VIII
Tuttavia, la straordinariet del centro-sinistra de l 1962 Ł riconoscibile non soltanto nell essere
stato fondato su un avanzato programma di riforme, ma anche nell aver rifiutato, a livello
legislativo, la prospettiva utopica del tutto e su bito , della battaglia ideologica ad oltranza,
accogliendo contemporaneamente quella della gradua lit : e, si badi, non ci si sta riferendo alla
Dc, che successivamente avrebbe inteso tale gradualit in chiave soprattutto di rallentamento, ma
allo stesso Psi la cui maggioranza autonomista, pur nelle sfumature interne (mi riferisco in
particolare alla polarit Nenni-Lombardi), giunse a ll appuntamento con la svolta a sinistra se non
completamente libera da certe rigide sovrastrutture ideologiche di marca comunista, senza dubbio
notevolmente piø disponibile rispetto al passato ad affermare e a condividere con i partiti
borghesi una prassi della politica moderna e prog ressista.
PerchØ quindi questo centro-sinistra, affatto rivoluzionario bens riformista, da possibile non si Ł
evoluto in realt politica concreta e stabile? Perc hØ, nonostante vi fosse sul programma di governo
una solida intesa di fondo fra autonomisti del Psi, ampi settori della Dc, nonchØ Pri e buona parte
del Psdi, il nostro paese non potØ beneficiare, oltre che della scuola media unica, della
nazionalizzazione e della cedolare d acconto (seppur con qualche difetto), anche delle nuove leggi
per l agricoltura, della riforma urbanistica e dell istituzione delle regioni? Le risposte sono
molteplici, tuttavia vi Ł un elemento che all epoca gioc un ruolo assolutamente decisivo: la non
futuribilit del centro-sinistra guidato da Fanfani risiedette proprio nella presenza mi si perdoni la
ripetizione dello stesso Fanfani, presenza che la leadership dorotea della Dc non toller a lungo e
che, anzi, contrast apertamente (a partire almeno dall inverno del 1962) sia boicottandone il
programma di governo, sia determinandone infine l uscita di scena. Quando infatti il Partito
socialista tent il 17 ottobre 1962 di ipotecare co n una proposta di accordo di legislatura il futuro
del centro-sinistra sulle modalit e gli obiettivi programmatici propri del governo fanfaniano,
puntualmente la risposta di Aldo Moro fu negativa: e ci avvenne proprio perchØ la direzione
democristiana non era piø intenzionata a sostenere quel centro-sinistra.
Questo rifiuto e il prevalere della linea moro-dorotea di fatto sconvolse profondamente tutto il
progetto della svolta a sinistra, determinando all interno dell ala autonomista del Psi un inevitabile
processo di revisione di priorit , obiettivi e pros pettive che sfoci in una grave crisi interna. Non
solo: a pagare il prezzo della manovra in seno alla Dc ai danni di Fanfani sarebbe stata una figura di
rilievo all interno dello stesso governo democristiano, quel Fiorentino Sullo autore e promotore
della riforma urbanistica, che in piena campagna elettorale si ritrov a subire l ostracismo dei
padroni del vapore dorotei.
Il quadro politico, ovviamente, non fu l unico teatro nel quale il centro-sinistra fanfaniano esaur
la sua breve vicenda. Quando infatti quest ultimo si insedi alla guida del paese, molti fra i piø
IX
importanti nomi dell industria italiana Valletta su tutti si misero in animo di cavalcare l onda
della svolta in atto consapevoli, come d altronde lo erano gli stessi protagonisti politici, Dc e Psi,
che ad essa non vi era, e non vi sarebbe stata per diverso tempo, alternativa: tuttavia quell implicito
sostegno, proprio perchØ del tutto strumentale2, proprio perchØ offerto al centro-sinistra solo ed
esclusivamente in quanto trend politico, e non in quanto insieme di valori ed obiettivi sociali e
civili, si trasform poi in una delle ragioni princ ipali per cui il riformismo ritenuto eccessivo di
La Malfa, di Fanfani, di Sullo, venisse infine sostituito stando per ben attenti a non variare la
formula politica con il centro-sinistra buono d i Moro, Saragat e Colombo3.
Da l in poi fu tutto diverso e, per molti aspetti, per il riformismo o per ci che ne rimase le
cose peggiorarono notevolmente, non solo perchØ il centro-sinistra «organico» sarebbe nato nel bel
mezzo di una fase economica decisamente meno promettente rispetto al 19624, o perchØ per un
attimo avrebbe visto materializzarsi all orizzonte, nell estate del 1964, addirittura l eventualit de l
colpo di stato; il futuro del riformismo venne gravemente compromesso soprattutto perchØ quella
determinazione con cui inizialmente, nel 1962, Dc e Psi affrontarono l obiettivo delle riforme si
tramut , a partire dagli anni di governo di Aldo Mo ro, in un procedere estenuantemente lento,
affaticato, quasi impercettibile: ed Ł evidente che, altrimenti, non si potrebbero spiegare gli ulteriori
otto anni oltre ai quattordici gi accumulati dal 1948 che occorsero fino al 1970 perchØ venisse
finalmente realizzato quell istituto regionale che proprio nei primi mesi del 1962 era stato posto
come il principale slogan della svolta a sinistra, nonchØ della sua diretta emanazione politico-
istituzionale, il centro-sinistra.
L evidente scarto qualitativo fra il ministero Fanfani, o almeno fra la sua dinamicit iniziale, con
ci che avvenne dopo le elezioni della primavera de l 1963 risult quindi accresciuto proprio dal
fatto che, nel corso della tormentata vigilia del I governo Moro, all interno della coalizione non fu
piø possibile ottenere dalla Dc un chiaro, inequivocabile e serio impegno in sede programmatica5,
cos che infine si dovette assistere allo strano fenomeno di una «coalizione di centro-sinistra senza
la politica di centro-sinistra»6.
2
La stessa eventualit della nazionalizzazione dell energia elettrica, uno dei massimi obiettivi del centro-sinistra, fu infatti ben
vista da industriali come Valletta stesso o Pirelli che, come vedremo meglio nel corso di questa tesi, avevano con le baronie
elettriche (le potentissime Edison, La Centrale, S ade, ) un rapporto tutt altro che pacifico.
3
S. Lanaro, Storia dell Italia repubblicana , p. 338.
4
«Nel 63 il primo arresto del trend economico di sviluppo riduce lo spazio di interventi riformatori. Il ritardo con cui Ł nato il
centro-sinistra ha reso meno tempestivo un intervento di politica economica diretto ad orientare lo sviluppo» (P. Scoppola, La
Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, Bologna, Il Mulino, 1997†, p. 371).
5
P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino, UTET, 1995, in Storia d Italia , a cura di Giuseppe Galasso, Torino, UTET,
p. 150.
6
Ibid., p. 151.
