2
Riguardo al primo punto, prendendo in considerazione quanto è contenuto
nell’ opera di un eminente studioso di diritto romano, Bernardo
Santalucia
71
, si ritiene che nella “Roma dei re” il popolo si occupasse solo
sporadicamente della repressione dei crimini.
Questa situazione trovava giustificazione nel fatto che si viveva in una
civiltà ancora primitiva nella quale era profondo l’attaccamento alla
religione, alle divinità ed alla consuetudine.
La repressione dei crimini era lasciata agli offesi che avevano la facoltà di
farsi giustizia da sè
72
, oppure al sovrano che agiva in conformità a quanto
previsto dalle leges regiae
73
.
Il sovrano svolgeva funzioni tanto politiche quanto religiose e militari,
soprattutto, a partire dalla fase etrusca, era titolare del potere d’imperium
74
.
70
Riferisce Pomponio che, “all’incirca diciassette anni dopo la cacciata dei re” (si ritiene trattasi del 494
a.C.), i plebei si sarebbero ritirati sul monte Sacro e qui avrebbero creato i primi plebeii magistartus,
denominati tribuni, “perchè un tempo il popolo era diviso in tre parti, e da ciascuna parte ne veniva creato
uno; oppure perchè venivano creati con il suffragio delle tribù” (in Digesto, 1.2.2.20, Pomponio, liber
singularis enchiridii). In tale occasione sempre secondo la narrazione di Pomponio, la plebe avrebbe
creato ulteriori propri magistrati: gli edili, così chiamati in quanto preposti alle aedes, ai templi, in cui la
plebe si sarebbe riunita per deliberare.” (Digesto, 1.2.2.21, Pomponio, liber singularis enchiridii).
Anche Livio narra che, nell’accordo concluso tra i due patrizi e plebei per porre fine alla secessione,
sarebbe stata garantita ai magistrati plebei la sacrosanctitas, cioè l’inviolabilità della loro persona, e
riconosciuta la facoltà di intervenire in aiuto di ciascun plebeo minacciato dai consoli patrizi (auxilii latio
adversus consules). Cfr Vincenti, Storia del diritto romano, cit. p. 29, ss.
71
B. Santalucia. Diritto e processo penale nell’antica Roma, II ed., Milano 1998, p. 19 ss.
72
Come si ricava da Cato, orig. 81 P. in Prisc., gramm. 6, 69.
73
“Primitive regole, emanate dai re, la cui violazione era considerata lesiva della pax deorum e a cui,
pertanto, la comunità reagiva con delle sanzioni tese al suo ristabilimento, in ciò guidata dal re come suo
supremo capo religioso e politico.” P. Garbarino, in Storia del diritto romano, II ed. G. Giappichelli
editore Torino , 260, s.).
3
Il mutamento costituzionale avutosi col passaggio dalla monarchia alla
repubblica, (periodo storico di eminenti cambiamenti politici e istituzionali
e dal quale ho voluto prendere spunto nell’analizzare l’evolversi del
processo penale romano e le modalità di repressione criminale nella res
publica nazionale), portò a una netta separazione tra le funzioni religiose e
quelle politico-militari, anteriormente riunite nella persona del sovrano.
La suprema dignità sacerdotale passò al rex sacroum e più tardi al capo del
collegio dei pontefici, il pontifex maximus
75
.
Dall’antico monarca, il pontefice massimo ereditò la giurisdizione sui reati
d’indole schiettamente religiosa (per esempio sull’incestus della virgo
Vestalis), mentre i crimini che colpivano contemporaneamente la religione
ed il populus (come la perduellio e il furto di fruges aratro quaesitae)
furono di regola rimessi all’assemblea popolare.
