In tal senso, è possibile che alcune OI possano essere utili alla
promozione degli interessi statunitensi, presentandosi come validi strumenti
per il loro raggiungimento. Allo stesso tempo, però, tale dinamica sembrerebbe
comportare anche una inevitabile perdita di efficienza delle stesse OI nello
svolgimento del proprio specifico ruolo e nel raggiungimento di finalità a
carattere generale.
Prendendo le mosse da questo dibattito, il presente studio prenderà in
esame i rapporti che intercorrono tra gli Stati Uniti ed il Fondo Monetrario
Internazionale, per apprezzare il ruolo e l’attività svolta da questa istituzione
nel panorama finanziario globale. La motivazione di questa scelta risiede
essenzialmente nella constatazione del valore che l’ambito finanziario riveste
nelle attuali dinamiche internazionali. Di conseguenza, non appare privo di
fondamento il tentativo di procedere allo studio dell’impatto e dell’effettiva
capacità di azione che l’FMI detiene. In particolare, l’analisi delle specifiche
modalità con le quali il Fondo è intervenuto nel caso dei prestiti alla Russia
verrà utilizzata per verificare sino a che punto gli Stati Uniti si sono serviti
della loro posizione entro il Fondo stesso per sfruttare il peso ed il valore del
multilateralismo finanziario nel perseguimento dei loro interessi nazionali. In
altre parole, attraverso l’analisi di un caso specifico si ricercherà la presenza di
elementi, formali o informali, attraverso i quali gli Stati Uniti possono
rivolgere le risorse del Fondo verso la realizzazione di propri obiettivi, sia
quelli di politica estera economica, sia quelli classificabili come obiettivi di
high politics. Non di minore importanza risulta la valutazione dell’efficienza
dell’operato del Fondo, in riferimento alla concreta capacità di questa
istituzione internazionale di raggiungere gli obiettivi che il suo statuto
prescrive.
Nella letteratura di Relazioni internazionali sono presenti diverse
concetualizzazioni dell’attività svolta dalle istituzioni internazionali e della
capacità delle stesse di essere o meno variabili indipendenti capaci di
influenzare i comportamenti degli stati nelle loro modalità di interazione. A
tale proposito, non essendo nostra intenzione ricostruire il dibattito teorico
relativo al ruolo delle OI nel sistema internazionale, come guida del presente
lavoro si è scelta una visione della politica internazionale definita secondo i
principi del Realismo. Ricostruendo quindi i fondamenti di questo paradigma,
il primo capitolo intende proporre il quadro generale attraverso cui mostrare le
caratteristiche fondamentali della cooperazione tra stati e della natura delle
istituzioni internazionali. Definito tale quadro teorico, l’analisi delle dinamiche
di interazione tra FMI e Stati Uniti è portata a compimento utilizzando gli
schemi concettuali forniti dalla teoria della stabilità egemonica e dalle ricerche
di Susan Strange (1984, 1988, 1994). Da una parte, la teoria della stabilità
egemonica guiderà l’indagine sulla formazione delle istituzioni internazionali
negli ambiti economico e finanziario. Dall’altra, il concetto di potere
strutturale, che Strange ritiene essere la vera essenza dell’egemonia americana,
sarà invece impiegato per indagare il tema del declino dell’egemone, aprendo
la possibilità di una lettura critica di tale fenomeno. Ci si domanderà, infatti, se,
anche a fronte di declinanti performance economiche e politiche, le OI restino
per gli Stati Uniti strumento di influenza sugli altri attori del sistema e di
diffusione di interessi e valori americani.
Questo lavoro individua la presenza di elementi che conferiscono agli
Stati Uniti la possibilità di esercitare influenza sul Fondo Monetario
Internazionale. In tal senso, il capitolo secondo rappresenta un’analisi
dell’istituzione internazionale oggetto del presente studio. Si vuole in tal modo,
da una parte, illustrarne l’origine, i propositi indicati dagli Articles of
Agreement e l’espansione da questi subíta in risposta alle necessità
dell’economia mondiale. Dall’altra, si vuole valutare in che misura
l’evoluzione delle possibilità di intervento del Fondo risponda ad esigenze
della mutata situazione economica internazionale ed in che misura, invece, sia
conforme a precise pressioni americane e si adatti a specifici interessi nazionali
statunitensi. Infine, seguendo l’analisi svolta da Karns e Mingst (1990) sulle
dinamiche dell’influenza americana nelle OI, individueremo quali dinamiche
permettano agli Stati Uniti di influenzare e condizionare le decisioni prese in
questa sede multilaterale.