1
Capitolo I
La svolta a sinistra
1. La fine del centrismo: contingenza politica e storia.
Nelle fasi cruciali della svolta a sinistra , che nel gennaio-febbraio del 1962 furono tutte
concentrate attorno agli esiti del Comitato centrale socialista e del congresso democristiano di
Napoli, Nenni, Moro e i rispettivi entourage affidarono l accelerazione finale in direzione del
centrosinistra non solo alla chiarificazione dei suoi obiettivi fondamentali la fine degli squilibri
economici nel paese e il progresso sociale e all assicurazione sull assenza di qualsiasi ipoteca
comunista, ma anche alla riconferma del passato e dell identit dei propri partiti. In un progetto
politico cos consapevolmente proiettato nel futuro, quasi nessuno dei leader della svolta rinunci
a rimarcare la continuit della propria storia e de l proprio cammino politico, come a voler fare
intendere che ci che stava avvenendo fosse nella n atura delle cose, piø che un fatto rivoluzionario
e un momento di rottura.
I socialisti per primi presentarono il centrosinistra come il risultato, prima che di pur determinanti
eventi recenti e contingenti (ad esempio la crisi del governo della convergenza, come vedremo fra
poco), del costante impegno del partito nella ricerca di un interlocutore politico disponibile al
dialogo sui problemi del paese e sulle possibili soluzioni, un impegno che, come diceva Nenni,
aveva segnato tutta la storia del socialismo italiano e che aveva avuto esito positivo solo nel recente
incontro con la Dc1; quest ultima, da parte sua, inseriva il processo di avvicinamento al Psi
all interno di un percorso coerente, insistendo sul principio di non contraddizione fra l apertura a
sinistra e la conservazione della propria identit , fondata sulla tradizione dei valori cristiani e
democratici, e sul rifiuto del totalitarismo di sinistra e di destra2. Quindi la coerenza, innanzitutto, e
non la discontinuit .
Il tentativo di dare solide basi alla svolta a sinistra e di svelarne le motivazioni profonde aveva per
socialisti e democristiani il medesimo scopo: ricondurre il centrosinistra a fatto storico prima che
politico, soprattutto per cancellarne l immagine di macchinazione di vertice, come se stesse per
1
«Nella sua lunga storia il partito socialista non ha mai avuto un interlocutore valido. [...] Oggi il partito socialista ha un
interlocutore con il quale pu scontrarsi, con il q uale, in ogni caso, Ł aperto un discorso democratico» (Camera dei deputati. Atti
parlamentari dell assemblea, Tipografia della Camera dei deputati, XXVIII, p. 27805)
2
«Le collaborazioni alle quali la D.C. Ł stata e presumibilmente sar chiamata in avvenire con i partit i ispirati a diverse ideologie,
la situazione cioŁ, nella quale essa si Ł trovata e pu trovarsi ancora, d incontrarsi con altre forze e di concorrere con esse a realizzare
un programma comune, non ha significato in passato e non significher certamente in avvenire che la D. C. abbandoni i suoi principi
ed ideali e si rassegni alla loro insufficienza» (VIII Congresso della Democrazia cristiana, Napoli 27 gennaio I febbraio 1962 ,
Cinque Lune 1962, p. 41)
2
essere il risultato del disegno di una oligarchia politica che di punto in bianco avesse deciso di
cambiare i connotati politici del paese; perchØ proprio questo era ci di cui gli oppositori della
svolta volevano convincere l opinione pubblica: tutto il fronte politico che andava dall estrema
destra al partito liberale battØ costantemente in Parlamento e sui propri giornali sul tasto della
prepotenza della partitocrazia , sullo scandalo de lla prevaricazione di cui si erano rese
protagoniste le segreterie di partito della Dc, d el Psi, ma anche del Pri e del Psdi nei confronti
delle istituzioni e dell elettorato, che invece avrebbe dovuto essere stato chiamato in causa in
quanto unico punto di riferimento nel determinare le sorti politiche del paese1.
Tratteremo fra poco di questa sorta di battaglia p er la legalit di cui si rese protagonista l area
politica conservatrice; ci che conta ora sottoline are Ł che tutta l area favorevole all apertura a
sinistra volle dare al centrosinistra l immagine e entro certi limiti il contenuto di evento stori co,
in quanto condizionato dall evoluzione della societ prima ancora che dalle scelte dei partiti, il cui
compito e dovere restava comunque quello di rispondere adeguatamente ai bisogni e alle spinte che
provenivano dall elettorato e dall intero paese 2. In questo senso la fine del centrismo, alla pari del
centrosinistra, veniva giustificato dai leader della svolta come un fatto che solo in un secondo
momento era stato determinato da scelte strettamente politiche, mentre le sue motivazioni
sostanziali risiedevano tutte nella possibilit o m eno di essere compatibile con il presente: Moro in
prima persona era convinto, e lo dichiar in piø se di, che per il centrismo, espressione coerente
dell Italia degli anni 50, tale compatibilit non fosse piø valida3. Centrismo e centrosinistra, in
definitiva, risultavano essere due fasi storiche che godevano, nei rispettivi contesti il passato il
primo, il presente il secondo , della medesima leg ittimit : il loro succedersi era quindi altrettanto
legittimo.
Vale la pena soffermarci ancora su ci che fu appun to la fine del centrismo; come si Ł fino a qui
brevemente spiegato, nelle parole dei leader politici della svolta tale fine venne motivata prima di
tutto attraverso argomenti di natura strutturale e storica, di lunga durata. Da soli questi ultimi,
tuttavia, non potevano bastare: l esigenza per Moro e Fanfani, ma anche per Saragat e Reale, non
era infatti solo quella di assegnare alle proprie scelte e ai cambiamenti in corso la prospettiva del
1
Il leader liberale Malagodi nel corso del dibattito sulla fiducia al governo, l 8 marzo, dichiar : «Ch iediamo le elezioni politiche,
perchØ si valuti alla luce del sole una operazione realizzata largamente alle spalle del Parlamento ed alle spalle del paese» (AP,
Camera dei deputati, XXVIII, p. 27967).