74
La nozione di imperium – una sintesi dei poteri di comando, militare e civile, spettante al monarca
etrusco, senza limitazione alcuna, su qualunque cittadino-soldato – sembra sia stata introdotta in Roma
dagli Etruschi. Non è un caso che i segni esteriori dell’imperium monarchico (“una corona d’oro, un trono
d’avorio, uno scettro con alla sommità l’aquila, una tunica di porpora con fregi in oro e un mantello di
porpora ricamata”), come si legge in Dioniso di Alicarnasso, 3. 61. 1; cfr. Livio, 1. 8. 2-3, e destinati ad
essere trasmessi ai consoli repubblicani, siano certamente di matrice etrusca; e così secondo quanto narra
di nuovo Dioniso Di Alicarnasso, 3. 61. 2., l’uso di far precedere il titolare dell’imperium dai littori,
muniti di fascio di verghe e di scuri, a rendere visibile i poteri, rispettivamente, di fustigazione e di morte
insiti nel comando supremo.,U. Vincenti, in Storia del diritto romano. cit., p. 20, s.
75
Sulla progressiva sostituzione del pontifex maximus al rex sacrorum v. da ultimo Coarelli, Foro
Romano, I, 71 ss.
4
Altri illeciti cessarono di essere perseguiti giudizialmente e vennero più
tardi sanzionati attraverso il regimen morum dei censori (per esempio il
ripudio ingiustificato della moglie da parte del marito).
È altresì da notare che al pontefice, in quanto investito del controllo
disciplinare su tutti i dignitari religiosi, spettava un diritto di coercizione, e
in particolare di imporre multe ai sacerdoti contravvenenti ai suoi ordini:
come vedremo fra poco, tale diritto in età più avanzata sarà limitato, ad
imitazione della coercitio consolare, dalla provocatio ad populum
76
.
Al primo magistrato della repubblica fu invece attribuito il comando degli
uomini in armi
77
, con la conseguente facoltà di esercitare rispetto a tutti i
cittadini (il concetto di populus si identifica infatti in quest’epoca con
l’esercito) quell’ampio potere di coercitio che è tipicamente manifestazione
dell’imperium
78
.
L’imperium quale potere assoluto, all’inizio poteva essere esercitato solo in
ambito militare, in seguito fu esteso anche all’amministrazione della
giustizia; ma riguardo a come questa era amministrata si hanno poche
notizie non del tutto attendibili.
76
B. Santalucia. Diritto e processo penale nell’antica Roma, II ed., Milano 1998, p. 30.
77
V. particolarmente Heuss, Imperium, 67, ss. la stessa etimologia di praetor (prae-itor, colui che marcia
in testa), rivela che in origine nei consoli era preminente il comando militare, cui solo in seguito vennero
ad aggiungersi tutte le altre prerogative di capi dello stato. Non senza ragione Sall. Cat. chiama i primi
consoli imperatores, comandanti.
78
B. Santalucia. Diritto e processo penale nell’antica Roma, II ed., Milano 1998, p. 19.
5
Forse il re, nell’esercizio di questa funzione si serviva di ausiliari
79
, forse
no: forse nella sua attività di giudice penale, come attesterebbero studi
archeologici
80
, si avvaleva dell’assistenza del popolo, prima saltuariamente
e solo su concessione regia, in seguito ogni volta che fosse necessario, per
la risoluzione di ogni giudizio in cui si doveva decidere sulla vita di un
cittadino.
La ricostruzione di questa iniziale procedura processuale penale romana, è
stata oggetto di molte discussioni tra gli studiosi di diritto romano.
Alcuni di questi, tra cui il Santalucia ed il Garofalo, basandosi su una
minuziosa ed attenta interpretazione delle fonti
81
, hanno individuato le
origini del processo romano apud populum nel periodo monarchico.
79
Questo secondo quanto ritiene una parte degli storici. Tali ausiliari sarebbero stati i quaestores
parricidii e i duumviri perduellionis. E questo in relazione a quanto attestato da Tac., ann., 11, 22, 4 e
Ulp., Libri disputationum, 1, 13, 1 mentre da altri autori come Pomp., liber singularis enchiridii D., 1, 2,
2, 23 si ricaverebbe che la figura dei pretori trova la propria origine soltanto nel successivo periodo
repubblicano.
80
Quali la creazione alla fine del VII sec. di un’ area destinata alla riunione del popolo “il comitium”
come sostiene Coarelli, il foro romano, Roma 1983, p. 128 ss.