Accanto a quella che può essere definita “possibilità” di utilizzo
strumentale delle risorse del Fondo, è interesse di chi scrive tentare anche una
ricostruzione dell’esistenza di una “volontà” di agire in questa direzione.
L’idea che all’interno dell’apparato di governo statunitense ci sia un’esplicita
volontà di utilizzo strumentale delle OI, dell’FMI in modo particolare, viene
infatti dallo studio di alcuni documenti prodotti per conto del Congresso
americano: in particolare, il rapporto dell’International Financial Institutions
Advisory Commission (marzo 2000) e due studi del General Accounting Office
(2001-2003). Il capitolo terzo contiene un’analisi di questi documenti, nel
duplice intento di offrire materiale a sostegno dell’ipotesi iniziale e di
illustrare, a partire proprio dai rapporti tra Stati Uniti e FMI, le dinamiche
istituzionali che determinano la politica estera americana. Affidata dalla
Costituzione alla gestione congiunta di Presidente e Congresso, la politica
economica estera di Washington ha in effetti costituito oggetto di contesa tra i
due poteri.
Il capitolo quarto completa l’analisi tramite l’esame di uno specifico
caso di studio: i programmi di assistenza finanziaria dell’FMI alla Russia post-
sovietica. In primo luogo, l’interesse per questo preciso caso di intervento del
Fondo appare motivato dal prolungato coinvolgimento dell’istituzione
monetaria internazionale nei programmi di ricostruzione dell’economia e della
società russa. In secondo luogo, il sostanziale fallimento di questi programmi
di assistenza finanziaria solleva interessanti spunti critici sull’efficacia
dell’azione delle OI, che risulta indebolita proprio a causa del loro progressivo
utilizzo nel raggiungimento di interessi non rispondenti alle esigenze reali dei
paesi in situazione di crisi.
Nella consapevolezza che questo lavoro non possa né debba sciogliere
la complessità del tema del rapporto tra stati ed istituzioni multilaterali, e delle
dinamiche di potere nel processo di policy making economico interno ed
internazionale, è nostra intenzione offrire un contributo allo studio dei rapporti
tra gli Stati Uniti ed il Fondo Monetario Internazionale. Chiarendo i legami tra
processi di politica interna statunitense e dinamiche decisionali interne al
Fondo attraverso il caso dei finanziamenti alla Russia tra il 1992 ed il 1999,
questa indagine sviluppa inoltre il tema dell’efficacia dell’intervento
multilaterale in situazioni di crisi finanziarie, offrendo una possibile
spiegazione del fallimento di tale intervento nel caso empirico preso in esame.
CAPITOLO 1
GLI STATI, LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI E LA
GESTIONE DELLE ASIMMETRIE DI POTERE A
LIVELLO SISTEMICO: APPROCCI TEORICI
Il panorama contemporaneo delle relazioni internazionali sembra
caratterizzarsi sempre più per la presenza di un numero crescente di attori che,
nelle loro differenti forme, mettono in discussione il valore dello stato quale
unità di riferimento della politica mondiale. Pur restando ancora l’elemento
centrale attorno cui ruotano gli affari internazionali, lo stato è infatti sfidato in
questo suo ruolo da nuovi attori capaci, a volte, di svolgere funzioni prima di
esclusiva competenza statale. Istituzioni internazionali, organismi non
governativi, imprese transnazionali, e persino gruppi terroristici organizzati
sono dunque attori dai quali anche la teoria non può prescindere, se non al
prezzo di ridurre in misura rilevante la comprensione della nuova e più
complessa politica mondiale.
Tra le diverse tendenze presenti nel panorama odierno, grande interesse
riveste lo studio delle organizzazioni governative internazionali,
2
della loro
diffusione e del loro ruolo, dei loro rapporti con gli stati e della loro effettiva
capacità di azione all’interno del sistema internazionale. Nello specifico, si
prenderà in esame il caso del Fondo Monetario Internazionale, per far luce
sulle dinamiche del suo processo decisionale e determinare così le sue attuali
capacità operative.