2
Secondo Moro un grande partito infatti «deve sempre saper dare al corpo elettorale una chiara indicazione, compiere un atto di
responsabilit che disperda la confusione e offra n ettamente un tema da prendere in considerazione [ ] . Una impostazione, cioŁ,
nella quale il corpo elettorale Ł sovrano, ma i partiti, secondo le loro responsabilit , lo guidano ne lle sue scelte» (ibidem, p. 27993)
3
Cos si espresse Moro al congresso di Napoli: «Io ritengo [...] che la D.C. nelle sue posizioni di maggioranza, sotto il peso delle
preminenti responsabilit di Governo e di garanzia democratica del Paese, abbia tenuto ferma la linea del centrismo classico fino ai
limiti delle sue possibilit » ( VIII Congresso della Democrazia cristiana , p. 126); un analoga analisi fu formulata nel corso del suo
discorso di fiducia al governo Fanfani il 9 marzo del 1962: «La crisi era [ ] nelle cose, la crisi del Governo di «convergenza» e in
essa [ ] la crisi della formula del centro democrat ico [ ]. Appariva dunque ormai insufficiente uno st rumento politico [il
centrismo] che si era rivelato di indubbia efficacia nel passato, ma aveva finito per soggiacere alla legge fatale del logoramento» (AP,
Camera dei deputati, XXVIII, p. 27991)
3
tempo lungo , ma Ł anche quella piø spiccia e co ntingente di difendersi e di rispondere alla
polemica e ai continui attacchi che i partiti conservatori stavano scagliando contro di loro: tale
polemica, come si Ł gi accennato, faceva forza sull argomento dello scandalo della partitocrazia e
dell abuso di potere di cui si erano rese responsabili le dirigenze Dc, Psdi e Pri nel gestire la crisi
del governo delle convergenze1. Alle grandi parole, al richiamo a questa o quella tradizione politica
e alla storia si rendeva necessario quindi aggiungere la prova dei fatti; l intervento piø puntuale a tal
proposito fu quello di Reale nel corso del dibattito parlamentare sulla fiducia al governo Fanfani (3-
10 marzo 1962): egli afferm che la crisi in questi one si era risolta non soltanto nello stesso modo
di tutte le altre precedenti crisi di governo all e quali aveva contribuito anche quello stesso partito
liberale da settimane impegnato nella giaculatoria contro la partitocrazia , ma rispettando inoltre
pienamente gli accordi presi all’inizio dello stesso governo della convergenza , in base ai quali il
venir meno dell appoggio di almeno uno dei partiti di maggioranza sarebbe stata condizione
sufficiente per la caduta del governo2; il leader del Pri non manc di sottolineare come tale
condizione fosse stata pienamente soddisfatta in quanto non uno, ma ben tre partiti facenti parte
della maggioranza avevano ritirato la loro adesione al governo3.
Gi al congresso di Napoli di fine gennaio Aldo Mor o aveva chiarito quali erano stati gli eventi
determinanti la fine della convergenza e l inizio quindi della crisi; nella parte iniziale del suo
discorso-fiume, dedicata alla descrizione dell iter dei tre governi succedutisi fra il 1959-60 e il 1962
(Segni, Tambroni, Fanfani), il segretario democristiano infatti rimarc che la convergenza, pensata
sin dall inizio come strettamente funzionale al ristabilimento di un clima di serenit e di
pacificazione sociale dopo i gravi fatti del luglio 1960, era nata inequivocabilmente come ministero
provvisorio, quasi d emergenza: nulla di scandaloso se una volta esaurito il suo importante compito
tale governo non avesse alcun motivo per proseguire. Tanto piø che parimenti provvisoria era stata
l intesa fra Psdi e Pri da una parte e Pli dall alt ra, intesa che infatti non era stata presentata come
alleanza organica, bens come semplice convivenza in funzione di una situazione interna al paese
1
Cos l 8 marzo 1962, in sede di discussione sulla f iducia al governo Fanfani, si esprime l on. Malagodi, leader del Pli, non a caso
il partito piø danneggiato dalla fine della convergenza e del centrismo: «la Democrazia cristiana aveva il dovere di costituire un
governo-ponte per fare le elezioni [...] Chiediamo le elezioni politiche, perchØ si valuti alla luce del sole una operazione realizzata
largamente alle spalle del Parlamento e alle spalle del paese» (AP, Camera dei deputati, XXVIII, p. 27967); allo stesso modo si
esprime il monarchico Rivera «la politica ha un suo demonio, nella demagogia, il Parlamento ha il suo demonio, nei partiti. Come la
demagogia rende scabrosa ed angustiosa la vita politica, i partiti fanno altrettanto sul Parlamento, pretendendo la direzione ed il
condizionamento di ogni attivit [...] il Parlament o Ł svuotato e surrogato dai partiti, gestiti da poche persone ed operanti a
discrezione di costoro» (ibidem, p. 27676).
2
«La prepotenza delle segreterie si verifica dunque solo quando non c Ł la segreteria liberale, la stessa, per altro, che all atto della
costituzione del Governo della convergenza pretes e ed ottenne l impegno di crisi automatica non appena uno dei partiti aderenti
avesse ritirato la sua adesione» (AP, Camera dei deputati, XXVIII, p. 27952); Fanfani aveva gi parlato di queste circostanze nel suo
discorso di apertura alla Camera del 2 marzo: «fin dalla sua costituzione [il governo delle convergenza] era stato impegnato dai
quattro partiti convergenti a trarre le debite co nclusioni da qualsiasi riduzione della consistenza della sua maggioranza» (ibidem, p.
27604)
3
Ibidem, p. 27952. Secondo Pietro Nenni non si poteva «parlare di crisi extraparlamentare quando tre gruppi della coalizione di
governo dicono che la coalizione Ł finita» (Pietro Nenni. Gli anni del centrosinistra. Diari 1957 1966 , a cura di G. Nenni e D.
Zuc ro, con prefazione di G. Tamburrano, Milano 198 2, p. 205).
4
particolarmente delicata; una volta tornata la normalit tale convivenza divenne quindi forzata e
priva di significato1.
Se si scorrono, insomma, gli interventi in varie sedi dei leader politici della svolta nelle
settimane fra la crisi del governo di convergenza e il centrosinistra, si possono ricavare una non
indifferente quantit di fatti concreti che testimo niano della corretta gestione della crisi da parte di
Dc, Psdi e Pri, che altro non fecero che rispettare dei patti preventivamente stabiliti con lo stesso
Pli. Il discorso di apertura del primo ministro Fanfani alla Camera (2 marzo 1962), inoltre, mise in
luce altri elementi importanti, non ultimo il fatto che la crisi di governo fosse stata preceduta di
alcuni mesi dalla dichiarata intenzione di repubblicani e socialdemocratici di favorire al piø presto,
assieme al Psi, una formula di centrosinistra; ma non solo: gli stessi Pri e Psdi avevano auspicato
che la nascita del nuovo ministero avvenisse gi do po la fine del congresso di Napoli del gennaio
venturo2. Tutto alla luce del sole, quindi, ma soprattutto nulla al di fuori di precisi accordi pre-
governativi sottoscritti dallo stesso leader del Pli Malagodi, che in Parlamento gridava invece allo
scandalo e chiedeva elezioni anticipate. Questa improbabile crociata legalitaria della destra
parlamentare a favore del ruolo e dell importanza delle istituzioni, questa accorata difesa del regime
democratico e della prassi parlamentare (che verr rinnovata in occasione del disegno di legge sulla
nazionalizzazione dell energia elettrica) rappresentavano in realt l ultima spiaggia della guerra
preventiva contro il centrosinistra, dopo mesi di ripetute accuse sulla debolezza e i cedimenti della
Dc, sul comunismo e il frontismo latenti all interno del Psi, e sul conseguente probabile ingresso
dell Italia nel blocco sovietico3: non era difficile scorgere dietro a tutta questa bagarre l’incapacit e
la totale indisponibilit ad accettare la fine di u n intera fase politica, moribonda dopo ormai dieci
anni di vita.
