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oggetto di studio»2. Gli studi che mettono in relazione il calcio con la “malattia dei
motoneuroni” riportano cifre alquanto discordanti: secondo alcuni nel mondo del
pallone ci sarebbe un incremento dei casi di circa 100-150 volte la norma, secondo
altri ci sarebbe un numero di casi 20 volte superiore alla media mondiale. Dalle
ultime ricerche, condotte anche in Italia, emerge che nel mondo pallonaro la Sla ha
un‟incidenza sei volte maggiore al resto della popolazione. La sua insorgenza,
inoltre, riguarda un‟età molto più bassa, in media intorno ai 46 anni, anziché intorno
ai 65 canonici. La leucemia è la seconda grave patologia di cui si ammalano ex
giocatori di calcio, in percentuale superiore al resto degli italiani. Killer spietati che
non abbandonano la propria preda se non prima di averla sventrata.
Dal follow up emerge ancora che sono sei i club in cui ha militato il numero
prevalente di professionisti colpiti da queste due malattie: Torino, Fiorentina,
Sampdoria, Genoa, Como e Pisa. Per ciò che concerne la leucemia, come
dimenticare Bruno Beatrice, vigoroso centrocampista della Fiorentina e il giovane
Andrea Fortunato, terzino juventino che ha arrestato la sua corsa a soli 23 anni.
Quando invece si pensa al morbo di Gehrig la prima immagine che le nostra mente
rievoca è quella di Gianluca Signorini, ex difensore di Parma, Roma e Genoa, morto
nel 2002 a soli 42 anni. Purtroppo l‟elenco dei lottatori trafitti da questa lama
tagliente è sempre più lungo, dagli anni cinquanta in su: Armando Segato, Guido
Vincenzi, Giorgio Rognoni, Adriano Lombardi, Fabrizio Dipietropaolo, Albano
Canazza, Lauro Minghelli , Ubaldo Nanni. È morto di Sla anche Fulvio Bernardini,
c.t. della Nazionale negli anni Settanta. Al momento risultano essere sette gli ex
calciatori ammalati, tra i quali Piergiorgio Corno (ancora un ex Como, malato da
oltre sei anni), Maurizio Vasino (Novara), Franco Tafuni (Matera) e Agatino Russo
(Ternana). E poi c‟è Stefano Borgonovo, ex di Como, Milan e Fiorentina, spalla
destra di un certo Roberto Baggio negli anni ‟90, il cui dramma è stato reso pubblico
poco più di quindici mesi fa e ha lasciato senza fiato tutti gli addetti ai lavori. Inoltre
si vocifera di altri tre casi relativi ad un attaccante di serie A e due centrocampisti del
campionato cadetto degli anni Ottanta, di cui però ancora non si conoscono le
generalità. Ma non è una malattia prettamente italiana. In Gran Bretagna nel 2006 se
ne è andato per Sla anche lo scozzese Jimmy Johnstone, ex del Celtic, l‟ala destra
2
Fabrizio Calzia, Massimiliano Castellani. Palla avvelenata. Morti misteriose, doping e sospetti nel
calcio italiano. Bradipolibri Editore, 2003, pag, 151-152
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che fece ammattire Facchetti nella finale di coppa dei Campioni 1967 (Celtic-Inter 2-
1 a Lisbona). Un altro caso curioso proviene dal football americano, dalla squadra
dei San Francisco 49ers, nella quale ben tre giocatori giocarono contemporaneamente
nel 1964 prima di essere tramortiti dalla sindrome di Charcot. Proprio la popolazione
statunitense è stata sensibilizzata sul tema nel 2004 dopo un documentario della Cbs
sui calciatori europei “freddati” dalla Sla, alla cui realizzazione ha partecipato anche
la giornalista italiana Sabina Castelfranco. Nel video appare anche Claudia
Cominetti, prima ex giocatrice di pallavolo che convive col morbo da quando aveva
20 anni (ora ne ha 31)3.
