di vista, anche a causa della forte presenza dell’emigrazione di origine
italiana.
Una ricerca sul campo condotta in Argentina nel periodo aprile -
ottobre 2008 durante la stesura del lavoro, ha consentito di integrare
l’analisi teorica sui sistemi presidenziali con un’analisi empirica
basata su variabili specifiche e dati puntuali. Inoltre l’opportunità di
un confronto personale con docenti universitari
1
e con rappresentanti
istituzionali
2
mi ha permesso di cogliere le principali criticità dei
processi di concentrazione del potere presidenziale sia sotto il profilo
giuridico istituzionale che della gestione politica.
La tesi è stata quindi articolata in quattro parti più una quinta
conclusiva.
Nella prima parte si discutono definizioni e caratteristiche dei
sistemi presidenziali a partire dai contributi di Sartori, Mainwaring,
Shugart e Carey. Con riferimento alla lunga discussione accademica
seguita alla pubblicazione del famoso testo di Juan Linz del 1984
“Presidential or Parliamentary Democracy: Does it Make a Difference?”
si confrontano i punti di forza e di debolezza di questi sistemi
istituzionali all’interno del complesso scenario latinoamericano,
attraverso la comparazione fra i vari presidenzialismi nonché fra
questi e i sistemi parlamentari. Come conseguenza del
raggiungimento di un certo grado di stabilità democratica, si sostiene
infine la necessità di inquadrare il dibattito sulle democrazie
presidenziali in termini di nuove sfide quali l’efficacia, la governabilità
e la qualità istituzionale. In questo senso si passano in rassegna le
1
Un ringraziamento particolare va alla professoressa di Diritto Costituzionale Comparato,
della Universidad Nacional de Rosario, Ada Lattuca per avermi fornito una amplia
documentazione in riferimento alla riforma costituzionale del 1994.
2
Le interviste integrali al Presidente della Camera dei Deputati della Provincia di Santa Fe
Eduardo di Pollina e alla Deputata nazionale Veronica Benas sono inserite nell’appendice II e
III della tesi.
- 7 -
varie esperienze, più o meno riuscite, di “ingegneria istituzionale” in
chiave semi-presidenziale o quasi parlamentare.
Nella seconda parte del lavoro sono delineati i caratteri essenziali
del sistema politico-istituzionale della Repubblica Federale Argentina
attraverso l’analisi di tre variabili: il sistema di partiti, il regime
elettorale ed il sistema federale. Vale la pena menzionare qui la
peculiarità del sistema partitico dell’Argentina recente caratterizzato
dall’egemonia dell’eclettico peronismo da intendersi come un
movimento che “non ha ideologia ma senso del potere; ed è quindi in
grado di passare dalla strenua difesa del neoliberismo alla militanza
nella socialdemocrazia internazionale, a seconda del corso degli
eventi”
3
. Il Partido Justicialista, espressione del oficialismo peronista,
è quindi difficilmente inquadrabile su un continuum sinistra-destra
con conseguenti effetti distortivi sulle variabili del numero e della
disciplina dei partiti.
Anche per quel che riguarda il regime elettorale ed il sistema
federale l’Argentina presenta proprie peculiarità. Se è normale
attendersi un triplice sistema di voto a seconda che si tratti
dell’elezione del ticket presidenziale, dei deputati o dei senatori, meno
ovvio è intendere alcune scelte fatte dai legislatori in merito ai
meccanismi del sistema di voto e di elezione. In relazione al sistema
federale, si deve infine segnalare che esiste una differenza sostanziale
fra quelli che sono i dettami costituzionali e quella che è stata la
prassi dei Presidenti, con un accentramento dei poteri e delle
competenze nel governo centrale a scapito dell’autonomia delle
Province (equivalenti, nell’ordinamento italiano, alle regioni).
3
Eduardo Sigal, La sinistra democratica e il governo Kirchner, in <<Italianieuropei>>, n.4, p.
226, 2004.
