4
collocazione di tale strumento normativo all’interno del sistema delle fonti
del diritto. Successivamente viene proposto un confronto fra il potere
statutario regionale, disciplina già modificata con la legge costituzionale n.
1 del 1999, e il potere statutario degli enti locali, rapportando la diversa
disciplina prevista in ordine ai contenuti, ai limiti, al procedimento di
formazione e di collocazione nel sistema delle fonti.
All’elaborazione teorica, segue una breve ricostruzione dei principali
risultati conseguiti in seguito ad un sondaggio, effettuato presso alcuni
Comuni della Provincia di Teramo. Ciò al fine di verificare come le realtà
locali hanno operato per dare concreta attuazione al nuovo potere statutario
e quali sono ancora oggi le difficoltà che i comuni incontrano
nell’esercitare la loro autonomia.
5
CAPITOLO I
I RAPPORTI INTERISTITUZIONALI DELINEATI
DALLA RIFORMA DEL TITOLO V
I.1 Premessa
La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha apportato significative innovazioni
alle norme racchiuse nel titolo V della carta fondamentale, trasformando in
modo radicale il sistema amministrativo ed incidendo in profondità sulla
qualità del rapporto che intercorre tra lo Stato e gli altri enti su base
territoriale. Essa ha rappresentato un punto di arrivo di un percorso
evolutivo dell’assetto delle autonomie locali che era già stato avviato, a
livello di normazione primaria, dalla legge 142 del 1990. Quest’ultima è la
prima legge generale, che in attuazione dell’ormai abrogato art. 128 Cost.,
ha dettato i principi fondamentali in materia di autonomie locali, abrogando
gran parte, dell’ordinamento contenuto nel Testo Unico del 1934.
L’intera disciplina contenuta nella l. 142 ha attribuito una nuova fisionomia
a Comuni e Province, regolamentando per la prima volta, la potestà
statutaria.
6
Nel corso degli anni successivi, l’ordinamento degli enti locali ha subito un
processo evolutivo, che ha avuto le sue tappe fondamentali nelle cd. leggi
Bassanini, poi raccolte nel Testo Unico approvato con il d.lgs. 267 del
2000.
7
I.2 Il rapporto di continuità con i principi fondamentali contenuti
nell’articolo 5 della Costituzione
Con riferimento alle autonomie locali la riforma del Titolo V della
Costituzione rappresenta un'importante attuazione dei principi
fondamentali contenuti nell’articolo 5 della carta, perché crea una
soluzione di continuità con il modello ordinamentale previgente. Infatti con
la riforma del 2001 si costituzionalizzano i principi innovativi e si
configura un vero e proprio “sistema” delle autonomie locali. Tuttavia il
principio dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica continua a porre
un limite al riconoscimento delle autonomie locali ed alla previsione di una
norma di scopo relativa alla loro promozione tramite il più ampio
decentramento.
Il citato art. 5 dispone quanto segue: : “La Repubblica una e indivisibile,
riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono
dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e
i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento”.
Il decentramento amministrativo, prima della riforma, era posto a modello
organizzativo: lo stato decentrava le proprie competenze sia conservandone
l’amministrazione, cioè servendosi di uffici periferici, sia delegando
8
funzioni amministrative statali alle Regioni, sia, infine, determinando con
la legge le competenze e le funzioni di interesse locale da attribuire a
Comuni e Province
1
.
Le espressioni “riconosce e promuove”, di cui al suddetto art. 5 sono le
stesse utilizzate per i diritti inviolabili dell’uomo. Ciò indica una tutela di
realtà che preesistono allo Stato e che rappresentano per il cittadino il
primo luogo di appartenenza ad una comunità territoriale. Con tale articolo
il costituente ha voluto rilevare che l’assetto delle autonomie locali,
delineato dalla carta fondamentale, rappresenta un punto di partenza verso
sviluppi ulteriori e l’individuazione di soluzioni istituzionali da adattare,
nella maniera migliore possibile (anche in relazione alle mutevoli
condizioni economiche, sociali, culturali, del nostro Paese), alle diverse
esigenze collegate alla proclamazione dell’unità e dell’indivisibilità della
Repubblica ed alla valorizzazione dell’autonomia e del decentramento.
I.2.1 L’assetto policentrico della Repubblica
La riforma, insieme all’articolo 5, sancisce definitivamente l’assetto
policentrico della Repubblica e un modo nuovo di coniugare l’unità del
sistema e il ruolo delle autonomie.
1
Con la prima legge delega n .150/1953 e con i successivi decreti delegati vengono attribuite a Province e
Comuni alcune competenze esercitate fino allora da organi decentrati delle amministrazioni statali.
9
Tale affermazione viene giustificata dalla nuova formulazione dell’articolo
114 della Costituzione, che ha modificato in profondità il testo previgente.