La comparsa delle istituzioni internazionali nell’arena politica mondiale
è un fenomeno piuttosto recente, dal momento che fino al primo dopoguerra gli
stati non sono riusciti ad andare oltre la creazione di alleanze più o meno
stabili, ancora lontane nella forma dal concetto attuale di istituzioni
2
Nel corso del lavoro si utilizzerà in modo indifferente la diversa terminologia,
sempre ad indicare il medesimo oggetto: istituzioni internazionali, organizzazioni
internazionali, organizzazioni intergovernative.
internazionali.
3
In realtà, solo negli ultimi cinquant’anni si è assistito al
tentativo di fare delle stesse un elemento centrale della dinamica politica
mondiale, attraverso una loro creazione sistematica in ambiti progressivamente
più specifici. Le più decise spinte in tale direzione avvengono, infatti, in
relazione ai maggiori mutamenti sistemici prodotti nella storia contemporanea:
la fine della Seconda Guerra mondiale ed il crollo dell’Unione Sovietica. Sono
proprio questi gli snodi a partire dai quali si riscontra una progressiva
espansione del numero e del ruolo delle istituzioni internazionali. Al termine
del conflitto bellico, infatti, le grandi potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna ed
Unione Sovietica su tutte) s’impegnano nella creazione di un nuovo ordine
mondiale capace di riprodurre, anche in tempo di pace, la cooperazione tra stati
che ha portato alla definitiva sconfitta della minaccia nazi-fascista. La nascita
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il primo e decisivo passo in questa
direzione: realizzando innanzitutto un sistema di sicurezza collettiva, l’ONU
espanderà progressivamente il proprio ruolo in altri ambiti, per gestire anche
questioni economiche, sociali, culturali attraverso i medesimi principi
universalistici. Con la fine della Guerra Fredda, poi, e l’affermazione
progressiva delle tendenze della globalizzazione, vengono meno le esigenze di
sicurezza che per oltre quarant’anni hanno dominato il panorama delle
relazioni internazionali. Dagli anni Novanta i diversi stati che compongono il
sistema mondiale presentano un grado di interdipendenza crescente. In tale
contesto, la gestione di issues politiche ed economiche, ma anche sociali,
ambientali e sanitarie, non può trovare una risposta soddisfacente al solo livello
interno. La costruzione di un insieme formalizzato di strutture tra loro integrate
appare quindi come una soluzione plausibile, nel tentativo di gestire l’attuale
complessità delle relazioni interstatali.
Di fronte a questo progressivo sviluppo delle istituzioni internazionali,
anche nella produzione accademica si moltiplicano gli studi relativi a questo
nuovo soggetto di RI. Non è intenzione di questo lavoro offrire una rassegna
3
Bennett e Oliver (2002) ricordano in proposito come le potenze europee, in seguito
alla difficoltà incontrate nel contrastare, ognuna singolarmente, l’ascesa di Napoleone,
concepiscano tra il 1814 ed il 1815 la creazione del sistema di sicurezza collettiva della Santa
Alleanza.
completa delle diverse e, a volte, contrastanti valutazioni riguardo al ruolo
delle istituzioni nel sistema internazionale.
4
Piuttosto, si vogliono osservare le
capacità che gli stati hanno di esercitare influenza sui risultati prodotti dalle
istituzioni internazionali e apprezzare il possibile uso strumentale che i primi
fanno delle seconde. In tale prospettiva, dopo aver ricostruito una precisa
definizione di cosa sia un’istituzione internazionale, si fornirà una visione della
stessa a partire da una lettura di stampo realista.
5
Sarà proprio dalle capacità di
analisi offerte da questa tradizione di ricerca che si procederà a sviluppare il
quadro concettuale con cui descrivere i rapporti tra Fondo Monetario
Internazionale e Stati Uniti.
1.1 Organizzazioni Governative Internazionali: una definizione
Date le divergenze della letteratura circa il modo di intendere la
presenza e l’operato delle OI, e la conseguente mancanza di una definizione
univoca delle stesse,
6
si procederà all’elaborazione di questa anche attraverso
le descrizioni offerte da altre discipline di studio.