- 8 -
Terzo e quarto capitolo costituiscono il cuore del lavoro di ricerca
sia teorica che empirica. Nella terza parte vengono presi in
considerazione tutti quei poteri che l’articolo 99 della Costituzione
argentina, riformato nel 1994, garantisce al Presidente in quanto
Capo dello Stato e dell’esecutivo. Si tratta di poteri sostanziali che,
permettendo di fatto lo scavalcamento del Congreso da parte
dell’esecutivo monocratico, contravvengono a quel sistema di checks
and balances che rappresenta la base per ogni reale consolidamento
democratico. In particolare, i dati dimostrano come, nonostante la
presenza nelle due camere di una maggioranza più o meno ampia del
partito del presidente sin dal 2003, i Kirchner abbiano abusato della
legislazione per decreto, ben al di là delle condizioni di necessità e
urgenza.
D’accordo con le tesi del politologo argentino Daniel Serrafero, si
sostiene quindi l’idea che la riforma pactada della Costituzione,
contrariamente agli obiettivi di attenuazione del sistema
presidenziale, ne abbia rappresentato piuttosto un rafforzamento.
Tale ipotesi si fonda anche sull’analisi del ruolo che nel periodo di
riferimento ha effettivamente svolto il Jefe de Gabinete de Ministros.
Nell’idea dei legislatori costituenti, questi doveva rappresentare un
ponte fra legislativo ed esecutivo, una sorta di “fusibile” del sistema in
caso di crisi, ma l’esperienza ha dimostrato che a questa figura non
sono state attribuite funzioni sostanziali.
La nuova figura istituzionale deve infatti rispondere
esclusivamente al Presidente che lo nomina e gli delega le funzioni
ritenute opportune. Va considerato, inoltre, che risulta di difficile
attuazione una mozione di censura nei suoi confronti da parte del
Congreso; mentre il Presidente può rimuoverlo discrezionalmente in
qualsiasi momento. Tale discrezionalità di nomina e rimozione che il
Presidente ha anche nei confronti dei Ministri rende evidente che i
- 9 -
poteri dell’esecutivo sono concentrati sulla figura del Jefe de la
Nación.
Nel quarto capitolo della tesi si analizzano le dinamiche interne
all’esecutivo negli ultimi cinque anni, dal 2003 ad oggi. L’analisi della
pratica politica del kirchnerismo ha evidenziato una crescente
tendenza alla concentrazione del potere che non ha favorito la
governabilità di una realtà così complessa e articolata come quella
argentina, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni autori. I
membri del Gabinetto dei Ministri sono stati scelti principalmente tra
le file del peronismo, nonostante l’iniziale programma di
transversalidad e di articolazione politica della coalizione che ha
sostenuto l’elezione presidenziale. I Ministri che hanno espresso
posizioni politiche non conformi alle volontà presidenziali sono stati
rimossi e sostituiti con figure di basso profilo più consenzienti. In
ogni caso è da segnalare l’irrilevanza politica ed istituzionale del
Gabinete de Ministros che di regola non è stato convocato in seduta
comune.
La conferma di sei ministri su undici da parte della Presidenta
Cristina Fernández de Kirchner dopo le elezioni del 2007, dimostra la
sostanziale continuità con la presidenza del marito Néstor Kirchner. I
cambiamenti si sono dimostrati meramente formali e di stile
comunicativo, mentre le riunioni con i Ministri si sono spostate nella
residenza presidenziale in maniera da consentire all’ex presidente,
che attualmente non ricopre nessuna carica istituzionale, di
partecipare ai processi decisionali.
Questa concentrazione di poteri in capo ai Kirchner, non ha
comunque evitato l’esplodere di un significativo dissenso nella società
argentina da parte degli agricoltori e degli allevatori colpiti dalle
misure di aumento della tassazione sulle esportazioni. Il vasto
- 10 -
movimento di protesta, che ha paralizzato per lungo tempo città e
principali vie di comunicazione, è stato appoggiato anche dai ceti
medi urbani e dalle opposizioni politiche. Il decreto 125/2008 sulle
retenciones moviles in Senato non ha ottenuto la maggioranza dei voti
necessari grazie al voto decisivo del Vicepresidente della Nazione e
Presidente del Senato Julio Cobos.