81
Cic., de r. publ., 2, 54: “Provocationem autem etiam a regibus fuisse declarant pontificii libri,
significant nostri etiam auguralis, itemque ab omni sudicio poenaque provocari licere iudicant XII
Tabulae conpluribus legibus; et quod proditum memoriae est xviros qui leges scripserint sine
provocatione creatos, satis ostendit reliquos sine provocatione magistratus non fuisse; Lucique Valeri
Potiti et M. Mirati Barbati, hominum concordiae causa sapientes popularium, consularis lex sauxit ne
qui magistratus sine provocatione crearetur; neque vero leges Porciae, quae tres sunt trium Porciorum
ut scitis, quisquam praeter sanctionem attulerunt novi”; Liv., 1, 26, 6-8; “Sic eat quaecumque Romana
lugebit hostem." Atrox visum id facinus patribus plebique, sed recens meritum facto obstabat. Tamen
raptus in ius ad regem. Rex ne ipse tam tristis ingratique ad volgus iudicii ac secundum iudicium
supplicii auctor esset, concilio populi advocato "Duumuiros" inquit, "qui Horatio perduellionem iudicent,
secundum legem facio.”:
6
Essi considerano il giudizio del popolo riunito in assemblea, per giudicare i
reati più gravi dei quali si macchiavano i cittadini romani, il punto cardine
della giustizia penale romana alla fine del periodo monarchico e agli inizi
di quello repubblicano.
Possiamo però affermare (e con questo passiamo alla trattazione del
secondo punto: analisi delle leggi de provocatione) che un vero e proprio,
organico, sistema di repressione criminale, si ebbe solo nella fase di apogeo
della repubblica e nella successiva fase di crisi (tra III e I sec. a.C.),
allorchè, la coercitio, cioè il potere appartenente prima al monarca, e poi
ai magistrati cum imperio (consoli e pretori) come suoi successori, che
perdurò a lungo illimitato, subì importanti limitazioni aprendo le porte ad
una macchinosa e articolata tipologia di processo penale, che prima non era
mai esistita.
La preoccupazione di mantenere entro certi limiti il potere del supremo
magistrato, per impedire ogni tentativo di tirannide, cominciò
probabilmente a farsi strada tra i membri delle casate patrizie alla cui
iniziativa risaliva l’abolizione del regno e l’instaurazione della libertas
subito dopo la cacciata dei Tarquini
82
.
82
B. Santalucia . Diritto e processo penale nell’antica Roma, II ed. Milano 19, s.
7
Idonea garanzia, come si già detto, parve quella di subordinare
l’irrogazione delle più gravi misure repressive, e in primo luogo della pena
di morte, al giudizio del popolo riunito in assemblea.
83
Nacque così, nel 509 a.C. ”la provocatio ad populum”, istituto considerato
dagli stessi romani uno dei pilastri della costituzione repubblicana.
84
In virtù di esso, il cittadino perseguito in via di coercizione dal magistrato
esercitante l’imperium, poteva sottrarsi alla morte, o alla fustigazione,
chiedendo l’instaurazione di un regolare processo dinanzi ai comitia.
Secondo le fonti
85
, la provocatio non fu un’arma di difesa della plebe
contro il patriziato, affermatasi in seguito alla lotta fra i due ordini, ma un
83
B. Santalucia. Diritto e processo penale nell’antica Roma, II ed. Milano 30, s.
84
Liv., 3, 55, 4: “Aliam deinde consularem legem de prouocatione, unicum praesidium libertatis,
decemuirali potestate euersam, non restituunt modo, sed etiam in posterum muniunt sanciendo nouam
legem, ne quis ullum magistratum sine prouocatione crearet; qui creasset, eum ius fasque esset occidi,
neue ea caedes capitalis noxae haberetur.”; e Cic., de orat. 2, 19, 9: “Omnium seditionum genera, vitia,
pericula conlegi eamque orationem ex omni rei publicae nostrae temporum varietate repetivi conclusique
ita, ut dicerem, etsi omnes semper molestae seditiones fuissent, iustas tamen fuisse non nullas et prope
necessarias. Tum illa, quae modo Crassus commemorabat, egi: neque reges ex hac civitate exigi neque
tribunos plebis creari neque plebiscitis totiens consularem potestatem minui neque provocationem,
patronam illam civitatis ac vindicem libertatis, populo Romano dari sine nobilium dissensione potuisse;
ac, si illae seditiones saluti huic civitati fuissent, non continuo, si quis motus populi factus esset, id C.
