6
giuridico codificato, vincolante per l’Organizzazione ed i suoi
membri.
La prassi successiva degli Stati e i richiami
all’autodeterminazione contenuti in numerosi atti internazionali
(tra cui, fondamentale, l’Atto finale della Conferenza sulla
Sicurezza e la Cooperazione in Europa adottato ad Helsinki nel
1975) hanno fatto sì che tale principio fosse acquisito nella
coscienza giuridica universale come principio generale
dell’ordinamento internazionale, vigente, imperativo e cogente,
fondamento dei rapporti tra gli Stati
1
.
Il principio di autodeterminazione introdotto dalla Carta
delle Nazioni Unite fu utilizzato, inizialmente, soprattutto come
strumento per realizzare l’autonomia e l’indipendenza dei Paesi
e dei popoli coloniali, che reclamavano sia il diritto
all’autogoverno sia l’indipendenza politica. Così l’autodecisione
fu invocata, alla pari dei diritti fondamentali della persona
umana, come base della Dichiarazione di indipendenza dei
popoli coloniali del 1960 e dei Patti internazionali sui diritti
1
Cfr. F. LATTANZI, Autodeterminazione dei popoli, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, vol. II, Torino, 1987, p. 10.
7
civili e politici e di quelli sui diritti economici, sociali e
culturali del 1966, che sanciscono la c.d. “terza generazione” dei
diritti dell’uomo. In questi ultimi, in particolare, emerge
l’espressione economica del nostro diritto, consistente nella
libertà di scelta del proprio sistema economico e nel diritto ad
un proprio sviluppo e alla libera disposizione delle proprie
risorse naturali (in questo senso è il paragrafo 2 dell’art.1 delle
due Convenzioni).
Nel corso degli anni si sono presentati, però, non pochi
problemi, sia pratici che dottrinali, sulle concrete modalità di
attuazione del diritto di autodeterminazione, sulla portata dei
diritti ed obblighi degli Stati in relazione al contenuto del
principio, sulle conseguenze della violazione di tale diritto sul
sistema delle relazioni internazionali e sul ruolo stesso
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite come garante del
rispetto di tale principio.
Se infatti l’autodeterminazione rappresentò, nella prima
fase della storia post-bellica, un importante strumento giuridico
per la decolonizzazione e l’instaurazione di un sistema di
relazioni internazionali almeno tendenzialmente bipolare, la fine
8
dello schema della guerra fredda, che all’interno di questo
sistema aveva imposto una logica “imperialista” in cui la
sovranità di alcuni Stati è stata di fatto limitata, ha fatto
emergere nuovi problemi.
Una volta eliminato il colonialismo e smantellati i blocchi,
sono balzati in primo piano molti nazionalismi che erano rimasti
sopiti o erano stati repressi. Si è assistito al progressivo imporsi
di movimenti etnico-regionali che affermano se stessi, oltre che
come portatori di interessi economici, come rappresentanti
dell’unità culturale tra Stato e popolo, contrapponendosi ai
poteri dello Stato centrale e proclamando il proprio diritto di
autodeterminazione “interna”, quello che viene definito “self-
government”. Se la comunità internazionale ha spesso, come nel
caso dei Paesi dell’ex-blocco comunista, assecondato quelle
evoluzioni che non hanno dato luogo a conflitti particolarmente
violenti
2
, problemi più delicati si sono avuti dove i nazionalismi
2
Dire che la dissoluzione dell’URSS sia avvenuta in un quadro ordinato e pacifico è
solo parzialmente esatto: si pensi, infatti, ai conflitti insorti in Moldavia, nelle
repubbliche transcaucasiche e, più recentemente, in Cecenia.
9
si sono manifestati invece sanguinosamente, come nel caso
della ex-Jugoslavia
3
.
Con riferimento a queste situazioni l’applicazione del
principio ha evidenziato aspetti di grande problematicità.
In una logica internazionale, infatti, non sembra si possa
legittimare ogni tipo di rivendicazione. E se non è sembrato
accettabile limitare la sfera di attuazione del principio alle sole
situazioni di dominio coloniale, razzista o di occupazione
straniera, la dottrina ha non di meno osservato che il diritto di
secessione delle minoranze fu espressamente escluso dalla
nozione di autodeterminazione fatta propria dalla Carta delle
Nazioni Unite, secondo quanto risulta dai lavori preparatori
della stessa
4
.
