà consapevole di lasciare spazio alle
esigenze che di volta in volta si sarebbero presentate, adattando ad esse le
competenze del Tribunale e della Corte di Giustizia.
22Codinanzi, “Il Tribunale di primo grado e la giurisdizione comunitaria”, Milano 1996.
23
M. Airoldi, op. cit.
24
Secondo il quale: “La Corte di Giustizia si riunisce in seduta plenaria. Essa può tuttavia, creare
nel suo ambito delle sezioni, ciascuna delle quali sarà composta di tre, cinque o sette giudici, allo
scopo di procedere a determinati provvedimenti di istruttoria o di giudicare determinate categorie
di cause conformemente alle norme a tal fine stabilite.”
25
Ci si riferisce ancora implicitamente ad Airoldi, op. cit.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 23
5.Caratteristiche del giudizio davanti al tribunale e del giudizio
d’impugnazione.
Il tribunale è competente per i ricorsi dei privati e dei funzionari della Comunità,
categoria quest’ultima che per la sua mole era apparsa assai sgradita alla Corte di
Giustizia, anche per la notevole quantità di lavoro spesso richiesta
dall’accertamento istruttorio.
L’art.225 (ex art. 168A) precisa come il ricorso avverso le decisioni del Tribunale
competente in primo grado, sia ammesso solo per motivi di diritto e alle
condizioni previste dallo Statuto.
Lo Statuto della Corte precisa poi che: “l’impugnazione proposta davanti alla
Corte deve limitarsi ai motivi di diritto, essa può essere fondata su mezzi relativi
all’incompetenza del Tribunale di primo grado, ai vizi della procedura dinanzi al
Tribunale recanti pregiudizio agli stessi interessi della parte ricorrente, nonché
alla violazione del diritto comunitario da parte del Tribunale. “26
La riforma non ha comunque abolito il giudizio unico per i ricorsi dei soggetti
privilegiati la cui competenza resta naturalmente alla Corte come già rilevato
precedentemente.
Viene dunque rafforzata la funzione nomofilattica della CGCE, funzione
comunque fondamentale anche prima della riforma.
Il giudizio d’impugnazione avverso decisioni del Tribunale si svolge, come detto,
presso la Corte di Giustizia; al momento resta ancora non chiarito quale tipo di
giudizio esso sia, se esso sia cioè un autentico secondo grado, o un mero giudizio
di legittimità.
A favore della seconda tesi, vi è sicuramente il fatto che la Corte non possa
procedere ad un istruttoria autonoma, ma debba limitarsi all’analisi dei profili di
diritto, e qualora non ritenga le prove correttamente acquisite debba chiedere al
tribunale di rinnovare l’istruttoria stessa.27 Dalla parte di chi vede nel giudizio in
26
Statuto della Corte di Giustizia della Comunità Europea, articolo 51.
27
Si veda ancora Airoldi, op. cit. pag.158.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 24
parola un vero e proprio secondo grado, vi è invece il fatto che, la CGCE possa
direttamente riformare la sentenza se ritiene che l’errore sia stato compiuto dal
tribunale nella fase d’interpretazione di elementi comunque correttamente
acquisiti.
Tendenzialmente tuttavia, visto i limitati poteri di cognizione della massimo
organo giudicante della comunità, mi sembra non si possa parlare di un vero e
proprio secondo grado di giudizio, sebbene la possibilità di risolvere direttamente
le controversie in caso di errore di diritto non riguardante l’acquisizione delle
prove costituisca senz’altro un elemento di alterazione dello schema del giudizio
di mera legittimità.
Ai fini della presente trattazione, comunque, la più importante funzione svolta
dalla Corte è quella nomofilattica esercitata principalmente attraverso la pronuncia
in via pregiudiziale ex. articolo 234 ( un tempo 177 ) del Trattato di Roma alla
quale si dedica il successivo paragrafo.
6.La domanda di pronuncia pregiudiziale.
La domanda di pronuncia pregiudiziale deriva dal già citato articolo 234 CEE
nonché dagli analoghi 150 CEEA e 42 CECA.
Si trattata di una forma di giudizio non contenziosa28 finalizzata ad assicurare una
uniforme interpretazione del diritto comunitario all’interno della CEE e ad
approfondire la collaborazione tra la giurisdizione comunitaria e le singole
giurisdizioni nazionali.
28
La natura non contenziosa si deduce anche dalla impossibilità del giudice comunitario a
decidere sulle spese, decisione che viene demandata all’autorità del giudice nazionale.
Il principio di non discriminazione nel diritto tributario internazionale. 25
Quanto deciso dalla Corte, nel caso in cui sia investita da un giudice nazionale
della questione in via pregiudiziale, vincola il giudice nazionale e ha forza di
giudicato29.
Sostanzialmente, il giudice nazionale, che per risolvere la controversia necessiti30
di conoscere quale sia la corretta interpretazione di una norma di diritto
comunitario, può chiedere alla Corte di pronunciarsi a riguardo, in modo da non
correre il rischio di concludere erroneamente la causa davanti a se instauratasi.
Un problema di notevole rilevanza è se la Corte sia competente anche a
pronunciarsi sulla interpretazione di accordi stipulati dalla Comunità con Paesi
terzi; tuttavia, sulla base dell’articolo 234 sembra che debba rispondersi
negativamente a questa domanda.
Indubbio, invece è che siano questionabili ex. articolo 234 gli atti della Corte dei
conti, vista la sua elevazione al rango di istituzione, e a partire dal Trattato di
Maastricht, degli atti della Banca Centrale.
29
A riguardo la Corte di Giustizia della Comunità Europea ha stabilito nella sentenza del 16 luglio
1998 causa C-264/96 caso “ Imperial Chemical Industries “ che : Nell'ambito del procedimento
pregiudiziale di cui all'art. 177 del Trattato, spetta ai soli giudici nazionali aditi, che debbono
assumere la responsabilità dell'emananda decisione giudiziaria, valutare, tenuto conto delle
peculiarità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia in via pregiudiziale per essere posti in
grado di statuire nel merito sia la pertinenza delle questioni che essi sottopongono alla Corte. Il
rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo laddove appaia in
modo manifesto che l'interpretazione del diritto comunitario chiesta da detto giudice non ha
alcuna relazione con l'effettività o l'oggetto della controversia nella causa principale
30Come si vedrà ulteriormente, la Corte interpreta molto ampiamente i criteri di accoglimento delle
richieste di pronuncia in via pregiudiziale, chiedendo sostanzialmente solo che la questione non sia
palesemente infondata o fittizia.