Secondo il Presidente dell‟Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica,
il dott. Mario Melazzini, «il calcio non provocherebbe la malattia» e i giovani che si
avvicinano a questo sport non devono avere paura di ammalarsi. Il neurologo ritiene
più probabile che esistano soggetti più o meno predisposti e che il calcio
semplicemente sia un fattore accelerante di un disturbo che si sarebbe ugualmente
sviluppato. Sembra essere sulla stessa lunghezza d‟onda il dott. Sergio Lupo,
specialista in medicina dello sport: «E‟ probabile che esista però realmente una base
genetica evidenziata precocemente dai carichi di lavoro, dai farmaci spesso utilizzati
per ridurre i tempi di recupero e da altri fattori non ancora evidenziati. Va poi
ricordato – aggiunge - che sicuramente lo sport agonistico ad elevato impegno è uno
stress per l'organismo, le cui conseguenze ancora non sono tutte conosciute: il
numero sempre più elevato di gare e la conseguente riduzione dei tempi di
allenamento possono aumentare il rischio di patologie». E quale potrebbe essere il
ruolo del medico? «Il suo compito è cercare di migliorare le conoscenze sulla
fisiologia dello sport, sull'alimentazione, sui mezzi di recupero più adeguati, ma
come detto è opportuno anche un riesame dei carichi di lavoro, con una diminuzione
dei match sostenuti ed un intervalli maggiori dedicati al potenziamento ed al
riposo»4.
La svolta negli ultimi anni risiede nelle varie denunce dei professionisti in
attività e di quelli atterriti dall‟ingresso spavaldo della Sla nei loro vecchi spogliatoi.
Tutti hanno bisogno di vederci chiaro. «Vogliono incontrarmi ex atleti che hanno
strani disturbi o che, semplicemente, hanno paura di ammalarsi – rivela il
3
Da “L‟Unità”, febbraio 2004
4
Tratto da www.sportmedicina.it
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procuratore Guariniello – Mi parlano del loro passato, delle sostanze che
assumevano. Prima l‟omertà era totale, da qualche tempo mi segnalano un caso
ogni dieci giorni. Impressionante, tuttavia mi chiedo se sia consapevolezza o
timore».5 Ma non è solo il morbo del calcio ad altissimo livello. Tante le vittime nei
campionati minori, anche a livello dilettantistico. Dalla Gran Bretagna arriva la
notizia di tre casi del morbo di Lou Gehrig in tre membri della stessa squadra di
calcio di serie D. La misteriosa coincidenza è stata riportata dalla rivista specializzata
“Amyotrophic Lateral Sclerosis”. Finora nessuna anomalia era stata riscontrata in
quel torneo. Secondo Ammar Al-Chalabi, neurologo del King‟s College di Londra,
«quello che è davvero inusuale in questi pazienti inglesi è che si tratta di tre amici
che hanno sviluppato la malattia nello stesso periodo, eventualità statisticamente
incredibile. Le cose in comune tra i tre sono che tutti in passato sono stati colpiti da
scosse elettriche e giocano da molti anni a calcio tre volte a settimana».6 Quando si
verificano tre casi in un gruppo ristretto di persone allora occorre indagare con
attenzione. Il fatto che le persone in questione militassero in una squadra di calcio
dilettantistica ha fatto scattare un ulteriore campanello d‟allarme. Molti degli studi
effettuati finora si erano soffermati sull‟ingerimento incontrollato di farmaci: e se
questo avviene anche nei campionati minori o chissà in quelli giovanili?