Accanto al principio di autodeterminazione dei popoli la
comunità internazionale riconosce e si fonda sui principi della
3
Vedi in proposito J. BREUILLY, Il nazionalismo e lo stato, Bologna, 1995, pp. 441
ss., secondo il quale la situazione nei due Paesi non è assolutamente paragonabile.
Mentre la rottura dell’URSS si configurò come “una risposta razionale allo sgretolarsi
del potere statale sovietico”, in Jugoslavia il conflitto tra le etnie è sempre stato
presente, caratterizzando la vita politica del Paese.
4
F. LATTANZI, cit., p. 8. Per una approfondita analisi del diritto di secessione in
relazione agli altri atti internazionali, vedi S. MANCINI, Minoranze autoctone e Stato,
Milano, 1996, pp. 254 ss.
10
sovranità e della integrità territoriale
5
degli Stati indipendenti
che siano dotati di un governo democratico, rappresentativo di
tutto il popolo e che garantiscano i diritti delle persone e delle
formazioni sociali esistenti sul loro territorio
6
.
Il contenuto pur sempre fluido e multiforme del principio di
autodeterminazione consente – e ha consentito – di poterlo
applicare a situazioni di portata molto variabile, dal
colonialismo alla dissoluzione delle repubbliche socialiste
sovietiche, ma senza che per ciò venga meno il rispetto
dell’integrità territoriale degli Stati dotati di un esecutivo
democratico, secondo quanto stabilito dal settimo comma del
principio V della Risoluzione 2625-XXV del 24 ottobre 1970
(Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti
5
La Dichiarazione di Vienna adottata dal primo vertice dei Capi di Stato e di Governo
degli Stati membri del Consiglio d’Europa, tenutosi a Vienna nell’ottobre 1993,
nell’affermare la difesa delle minoranze nazionali lo fa nel rispetto dell’integrità
territoriale e della sovranità nazionale.
6
“L’autodeterminazione presuppone i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali. Per
assicurare al popolo l’autodeterminazione, lo Stato deve garantire ad ogni individuo, ad
ogni gruppo politico, etnico, sociale o religioso le libertà fondamentali, i diritti civili e
politici, i diritti economici, sociali e culturali…Uno Stato nel quale gli uomini non
godano di quei diritti e di quelle libertà incorre ipso facto nella violazione del principio
dell’autodecisione”. Sono parole di G. ARANGIO RUIZ, Autodeterminazione (diritto
dei popoli alla), in Enciclopedia giuridica, vol. IV, Roma, 1989, pag. 6.
11
le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati) che pure
segna il punto della “universalizzazione” del principio de quo
7
.
In particolare, tale dichiarazione dispone che “Nulla…è
inteso ad incoraggiare o legittimare azioni volte allo
smembramento totale o parziale dell’integrità territoriale o
dell’unità politica di Stati indipendenti e sovrani che rispettino i
principi dell’eguaglianza e dell’autodeterminazione dei popoli e
dotati di un Governo rappresentativo di tutta la popolazione
appartenente al territorio, senza distinzione di razza, di sesso o
di colore”.
Se in generale, quindi, l’atteggiamento delle Nazioni Unite
è nel senso di non accettare la secessione da uno Stato che si
informi ai principi democratici e della rappresentatività, parte
della dottrina ha osservato che in casi eccezionali, quando i
popoli, i territori, le entità politiche sono sottoposti a dominio in
violazione del diritto internazionale, essi hanno il diritto di
7
Cfr. anche il punto 28 (principio VIII) dell’Atto di Helsinki, che chiarisce come il
diritto all’autodeterminazione opera in conformità – tra l’atro – alle norme del diritto
internazionale relative all’integrità territoriale degli Stati.
12
riconquistare la loro libertà e di costituirsi in Stati indipendenti
e sovrani
8
.
Il gruppo sostantivo “principio di autodeterminazione” è
usualmente corredato di una ricca aggettivazione: si parla di
autodeterminazione “esterna” o “interna”, “negativa” o
“positiva”, “aggressiva” o “difensiva”. Tutto ciò testimonia
chiaramente l’ampiezza e la variabilità dei confini che si è
indotti a riconoscere nella materia in questione. In generale, ed
in riferimento agli avvenimenti internazionali che hanno
innovato così profondamente lo scacchiere internazionale, la
dottrina sembra aver messo più compiutamente in risalto le
caratteristiche in negativo dell’autodecisione (non è applicabile
al solo caso del colonialismo) che non quelle in positivo (in
quali casi e fino a dove la comunità internazionale può o deve
appoggiare questioni di autodeterminazione).
