I
Introduzione
La scelta del principio di buon andamento della pubblica amministrazione quale
argomento di tesi è dovuta non solo all’interesse nutrito nei confronti del diritto
amministrativo, ma anche alla volontà di comprendere cosa debba effettivamente
intendersi per tale principio, foriero com’è dei più svariati significati e
intendimenti.
La ricerca in tale ambito è stata quanto mai vasta e ardita. Senza usare giri di parole,
è bene esser consapevoli del fatto che si tratta del tipico argomento su cui è stato
detto, e tutt’ora si dice, tutto e il contrario di tutto. Parte del problema è dato
sicuramente dalla stessa espressione ‘buon andamento’: l’aggettivo ‘buon’ è
contraddistinto da una forte soggettività che rimette alla percezione e
all’esperienza del singolo il relativo significato; il termine ‘andamento’ ci dà,
invece, subito un’idea di dinamicità (concetto su cui si ritornerà).
È innegabile che si tratti di un principio trasversale e che pervade
l’amministrazione pubblica nella sua più ampia accezione, l’obbiettivo che ci si
propone, però, è ben specifico, ovvero realizzare una parabola pluridecennale
sull’evoluzione del principio di buon andamento di cui all’articolo 97 comma 1
della Costituzione, per vedere se abbia o no valenza giuridica, se possa o no
considerarsi un principio autonomo, di quali significati sia stato ‘insignito’ e con
quali interventi dottrinari, giurisprudenziali e legislativi sia stato concretizzato.
Prima di entrare nel nucleo del discorso è opportuno fare qualche considerazione
preliminare e, come è d’uopo fare quando si tratta di principi, dare il contesto
storico.
Così, nel corso del primo capitolo sarà delineato un quadro generale
sull’amministrazione con finalità meramente veicolative del discorso (parr. 1.1 e
1.2): sarà affrontato brevemente il problema che riguarda la nozione di pubblica
II
amministrazione, scoprendo che una nozione unica ed univoca non può darsi (par.
1.3); si considereranno poi gli interessi sulla cui natura e definizione la dottrina ha
a lungo dibattuto e che la legge 7 agosto 1990 n. 241 vuole emergano nel corso del
procedimento amministrativo, proprio ai fini di una migliore amministrazione (par.
1.5); e per quanto attiene l’aspetto storico, si vedrà brevemente come la pubblica
amministrazione abbia mutato i suoi connotati nel passaggio ad un ordinamento
democratico seppur con una tempistica non all’altezza del cambiamento auspicato
dalla Costituzione (parr. 2.1, 2.2).
La mentalità che contraddistinse i Costituenti, ma non solo, era più proiettata alla
ricostruzione di uno Stato dalle macerie lasciate dalla guerra, e questo fece sì che
il tema amministrativo divenisse un tema ‘depotenziato’.
Si vedrà (par. 3.2) che le disquisizioni sul buon andamento (e sull’imparzialità)
risalgono a molto tempo prima rispetto ai lavori preparatori della Costituzione, e
come già allora vi fosse consapevolezza del fatto che, affinché si possa avere una
buona amministrazione, ci si deve avvalere di norme non giuridiche derivanti da
altri campi del sapere (es. etica o scienze economiche).
Sarà così leggendo l’intera Costituzione che si potrà capire quale amministrazione
hanno voluto consegnarci i Costituenti con il loro straordinario lavoro (par. 3.1):
un’amministrazione pluralista e volta al soddisfacimento dei diritti fondamentali
sanciti nella Carta.
Dopo avere ripercorso il breve dibattito sull’inserzione del principio in
Costituzione, ci si soffermerà più a lungo per capire cosa abbia impedito il
rinnovamento dell’amministrazione e la piena attuazione del principio (par. 4.1).
L’attenzione andrà poi concetto di efficienza con il quale la dottrina
sufficientemente identifica il buon andamento e, in particolare, come il buon
andamento non sia altro che il contenuto dinamico dell’efficienza, la quale, dal
giuridicamente irrilevante, viene elevata a canone giuridico (par. 4.2). Tenendo
presente ciò, saranno ripercorse alcune autorevoli dottrine, quelle che più di altre
hanno affrontato il problema della precettività del principio de quo (parr. 4.3 e 4.4).
III
Alcuni paragrafi saranno dedicati a temi correlati a quello in esame, come il
principio di imparzialità (parr. 4.5, 4.6 e 4.7).
A seguito dell’analisi dottrinaria, si vedrà, avvalendosi di diverse pronunce, quale
sia stato il ruolo della Corte costituzionale e della giurisprudenza amministrativa e
contabile nel percorso di concretizzazione del buon andamento (parr. 4.8 e 4.9).