Se si tiene conto infatti non solo della propaganda dei partiti di destra, ma anche di quella di gran
parte della stampa nazionale di parte («Corriere della sera» e «24 Ore» soprattutto), degli allarmi
1
Moro al congresso di Napoli spiega infatti che la convergenza democratica era «una forma anomala caratterizzata da un minore
impegno dei partiti, i quali non costituivano una coalizione, non avevano rapporti tra loro ma solo con la D.C.» (VIII Congresso della
Democrazia cristiana , p. 54)
2
«Il partito repubblicano e quello socialdemocratico hanno preannunciato la nuova formula [di centrosinistra] fin dal novembre
scorso, indicandone come presumibile termine di nascita quello immediatamente seguente la fine del congresso nazionale della
Democrazia cristiana. Anzi, avvicinandosi detto termine, i parlamentari repubblicani e socialdemocratici, alla Camera il 20 gennaio,
non hanno esitato a dimostrare che sul piano della fiducia la loro collaborazione col Governo poteva ritenersi esaurita». (AP, Camera
dei deputati, XXVIII, p. 27604); come si pu constatare, quindi, il gover no delle convergenze era gi in dubbio da mesi, anz i,
ipoteticamente la crisi sarebbe potuta iniziare gi il 20 gennaio.
3
In una intervista sul «Giornale d Italia» (riportata sul «Corriere della sera»), il leader liberale Malagodi cos commenta
l intervista di Aldo Moro all «Europeo» del 2 genna io 1962 sul centrosinistra: «Oggi, con il partito socialista che Ł quello che Ł, e
con una parte della D.C., con il partito socialdemocratico e con il partito repubblicano prigionieri di un centro-sinistra mitizzato, di
pura fantasia, gli sviluppi sono necessariamente verso il partito comunista, e cioŁ verso il passaggio del nostro Paese dal campo dei
liberi al campo degli schiavi» («Corriere della sera», 5 gennaio 1962); lo stesso Malagodi, in sede di dibattito sulla fiducia al
governo, afferm che il programma socialista avesse lo scopo di «far scivolare le cose italiane verso un regime di marxismo
integrale» (AP, Camera dei deputati, XXVIII, p. 27967).
5
inconsulti lanciati da certi settori della finanza1, del panico che si tentava di diffondere nel paese, la
fine del centrismo decretata dal prossimo ed ormai inevitabile avvento del centrosinistra
assomigliava sempre piø alla caduta dell anciŁnt regime di fronte alla Rivoluzione francese oppure,
per fare un paragone non molto lontano da quello che poteva realmente pensare un Malagodi, alla
capitolazione dell occidente di fronte al tremendo avanzare del Sol dell avvenire o dell Armata
Rossa. Una fine insomma fragorosa, quella del centrismo, che vedeva tutta la destra del paese,
politica ed economica, resistere ad oltranza, determinata a lottare fino all ultimo una battaglia
apparentemente persa in partenza, ma che invece prosegu sotterranea nel corso di tutto il
centrosinistra, fra boicottaggi, resistenze e, addirittura, un tentativo di colpo di stato nel 1964.
Ci che sorprende Ł che l immagine virtuosa che la stessa destra in quei mesi si cuc addosso
contrastava completamente con quello che nel gennaio del 1962 fu uno scandalo questa volta vero
(al contrario di quello pretestuoso della partitocrazia), quello cioŁ dell aeroporto di Fiumicino, che
vedeva coinvolto in prima persona Giulio Andreotti, uno dei campioni della destra conservatrice
della Dd, nonchØ piø volte ministro della Repubblica; una situazione, quindi, piuttosto equivoca e
che potenzialmente avrebbe potuto andare a scapito di un intera classe dirigente, favorendo quindi,
sotto la spinta di eventuali malumori dell opinione pubblica di fronte alle malversazioni dei politici,
l avvento di una fase politica nuova2. Siamo nell ambito delle pure ipotesi e di fatto il centrosinistra
fu tutto tranne che l inizio di una seconda Repubb lica : a parte che la Commissione parlamentare
d inchiesta venne sbugiardata dagli stessi indagati e che in sede di giudizio non venne concluso
pressochØ nulla3, Ł fuori dubbio che lo scandalo di Fiumicino non favor affatto l avvento del
centrosinistra, anzi, fu alla fine un evento completamente ininfluente. Non solo, ma
paradossalmente gli oppositori della svolta trass ero dalle circostanze prodotte da quell episodio
un ulteriore punto d appoggio per proseguire il loro attacco all apertura a sinistra; non fu difficile,
1
Il «Corriere della sera» Ł in questi anni in prima linea nel favorire la diffusione di ogni tipo di illazione su un economia italiana
sofferente a causa del centrosinistra; quello che segue Ł in questo senso un titolo esemplare: «La settimana nelle borse italiane / La
quota perde altro terreno in un ambiente dominato dall’incertezza / La carenza di affari Ł un fatto inoppugnabile, ma le cause di
turbamento sono da ricercare nel programma del governo; finchØ non ne saranno chiariti i punti ancora oscuri, Ł difficile che l’attivit
possa espandersi» («Corriere della sera», I aprile 1962)
2
Ci corrisponde con l analisi di Tamburrano nella s ua storia del centrosinistra:« Il centro-sinistra era annunciato come una svolta
politica: grande era l attesa delle riforme, non solo sociali, ma anche del costume e della gestione della cosa pubblica. Alla vigilia
della svolta, in occasione della discussione alla camera [ ] della relazione della commissione di inch iesta sul cosiddetto scandalo di
Fiumicino, vi fu un duro scontro tra socialisti e democristiani. [ ] Il deputato socialista [Amadei] d enunci il malcostume e la
corruzione imperanti nella vita pubblica con parole crude: «La responsabilit di questo deplorevole st ato di cose appartiene alla DC
per il clima politico che ha creato, per i governi che ha espresso, per le forze di cui si Ł servita, economiche o clericali che siano
[ ].La svolta a sinistra non Ł soltanto una program mazione economica, ma Ł l esigenza espressa in termini politici della
moralizzazione e di un rinnovamento [ ]» ( G. Tambu rrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, con una prefazione di Lelio Basso,
Milano, 1971, pp. 158-159).