Norbano in nefario crimine atque in fraude capitali esse ponendum. Quod si umquam populo Romano
concessum esset ut iure incitatus videretur, id quod docebam saepe esse concessum, nullam illa causa
iustiorem fuisse. Tum omnen, orationem traduxi et converti in increpandam Caepionis fugam, in
deplorandum interitum exercitus: sic et eorum dolorem, qui lugebant suos, oratione refricabam et animos
equitum Romanorum, apud quos tum iudices causa agebatur, ad Q. Caepionis odium, a quo erant ipsi
propter iudicia abalienati, renovabam.”
85
Pomp. De Origine Juris, 1, 2, 2,16: ”ne per omnia (consules) regiam potestatem sibi vindicarent lege
lata factum est,ut ab eis provocatio esset neve possent in caput civis Romani animadvertere iniussu
populi”
8
rimedio introdotto dal patriziato nel suo interesse, per cautelarsi contro i
possibili abusi dei suoi magistrati.
La data in cui tale mezzo fu introdotto è oggetto di discussione.
Le nostre fonti della tradizione annalistica, conservano il ricordo di tre
leggi de provocatione: una lex Valeria del 509 a.C. approvata dai comizi
centuriati su proposta del console P.Valerio Publicola, stabilì che: “nessun
magistrato potesse far fustigare o mettere a morte un cittadino romano che
avesse provocato ad populum
86
”.
Una seconda lex, Valeria Horatia del 449 a.C, proposta dai consoli
L.Valerio Potito e M.Orazio Barbato, vietò , per il futuro, la creazione di
altre magistrature esenti da provocazione
87
.
86
Cic. rep. 2, 53: ”ne quis magistratus civem Romanum adversus provocationem necaret neve
verberaret”. acad. pr. 2, 13; Liv. 2, 8, 2; Dion Hal. 5, 19, 4, cfr. 5, 70, 2; Val. Max. 4, 1, 1; Plut. Popl. 11,
3; Flor. 1, 3 (1, 9, 4); Pomp. De Origine Juris, 1, 2, 2, 16 e 23; Aur. Vict. vir. ill. 15, 5. La legge non
consentiva di ricorrere al popolo se non contro l’estremo supplizio (il neve verberaret del passo di
Cicerone si riferisce alla fustigazione che accompagnava l’esecuzione capitale e non alla fustigazione
come misura coercitiva autonoma: cfr. Pugliese, Appunti sui limiti dell’ “imperium” nella repressione
penale: a proposito della Lex Iulia de vi publica, Torino, 1939, 16 ss.).
87
Cic. rep. 2, 54: “quod proditum memoriae est Xviros, qui leges scripserint, sine provocatione creatos,
satis ostendit reliquos sine provocatione magistratus non fuisse, Lucique Valerii Potii et M. Horati,
Barbati, hominum concordiae cusa saepe popularium, consularis lex sanxit, ne quis magistartus sine
provocatione crearetur”; v. anche Liv. 3, 55, 4-5: “Aliam deinde consularem legem de prouocatione,
unicum praesidium libertatis, decemuirali potestate euersam, non restituunt modo, sed etiam in posterum
muniunt sanciendo nouam legem, ne quis ullum magistratum sine prouocatione crearet; qui creasset,
eum ius fasque esset occidi, neue ea caedes capitalis noxae haberetur. Et cum plebem hinc prouocatione,
hinc tribunicio auxilio satis firmassent, ipsis quoque tribunis, ut sacrosancti uiderentur, cuius rei prope
iam memoria aboleuerat, relatis quibusdam ex magno interuallo caerimoniis renouarunt, et cum
religione inuiolatos eos, tum lege etiam fecerunt, sanciendo ut qui tribunis plebis aedilibus iudicibus
decemuiris nocuisset, eius caput Ioui sacrum esset, familia ad aedem Cereris Liberi Liberaeque uenum
iret.”