Il passaggio tra il primo e il secondo capitolo sarà incentrato sul versante
legislativo, al fine di mettere in luce come alla tendenziale inerzia e al disinteresse
del legislatore del quarantennio successivo all’entrata in vigore della Costituzione
di occuparsi dell’amministrazione dello Stato, si contrappongono gli incisivi
interventi degli, ormai tre, ultimi decenni. Interventi che, come si vedrà,
determineranno profondi cambiamenti nell’amministrazione italiana sia sotto il
profilo organizzativo che funzionale, realizzando la ‘fortuna’ di quella formula,
nata molti decenni prima dalle riflessioni di Massimo Severo Giannini, che è
‘amministrazione di risultato’.
L’analisi, dunque, si avvierà a giungere ai nostri giorni, attraverso una veloce
presentazione delle riforme legislative (par. 1.1) ed, in seguito, una approfondita
indagine sulla formula di ‘amministrazione di risultato’ e sul concetto stesso di
risultato (parr. 2.1 e 2.2). Dalle ricerche effettuate, infatti, emerge come la formula
sia stata coniata in contrapposizione ad altra formula, espressiva della situazione
amministrativa del secolo XX, che è quella di ‘amministrazione per atti’. Formule
entrambe con originaria valenza descrittiva e poi assurte al piano del giuridico
attraverso una diversa concezione della realtà dei fatti che giunge ad illuminare
l’agere amministrativo ed una nuova concezione del principio di legalità.
La scoperta del risultato come entità pervasiva dell’intero sistema amministrativo
avverrà attraverso i lavori di importanti studiosi (primo fra tutti Lucio Iannotta), i
quali, tramite elaborati ragionamenti e innovative intuizioni, sono giunti a ritenere
come, nonostante l’emersione del concetto dalla realtà fattuale, esso abbia valenza
giuridica e significhi soddisfacimento delle istanze societarie. Vi si dedicherà il
giusto approfondimento.
IV
L’evoluzione dei tempi porta poi ad accogliere un nuovo significato di legalità, più
incentrato sulla sostanza che sulla forma, in ragione dell’abbandono del modello
della razionalità legale, perno dell’amministrazione per atti.
Conoscibilità, prevedibilità e realizzabilità dell’obbiettivo sono i passaggi chiave
per un’amministrazione che aspiri al raggiungimento dello stesso, così come
fissato dalla legge.
Le posizioni efficientistiche, le più entusiaste di questa nuova logica della
realizzazione del risultato, che si scontrano con quelle garantistiche, miranti a non
abbandonare ‘a cuor leggero’ le conquiste di decenni di lotte contro gli abusi
dell’esecutivo, troveranno composizione nella ‘regola del caso concreto’, di cui si
daranno alcuni esempi (par. 2.3). Anzi, si vedrà che efficienza e garanzie
espressive della legalità, pur autonome l’una rispetto l’altra, cooperano al migliore
andamento della pubblica amministrazione e finiscono per costituire binomio
compositivo del principio di buon andamento.
La prospettiva dell’amministrazione di risultato ha influenzato anche il diritto
processuale amministrativo, nonché l’ampio e complicato settore dei controlli (par.
2.4). Se ne daranno alcuni accenni.
In chiusura del capitolo (par. 2.5), verrà messa in rilievo la geometricità dei
ragionamenti svolti nei paragrafi precedenti, i quali, infatti, disegnano un
andamento circolare che parte da un’identità legalità-efficacia aprioristicamente
definita e ritorna a tale identità, ma consustanziata di realtà dei fatti.
Il terzo e ultimo capitolo avrà due scopi: da un lato, cercare di tracciare
l’evoluzione delle riforme che hanno interessato la legge sul procedimento n. 241
del 1990 (parr. 1.1 e 1.2), mettendo in risalto le due direttrici di fondo in base alle
quali essa è stata scritta e viene applicata; dall’altro, focalizzarsi su un articolo
specifico della legge, il 21octies, quasi divenuto simbolo della legalità di risultato
(par. 1.3).
Saranno, in chiusura di questo terzo capitolo, tratte le definitive conclusioni
dell’intero discorso realizzato (par. 2).
5
CAPITOLO I
1. Il concetto di pubblica amministrazione
1.1 - Per cominciare…
Cosa s’intende per ‘pubblica amministrazione’? È un termine che tutti utilizziamo
quotidianamente o che, quantomeno, sentiamo pronunciare ripetutamente dai
media. Il cosiddetto quisque de populo, ovvero l’uomo qualunque, ne fa un utilizzo
prevalentemente disinformato della complessità che nasconde tale locuzione.
Lampante è il riferimento ad alcuni enti che molto spesso vengono sottesi con il
termine ‘pubblica amministrazione’, cioè Stato, Regioni, Province e Comuni.
