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L’unione si ispira fondamentalmente alla creazione di un
mercato unico in cui vige la regola della libera
concorrenza. Lo scopo del presente lavoro consiste nel
tentativo di ricostruire, seppur brevemente il ruolo e la
portata dei principi comunitari posti a fondamento
dell’Unione Europea e nella specie il ruolo del principio
di non discriminazione con particolare riguardo per il
settore fiscale, soffermandoci in maniera approfondita
sulla libertà di commercio (o libera circolazione delle
merci) che rappresenta uno dei pilastri su cui è stata
fondata la C.E.E. al suo nascere nel 1957.
1. La definizione del principio non discriminazione
fiscale in relazione al principio di uguaglianza.
Per iniziare questa trattazione sul principio di non
discriminazione nel diritto tributario internazionale è
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necessario affrontare subito una delle questioni più
complesse e cioè la definizione del concetto di non
discriminazione.
Difatti non esiste una definizione autonoma del principio
di discriminazione fiscale, ma essa si può al massimo
dedurre dal concetto di uguaglianza del quale rappresenta
l’opposto. Si giungerebbe così a concludere che con la
parola discriminazione si intende disuguaglianza. Il
concetto di uguaglianza prevedrebbe la medesima
regolamentazione di due rapporti che si sono manifestati
in relazione a medesime situazioni ed evidenzino
medesime caratteristiche; presuppone quindi una
comparazione tra un rapporto reale, che deve essere
regolamentato, ed un rapporto virtuale con il quale il
primo deve essere confrontato.
1
Il termine di comparazione assume quindi un ruolo
fondamentale per la definizione del principio in esame,
1
Cfr. ADONNINO: “ Il principio di divieto di discriminazione nella fiscalità
internazionale “ , Diritto e pratica tributaria 1999 fasc. 4 parte 3 p. 174.
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infatti, in sua assenza non sarebbe possibile trovarsi in
una situazione di disuguaglianza. A riguardo, ad esempio
per l’applicazione di uno degli articoli del Trattato di
Roma che contemplano il divieto di discriminazione,
l’articolo 90, è necessario che vi sia una produzione
nazionale similare o almeno concorrente con quella che si
presume discriminata, altrimenti mancherebbe proprio il
termine di paragone e quindi la possibilità di sostenere la
discriminazione stessa. Tornando al discorso del
confronto tra il principio di non discriminazione e il
principio di uguaglianza, bisogna notare che tra i due
sussiste una importante differenza. Il primo nasce come
tutela verso ordinamenti giuridici diversi da quelli dello
stato di appartenenza, mentre il secondo sancisce una
norma di carattere più generale.
Nella maggior parte degli ordinamenti giuridici il divieto
di discriminazione in materia tributaria si è affermato
come corollario del principio di uguaglianza. Facendo
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riferimento al nostro ordinamento, l’art 3 della
Costituzione al primo comma stabilisce che: ”Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali
e sociali”. Questa prima parte della disposizione esprime
la base del principio di uguaglianza nel nostro
ordinamento. Il secondo comma della medesima norma
affida allo Stato “il compito di rimuovere quegli ostacoli
di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana”. Appare opportuno
ribadire la valutazione in ordine al rapporto esistente tra il
principio di non discriminazione e il principio di
eguaglianza. Il principio di uguaglianza appare in tutto il
suo significato se studiato in relazione alla legge
tributaria, la quale risulta uno strumento particolarmente
idoneo a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
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sociale che limitando di fatto la liberà e l’uguaglianza dei
cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e la loro effettiva partecipazione alla vita politica,
economica e sociale del Paese.
2. La definizione “mutevole” del principio di non
discriminazione fiscale.
Si può affermare che la disciplina discriminatoria più
comune, consiste nell’ingiustificata differenziazione
all’interno di un ordinamento interno tra il carico fiscale
sopportato dai cittadini stranieri e la pressione più lieve
che grava sui cittadini nazionali o nella maggiore
imposizione sulle merci importate rispetto a quelle
nazionali.
Il diritto comunitario restringe la sovranità di ogni Stato
membro attraverso il principio di non discriminazione che
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svolge lo stesso ruolo fondamentale del principio di
uguaglianza nei singoli ordinamenti interni. Tale principio
posto dal Trattato CE, proibendo trattamenti fiscali
discriminatori, si concreta in un divieto rivolto agli stati
membri di esercitare la potestà tributaria con arbitrio e
senza giustificazione; da ciò si evince che l’eguaglianza
in materia tributaria costituisce una regola generale
soggetta ad eccezioni, purchè i trattamenti diversificati
non siano arbitrari e ingiustificati. E’ utile ricordare che
per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia
2
,
talune restrizioni o disparità di trattamento possono essere
compatibili con il diritto comunitario se giustificate da
motivi imperativi di interesse generale (coerenza del
sistema fiscale, rischio di elusione, controllo del gettito,
ecc.) e perseguono uno scopo legittimo compatibile con il
Trattato, e cioè non discriminatorie.