Nell’esperienza più recente si sono presentati vari tentativi
di risolvere il non facile problema delle rivendicazioni
separatiste all’interno di Stati a democrazia rappresentativa.
8
D. MURSWIEK, The Issue of a Right of Secession Reconsidered, in C. TOMUSCHAT
(a cura di), Modern Law of Self-Determination, Dozdrecht-Boston-London, 1993, p. 25.
13
In Europa, in quell’Europa che sta cercando di giungere a
una qualche forma di unificazione politica, la questione è
presente in modo più o meno pressante in diversi Paesi.
La Spagna post-franchista ha dovuto fare i conti con spinte
indipendentiste molto forti, non solo nelle aree da sempre in
conflitto con Madrid, ed è periodicamente teatro di vicende di
stampo terroristico che recano la firma dell’ETA,
l’organizzazione separatista armata dei Paesi Baschi
9
.
In Francia lo storico problema della Corsica si riaffaccia
con maggiore forza e si registrano spinte centrifughe anche in
Bretagna
10
, Savoia e Occitania.
9
Da quando, nel dicembre 1999, l’ETA ha interrotto la tregua unilaterale che aveva
creato speranze di pace, attentati ed omicidi hanno ripreso a segnare la cronaca
quotidiana.
10
In questa regione della Francia le istanze indipendentiste si accompagnano ad un
forte recupero della lingua tradizionale. La lotta per la lingua si è cristallizzata in questi
ultimi anni anche attorno alla Carta Europea delle Lingue Minoritarie e Regionali. La
sua firma (del 7 maggio 1999) non è stata, però, ancora riconosciuta valida dal Conseil
constitutionnel: la Francia non ha dunque ancora dato esecuzione a questo atto e il
dibattito nel paese è molto vivo, con i difensori dell’unità nazionale che invocano l’art.
2 della Costituzione, ai sensi del quale “le français est la langue de la rèpublique”. In
generale l’atteggiamento della Francia è sempre stato nel senso di ostacolare
l’elaborazione di documenti internazionali contenenti disposizioni di tutela minoritaria:
ciò, a sua volta, è conseguenza della sua natura di “Stato nazionale liberale agnostico”
che privilegia il criterio della cittadinanza e disconosce le collettività che si
interpongono tra Stato e cittadino; vedi sul punto R. TONIATTI, Minoranze e
minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in T. BONAZZI, D. DUNNE,
Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1994, pp. 292 ss. Si deve
inoltre registrare una ripresa del terrorismo dell’ARB, l’esercito rivoluzionario bretone,
di cui si sospettano contatti con l’ETA.
14
In Belgio con la riforma costituzionale del 1993 si è
decretata la sostanziale divisione della nazione in due Stati
(Fiandre e Vallonia) aventi competenze separate in tutti i settori
socialmente strategici.
Nel Regno Unito le spinte all’indipendenza di Scozia e
Galles sono tuttora vive, senza parlare della situazione nord-
irlandese, dove gli accordi di pace della Pasqua del 1998
sembrano essersi arenati.
Anche l’Italia ha conosciuto, a partire dalla fine degli anni
’70, il fenomeno del leghismo autonomista e oggi parole come
federalismo, devolution, decentramento, quando non addirittura
secessione, sono diventate comuni nel lessico politico e
quotidiano.
In un saggio di qualche anno fa, Petrosino sosteneva che nel
caso italiano sono presenti alcune delle condizioni classiche dei
processi di divisione di uno Stato: un’evidente frattura
economico-territoriale attraversa il Paese; in alcuni strati della
popolazione del Nord si avverte un senso di penalizzazione,
soprattutto economica, e di questo sentimento si fa interprete la
Lega; il senso di solidarietà, di appartenenza, di identità
15
nazionale è in crisi e mostra crepe evidenti; i processi di
integrazione economica europei richiedono interventi economici
di difficile attuazione, soprattutto in relazione alla differenze
economico-territoriali: si tratta di condizioni che sono presenti
in tutti i casi in cui la divisione del Paese si è posta all’ordine
del giorno
11
.
Vi è, evidente, una crisi di riconoscimento nello Stato, le
cui cause vanno probabilmente ricercate in quel deficit di valori
civici di cui ha parlato qualcuno
12
e nelle difficoltà economiche e
politiche dell’Italia; “il sentimento di identità nazionale risulta
sempre meno diffuso. Beninteso…di fronte alla richiesta di
scegliere l’ambito che si sente in misura maggiore come proprio,
emerge che quello per l’Italia è il senso di appartenenza
territoriale di gran lunga maggioritario…ma se tre anni fa, quasi
il 60% degli intervistati dichiarava di sentirsi “soprattutto
11
Cfr. D. PETROSINO, Is It Possible To Invent Ethnic Identity? Some Reflections On
Ethnic and Territorial Politics in Italy, in AA. VV., Nationalism in Europe. Past and
Present, Santiago de Compostela, 1994, vol. II, pp. 609-644.