Tuttavia, il discorso non si esaurisce qui o, almeno, non per chi intende dedicarsi
a quella branca del diritto che ricomprende le norme che in gran parte disciplinano
gli organi e l’attività amministrativa, ovvero il diritto amministrativo.
Certo è che il termine de quo si caratterizza per una zona bianca (ciò che è
certamente ricompreso), una zona nera (ciò che è certamente escluso) ed un’ampia
zona grigia che si è andata espandendo negli ultimi decenni, soprattutto in ragione
dell’affermarsi dell’ordinamento europeo e di quello internazionale e
sovranazionale.
Preliminare, dunque, è definire il termine ‘pubblica amministrazione’, verificando
se una definizione unitaria si possa o meno dare.
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1.2 – …(segue).
La pubblica amministrazione o, meglio, l’apparato amministrativo in senso più
generico, acquisisce una sua autonoma e giuridica rilevanza quando nello Stato
moderno viene introdotto il principio di separazione dei poteri, principio
tradizionalmente associato al nome di Montesquieu (Lo spirito delle leggi, 1748).
Tale apparato era concepito come “il complesso costituito dalla Corona [o
comunque dall’organo sovrano], dal governo e dagli uffici esecutivi ed ausiliari”
1
.
Per tutto il XIX secolo, l’amministrazione fu un’organizzazione monista, ordinata
attorno al governo di uno Stato accentrato e che si occupava di difesa, ordine
pubblico e politica estera. È nel XX secolo che la pubblica amministrazione
comincia a maturare quelle caratteristiche con le quali noi oggi la conosciamo:
un’amministrazione che si occupa della salute, dell’istruzione, della previdenza
sociale. Una pubblica amministrazione che ha dovuto ampliare il proprio ambito
di intervento a fronte delle sempre maggiori istanze della collettività e che, dunque,
si è fatta sempre più pluralista.
La Costituzione repubblicana del 1948 abbraccia la tradizionale concezione
dell’amministrazione come apparato servente lo Stato, ma nel contempo mostra di
concepirla anche come un apparato permeato da istanze democratiche, pluralista e
decentrato, dove le competenze che in precedenza facevano capo solo ed
esclusivamente allo Stato accentrato, ora invece sono ridistribuite e riarticolate fra
gli enti che, oltre allo Stato, ex art. 114 Cost., costituiscono la Repubblica.
Secondo il disegno costituzionale, però, l’amministrazione è anche sottoposta alla
legge e, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, opera “al
servizio esclusivo della nazione” (artt. 97 e 98 Cost.).
L’evolversi del tempo non ha portato la pubblica amministrazione a modificarsi
solo al suo interno, ad essere mutato è anche il rapporto con la società. Nel
Novecento entra in crisi la netta separazione tra Stato e società e l’amministrazione
1
M.S. Giannini, Enciclopedia del diritto vol. II, 1958.
7
comincia ad operare non più solo attraverso moduli di diritto pubblico, ma si
rapporta con i terzi anche in base a schemi tipici del diritto privato.
Si comincia a riorganizzare timidamente la pubblica amministrazione in senso
manageriale e privatistico: l’amministrazione che diviene ‘azienda’, il diritto
pubblico che si intreccia con quello privato e insieme danno vita ad un nuovo
diritto amministrativo.
1.3 – I problemi legati al concetto di pubblica amministrazione.
La nozione di pubblica amministrazione è una nozione non solo difficile, ma anche
per certi versi sfuggente. Amministrare non è concetto solo giuridico, come ci
ricorda Elio Casetta
2
, ma può riguardare qualsiasi soggetto, non solo i pubblici
poteri.
Si è soliti distinguere tra amministrazione in senso soggettivo, con la quale
intendiamo l’organizzazione amministrativa (il complesso di soggetti e uffici e, in
generale, le figure organizzative che esercitano attività amministrativa), e
amministrazione in senso oggettivo, ovvero l’amministrazione-attività. Di primo
acchito, la scarna disciplina che rinveniamo in Costituzione sembra essere dedicata
alla prima delle due accezioni. Certo è che è la stessa carta costituzionale a dirci
nell’art. 97.3 che, non di pubblica amministrazione, ma di pubbliche
amministrazioni dobbiamo parlare.
In sostanza, il problema del concetto di pubblica amministrazione non è che non
si possa dare una definizione, è che non se ne può dare una unitaria, una con
valenza generale. La legislazione nazionale (ma anche quella europea),
ogniqualvolta emana una disciplina sulla pubblica amministrazione, ne dà anche
una definizione - in genere per elencazione di enti o basandosi sul maggiore o
minore grado di pubblicità - sulla base del fine prefissatosi. In altre parole, le
2
G. Napolitano, Digesto, ‘Pubblica amministrazione’, 1997, §6.