3
«Nella riunione del Consiglio dei ministri del 15 gennaio 1962 due giorni prima che si apra il dibat tito parlamentare Fanfani,
capo del governo, introduce l argomento [la questione di Fiumicino]. Andreotti, uno degli imputati, non serba un doveroso silenzio: Ł
invece il primo a criticare la commissione e a protestare per la pubblicazione dei suoi verbali. Inoltre «lamenta che non sia
tempestivamente intervenuta una presa di posizione responsabile». Colombo «reclama una adeguata reazione in sede politica»,
Gonella ritiene che «la Commissione d inchiesta non si sia attenuta ai limiti della legge istitutiva [...]. Rileva altres che la
Commissione Ł un organo inquirente e che il potere di giudicare spetta alla Camera. Chiede che il governo si adoperi in tale sede
perchØ il giudizi sia assolutorio» (G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Cultura, identit , tra sformazioni fra anni cinquanta e
sessanta, Roma, 1998†, p. 129)
6
infatti, trasformare la dura polemica del partito comunista che aveva presentato una mozione di
sfiducia al governo che venne respinta il 20 gennaio contro quei funzionari democristiani piø
direttamente coinvolti nello scandalo Andreotti in primis , nell ennesimo attentato sferrato
dell estrema sinistra contro la stabilit dei gover ni democratici. Ugo Indrio, in uno dei suoi tanti
editoriali sul «Corriere della sera», arriv ad ela borare su questo tema delle conclusioni la cui
assurda capziosit pu essere oggi compresa solo se si suppone un cieco spirito di parte:
L oratore comunista, l onorevole Caprara [in sede di presentazione della mozione di sfiducia di cui si Ł appena
parlato], ha dimenticato di notare, naturalmente, che il solo fatto di poter parlare liberamente dello scandalo di
Fiumicino, e lo scoppio dello scandalo stesso, reso possibile dalla libert di stampa e di opinione, d imostrano che la
democrazia Ł viva e vitale, e capace di usare il bisturi. Scandali di alcun genere non accadono mai nei regimi totalitari,
dove tutto procede nel migliore dei modi.1
A parte il fatto che l immagine del «bisturi» non ebbe mai alcun tipo di riscontro nella realt dei
fatti, la cosa piø sorprendente Ł che il concetto di fondo di questo articolo arrivava a sostenere che,
nel caso in cui in Italia fossero affiorati degli scandali, la prima conclusione da trarsi non era che la
democrazia ne uscisse gravemente compromessa, ma che al contrario fosse in buona salute:
insomma, piø scandali scoppiano meglio Ł! ¨ il caso a questo punto di soffermarsi ulteriormente su
ci che la stampa nazionale conservatrice era in gr ado di produrre all epoca, in modo tale che,
avendo gi un idea precisa della qualit generale d ei suoi contenuti, non ci sar piø modo in seguito
di stupirsi di certe sue affermazioni. Per restare sempre nell ambito dell episodio di Fiumicino,
ancora il «Corriere della sera», ad esempio, il 20 gennaio pubblicava un articolo di Manlio
Lupinacci dal titolo ambizioso, «L insegnamento di Fiumicino / L amministrazione della cosa
pubblica non pu essere un gioco di societ »: i mal i di cui erano espressione i fatti attorno alla
costruzione dell aeroporto romano, secondo Lupinacci, non provenivano della corruzione di
funzionari pubblici e di ministri, ma dalla loro scarsa preparazione, dovuta alla brevit dei loro
incarichi; alla radice dello scandalo non vi era insomma una questione morale, ma un problema
tecnico causato dalla rapidit dell avvicendament o dei ministri nelle continue crisi di governo
(frecciata al nascente centrosinistra), fatto che impediva loro di imparare il mestiere e di svolger lo
correttamente. Vale la pena di citare una frase in particolare, che Ł anche il culmine di tutto il
ragionamento e per la quale non Ł necessario alcun commento: «Li vogliamo incolpare di
negligenza, incapacit , scarso sentimento della cos a pubblica? Io sarei disposto a mettere la mano
sul fuoco per tutti, quanto a correttezza e senso del dovere e capacit ; solo domando: formate un
ministero con Richelieu, Mazzarino, Colbert, Cavour, Disraeli, impegnate questi grandi politici e
1
«Corriere della sera», 20 gennaio 1962
7
sommi amministratori nel girotondo dell instabilit , e ditemi se riuscirebbero mai a far funzionare
bene i loro ministeri e lo Stato»1.
Questi quindi i toni e la qualit della polemica co nservatrice, espressione di un fronte di
opposizione molto ampio, e soprattutto attivo ben prima dell insediamento, il 21 febbraio 1962, del
Governo Fanfani; un fronte impegnato quindi in una battaglia innanzitutto contro l idea stessa di
centrosinistra: lo slogan delle elezioni anticipate (da posporsi ovviamente alla crisi del governo
della convergenza) Ł da vedersi proprio come tentativo estremo di impedirne il passaggio alla realt .
Se l area politica della svolta si trov unita ne ll opporsi categoricamente a questa ipotesi, la
risposta piø puntuale all ennesima provocazione della destra fu quella di Aldo Moro; il leader
democristiano, al congresso di Napoli, afferm infa tti l inaccettabilit di una consultazione
elettorale che alla fine avrebbe deciso del destino di un governo ancora prima del suo nascere,
trovando fra l altro i cittadini privi degli elementi concreti per esprimere, tramite il voto, il proprio
giudizio2. Nel replicare a questa polemica Moro ebbe fra l altro l occasione di ribadire ancora una
volta l importanza fondamentale dei partiti, ed in modo particolare di un grande partito di popolo e
di governo qual era la Democrazia cristiana: qualora, infatti, si fosse prospettato per il paese la
possibilit di sperimentare formule politiche nuove , come risposta a precise spinte provenienti dalla
societ stessa, secondo Moro il partito aveva il do vere di assumersi la responsabilit di una scelta 3.
Esimersi dal porre in atto l ipotesi di centrosinistra avrebbe significato per la Dc tradire la volont
popolare e contravvenire al suo compito principale, quello di interprete fedele delle tendenze della
societ 4:
Per rilevanti che siano le vicende politiche e parlamentari che un partito si trova a vivere, i modi secondo i quali esso
fronteggia, come pu , mediante intese ed alleanze, la concreta situazione politica, Ł per vero che Ł soprattutto il Partito
1
Ibidem.
2
«[...] si vuole una elezione su di una pregiudiziale, mentre noi ammettiamo, se mai, una elezione su di una esperienza» (VIII
Congresso della Democrazia cristiana , p. 131); fra l altro non esistevano i presupposti costituzionali per ammettere l indizione di
elezioni anticipate; prosegue infatti Moro: «le elezioni anticipate non dipendono da noi e trovano del resto i noti ostacoli
costituzionali per la loro immediata effettuazione» (ibidem). Secondo fonti vicine all Azione cattolica, invece, le elezioni dovevano
«essere indette prima e non dopo aver intrapreso la strada dell apertura a sinistra, se si vuol riconoscere all elettorato la capacit di
esprimere un giudizio valido; dopo esse costituirebbero una «semplice assoluzione»» («Il Corriere della sera», 3 gennaio 1962);
come Ł facile notare vi erano in tal senso posizioni diametralmente opposte a quelle di Moro all interno dello stesso mondo politico
cattolico.
In realt Moro e Nenni non avevano escluso del tutt o l ipotesi delle elezioni anticipate; il loro restava comunque un ruolo
sostitutivo rispetto al venir meno delle condizioni per la realizzazione del progetto di svolta a sinistra, e non di sostituzione
aprioristica del centrosinistra, come si voleva a destra. A tal proposito Nenni cos racconta di un suo incontro con Aldo Moro datato
12 gennaio 1962: «L uomo Ł onesto. Tiene e terr il suo impegno di farsi autorizzare ad una soluzione di centrosinistra. [ ] E
tuttavia non mi Ł sembrato sicuro di poter creare le condizioni dell incontro con noi. Con pari lealt gli ho detto che non si pu
contare sul PSI per una svolta che sia effettivamente a sinistra. Se no, meglio andare alle elezioni» (Pietro Nenni. Gli anni , p. 204).