Da Lou Gehrig a Gianluca Signorini: quasi 70 anni di storia del rapporto tra
sclerosi laterale amiotrofica e sport. Dalle prime intuizioni e supposizioni alle recenti
evidenze epidemiologiche che avvalorano questo possibile connubio. Nel corso degli
anni i sospetti si sono moltiplicati e se si confrontano vecchie e nuove ipotesi
eziopatogenetiche è già evidente l‟approccio più sistematico ai meccanismi di causa-
effetto. Dopo la morte del grande campione di baseball, negli Stati Uniti d‟America e
successivamente in tutto il mondo, la Sla assunse il nome di malattia di Lou Gehrig.
E traendo spunto dalla sua vicenda che alcuni studi epidemiologici indicarono una
relazione tra malattia, traumi ripetuti e attività fisica intensa, scandita da sforzi
ripetuti durante allenamenti e partite. L‟insorgenza della Sla eventualmente connessa
ai numerosi colpi di testa, in individui però geneticamente predisposti. Senza contare
che il gioco aereo presuppone anche sfortunati testa a testa in cui i calciatori
incappano nel corso della carriera agonistica. I centrocampisti corrono molto e
5
Ludovico Perricone. SLA, il dramma e la speranza. 2006, pag, 102-103
6
Tratto da www.assisla.it
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prendono più colpi nei contrasti, le “incornate” sono all‟ordine del giorno. Nessun
caso di Sla registrato tra i portieri. Molti di essi, inoltre, contraggono la forma
bulbare, la quale compromette innanzitutto proprio i muscoli facciali. Sono solo
strane coincidenze? Il caso inglese dell‟ex calciatore Jeff Astle è emblematico: la sua
perizia medica dimostrava che i suoi traumi al cervello dipendessero quasi
esclusivamente dai numerosi colpi di testa effettuati lungo tutta la sua carriera.
Assolutamente inquietante, un‟ipotesi che fa rabbrividire tutti i suoi colleghi.
Ma molti epidemiologi sono fermamente convinti della multifattorialità della
malattia. Le cause dirette teorizzate dagli esperti non si soffermano solo sui colpi
ricevuti e assorbiti male o su uno sfruttamento sregolato della propria muscolatura.
Altri sono i fattori di rischio: oltre all‟uso eccessivo di sostanze dopanti e illegali,
anche un forte utlilizzo di antiinfiammatori, antidolorifici, integratori o
supplementatori; o il contatto con i diserbanti e pesticidi usati nei campi da gioco e
addirittura con sostanze tossiche presenti nel sottosuolo.
Allora questa incidenza abnorme tra i calciatori non è da addebitare solo al
doping? Purtroppo l‟opinione pubblica conosce davvero poco sulla malattia. Le
informazioni propinate saltuariamente dai media generano visioni superficiali. Casi
scoppiati e insabbiati nel giro di qualche settimana. Bocche rigorosamente cucite, gli
interessi in palio sono ritenuti predominanti perfino sulle vite umane. Macabro. Il
business al di sopra di tutto, tutelato e salvaguardato da ripercussioni negative. E
intanto la gente muore. Ma purtroppo ancora non c‟è chiarezza sui medicinali assunti
dai professionisti per incrementare il livello delle prestazioni. Ad esempio si
dovrebbero conoscere con assoluta precisione le sostanze usate e le dosi esatte. Molte
di esse sono da tempo fuori commercio ed è difficile risalire alla composizione
chimica. Una tesi mai provata ma non esclusa, suffragata da vari lavori, tra cui quello
del professor Angelo Poletti dell‟Università di Milano: «La morte del neurone
motorio potrebbe essere provocata da eccessivi livelli di androgeni nel sangue, come
quelli ottenuti assumendo ormoni o anabolizzanti». Abuso di farmaci non vietati,
spesso fuori dalle esigenze terapeutiche. Anche gli integratori possono influire.