Articolo 114 della Costituzione, nuovo testo: “La Repubblica è costituita
dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni, dallo
Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti
autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati
dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica, la legge dello Stato disciplina il suo
ordinamento”.
Articolo 114, testo previgente: “La Repubblica si riparte in Regioni,
Province e Comuni”.
Secondo la nuova disposizione la Repubblica non "si riparte in"h bensì "è
costituita", oltre che da Regioni, Province e Comuni, dallo Stato e dalle
Città metropolitane. La pluralità di enti che costituiscono la Repubblica è
posta secondo un ordine non gerarchico e la stessa inclusione dello Stato
nell’articolo 114 mostra la volontà del legislatore costituente di superare la
passata identificazione dello Stato con la Repubblica stessa e di farlo
concorrere, al pari degli atri enti (ai quali si aggiungono in Costituzione per
10
la prima volta le Città metropolitane
2
) nella composizione della
Repubblica. Al modello gerarchico-piramidale si sostituisce quello di
natura policentrica (o a "rete"), ispirata alle moderne realtà del multilevel
costitutionalism
3
. L’adesione a nuovi processi di multilevel appare più
evidente qualora si confronti il testo previgente con la nuova formulazione
dell’art. 114 Cost., in base al quale era lo Stato, in quanto entità che si
identifica con la Repubblica, a ripartirsi in comuni e regioni.
Il linguaggio adoperato dai costituenti del 1947 delineava una visione
gerarchica degli ordinamenti. Ciò emergeva dalla circostanza che le regioni
e gli enti locali venivano qualificati quali elementi costitutivi dello Stato
nazionale. Pertanto oggi, come accennato sopra, si delinea un sistema
interistituzionale "a rete" secondo il quale tanto lo Stato, quanto gli altri
livelli istituzionali sono, nella loro autonoma organizzazione, normativa e
politica, elementi costitutivi della Repubblica italiana
4
. Tale osservazione
trova giustificazione nell’articolo 114, 1° comma della Cost., la quale
2
La costituzionalizzazione delle città metropolitane, tipologia di ente introdotta nel nostro ordinamento
fin dal 1990, al capo VI della l. 142/1990, non era stata prevista nel testo del progetto elaborato dalla
Commissione Bicamerale che, per il resto, era identico rispetto all’attuale comma 1 dell’art. 114.
3
Multilevel constitutionalism: concetto introdotto da Ingolf Pernice (professore all’istituto di diritto
costituzionale europeo Walter Hallstein dell’università Humboldt di Berlino) nel dibattito europeo sin dal
1995, secondo tale prospettiva nell’ottica di una costituzione multilivello, tra ambito nazionale e
comunitario, non sussistono gerarchia e competenza, bensì distribuzione funzionale dei poteri e necessità
di cooperazione tra coloro che ne sono investiti; le Autorità europee e nazionali sono interdipendenti e le
istituzioni strettamente “intrecciate”.
4
Sul punto si v .M. OLIVETTI, Lo stato policentrico delle autonomie (art. 114, 1° comma), in TANIA
GROPPI, MARCO OLIVETTI (a cura di), La repubblica delle autonomie (Regioni ed Enti locali nel
nuovo titolo V), Torino, Giappichelli, 2001, pp. 40 ss.
11
riprende pressoché alla lettera l’articolo 55
5
del progetto della
Commissione bicamerale della XIII legislatura. Nonostante il nuovo
articolo 114 comma 1, non costituisca una novità originale "inventata"
dalla legge cost. n. 3/2001, esso è una delle disposizioni di più difficile
interpretazione fra quelle introdotte nella legge fondamentale. L’idea che il
comma 1 di tale articolo vuole diffondere è infatti quella di una statualità
che nasce dal basso, dal livello di governo "più vicino al cittadino" (il
comune) e si svolge progressivamente in enti territoriali di maggiori
dimensioni, disposti con cerchi concentrici
6
.
Dai lavori preparatori, in relazione all’articolo in esame, emerge l’
esclusione di una qualificazione in senso federale dell’ordinamento
repubblicano, come in un primo momento si era pensato di fare con il
disegno di legge costituzionale n. 5830, presentato alla Camera dei
Deputati, il 18 marzo 1999, dal Presidente del Consiglio dei ministri
(D’Alema) e dal Ministro per le riforme istituzionali (Amato) e come
risultava ancora dal testo unificato dalla Commissione dell’11 novembre
5
Articolo 55 del Progetto di legge costituzionale: “Revisione della Parte seconda della Costituzione”
licenziato dalla Commissione bicamerale il 4 novembre 1997, enunciava:
La repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province e le Regioni sono enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi
fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica
6
La disposizione degli enti come cerchi concentrici di dimensioni via via maggiori non vale, però, per le
città metropolitane. V. al riguardo NICOLA VIZIOLI, Le città metropolitane e Roma capitale, ivi p. 221
12
1999 (relatori Soda e Cerulli Irelli
7
).