7
In tal modo, è possibile
caratterizzare un’istituzione internazionale come un insieme di norme, regole,
procedure o consuetudini che ricevono sanzione formale, si inseriscono come
variabili intervenienti nei rapporti tra stati sovrani ed istituzionalizzano
specifiche modalità di collaborazione tra gli stessi. Più precisamente, come
indicato da Mearsheimer, le istituzioni internazionali sono “codici” che
4
Si veda in proposito l’opera edita da David Baldwin (1993).
5
La tradizione realista sembra fornire le maggiori capacità esplicative in relazione
all’ipotesi che si vuole sostenere, quella di un utilizzo strumentale del Fondo Monetario da
parte degli Stati Uniti. Tuttavia, si dovrà tenere conto anche di elementi che contrastano con
alcuni assunti del realismo, su tutti la pretesa unitarietà dell’attore-stato.
6
Con riferimento agli strumenti di collaborazione tra gli stati, si parla, infatti, di
istituzioni, regimi internazionali, multilateralismo, a volte utilizzando questi termini con eguale
significato.
7
In filosofia, infatti, si definisce istituzione un insieme di norme, valori e consuetudini
costitutive del comportamento umano, che cioè regolano e permettono i comportamenti sociali
d’un gruppo di soggetti. In sociologia si guarda invece, secondo la definizione di Parsons, alla
finalità che l’insieme di norme e valori nasconde, si cerca di guardare alla motivazione sociale
che sta dietro alla prescrizione di un certo comportamento (dall’Enciclopedia Garzanti di
Filosofia, 1994, alle voci: “istituzione”, “azione sociale”, “Parsons”).
prescrivono la permissibilità o meno di determinati comportamenti di
cooperazione e competizione.
8
Come indicato da Bennett e Oliver (2002), ogni istituzione si
caratterizza per la presenza, tra le proprie caratteristiche di fondo, dei seguenti
elementi:
- volontà statuale di creare strutture permanenti di cooperazione e
volontarietà della partecipazione alle stesse;
- codificazione delle specifiche finalità, a volte anche multiple, e delle regole
del gioco attraverso le quali si organizza un processo decisionale
multilaterale;
- esistenza di fora ed organi consultivi rappresentativi dell’insieme degli stati
membri;
- presenza di uno staff ed una burocrazia permanente, responsabile della
gestione amministrativa dell’istituzione e che s’identifica con la stessa, non
con gli stati di appartenenza;
- possibilità di sanzionare un comportamento contrario ed estraneo alle
prescrizioni stabilite collettivamente, pur mancando strumenti di “polizia”.
Le OI sono costruzioni che, attraverso le caratteristiche delineate, si
pongono come luoghi di cooperazione istituzionalizzata. Per “istituzioni
internazionali” si intendono tanto le regole negoziate e sanzionate in precisi
accordi e trattati, quanto l’insieme delle complesse strutture amministrative e
burocrazie internazionali, con propri edifici, fondi, personale, che dagli stessi
trattati deriva. Create per volontà ed azione degli stati, le istituzioni
internazionali stabiliscono un insieme strutturato di norme volte alla
risoluzione dei naturali problemi di coordinazione tra unità autonome, nella
gestione di problemi che non sono risolvibili a livello esclusivamente
domestico.
9
In linea di principio quindi, le istituzioni internazionali dovrebbero
tanto produrre decisioni vincolanti per gli stati membri quanto essere dotate dei
mezzi concreti per perseguire attivamente tali decisioni. Il raggiungimento di
obiettivi condivisi e rivolti all’interesse generale delle diverse entità statuali
8
John Mearsheimer (1995), p. 8.
9
Esempio immediato di questo può essere considerata la lotta all’HIV/AIDS o ad altre
malattie infettive, così come la gestione di questioni ambientali.
dovrebbe essere lo scopo ultimo dell’azione delle istituzioni internazionali. Nei
fatti, la situazione sembra essere invece piuttosto diversa.
Il panorama odierno delle OI si caratterizza per il loro elevato numero.