Stefano Belli e Nicola Vanacore, dell‟Istituto superiore di Sanità, ipotizzano il ruolo
degli aminoacidi ramificati e della creatina come motore della Sla. Un recente studio
pubblicato su “Lancet Neurology” di Simone Beretta ha inoltre avanzato l'ipotesi che
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gli antiinfiammatori possano condurre alla inibizione cronica dell‟attività gliale, una
protezione fisiologica fondamentale delle cellule nervose che potrebbe contribuire
all'instaurarsi della patologia. Secondo Beretta, infatti, mentre il corretto uso di
queste sostanze impedisce l‟attivazione gliale (coinvolta nella morte motoneuronale),
quantità esagerate provocherebbero una permanente inibizione di questo processo,
responsabile della degenerazione dei motoneuroni. Poi vi è la teoria
dell‟eccitossicità, cioè l‟eccesso di glutammato con conseguente iperattività delle
cellule nervose. Il suo valore è molto elevato nel liquor cerebrospinale dei pazienti
affetti, mentre è ridotta la sua circolazione nel midollo spinale. «Proprio l‟acido
glutammico è contenuto in molti integratori usati dagli sportivi», sostiene il dott.
Giuseppe Banfi, direttore sanitario della clinica ortopedica “Galeazzi” di Milano.
Qualcuno obietta che gli stessi farmaci circolati negli spogliatoi pallonari di qualche
anno fa giravano anche in altri sport (vedi il ciclismo, vera colonia del doping, o il
basket), eppure questi non sembrano essere toccati da tale fenomeno clinico. Saranno
necessari anni di studio per poter arrivare ad una conclusione certa, ma soprattutto
occorrerà abbattere il muro del silenzio alzato dagli stessi calciatori, centro
gravitazionale di questo mistero.
L'ipotesi più suggestiva sulle cause della diffusione della malattia vede sotto
accusa i pesticidi e i fertilizzanti usati per l'erba dei campi da gioco. Tale ipotesi è
scaturita da uno studio epidemiologico condotto in Sardegna sulla prevalenza della
Sla tra gli agricoltori ed ha incuriosito altri esperti, scatenando altresì varie inchieste
giornalistiche. Guariniello ha mandato i suoi ispettori negli stadi e agli allenamenti
dei club più colpiti, ha fatto interrogare i giardinieri e i manutentori dei prati, sta
ricostruendo l‟elenco dei prodotti più usati per curare il verde: si ricorre spesso alla
formaldeide, un potentissimo battericida.
«Nel complesso – spiega il dott. Adriano Chiò, neurologo dell‟ospedale “Le
Molinette” di Torino - le evidenze attualmente sembrano pertanto indicare che la
SLA sia una malattia multicausale, forse una sindrome che include un mix di
patologie clinicamente e patologicamente simili, con una via biochimica finale. Per
quanto riguarda l‟attività sportiva agonistica, la maggior parte dei dati di cui
disponiamo sono rappresentati da segnalazioni aneddotiche, a partire dal celebre
caso del giocatore di baseball Lou Gehrig, che sviluppò la malattia nel 1939.
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L‟attività sportiva si è dimostrata un fattore di rischio per la SLA, ma questa
correlazione non è mai stata chiarita. La causa di questa connessione è oggetto di
vari studi di base e osservazionali. La conferma di un maggiore rischio di SLA fra i
calciatori e il chiarimento delle tecniche che si innescano potrebbero fornire
importantissime indicazioni sulla causa della SLA in generale, e forse sulla sua
possibile terapia».7 Dunque la Sla è veramente la malattia professionale dei
calciatori, come affermato da Guariniello? Di certo per ora c‟è solo l‟alto rischio
rispetto al resto della popolazione. Molti gli studi casi controllo effettuati negli ultimi
anni. Questi, come già accennato, si basano su confronti tra soggetti affetti dalla
malattia e controlli sani, distinti solitamente per età e sesso, partendo da una ricerca
retrospettiva di differenze di esposizione ai presunti fattori patogenetici. Finora è
stata rilevata una significativa correlazione tra Sla e attività intensa, ma siamo ancora
lontani dall‟analisi di un rapporto deterministico (spesso somministrare questionari
pregressi non conduce a risposte attendibili). Brutta bestia il morbo di Gehrig, ma
dieci anni fa pochi scienziati se ne occupavano, oggi il quadro è in piena evoluzione.