Da questo punto di vista, è possibile ravvisare nell’art. 114, 1° comma, la
vera “carta d’identità” del nuovo sistema costituzionale delle autonomie
territoriali. Fondamentalmente da esso risulta evidente che a differenza dei
sistemi federali, non c’è contrapposizione tra i due livelli di governo
(quello statale e quello federale) fra i quali vengono ripartite le funzioni
pubbliche (legislative, amministrative, giurisdizionali) e in cui il livello
degli enti locali ha rilievo solo come articolazione interna dello Stato
membro. L’art. 114 comma 1 pone sullo stesso piano l’ente territoriale
sovrano e una pluralità di enti territoriali autonomi, senza comunque
escludere le differenze di competenza. Negli ordinamenti federali, il
carattere costitutivo, rispetto alla Federazione, degli Stati membri o di
forme corrispondenti, come i Länder o i Cantoni, ha un carattere storico,
soprattutto se si tratta di Stati federali formatisi per aggregazione di
preesistenti entità statuali.
Nel caso della revisione costituzionale italiana l’impiego del concetto di
costituzione dell’ordinamento generale, la Repubblica, appare poco
convincente; appare, realmente paradossale che le Regioni, le Province,
persino le Città metropolitane, che ancora non esistono, e i Comuni, anche
7
Tutte e due i disegni di legge prevedevano un art. 1, per il quale "la rubrica del Titolo V della parte
seconda della Costituzione è sostituita dalla seguente: ‹‹Titolo V – Ordinamento federale della
Repubblica"››
13
quelli più piccoli e remoti, possano essere il fondamento della Repubblica
8
.
Detti enti, non solo mancherebbero del requisito della statualità, per cui ben
difficilmente avrebbero la capacità costitutiva di un ordinamento più
generale, ma soprattutto non potrebbero rivendicare dal punto di vista
dell’ordinamento neppure una preesistenza, trovando essi stessi solo
all’interno della Repubblica (già costituita) la possibilità della loro
organizzazione
9
.
In riguardo a quanto detto, più puntuale sarebbe stata una definizione
analoga a quella contenuta nella Costituzione spagnola del 1978, in cui
dopo aver affermato l’unità indissolubile della Nazione spagnola (art. 2), si
dichiara che ‹‹el Estrado se organiza territorialmente en municipios, en
provincias y en las Comunidades Autonomas que se costituyan›› (art 137) e
dove quest’ultima espressione sta ad indicare nuovamente il processo attivo
di formazione di dette entità. Difatti, l’articolo 2 di detta Costituzione tenta
di contemperare il principio dell’unità nazionale con il riconoscimento
delle autonomie, laddove, accanto all’‹‹unità indissolubile della Nazione
spagnola››, riconosce e garantisce ‹‹il diritto all’autonomia delle nazionalità
e delle regioni che la compongono››. Le modalità per l’ottenimento di tale
autonomia sono indicate innanzitutto all’articolo 143, che prevede per ‹‹le
8
STELIO MANGIAMELI, La riforma del regionalismo italiano, Giappichelli, 2002, capitolo VIII, p.
241
9
CARLO ESPOSITO, Autonomie locali e decentramento nell’art. 5 della Costituzione, in La
Costituzione italiana.
14
Province limitrofe con caratteristiche storiche, culturali, ed economiche
comuni, i territori insulari e le Province d’importanza regionale storica››, la
possibilità di accedere all’autogoverno costituendosi in comunità
autonome, con propri statuti che richiedono l’approvazione del parlamento
(Cortes) e che devono contenere, tra l’altro, la definizione
dell’organizzazione istituzionale nonché le competenze assunte dalla
comunità autonoma
10
.
Quindi, a differenza dei sistemi federali, il modello italiano non ha inteso
porre in contrapposizione due soli livelli di governo (statale e federale, fra i
quali – negli ordinamenti federali, appunto – vengono ripartite le funzioni
legislative, amministrative e giurisdizionali ed ove gli enti locali hanno
rilievo solo come articolazione interne degli stati membri), ma "pone sullo
stesso piano l’ente territoriale sovrano e una pluralità di enti autonomi,
elencandoli, inoltre, a partire da quello più vicino al cittadino, il Comune".
Questo è l’esempio che la riforma realizza un sistema policentrico e non
semplicemente bipolare (Federazione – Stato-membro o Stato-regione), nel
quale la Regione è l’ente a competenza generale per la legislazione ed il
Comune è l’ente a competenza generale per l’amministrazione.
10
SOFIA VENTURA, Il federalismo, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 98