2
Vedi Sentenza Futura Participations e Singer 15 maggio 1997 in Racc. ,1997, punto 26-
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Il concetto di discriminazione fiscale, presume
naturalmente che la differenza di trattamento sia
giustificata; basti pensare che qualora il diverso
trattamento appaia giustificato, costituirebbe condotta
discriminatoria un trattamento uguale di situazioni
differenti. La discriminazione è quindi tale in quanto il
trattamento diverso appaia irragionevole e arbitrario.
La Corte di Giustizia della CE ha sviluppato i concetti
essenziali per la verifica dell’esistenza di discriminazione
in ambito comunitario sin dai primi anni della sua
operatività. Nel 1962
3
fu stabilito per la prima volta che la
discriminazione presuppone che il diverso trattamento
non sia giustificato dall’esistenza di differenze sostanziali
ed obiettive. Successivamente
4
la Corte di Giustizia ha
elaborato il concetto di discriminazione sostanziale
sostenendo che il diverso trattamento di situazioni non
3
Vedi sent. Klokner del 13.7.1962, cause 17/61 e 20/21
4
Nel caso Italian refrigeretors del 17.7.1963, causa 13/63.
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comparabili non determina automaticamente
discriminazione proibita dal diritto comunitario. Ad
un’apparente discriminazione di tipo formale può
corrispondere l’assenza di discriminazione sostanziale
5
.
Da quanto detto, si può vedere come il concetto di
discriminazione sia spesso legato alla libera valutazione
delle Corti, proprio per questa sua caratteristica di
genericità e indeterminatezza. A ciò si deve aggiungere
che un divieto di non discriminazione internazionalmente
riconosciuto o desumibile dal diritto consuetudinario, a
tuttora non esiste.
6
Da quanto detto si deve evincere che nella pratica, il
principio di non discriminazione esiste nei soli limiti
mutevoli delle norme che lo prevedono. Si configura così
un quadro confuso nel quale le varie previsioni
legislative si intrecciano a livello nazionale e comunitario.
5
AMATUCCI F. “Il principio di non discriminazione fiscale”, 1998, Cedam.
6
AMATUCCI F.: “L’interpretazione e l’applicazione del principio di non discriminazione
nell’ordinamento tributario italiano “ in Rivista di diritto tributario 1999 Fasc. 2. La
medesima opinione è riscontrabile in ADONNINO op. cit.
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Nell’ambito di questo diritto a “macchia di leopardo” si
hanno così previsioni più stringenti e rigorose che si
sovrappongono ad altre invece più blande e facilmente
superabili. La situazione così delineata viene
ulteriormente complicata dalla constatazione che la non
discriminazione in materia tributaria, non dipende solo da
norme di natura fiscale, ma si deduce in molti casi anche
da divieti più generali. Il caso più evidente riguarda
ancora la Comunità Europea, dove, una fondamentale
previsione antidiscriminatoria in tema di imposte dirette è
stata dedotta dal principio di libertà di circolazione delle
persone e dal principio di libertà di stabilimento, senza
che il Trattato di Roma menzionasse nulla a riguardo
delle imposte di tale natura. Il diritto in materia, appare,
quindi, ancorato a poche certezze, la principale delle quali
risulta l’opera interpretativa della Corte di Giustizia della
Comunità Europea. La rilevanza delle sue interpretazioni
del diritto comunitario va ben oltre la semplice
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risoluzione della controversia specifica, ma produce
materiale per la creazione di una dottrina di particolari
istituti tra i quali vi è sicuramente anche il principio di
non discriminazione
7
.
Assumono notevole rilievo all’interno dell’Unione le
disposizioni contenute nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, che costituisce un riferimento
importante per l’intero sistema internazionale. In
particolare tale Carta dei diritti nel suo preambolo
prevede che i popoli europei, nel creare tra loro un’unione
sempre più stretta, devono condividere un futuro di pace
fondato sui principi comuni, e che l’Unione si fonda sui
valori indivisibili e universali di dignità umana e di
solidarietà, l’art 21 della Carta dei diritti fondamentali
dell’UE
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infatti vieta qualsiasi forma di discriminazione
7
Cfr. ADONNINO, “ Il principio di divieto di discriminazione nella fiscalità
internazionale “, Diritti e pratica tributaria 1994 fasc. 4 parte III.
8
La Carta dei diritti fondamentali si presenta come un documento di riferimento
costituzionale dell’Unione europea. A.MANZELLA, S. RODOTA’, P. MELOGRANI, E.
PACIOTTI, Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, 2000, Bologna,Il Mulino p.36. .Pur non avendo carattere direttamente