9
Una terza legge, lex Valeria del 300 a.C. ascritta al console M. Valerio
Corvo, di contenuto analogo alla lex del 509, munita di una più efficace
sanzione (diligentius sancata), dichiarò meritevole di riprovazione
(improbe factum), l’atto del magistrato che, violandone il precetto, avesse
fatto fustigare ed uccidere un cittadino in onta alla provocatio.
88
Ci sono in dottrina opinioni contrastanti circa la reale esistenza delle due
leggi precedenti alla lex Valeria del 300: parte di essa, (sostenuta da
numerosi autori scettici sul valore dalla tradizione
89
), ritiene che prima del
300 a. C. tutte le altre leggi non abbiano avuto presa nella realtà, rimanendo
soltanto sulla carta, tanto da definire la lex Valeria Poplicolae e la lex
Valeria Horatia il frutto di “fantasie a posteriori”
90
.
Fantasie non del tutto gratuite, perché nate dalla trasformazione nello
stampo formale proprio delle XII tavole, di quella che fu solamente una
prassi anteriore al magistrati cum imperio di tener conto degli umori
dell’exsercitus centuriatus (trasformatosi solo nel 367 a.C. in comitia
centuriata) prima di rendere esecutiva la condanna di un membro
dell’esercito stesso.
88
Liv. 10, 9, 3-5: ”M.Valerius consul de provocatione legem tulit diligentius sancatam…Valeria lex cum
eum qui provocasset virgis caedi securique nefari vetuisset,si quis adversus ea fecisset,nihil ultra
quam”improbe factum adiecit.”
89
Bianchini, Sui rapporti fra provocatio ed intercessio, in Sudi in onore di Gaetano .Scherillo, I, Milano,
1972, 108; De Martino, Storia della costituzione romana I, Napoli, 1972, 207, 312 ss; Amirante, Sulla
provocatio ad papulum fino al 300, Iura, 34 (1983), 8 ss; Guarino, Il dubbio contenuto pubblicistico delle
XII tavole, Labeo, 34 (1988) 329 ss.
90
A. Guarino , Storia del diritto romano Napoli, 1996 280 ss.
10
Ancora a sostegno di questa tesi bisogna sottolineare che facendo
riferimento a questa prassi la lex Valeria Corvi, non solo si astenne dal
richiamare i magistrati cum imperio all’osservanza di tassative disposizioni
di leggi precedenti (che evidentemente non esistevano) ma nemmeno
impose tassativamente l’adozione della provocatio ad populum: si limitò
infatti a dichiarare fortemente reprensibile il magistrato ordinario cum
imperio che, facendo uso smodato dell’imperium stesso, non concedesse la
provocatio al cittadino che lui stesso aveva condannato a morte.
La questione è controversa, altra parte della dottrina infatti, smentisce
quanto detto in precedenza, definendo: “L’ultima delle tre leggi
incontestabilmente storica”
91
, e basandosi proprio sul valore della
tradizione
92
smentisce la congettura secondo cui le due leggi precedenti
non siano altro che proiezione della terza nel passato.
Il fatto che più norme attinenti alla stessa materia siano attribuite a membri
della stessa gens, non costituisce, secondo questa parte della dottrina, un
valido argomento per ritenere che solo l’ultima sia realmente esistita.
Anche a prescindere dalla considerazione che la legge del 449, non abbia
91
B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, 32 ss.
92
V. gli autori richiamati dal Pugliese, Appunti sui limiti dell’Imperium" nella repressione penale: a
prosposito della "Lex Iulia de vi publica". 1939, p. 8, a cui vanno ora vanno aggiunti Heuss, Imperium,
114 ss.; Siber, Romisches Verfassungsrecht in geschichtlicher Entwicklung, Lahr 1952, 44; E.S. Staveley,
Provocatio during the Fourth Centuries B.C., “Historia”, 3 (1954-55), 414 ss.; J.Bleicken, Ursprung und
Bedeutung der Provocation, ZRG 76 (1959) 356 ss.; RE, 23.2, 2446 ss.; Kunkel, Untersuchungen zur
Entwicklung des römischen Kriminalverfahrens in vorsullanischer Zeit, Munchen 1962, 24 ss.; Ogilvie, A
Commentary on Livy, Oxford 1970, 27 s.