3
«Bisogna provare; noi non possiamo assumerci la responsabilit di non provare affatto» ( VIII Congresso della Democrazia
cristiana , p. 131)
4
Le stesse tendenze ed esigenze che portarono il Psi a convergere con la Dc sugli obiettivi del governo di centrosinistra; come
disse infatti Fanfani nel suo discorso di replica per la fiducia al governo (10 marzo): «una tormentata meditazione sulla stessa realt
[italiana] ha condotto il partito socialista a riscontrare l evidenza degli stessi problemi ed a prevedere per essi una serie di soluzioni
avvicinabili a quelle previste dal concorrente esame operato dai tre partiti della coalizione [Dc, Psdi, Pri]» (AP, Camera dei deputati,
XXVIII, p. 28015).
8
che conta, che esso vive in Governi e maggioranze parlamentari ma non si esaurisce in essi, che Ł soprattutto il Partito,
con la sua storia complessiva, con la sua ideologia, con la sua unit , con la sua carica emotiva, con i valori spirituali che
coltiva, con le speranze che accende per il futuro, con il suo significato proprio al di l dei compro messi e delle
combinazioni pur necessari, Ł il Partito come tale, nella sua autonomia e nella sua integrit , che parla all elettorato e
si pone come punto reale e duraturo di riferimento nello sviluppo di civilt e nell evoluzione storica del paese. Ecco
perchØ anche in questo momento, ed anzi soprattutto in questo momento nel quale si prospettano novit che destano e
non possono non destare perplessit , [...] il disco rso deve tornare al Partito, a quel che il Partito rappresenta nelle
mutevoli contingenze della storia. ¨ il Partito che d la garanzia ed Ł al Partito che veramente si concede la fiducia.1
La questione della legittimit dei partiti aveva pe r Moro un peso fondamentale non solo perchØ
era in gioco la dignit della Dc stessa, ma sopratt utto perchØ ad essere messa in dubbio era la
validit di tutta una prassi politica italiana: gra n parte della polemica di destra contro la
partitocrazia, infatti, trovava fonte di ispirazione e forza sia dalla recente (1958) fine della IV
Repubblica francese e dal successivo instaurarsi del regime antipartitico e antiparlamentare del
padre della patria De Gaulle, sia dalla grave e q uasi contemporanea (1959) crisi politico-
istituzionale attraversata dalla Dc in coincidenza con le dimissioni di Amintore Fanfani da
segretario e da primo ministro; due eventi che, se non avevano irreparabilmente minato la
credibilit dei partiti e del loro ruolo, certament e costituivano un ottimo argomento per i loro
detrattori2. In un tale contesto la difesa della centralit po litico-istituzionale della Dc poteva avere
tre obiettivi: riportarla definitivamente fuori da un periodo di empasse, iniziato nel 19593 e reso
ulteriormente incerto dalle alterne vicende dei governi Segni e Tambroni; restituirle un immagine di
partito forte e degno di essere punto di riferimento per la vita sociale e politica del nostro paese;
dare infine piena legittimit alle sue scelte polit iche, soprattutto perchØ in quel momento era in balo
l esperimento del centrosinistra.
La presa di posizione di Moro contro la destra, nel rifiuto di qualsiasi ipotesi di future alleanze e,
contemporaneamente, come antidoto contro la forza e il prestigio del modello gollista, era il segno
che la svolta a sinistra non era per l Italia soltanto una questione di politica interna, ma che essa
1
VIII Congresso della Democrazia cristiana , pp. 131-132
2
Nell intervista che introduce l antologia di testi di Aldo Moro L intelligenza e gli avvenimenti , G. L. Mosse afferma che «la
carriera politica di Aldo Moro [ ] Ł strettamente c ollegata a quella crisi del sistema di governo parlamentare che si Ł manifestata in
tutta la sua gravit nel corso del XX secolo» (Aldo Moro, L intelligenza e gli avvenimenti , con introduzione di George L. Mosse,
note di Gianni Baget Bozzo, Mario Medici e Dalmazio Mongillo, Garzanti, 1979, p. IX); l analisi di Mosse prende a riferimento un
quadro politico che ha radici nei regimi totalitari del 900, che di fatto compromisero e cancellarono dall Europa i modelli di governo
liberale e parlamentare, che si riproposero nel dopoguerra con difficolt e comunque mutati rispetto a l passato: «superato lo shock
rappresentato dal fascismo, si Ł assistito ad una generale ripresa delle dottrine liberali. Ma Ł stata una ripresa molto lenta, perchØ la
gente non era ancora disposta ad operare una distinzione tra la sfera politica e la vita. La gente insomma non intendeva accettare la
politica degli interessi privati e pubblici cos come si configurava nel sistema parlamentare, e intanto continuare a vivere sentendosi
completamente estraniata. C era ancora la richiesta di un attivit politica che fosse integrata con la vita, ed a me sembra che la
Democrazia cristiana da una parte, ed il comunismo dall altra, abbiano reso possibile questa identificazione, poichØ offrivano una
visione della vita totalizzante» (ibidem, p. XI).
3
Secondo l interlocutore, nonchØ intervistatore, di Mosse, Alfonso Alfonsi, Aldo Moro nel 1959 fu cosciente «che la crisi
attraversata dall Italia in quel momento [il 1959, appunto] non fosse una normale crisi di governo, ma investisse l intero sistema della
democrazia parlamentare» (ibidem, p. XV).
9
aveva riflessi importanti anche in politica estera, se Ł vero che, oltre all accoglimento delle istanze
terzomondiste (vedi cap. II, par. 4), in un momento in cui il colonialismo occidentale era in
decadenza e l Algeria era insanguinata degli attentati dell OAS, il centrosinistra italiano con il suo
europeismo si schierava di fatto e tale si manten ne con coerenza nel corso di tutta l esperienza di
governo all opposto della Francia dell Europa de lla patrie .
Dunque, la centralit dei partiti difesa a spada tr atta da Moro, soprattutto in quanto risposta lo
abbiamo visto ad una polemica di destra, rispose ad esigenze politiche interne (chiusura nei
confronti di Msi, Pdium e Pli) ed internazionali (validit del modello democratico italiano) molto
urgenti e ben precise. Tuttavia, secondo un giudizio soprattutto di Pietro Scoppola, che si pone
criticamente nei confronti della «visione idealistica di Aldo Moro sul ruolo dei partiti»1, quella
centralit fu prima di tutto il sintomo di una visi one della politica eccessivamente concentrata sui
rapporti e sulla ricerca degli equilibri fra i partiti stessi, nonchØ sul processo di aggregazione al
centro di nuove basi di consenso; in tal modo fu inevitabile il crearsi di un divario fra il sistema
tendenzialmente chiuso della «via politica» e i problemi reali del paese, il che compromise non solo
la prontezza della politica stessa a corrispondervi in modo adeguato2, ma anche le opportunit per
un progetto come il centrosinistra e in questo l analisi di Scoppola Ł illuminante di mantenere
stabilmente il proprio carattere innovatore3.