10
Per una maggiore comprensione del loro funzionamento, la letteratura
classifica le istituzioni internazionali in diverse categorie, guardando in
particolare ai seguenti elementi:
- issue area, cioè la specifica questione di cui l’organizzazione si occupa o
dovrebbe occuparsi. Normalmente è utile raccogliere e suddividere le
issues in poche categorie. Nel periodo della Guerra Fredda, è sufficiente la
netta distinzione tra high politics e low politics (Pentland, 1976) ma questa
dicotomia oggi non si adatta alla complessità delle relazioni internazionali,
dove spesso, come si tenterà di dimostrare, i due livelli si confondono:
istituzioni internazionali concentrate su questioni low (ad esempio,
economiche) operano, infatti, anche tenendo in considerazione vincoli posti
da considerazioni di sicurezza. Altri autori tentano una tripartizione delle
issue area, individuando così organizzazioni militari, politiche, economiche
(Nye, 1972) oppure di sicurezza, di gestione economica, di social welfare
(Karns e Mingst, 1990).
11
A parere di chi scrive, risulta utile affidarsi alla
più completa suddivisione tripartita. In particolare, Kars e Mingst rispetto a
Nye prendono in considerazione anche istituzioni internazionali, estranee al
classico binomio economia e sicurezza, di certo aventi importanza
crescente nell’attuale panorama di RI.
- finalità e funzioni, cioè lo scopo e le modalità della cooperazione
interstatale. Le finalità variano da caso a caso, essendo di norma ogni
agenzia specializzata in un compito preciso. D’altra parte, lo schema delle
concrete funzioni è inevitabilmente il medesimo. Seguendo la suddivisione
di Archer (2001), si possono così distinguere diverse attività, la cui
compresenza è piuttosto comune: socializzazione e reclutamento membri,
10
Si calcola che attualmente ci siano circa 300 IGO (LeRoy Bennet e James Olivier,
2002).
11
Con questo termine le autrici si riferiscono a quelle organizzazioni rivolte al
perseguimento di istanze di benessere non collegate direttamente ad una dimensione
economica, quali ad esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
rule making, rule application,
rule adjudication,
12
raccolta e diffusione di
informazioni, redistribuzione delle risorse.
13
Risulta elevata la possibilità di
un diverso interesse statale, a seconda della funzione prevalente.
- grado di istituzionalizzazione, dato dall’autonomia e dalla rigidità di
un’organizzazione. Mentre con il primo termine si indica la capacità
dell’istituzione internazionale di prescrivere comportamenti che non si
avrebbero in sua assenza, con il secondo si intende il grado di modifica del
comportamento degli stati membri.
- membership, individuando istituzioni globali (ONU) contrapposte a
istituzioni regionali (UE, NAFTA), in relazione al numero ed alla
collocazione geografica degli stati membri. Importanti sono anche altri tipi
di rapporti di vicinanza, quali quelli economici, politici, culturali e sociali.
Tale elenco delle caratteristiche rilevanti di ogni istituzione
internazionale non ha certo pretese di esaustività. Altre tipologie possono
essere individuate, prendendo in considerazione ulteriori elementi ed
osservandone la presenza o meno nelle diverse istituzioni.
Nello specifico, questo studio si vuole concentrare sul Fondo Monetario
Internazionale, classificabile come un’istituzione internazionale impegnata in
un’issue area di tipo economico e caratterizzata da una membership globale.
Le finalità sono diverse e soprattutto si evolvono nel tempo, ma in generale si
può dire che l’obiettivo sia quello di dotare l’economia mondiale, in particolare
nei suoi aspetti finanziari, di strumenti di gestione collettiva, di regole
condivise attraverso le quali governare le possibilità dischiuse
dall’internazionalizzazione dei processi di produzione e commercio. Le
funzioni con cui raggiungere queste finalità si concretizzano nell’opera di rule
making e rule enforcement, di raccolta e diffusione dati, di redistribuzione delle
risorse. Più complessa appare la definizione del grado di rigidità e di
12
L’applicazione delle regole stabilite collettivamente è ancora lasciata in definitiva
alla volontà sovrana degli stati. Nei fatti manca un’adeguata strumentazione di coercizione che
ne permetta sempre il rispetto.