12
G. E. RUSCONI, L’identità nazionale e la sfida separatista, in G. SPADOLINI (a
cura di), Nazione e nazionalità in Italia, Roma-Bari, 1994, pp. 223-236.
16
italiano”, oggi questa affermazione è condivisa da meno della
maggioranza assoluta della popolazione”
13
.
Il Presidente della Repubblica Ciampi, ripristinando la
parata militare in occasione della Festa della Repubblica, il 2
giugno scorso, mostra di aver capito meglio di altri che la
grande crisi istituzionale del Paese è nella sua fase più difficile.
In proposito è stato osservato che “mentre i sindaci e i presidenti
di Regione hanno un mandato popolare, i governi a Roma si
fanno e si disfano secondo criteri e convenienze a cui il cittadino
italiano rimane del tutto estraneo. Mentre la periferia acquista
stabilità e credibilità, il centro e i suoi riti suscitano scetticismo
e indifferenza”
14
.
Tutto ciò pone delicati problemi di carattere politico e
costituzionale che richiedono un’urgente discussione e
risoluzione.
Pur affette da alcune evidenti contraddizioni, le spinte
federaliste-separatiste iniziano, infatti, a trovare consensi
13
R. MANNHEIMER, Europa e federalismo: cala il senso patriottico, ne Il Corriere
della Sera, 5 giugno 2000.
14
S. ROMANO, L’ardua sfida di Ciampi, ne Il Corriere della Sera, 5 giugno 2000.
17
espliciti, anche se minoritari, e sono il segnale di questioni che
non possono essere sottovalute.
È stato giustamente detto che occorre “smetterla di
rappresentare la secessione come un tabù, e come tale
innominabile, o come una boutade, e come tale priva di
fondamento”
15
. Occorre, al contrario, prendere atto della portata
inedita e terribile della sfida che si ha di fronte e approntare
delle risposte, politiche e istituzionali, in grado di far riscoprire
le ragioni profonde ed ineliminabili dello stare insieme.
Di fronte alle recenti proposte di alcuni Consigli regionali
di intraprendere iniziative volte al trasferimento di alcune
funzioni statali alla Regione, occorre rispondere a gran voce che
il decentramento, lo si chiami federalismo o neoregionalismo, va
attuato, ma esso deve essere ispirato da una logica solidale e non
conflittuale e deve avere tra i suoi perni fondamentali il
15
A. CANTARO, Introduzione, in C. DE FIORES, D. PETROSINO, Secessione, Roma,
1996, p. 7.
18
principio dell’interdipendenza economica tra le Regioni
16
.
Il Mezzogiorno dovrebbe avere un ruolo di primo piano in
questo processo e tutto ciò potrà avvenire soltanto se esso sarà
in grado di sviluppare un meridionalismo in forte discontinuità
con il passato, consapevole che “non basta la denuncia
dell’arretratezza e dei ritardi”, che “a poco serve…la
recriminazione moralistica nei confronti dei governi”; un
meridionalismo che sappia anche dimostrare che si può
“rovesciare e trasformare in opportunità quelli che appaiono solo
come vincoli, limiti, vizi”
17
.
Se tutto ciò accadrà, ed è auspicabile, quegli italiani del
Nord che oggi invocano la secessione o forme involute di
federalismo potranno finalmente guardare al Sud come ad una
risorsa e ad una possibilità dalla quale non conviene separarsi.
16
Il 15 settembre 2000, con una delibera il Consiglio regionale della Lombardia ha
indetto un referendum consultivo, la cui data di svolgimento verrà fissata dal presidente
della giunta Formigoni entro il 28 febbraio, con il quale i cittadini lombardi saranno
chiamati ad esprimersi sulla “devoluzione” di funzioni statali alla Regione in materia di
sanità, polizia locale e istruzione. Il testo del quesito referendario così recita: “Volete
voi che la Regione Lombardia nel quadro dell’unità nazionale intraprenda le iniziative
istituzionali necessarie alla promozione del trasferimento delle funzioni statali in
materia di sanità, istruzione anche professionale, nonché di polizia locale, alla
Regione?”.
17
A. CANTARO, Introduzione, cit., p. 21.