Si è aperta quindi una crisi nei rapporti dell’esecutivo fra
Presidente e Vicepresidente (eletti nello stesso ticket nelle elezioni del
2007 e quindi non rimovibile) che ad oggi non trova soluzione.
Considerando la frequenza delle crisi di governabilità, la
struttura monocratica del potere, stabilita nella Costituzione originale
del 1853 e rafforzata con la riforma del 1994, si è finora rivelata
inadeguata a gestire i processi di trasformazione della società.
In conclusione, l’analisi del sistema presidenziale argentino
propone rilevanti questioni relative alla qualità dei processi di
consolidamento della democrazia e all’efficacia della governance dei
processi economici e sociali. Tali questioni sollecitano l’opportunità di
nuovi cambiamenti istituzionali tanto più oggi che la crisi finanziaria
internazionale ripropone pericoli per la stabilità del sistema paese.
Il dibattito sulle riforme istituzionali assume quindi un ruolo
essenziale per costruire adeguate soluzioni del sistema di governo che
riescano a coniugare stabilità, governabilità, partecipazione
democratica e maggiore equilibrio fra i poteri dello Stato. In questa
direzione debbono essere chiaramente coinvolte le Province e le
comunità territoriali in maniera tale da avviare un processo di
cambiamento verso quella che Lijphart definisce democrazia <<mite e
serena>>.
- 11 -
Capitolo 1
Il presidenzialismo in America Latina
Il dibattito sui sistemi presidenziali è un dibattito relativamente
recente della letteratura politologica che si è concentrato
essenzialmente su una critica degli stessi e al contempo su una lode
dei regimi parlamentari. La critica si è basata sul fatto che i sistemi
presidenziali hanno dimostrato, in genere, minor stabilità
democratica rispetto ai sistemi parlamentari. Essendo l’America
Latina l’area per eccellenza in cui si concentra il maggior numero di
sistemi presidenziali, essa rappresenta anche l’area in cui detti
sistemi hanno storicamente mostrato maggiore instabilità e debolezza
nel mantenimento della democrazia. Tuttavia, come sottolineano
Mainwaring e Shugart [1997], proprio il fatto che la democrazia
presidenziale sia esistita principalmente in America Latina, rende
difficile scindere in questa regione quali siano gli ostacoli alla
democrazia originati dal tipo di regime istituzionale, rispetto a quelli
originati da altri fattori (come ad esempio i fattori socio-economici).
D’altro canto, il fatto che le democrazie parlamentari esistano quasi
esclusivamente in Europa o in ex colonie britanniche, rende
perlomeno dubbio il fatto che il parlamentarismo assicurerebbe
performance così positive al di fuori di questi schemi.
Prima di procedere, è essenziale ricordare che la ragione per cui
nella vecchia Europa predominano i sistemi parlamentari, mentre nel
Nuovo Mondo i sistemi presidenziali, non è fondata su di una qualche
teoria che, a suo tempo, dibatteva se una forma fosse superiore
all’altra. Si tratta piuttosto di ragioni squisitamente storiche.
Con l’eccezione della Francia (repubblica dal 1870), infatti, i
primi governi costituzionali negli Stati europei si svilupparono su
- 12 -
sistemi monarchici (in gran parte attualmente vigenti come
monarchie parlamentari) che, avendo già propri capi di Stato
ereditari, durante i processi costituenti non lasciarono spazio
all’introduzione di una elezione presidenziale. Gli stati del nuovo
Occidente nacquero invece dal combattuto processo d’indipendenza
nei confronti delle ormai decadenti monarchie europee. Essi
raggiunsero quindi l’autonomia come repubbliche indipendenti. In
quanto tali si trovarono obbligate a darsi una propria costituzione che
regolasse, in assenza di re ereditari, l’elezione dei propri presidenti.
Come risaputo, l’origine del sistema presidenziale risale
formalmente al 1787 quando gli Stati Uniti d’America si costituiscono
come repubblica federale e presidenziale all’insegna della massima
divisione fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. È proprio alla
Costituzione statunitense che tutte le costituenti dei paesi
latinoamericani si ispirarono in origine.