13
Rispetto ad Archer, riteniamo che la funzione di aggregazione ed articolazione degli
interessi sia presente all’interno delle istituzioni internazionali solo in seconda istanza, avendo
piuttosto luogo in quello che è il contesto interno ad ogni stato membro. Si preferisce inoltre
non parlare di “operazioni funzionali” in generale ma di vederne i contenuti specifici: da qui la
funzione redistributiva.
autonomia dell’istituzione in questione. A parere di chi scrive la valutazione di
questi elementi non può essere indicata a priori ma si dovrà apprezzare nello
sviluppo della presente analisi.
1.2 Il filone realista
Entro gli studi di Relazioni internazionali sono presenti contrastanti
interpretazioni riguardo al ruolo ricoperto delle istituzioni intergovernative, alla
loro posizione nei rapporti tra stati ed alla loro effettiva capacità operativa. A
tal proposito, la produzione teorica può essere suddivisa, in linea generale,
secondo due principali filoni, tra posizioni di tipo liberarle, che riconoscono un
ruolo positivo ed autonomo alle OI, e posizioni di stampo realista, per cui le
stesse svolgono invece un ruolo comunque subordinato rispetto agli interessi
statali. Non essendo interessati in questa sede ad un confronto sistematico tra le
diverse teorie, si è scelto di basare la presente analisi sulla letteratura realista
delle istituzioni internazionali. La concezione realista della politica
internazionale in termini di potere è infatti l’elemento che meglio permette di
chiarire le dinamiche che si vogliono analizzare, lo strumento da cui muovere
le prime considerazioni relative al rapporto tra stati ed istituzioni
internazionali.
Il Realismo, sia nella sua versione classica che nella successiva
rielaborazione strutturale (Neo-Realismo), ricava la propria visione delle
relazioni internazionali da una serie di assunti filosofici e concettualizzazioni
teoriche prodotti da autori cronologicamente tra loro piuttosto lontani.
Sicuramente da ricordare è Tucidide, lo storico ateniese che per primo descrive
le relazioni di potenza e dominio presenti nei rapporti tra entità politiche di
diversa forza. Grande influenza riveste anche Machiavelli, autore di una
produzione filosofico-letteraria che condensa i principi della Realpolitik. Non
meno importante è Hobbes, il pensatore che teorizza la nascita dello stato
moderno come prodotto di una decisione razionale. Da questi autori, e dalle
loro riflessioni, deriva la visione realista delle relazioni internazionali
improntata al pessimismo antropologico. La condizione in cui gli uomini
vivono è infatti caratterizzata da uno stato di conflitto endemico e permanente,
dove i singoli individui sono nemici gli uni agli altri e dove la continua lotta
per la sopravvivenza impedisce ogni forma spontanea di collaborazione. Gli
uomini riescono ad uscire da tale situazione quando stringono un patto tra di
loro e simultaneamente con il Leviatano, per conferire a questi il monopolio
legittimo dell’uso della forza: i sudditi diventano cittadini e si sottopongono
all’autorità sovrana in cambio della sicurezza alla propria vita.
Partendo da tali presupposti, il filone realista concepisce il sistema
internazionale come omogeneo in quanto a composizione, animato da strutture
di potere dalla medesima forma, ma anche percorso da profonda conflittualità:
si ripete, infatti, la condizione dello stato di natura, con la mancanza di
un’autorità centrale capace di esercitare un “governo” su entità politiche
sovrane ed indipendenti. Il sistema è, in altre parole, anarchico (nel senso
etimologico del termine) o meglio decentralizzato,
14
privo cioè di una singola
istanza di autorità a cui gli stati possano far riferimento e con cui possano
instaurare un rapporto di lealtà. Di conseguenza, l’unico possibile
comportamento risulta essere quello di posizionarsi, l’uno nei confronti
dell’altro, nuovamente e solo in termini di lotta per la sopravvivenza. Senza
arrivare ad affermare che il conflitto sia perpetuo, il Realismo lo vede come
molto probabile e sempre possibile, dal momento che gli stati sono costretti a
muoversi in un self-help system: uno spazio dove ogni unità deve assicurare in
modo autonomo la propria difesa. L’anarchia produce, infatti, un elevato
livello di incertezza nei rapporti tra le singole unità, innescando meccanismi di
naturale inimicizia tra queste e portandole ad agire secondo considerazioni
“egoiste”, per cui gli stati trovano garanzia di sopravvivenza solo attraverso le
proprie forze. Di fronte alla costante minaccia rappresentata dalla forza altrui,
l’unica certezza è rappresentata dalle proprie capacità individuali. Ogni azione
statale sarà quindi rivolta al loro miglioramento.