2. Un intervista e un congresso.
Nel paragrafo precedente si Ł accennato alla natura degli argomenti con i quali i politici fautori
dell apertura a sinistra cercarono di fondare la formula di centrosinistra nei mesi che precedettero il
suo esordio: si trattava, dicevamo, di temi profondi, di respiro prima di tutto storico4 e solo in un
secondo momento e principalmente in funzione di d ifesa dai continui attacchi della destra basati
anche sui recenti fatti della cronaca politica. L affermazione di questi temi fu per la Democrazia
cristiana un compito primario ed essenziale, in quanto l unico fra i partiti italiani a dover accollarsi
pressochØ tutta la responsabilit dello spostamento a sinistra della scena politica italiana; il ruolo del
Psi, infatti non fu e non potØ essere alla pari di quello del partito di Moro: al di l dell ovvia
1
P. Scoppola, La Repubblica , p. 372.
2
«La via politica [ ] implicava inevitabilmente la necessit di subordinare ogni iniziativa, ogni deci sione ed ogni concreto
operare a logiche di partito che ben poco avevano a che fare con i problemi nuovi del paese» (ibidem).
3
Scoppola anzi rimarca il fatto che la «via politica» condusse il centrosinistra ad «esaurire la sua carica innovativa nel momento
stesso della sua piena realizzazione» (ibidem, p. 373).
4
Nelle parole dello stesso Pietro Nenni l’incontro fra Dc e Psi non Ł un fatto solo e meramente politico, non Ł il risultato di una
semplice strategia, ma assume un significato piø elevato, piø profondo: «Esso si colloca al livello della politica generale, starei per
dire della storia, e non della tattica parlamentare» (discorso del 6 marzo, nel corso del dibattito sulla fiducia al governo Fanfani, AP,
Camera dei deputati, XXVIII, p. 27806). Sulla stessa linea anche il vicepresidente socialista De Martino (10 marzo): Ǭ [ ]
importante vedere questo problema [l alleanza con il Psi] come lo ha visto l onorevole Moro e come lo ha visto il congresso della
Democrazia cristiana a Napoli: non, cioŁ, come una fase contingente, momentanea, della politica parlamentare, ma come un
problema di carattere storico» (ibidem, p. 28042).
10
constatazione dell enorme peso elettorale di quest ultimo, non era concepibile che l incontro fra
partito socialista e Democrazia cristiana avvenisse su uno stesso livello, ma solo che scaturisse da
una concessione della Dc. Se presumibilmente, infatti, l elettorato cattolico si poteva aspettare dal
Psi degli errori , tutti riconducibili alla sua supposta inesperienza come partito democratico e
alla sua sostanziale dipendenza dal comunismo, pretendeva invece dalla Democrazia cristiana, la
classe dirigente per antonomasia, dal 1948 alla guida incontrastata del paese, una costante e
incrollabile padronanza della situazione e dei suoi futuri sviluppi: al di l dell impegno dialettico di
un Nenni o di un De Martino nel rassicurare gli scettici sull autonomia dal Pci e sulla maturit del
partito socialista1, piø di tutto contavano quelle garanzie e quei ve rdetti che la Dc avesse o no
fornito sul conto del Psi stesso.
Presso l opinione pubblica il ruolo di guida della nuova fase politica spettava quindi per intero
alla Democrazia cristiana2, segnatamente ad Aldo Moro, che fu infatti impegnato in una complessa
opera di consolidamento della scelta di centrosinistra, che per limitarci alle settimane
immediatamente precedenti la nascita del governo culmin con il lunghissimo discorso al
congresso di Napoli il successivo 27 gennaio, passando prima per l intervista rilasciata a
«L Europeo» il 2 gennaio 1962 (che fu la seconda presa di posizione mediaticamente ufficiale dopo
l intervista televisiva a «Tribuna politica» del novembre 1961).
Il 1962 inizi quindi con la vasta eco provocata da lle dichiarazioni del segretario democristiano
alla rivista milanese, che anticiparono molti degli argomenti cardine della futura orazione
napoletana di fine gennaio; l interesse di questo breve testo su tre colonne de «Il Popolo»3, prima
ancora che nelle dichiarazioni dello stesso leader, sta innanzitutto nelle domande poste a Moro, in
quanto riflesso di interrogativi attuali e molto comuni sia nel mondo politico che nell opinione
pubblica, interrogativi concentrati attorno alle scelte del prossimo congresso di Napoli, ai dubbi
sullo «stato di necessit » sotteso o meno alla form ula di centrosinistra, al senso delle «garanzie» da
chiedere al Psi, al dovere di «difesa delle istituzioni contro ogni minaccia totalitaria», ai potenziali
rischi per l unit della Dc impliciti nel centrosin istra4.
1
Fra i tanti elementi che potevano invece dare prova da soli della seriet e dello spirito di autocri tica del Psi si consideri questo
estratto dal discorso di De Martino al CC socialista del 9-11 gennaio 1962: «Nel difficile cammino per creare nella nostra struttura
interna una piena democratizzazione socialista, che superi ed avanzi quella dei partiti borghesi ed eviti i rischi del centralismo, propri
dei partiti comunisti, alcuni passi sono stati compiuti, ma molto rimane da fare. [...] Si tratta di demolire la concezione sovrannaturale
e fanatica del partito [...], per creare questo tipo di partito nuovo, che sappia trarre dal fallimento della socialdemocrazia e dalla
tragedia storica del comunismo la lezione necessaria» («Avanti!», 9 gennaio 1962)
2
Come vedremo in seguito questa Ł una opinione comune diffusa in primo luogo dalla stessa Dc; il Psi non si pose, ovviamente,
sulla stessa linea, rivendicando invece di essere l elemento decisivo della svolta a sinistra, come afferm Nenni alla Camera il 6
gennaio 1962 : «Molte sono le spinte che hanno favorito negli ultimi anni il nuovo corso politico [...]. E tuttavia queste spinte
avrebbero anche potuto infrangersi sugli scogli dell egoismo capitalista e delle chiusure conservatrici, se noi socialisti non avessimo
concorso a far uscire il dialogo politico con la Democrazia cristiana dagli schemi tradizionali» (AP, Camera dei deputati, XXVIII, p.
27806).
3
Cfr. «Il Popolo», 2 gennaio 1962
4
Ibidem.
11
Moro dovette innanzitutto chiarire se l eventualit del centrosinistra stesse per essere il risultato di
una scelta autonoma e consapevole della Dc o se si trattasse invece di una rischiosa avventura, con
la possibilit di gravi compromissioni per l identi t del partito e di infiltrazioni marxiste nel
governo del paese: la prima garanzia che veniva richiesta alla Democrazia cristiana ancora prima
di quelle sull autonomia socialista era quindi su l proprio stato di salute , sulla propria integrit ,
sulla continuit con il proprio passato, con la pro pria tradizione, con la propria storia; a tal
proposito Moro afferm che la Dc, in quanto partito di governo e responsabile di fronte a tutto il
paese, aveva ricercato prima di tutto in sØ stessa le risposte necessarie alla nuova situazione della
politica italiana, e che per la Dc non erano valsi e non avrebbero potuto valere dei riferimenti esterni
che non fossero i segnali, le spinte e le esigenze provenienti dalla societ stessa 1: venire meno al
proprio ruolo di interprete istituzionale di questi elementi avrebbe significato per la Dc tradire prima
di tutto il mandato del partito e poi gli elettori.