«L‟Italia è da sempre all‟avanguardia nella lotta alla SLA – svela ancora il dottor
Chiò – ora con la storia di Borgonovo sono arrivati cospicui finanziamenti,
accompagnati da nuovi medici e ricercatori che si interessano alla malattia. E anche
le case farmaceutiche non distolgono l‟attenzione dagli sviluppi delle
sperimentazioni. Tutto ciò ha portato ad unire sforzi di Paesi diversi, ad un‟osmosi
avviata dai progressi ottenuti proprio nei nostri laboratori. Sei, infatti, i casi di SLA
scoperti di recente solo tra gli ex calciatori negli Stati Uniti».8 Insomma, ci sono
speranze. Il vento comincia a soffiare nella giusta direzione.
7
Tratto da www.dica33.it
8
Da “La gazzetta dello sport”, giugno 2007
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1.2 Gli studi
Troppe perplessità, troppi indizi ma nessuna prova schiacciante. Resta un alone
di mistero sul possibile nesso tra la sclerosi laterale amiotrofica e il calcio. Gli studi
sono ancora pochi e spesso disomogenei. Anche se negli ultimi anni l‟incremento dei
casi, manifesti o taciuti, ha spinto molti epidemiologi ad avviare lavori
sull‟argomento. Nel marzo 2005 Adriano Chiò, professore nel dipartimento di
neuroscienze dell'Università di Torino, e Gabriele Mora, della “Fondazione Salvatore
Maugeri di Pavia”, in collaborazione con la dottoressa Caterina Bendotti e finanziati
dalla Fondazione “Vialli e Mauro”, hanno progettato una ricerca al fine di indagare
sulle origini di questo rapporto. I due medici, tra i pionieri in Italia nello studio della
materia, sono pervenuti ad interessanti conclusioni. I risultati continuano a
preoccupare, i calciatori italiani correrebbero un rischio sei volte superiore di
contrarre la malattia rispetto alla popolazione generale. Il “report” nasce dalla
precedente indagine di Guariniello, che nel 2003 si è occupato dell'uso di farmaci
dopanti tra i calciatori del campionato italiano. Il resoconto era già stato eclatante. Lo
studio era stato condotto sui certificarti di morte di circa 24.000 calciatori
professionisti e semiprofessionisti e ha rilevato la presenza di un significativo
eccesso di decessi per il morbo di Gehrig nel periodo 1960-1996 rispetto a quanto
accadeva nella popolazione italiana (dati Istat). Otto i casi riscontrati a fronte dello
0,69 atteso. Un‟influenza undici volte superiore alla media. Questo ampliamento è
ancora più indicativo fra i soggetti di età inferiore a 60 anni, decisamente inferiore a
quella tipica. I risultati di questo studio sono di per sé estremamente rappresentativi
dell‟esistenza di un rapporto patogenetico fra la malattia e il calcio. Tuttavia
risentono di alcuni problemi metodologici: l‟imprecisione dei certificati di morte
sulle cause dei decessi; le incertezze relative all‟ incompletezza del target di
calciatori utilizzato; l‟impossibilità di discriminare fra un effetto del calcio in sé e un
generico effetto traumi/microtraumi nelle genesi della Sla. «Ma il procuratore non è
un epidemiologo, ecco perché abbiamo voluto riesaminare la situazione per vedere
se i risultati venivano confermati», precisa il dottor Chiò. «Va detto che le premesse
erano piuttosto complesse, visto che abbiamo a che fare con un problema sia legale
che scientifico. Inoltre della malattia si sa ancora molto poco. Siamo partiti così dai
dati disponibili e abbiamo delineato uno studio il più possibile accurato e rigido».