Tuttavia, il presidenzialismo nelle sue versioni latinoamericane
ha portato alla configurazione di sistemi politici che nella pratica
hanno perso gran parte dei propri attributi repubblicani con una
accentuata concentrazione delle funzioni assegnate al potere
esecutivo, e specificamente al presidente. Tale deformazione del
modello statunitense è stata attribuita da parte di più politologi a
diverse cause; fra esse se ne possono segnalare alcune pressoché
comuni ai diversi paesi latinoamericani [Sabsay, 2003]: tendenza alla
personalizzazione del potere nella persona del presidente della
Repubblica; accentuato grado di immaturità politica del popolo;
manipolazione del Congreso (il nostro Parlamento) da parte del
presidente attraverso favori elettorali; alto grado di corruzione;
necessità di adattamento del modello originario alla realtà dei paesi in
via di sviluppo.
- 13 -
Qualunque sia il peso di ciascuno di questi fattori nei differenti
paesi dell’America Latina, esiste un fatto obiettivo di carattere
costituzionale che è l’ampliamento dei poteri dei presidenti
latinoamericani rispetto al presidente degli Stati Uniti [Sánchez,
1980].
Prima di osservare nello specifico le caratteristiche del sistema
presidenziale in America Latina e la situazione argentina, è
opportuno dare un tentativo di definizione di cosa si intenda per
sistema presidenziale. Allo stesso modo bisogna segnalare che
sarebbe erroneo procedere all’analisi del presidenzialismo
esclusivamente come modello istituzionale opposto al
parlamentarismo. All’interno dell’organizzazione del proprio sistema
presidenziale, possono infatti esistere variazioni rilevanti tanto
quanto quelle esistenti fra lo stesso e un sistema parlamentare
[Mainwaring e Shugart, ibidem].
Inoltre, come si vedrà più avanti, affinché se ne possa dare una
corretta valutazione, l’analisi dei sistemi presidenziali non può
prescindere dall’analisi del contesto in cui essi hanno prevalso, ed in
particolare dell’interazione fra presidenzialismo, poteri presidenziali e
sistema di partiti [Mainwaring, 1993].
1.1 Una rassegna teorica sulla definizione di presidenzialismo
Prima di procedere alla definizione di democrazia presidenziale è
opportuno ricordare quei criteri, proposti da Dahl [1971] e
diffusamente accettati dagli studiosi, che definiscono un regime
democratico. Tali criteri sono:
1. diritto di voto;
2. diritto di poter essere eletti;
- 14 -
3. diritto dei leader politici di competere per il consenso ed il voto;
4. esistenza di elezioni libere e pacifiche;
5. libertà di associazione;
6. libertà di espressione;
7. esistenza di fonti alternative di informazione;
8. esistenza di istituzioni che rendono le politiche pubbliche
dipendenti dal voto e da altre espressioni delle preferenze.
Se questi otto criteri definiscono il concetto di democrazia,
facendone un fenomeno peculiare del XX secolo, affinché si possa
parlare di democrazia presidenziale bisogna specificare altre
caratteristiche subordinate all’esistenza di quelle appena descritte.
Nella propria definizione, Mainwaring [1990] identifica due
caratteristiche basilari di una democrazia presidenziale:
1. l’elezione del presidente da parte del popolo
4
;
2. la durata in carica prestabilita del presidente e dell’assemblea.
Risulta evidente fin da questa prima definizione la
contrapposizione con un sistema parlamentare in cui il capo
dell’esecutivo non è eletto direttamente dal popolo bensì dal
parlamento di cui necessita la fiducia della maggioranza per poter
governare.
Seguendo nella definizione di sistema presidenziale, possiamo
affermare che esso è tale se e solo se, né l’esecutivo, né il legislativo
hanno la possibilità di influire l’uno, sulla durata del mandato
dell’altro.
4
Questo principio comprende anche l’elezione formale di un presidente da parte di un
collegio elettorale (come avviene negli Stati Uniti, Finlandia e Argentina fino al 1994). In
questi casi, quando è scelto un collegio elettorale con l’unico scopo di eleggere un presidente,
si tratta ugualmente di elezione popolare anche se indiretta.