Molto cauto, in quanto la questione era delicatissima e cruciale, fu il successivo chiarimento
fornito sull entit piø o meno necessaria della sce lta di centrosinistra; da segnalare a tal proposito
che il concetto di «stato di necessit » non fu grad ito nØ a Moro2 nØ a Nenni in quanto,
probabilmente, avrebbe potuto da una parte presupporre l esistenza di una sorta di costrizione alla
quale i partiti si dovevano arrendere e ci era i n contrasto soprattutto con il libero arbitrio
rivendicato con forza dalla Dc , dall altra irrita re ulteriormente l ampio fronte conservatore,
sminuendo ancora di piø il suo ruolo gi comprome sso, a loro parere, dalla prepotenza della
partitocrazia : a tal proposito vi sono chiari ind izi nelle memorie di Pietro Nenni, nelle quali infatti
il leader socialista dimostrava approvazione per la scelta morotea di non aver fatto valere lo stato di
necessit 3. Il segretario Dc cos definiva la svolta politica in atto:
Quello che Ł stato chiamato talvolta uno stato di necessit Ł piuttosto [...] la risultante di un esame obiettivo e sereno
della realt politica italiana quale si presenta ne ll attuale momento4.
Allo spinoso concetto di necessit Moro prefer dun que «esame obiettivo e sereno», formula che
favoriva infatti l immagine di una Dc al di fuori di ogni pressione e perfettamente consapevole delle
1
In merito all importanza delle scelte autonome della Dc, Moro afferma: «sensibile ad ogni feconda collaborazione democratica,
[la Dc] deve fare riferimento agli altri, ma deve anche e piø scavare in noi stessi, per trovare non in un esclusivismo chiuso, ma in
una piena assunzione di responsabilit le ragioni autonome della nostra presenza nella vita politica italiana e gli obiettivi propri
della nostra azione» («Il Popolo», 2 gennaio 1962); sulla societ come punto di riferimento delle scel te politiche democristiane, il
segretario Dc sostenne che vi erano delle «fondamentali ed indeclinabili esigenze sociali e politiche, le quali si riflettono
organicamente nella D.C. come partito di governo. Tali esigenze costituiscono il tessuto di una tradizione solidamente stabilita e che
non potrebbe essere rovesciata, senza mancare in tal caso davvero a rigorosi impegni elettorali» (ibidem).
2
Non era gradito in quanto la preponderanza dello «stato di necessit » sulla libert di scelta della D c era uno slogan del leader
centrista Scelba («Corriere della sera», 2 gennaio 1962).
3
Il 29 gennaio, come commento al lungo discorso congressuale di Moro, Nenni scrisse: «In una relazione di piø di sei ore [Moro]
ha motivato la svolta non come uno stato di necessit nato da contingenze parlamentari ma come uno sta to di condizionamento della
evoluzione della societ . E’ una impostazione giusta» (Pietro Nenni. Gli anni , p. 205)
4
«Il Popolo», 2 gennaio 1962.
12
proprie decisioni1: questa cautela, questa rigorosa attenzione ad ogni sfumatura di significato erano
la spia di quanto ostile fosse il clima politico generale e, come si Ł gi accennato, l ostilit
proveniva anche dai settori economici e di quanto poco potesse bastare per irritare gli oppositori;
in questo senso a volte la tortuosa e chiaroscurale dialettica morotea fu il mezzo piø adatto per
destreggiarsi in una situazione dove ogni affermazione apertamente positiva nei confronti del
centrosinistra poteva costare caro. Tutto l enorme apparato di giustificazioni, chiarimenti, garanzie
che Moro, insomma, fu continuamente costretto ad usare d la misura di quante difficolt dovette
farsi carico in prima persona, di tutta una serie di pericoli la cui entit cancella oggi ogni dubbio
sulla effettiva volont del segretario democristian o di dar vita ad ogni costo all’incontro fra cattolici
e socialisti. Un Moro quindi piø che convinto, un leader che, perfettamente consapevole delle
circostanze politiche tendenzialmente e concretamente avverse2, prendeva le giuste misure per
portare avanti un progetto di incontro politico di cui egli stesso era in prima persona sostenitore: il
fatto, poi, che il centrosinistra registrasse una significativa battuta d’arresto gi nell’inverno dello
stesso 1962, non pu inficiare l’impegno iniziale, che Ł innegabile.
Nell intervista Moro mise successivamente in luce l altra circostanza che, assieme alle ragioni
profonde legate all identit e al ruolo del partito , aveva contribuito a rendere sempre piø concrete le
possibilit di dialogo con il Psi, ossia l esclusio ne da parte degli alleati socialdemocratici e
repubblicani di ogni futura alleanza con il partito liberale, circostanza che, come si Ł visto in
precedenza, segn infatti la fine ufficiale dell ep oca dei governi centristi e che rese quindi
«impossibile la soluzione dei problemi di governo nell ambito dell area democratica tradizionale» 3.
Come si pu avere conferma soprattutto dagli atti d el Parlamento, la soluzione auspicata invece
dagli ambienti conservatori alla decisione di Psdi e Pri non fu solo quella delle elezioni, ma anche
quella della formazione di una nuova maggioranza proprio con il partito liberale e con l appoggio,
inoltre, dell estrema destra4; come Moro spiegava al suo intervistatore, per la Dc non era plausibile
e nemmeno «riguardoso»5 contemplare la possibilit di decidere unilateralm ente in tali circostanze,
ossia di ignorare apertamente la volont legittima della maggioranza degli alleati di governo6 (la
1
Ǭ fuori di luogo parlare di una sorta di costrizi one, di un intrigo nel quale la Dc sia avviluppata e da cui non possa uscire se non
con una mortificata soggezione» (ibidem)
2
Le insidie per Moro si nascondevano nella stessa corrente dorotea di cui era esponente: sostenitrice di una sorta di socialismo
della cattedra , essa non era interessata ad un dia logo in particolare con il partito socialista, anzi, concentrata com era sulle cose e
non sulle alleanze, sarebbe stata disposta a dar vita ad un governo di destra con un programma di sinistra, come effettivamente fece
nel 1959-60 con il governo Segni.
3
«Il Popolo», 2 gennaio 1962.
4
Dir infatti Malagodi alla Camera l 8 marzo: «per un tale governo [il governo ponte fra quello della convergenza e le elezioni] vi
era una maggioranza sicuramente democratica, sia pure ristretta, costituita dal partito liberale e da alcuni indipendenti vicino a noi»
(AP, Camera dei deputati, XXVIII, p. 27967); da notare l incoerenza dei partiti conservatori nel protestare contro la prepotenza delle
segreterie di partito da un parte, e dall altra nel pretendere un motu proprio della Dc a loro favorevole e che avrebbe questa volta s
ignorato la volont del Parlamento e del paese.
5
«Il Popolo», 2 gennaio 1962
6
Al congresso di Napoli Moro riaffermer questa pos izione: «la maturata valutazione e la fermezza dei due partiti di sinistra
democratica [Pri e Psdi] non possono essere messe in discussione [...]. Credo che sarebbe stato e sarebbe da parte nostra, oltre che