14
Glenn Hastedt (1997) parla a tal proposito di “anarchia ordinata”, dove cioè vi è sì
assenza di governo, ma non disordine e confusione: pur in assenza di leggi, si danno comunque
una serie di regole che prescrivono con un minimo di prevedibilità certi comportamenti. Si
preferisce così caratterizzare il sistema internazionale per la presenza di molteplici entità in una
costante possibile competizione violenta.
Il solo tipo di comportamento conveniente e possibile è l’azione
indipendente, unitaria e razionale, improntata al calcolo di costi e benefici e
all’adattamento delle risorse disponibili agli scopi, di cui è sempre possibile
stabilire una gerarchia. Il tal senso, la prima preoccupazione degli stati si
rivolge alla necessità di assicurarsi la propria sopravvivenza. Le interazioni tra
gli stati ed i risultati che si producono in definitiva sono determinati, secondo il
Realismo, solo dai rapporti di forza: le iniziative statali saranno dunque rivolte
ad accrescere il rispettivo potenziale militare, nella convinzione del ruolo
decisivo giocato da questo elemento nella lotta per l’esistenza.
15
Muovendo da questa serie di proposizioni condivise, ogni autore
elabora la propria particolare visione del conflitto e della cooperazione
all’interno del sistema internazionale, definendo nello specifico il ruolo che le
istituzioni internazionali possono arrivare a ricoprire. Dati i presupposti di
partenza, non stupisce vedere il filone realista piuttosto disinteressato al ruolo
ed all’azione delle OI, dal momento che la loro funzione è considerata
pressoché nulla. Si riconosce, e sarebbe difficile non farlo, l’esistenza delle
stesse nel panorama delle relazioni internazionali, ma le si giudica come meri
epifenomeni, semplici maschere che riflettono, dietro la facciata del
multilateralismo, gli interessi nazionali ed il potere degli stati più forti. Le
istituzioni internazionali, insomma, non sono attori significativi entro la
politica internazionale: create dagli stati, rifletteranno la gerarchia di potere
presente nel sistema internazionale, non riuscendo così a modificare le normali
caratteristiche delle interazioni tra le singole unità.
Tra i rappresentanti del primo realismo, Carr (1939) scrive e riflette sul
ruolo delle organizzazioni internazionali dopo aver visto da vicino il fallimento
della Società delle Nazioni. Più in particolare, Carr nota come, di fronte alle
azioni aggressive di Italia e Giappone, questa istituzione internazionale sia
incapace di agire e riportare la situazione all’interno della legalità stabilita
collettivamente. Secondo l’autore, ciò è dovuto alla mancanza di autonomia
15
Già Tucidide ci offre una chiara rappresentazione di questo quando, nel libro V, gli
ambasciatori Ateniesi affermano che “[…] la valutazione fondata sul diritto si pratica, nel
ragionare umano, solo quando si è su di una base di parità, mentre, se vi è disparità di forze, i
più forti esigono quanto è possibile ed i più deboli approvano”.
dell’organizzazione rispetto ai singoli stati membri: quando, di fronte alla
crescente opposizione delle potenze revisioniste,
16
per Francia e Gran
Bretagna, potenze conservatrici dello status quo, risulta politicamente troppo
costoso fornire appoggio all’organizzazione, la Società delle Nazioni manifesta
tutta la sua inefficacia. L’istituzione internazionale, insomma, può funzionare
solo se le potenze maggiori vi si impegnano, ma è certo che l’interesse di
queste verrà meno non appena riterranno poco vantaggiosi i risultati prodotti
dall’istituzione in questione.