11
affatto lo stesso contenuto delle altre due, non può escludersi che la
falsificazione degli annalisti abbia avuto per oggetto non la moltiplicazione
delle leggi, ma l’attribuzione delle stesse a vari membri della gens Valeria.
Inoltre che il limite della provocatio preesistesse alle XII Tavole, non solo
è comprovato dalle attestazioni degli antichi scrittori
secondo cui i
decemviri e il dittatore ne erano sottratti
93
, ma si lascia desumere dalle
leggi Aternia Tarpeia del 454 e Menenia Sestia del 452 a.C., le quali
fissarono il limite massimo entro cui i magistrati potevano infliggere multe
senza richiamo al popolo, e in particolare trova conferma nella notizia,
93
Cic. rep .2, 54: “quod proditum memoriae est Xviros, qui leges scripserint, sine provocatione creatos,
satis ostendit reliquos sine provocatione magistratus non fuisse, Lucique Valerii Potii et M. Horati,
Barbati, hominum concordiae cusa saepe popularium, consularis lex sanxit, ne quis magistartus sine
provocatione crearetur”; Liv 3, 32, 6: “Comitiorum illi habendorum, quando minimus natu sit, munus
consensu iniungunt.”; 3, 33, 9: “Decimo die ius populo singuli reddebant”; 3, 36, 6, 3, 45, 8: “Nam cum
ita priores decemuiri seruassent ut unus fasces haberet et hoc insigne regium in orbem, suam cuiusque
uicem, per omnes iret, subito omnes cum duodenis fascibus prodiere”; “Cottidie coibant remotis arbitris;
inde impotentibus instructi consiliis, quae secreto ab aliis coquebant, iam haud dissimulando superbiam,
rari aditus, conloquentibus difficiles, ad idus Maias rem perduxere”; Non si tribunicium auxilium et
prouocationem plebi Romanae, duas arces libertatis tuendae, ademistis, ideo in liberos quoque nostros
coniugesque regnum uestrae libidini datum est.”; per il dittatore, Liv. 2, 18, 8: “Eo magis adducor ut
credam Largium, qui consularis erat, potius quam M". Valerium Marci filium Volesi nepotem, qui
nondum consul fuerat, moderatorem et magistrum consulibus appositum; quin si maxime ex ea familia
legi dictatorem uellent, patrem multo potius M. Valerium spectatae uirtutis et consularem uirum
legissent”; 2, 29, 11: “P. Verginius rem non uolgabat; de iis tantum qui fidem secuti P. Seruili consulis
Volsco Aurunco Sabinoque militassent bello, agendum censebat. T. Largius, non id tempus esse ut merita
tantummodo exsoluerentur; totam plebem aere alieno demersam esse, nec sisti posse ni omnibus
consulatur; quin si alia aliorum sit condicio, accendi magis discordiam quam sedari.”; 3, 20, 8: “Tum ad
equites dictator aduolat, obtestans ut fesso iam pedite descendant ex equis et pugnam capessant”; 4, 13,
11: “Itaque se dictatorem L. Quinctium dicturum; ibi animum parem tantae potestati esse.”; Dion. Hal.
5, 75, 2; 6, 58, 2; Pomp. De Origine Juris, .1, 2, 2, 18; Fest. 216,11-20 L. (Optima lex); Lyd. mag. 1, 37;
Zon. 7, 13.
12
fornita da Cicerone nel trattato De re publica, che le XII Tavole ”in
numerose disposizioni” (conpluribus legibus) consentivano al cittadino di
ricorrere al popolo contro le misure repressive irrogate nei suoi confronti
94
.
Alla luce di quanto detto, non sembra quindi ci sia alcun valido motivo
che impedisca di prestar fede alla testimonianza delle fonti.
Nello stesso tempo, però, i dati della prassi ci descrivono come i consoli,
nonostante il precetto, potessero ignorare l’interposta provocazione.