- 15 -
Alle due condizioni sopra segnalate, Sartori [1994] ne aggiunge
una terza riguardante in particolare il capo dello Stato (presidente),
che presiede o altrimenti dirige i governi da lui nominati. Anche
Lijphart
5
[2001] ha individuato tre criteri essenziali, ed in parte
coincidenti con quelli esposti fin qui, per la definizione del
presidenzialismo: 1) il capo dell’esecutivo dovrà non essere
dipendente dalla fiducia del potere legislativo, ma dovrà avere un
mandato di durata fissa; 2) egli dovrà essere eletto tramite un voto
popolare; 3) l’esecutivo è monocratico.
È chiaro a questo punto che è il presidente, e non l’assemblea,
l’organo che nomina e sceglie il gabinetto in base alla propria volontà
e convenienza politica; l’esecutivo in un regime presidenziale è quindi
un esecutivo monocratico in cui i componenti del gabinetto devono
rispondere delle proprie azioni davanti al presidente.
Riguardo alla durata prestabilita dei mandati del potere
esecutivo e di quello legislativo, bisogna segnalare che non esistono
democrazie presidenziali in America Latina in cui il presidente abbia
il potere di dissolvere il parlamento quando lo reputi necessario. Allo
stesso modo non vi sono costituzioni latinoamericane che affermano
la possibilità per le maggioranze parlamentari di rimuovere il capo
dell’esecutivo se non marginalmente in caso di impeachment e in ogni
caso con ampissime maggioranze. Proprio la durata fissa del mandato
è stata una caratteristica del presidenzialismo criticata perché fonte
di rigidità istituzionale. Linz e Valenzuela [1994], sottolineando la
positiva flessibilità del sistema parlamentare, affermano che il
5
La principale critica di Lijphart al presidenzialismo è che esso è di per se stesso
maggioritario, lasciando poca rappresentanza alle minoranze, soprattutto nella misura in cui
certe configurazioni istituzionali possono generare un congresso dominato dal partito del
presidente.
- 16 -
processo politico in un sistema presidenziale verrebbe a suddividersi
in periodi temporali discontinui e rigidamente determinati. In essi
non sarebbero possibili quei continui raggiustamenti che la
situazione geopolitica, sociale ed economica a livello mondiale talvolta
rende necessari. Questo aspetto della poca flessibilità, come si vedrà
più avanti, può tuttavia essere riconsiderato alla luce della risposta
che l’Argentina ha dato alla grave crisi politica di fine 2001 con la Ley
de acefalia che prevede la rinuncia dei presidenti ed il ruolo attivo
dell’Assemblea nella scelta di un capo dell’esecutivo di transizione.
Riservando l’approfondimento del dettaglio degli aspetti del
presidenzialismo finora menzionati, e le critiche ad esso rivolte ai
prossimi paragrafi, per concludere con le definizioni teoriche di
presidenzialismo possiamo introdurre quella di Shugart e Carey
[1992]. Essi, alle tre condizioni della definizione di Sartori, ne
aggiungono una quarta, conseguenza logica delle prime tre, per cui il
presidente ha poteri legislativi garantiti costituzionalmente
6
.
Questa condizione, che può variare in modo sostanziale da paese
a paese, rappresenterebbe per gli autori un modo di assicurarsi che
“l’adesione popolare ad un programma politico tramite l’elezione
presidenziale possa tradursi in politiche effettive”.
Quanto finora detto ci permette di ben identificare cosa si
intende per sistema presidenziale e quali siano le caratteristiche
essenziali opposte a quelle che identificano un sistema parlamentare:
un presidente, risultante da elezione popolare, che è capo
dell’esecutivo di cui sceglie discrezionalmente i componenti e che non
può essere rimosso dall’Assemblea. Detto questo, occorre ora tener
presente un panorama dei sistemi presidenziali dell’America Latina,
6
Sartori [1992] definisce questa definizione troppo vaga per costituire un criterio autonomo.
- 17 -