Morgenthau (1960) definisce chiaramente la politica internazionale in
termini di lotta per il potere, in quanto proprio questo, cioè la “capacità di
esercitare controllo sui pensieri e le azioni di altri uomini”,
17
risulta essere
l’interesse perseguito da ogni entità statuale in ogni momento. Teorico della
tradizione della politica di potenza, Morgenthau legge le azioni dello stato
come sempre rivolte verso il potere quale obiettivo primario, che deve essere
costantemente dimostrato, mantenuto o ricercato. Se questa è l’essenza delle
relazioni internazionali, le OI vengono riconosciute come elementi presenti in
tale contesto, ma il loro ruolo non può andare oltre quello di semplici
istituzioni interstatali, con funzioni limitate. Le istituzioni internazionali non
possono, insomma, modificare in modo decisivo quelle che sono le normali
dinamiche di confronto tra le unità del sistema, né sono variabile capace di
determinare nuovi modi di gestione del potere e, in generale, di perseguimento
della pace. Causa di questo esito è, ancora, la natura del sistema internazionale.
Nonostante non sia spontanea, la cooperazione si presenta ugualmente come
una necessità per le singole unità statali, dal momento che permette loro il
raggiungimento di comuni interessi. Create appositamente per rispondere a tali
esigenze di collaborazione, le organizzazioni internazionali non possono
tuttavia stabilire quell’autorità centrale necessaria per costringere unità
indipendenti all’applicazione delle leggi e delle iniziative stabilite
collettivamente.
16
Si tratta di Italia, Germania e Giappone, desiderose di alterare l’assetto
internazionale in vista del perseguimento di acquisizioni territoriali.
17
Hans Morgenthau (1960), p. 32. L’autore offre qui una visione “relazionale” del
potere, secondo cui A agisce su B in modo tale da influenzare le azioni di quest’ultimo.
Proseguendo sulle tracce delineate da questi ed altri autori,
18
a partire
dalla fine degli anni Settanta, il Neo-Realismo tenta di superare le critiche
mosse al Realismo classico,
19
per elaborare una completa teoria della politica
internazionale. In particolare, per quanto riguarda il discorso sulle istituzioni
internazionali, si vuole rispondere alla sfida portata avanti dalle teorie
dell’integrazione e dell’interdipendenza.
20
In tale ottica, fondamentali risultano
le teorizzazioni prodotte da Kenneth Waltz e Joseph Grieco.
Nella sua analisi della politica internazionale, Waltz (1979) trova
risposta al ripetersi, nei rapporti tra stati, di alcuni comportamenti di fondo
facendo riferimento alla struttura del sistema internazionale. In un contesto
sistemico caratterizzato dall’anarchia e dall’ineguale distribuzione della
potenza, la cooperazione tra gli stati risulta essere estremamente difficile. Ogni
unità del sistema sarà infatti portata ad agire in base a considerazioni di
sicurezza ed in vista del mantenimento della propria posizione nel sistema. Le
istituzioni internazionali si troveranno a riflettere tale situazione. Di
conseguenza, lo spazio e la capacità di manovra delle OI saranno molto ridotti:
le istituzioni internazionali, strette tra le diverse entità statali, non possono
svincolarsi dal rapporto con quest’ultime, dal momento che la loro formazione
è resa possibile solo dagli stati dominanti nel sistema. In altre parole, se la
struttura delle relazioni internazionali si configura secondo una rigida gerarchia
tra stati indipendenti ed autonomi, è altamente improbabile che questo stesso
schema non si riproduca anche all’interno delle OI.
s
d
18
Nella sua rassegna sulla letteratura realista delle organizzazioni governative
internazionali, Archer fa riferimento a Schwarzenberger e Niebuhr.
19
Più che una teoria di politica internazionale, ovvero un insieme di proposizioni
generalizzabili ed esplicative della realtà empirica, il Realismo classico si presenta meglio
come una tradizione di pensiero, come una serie di concettualizzazioni non articolate
organicamente.
20
Contestando la capacità esplicativa del Realismo, tali teorie da una parte rilevano la
presenza di ambiti, altri rispetto a quelli di high politics, in cui la cooperazione risulta essere
maggiormente probabile, in quanto vantaggiosa per gli stati, dall’altra affermano un ruolo
determinante per attori internazionali diversi dallo stato. In particolare, si fa riferimento alle OI,
ai sindacati, alle imprese transazionali. Tra gli esponenti della teoria dell’integrazione si
ricordano Haas (1959), Mitrany (1966), Shmitter (1969). Teorici dell’interdipendenza sono
invece, Keohane e Nye (1972), Cooper (1972).