È infatti agevole supporre che, mentre di fronte all’istanza di un patrizio il
magistrato fosse il più delle volte costretto a cedere alla provocazione, di
frequente succedesse che un plebeo fosse messo a morte senza rispettare la
sua richiesta di un processo comiziale.
Il perseguito, poteva sì ricorrere all’auxilium dei tribuni della plebe, ma
l’intervento tribunizio era per sua stessa natura aleatorio, dipendendo sia
dalla buona volontà del tribuno di esercitare il proprio ufficio, sia dalla
situazione politica del momento.
Rimedio fondamentale contro l’arbitrario esercizio della potestà punitiva
rimaneva il ricorso al popolo: e le fonti
95
registrano episodi di vera e
94
Cic. rep. 2, 54: “quod proditum memoriae est Xviros, qui leges scripserint, sine provocatione creatos,
satis ostendit reliquos sine provocatione magistratus non fuisse, Lucique Valerii Potii et M. Horati,
Barbati, hominum concordiae cusa saepe popularium, consularis lex sanxit, ne quis magistartus sine
provocatione crearetur”.
95
Liv. 2, 27, 12: “Certamen consulibus inciderat, uter dedicaret Mercuri aedem senatus a se rem ad
populum reiecit: utri eorum dedicatio iussu populi”; 2, 55, 4-12: “cum Genucio una mortuam ac sepultam
tribuniciam potestatem. Aliud agendum ac cogitandum quomodo resistatur patribus; id autem unum
consilium esse ut se ipsa plebs, quando aliud nihil auxilii habeat, defendat. Quattuor et uiginti lictores
13
propria ribellione popolare contro il magistrato che non voleva cedere alla
provocatio.
Considerando che ancora la terza legge (300 a.C.) definita dalle fonti
96
“più
efficacemente sanzionata” rispetto alle precedenti, si limitava a dichiarare
l’atto di violazione del magistrato “improbe factum”, ossia oggetto di
semplice riprovazione morale, permettendo ai consoli di disattendere
l’interposta provocazione (nonostante il precetto legislativo), è necessario,
e personalmente ritengo deludente, concludere che le più antiche leggi in
materia criminale furono leges imperfectae, (non comminavano cioè alcuna
pena al trasgressore), e che il ius provocationis riconosciuto al plebeo
contro la coercitio magistratuale, doveva, purtroppo, ridursi il più delle
volte ad una garanzia meramente platonica e fittizia.
apparere consulibus et eos ipsos plebis homines; nihil contemptius neque infirmius, si sint qui
contemnant; sibi quemque ea magna atque horrenda facere. His uocibus alii alios cum incitassent, ad
Voleronem Publilium de plebe hominem quia, quod ordines duxisset, negaret se militem fieri debere,
lictor missus est a consulibus. Volero appellat tribunos. Cum auxilio nemo esset, consules spoliari
hominem et uirgas expediri iubent. "Prouoco" inquit, "ad populum" Volero, "quoniam tribuni ciuem
Romanum in conspectu suo uirgis caedi malunt quam ipsi in lecto suo a uobis trucidari." Quo ferocius
clamitabat, eo infestius circumscindere et spoliare lictor. Tum Volero et praeualens ipse et adiuuantibus
aduocatis repulso”; se il magistrato si rifiutava di accogliere la provocatio e i tribuni non intervenivano, il
perseguito non poteva far altro che invocare la protezione della folla (fidem populi implorare, quiritare:
cfr. Varro ling. Lat. 6, 68: “ quiritare dicitur is qui Quiritium fidem clamans inplorat”), nella speranza
che questa con le sue grida e le sue turbolenze costringesse il magistarto a sottoporre la causa al comizio.
96
Liv. 10, 9, 3-5: “Pontifices creantur suasor legis P. Decius Mus P. Sempronius Sophus C. Marcius
Rutulus M. Liuius Denter; quinque augures item de plebe, C. Genucius P. Aelius Paetus M. Minucius
Faesus C. Marcius T. Publilius. Ita octo pontificum, nouem augurum numerus factus. Eodem anno M.
Ualerius consul de prouocatione legem tulit diligentius sanctam.”