INTRODUZIONE
In questo periodo, come già è accaduto in altre fasi storiche del nostro
ordinamento, si sta assistendo ad un rinnovo dell‟interesse per il potere
sostitutivo, che pure in altri momenti è apparso come una figura teorica superata e
destinata ad una progressiva marginalizzazione.
Le cause di questo atteggiamento altalenante non stanno nella natura
dell‟istituto o nella configurazione ad esso attribuita, che è rimasta più o meno la
stessa dai primi decenni del secolo scorso, quando lo si è cominciato a studiare.
Piuttosto, tali cause vanno ricercate nelle modifiche intervenute nell‟assetto
istituzionale all‟interno del quale il potere sostitutivo viene esercitato, la cui
configurazione ha sempre contribuito in modo significativo a determinare il ruolo
e la rilevanza di tale potere.
Quello che colpisce, in tutto questo, è proprio la duttilità che pare essere
propria del potere sostitutivo, quale strumento che pur rimanendo invariato nei
suoi caratteri essenziali è in grado di adattarsi all‟interno di assetti istituzionali
molto differenti, in cui esso vede variare la propria rilevanza, ma continua a
caratterizzarsi soprattutto per la “forza centripeta” che è in grado di esercitare.
Il suo modo di esplicarsi è considerato sempre lo stesso, quello che vede una
figura organizzativa sovraordinata intervenire al posto di un‟altra in virtù della sua
superiorità gerarchica o funzionale, allo scopo di porre rimedio agli effetti
negativi che l‟inerzia del subordinato può produrre per il perseguimento
dell‟interesse generale.
La sua funzione è pure considerata sempre la stessa, quella di ricondurre verso
il centro e/o verso il vertice dell‟amministrazione quelle spinte centrifughe e
quegli atteggiamenti “ostruzionistici” che se non adeguatamente bilanciati
rischiano di operare come rilevanti fattori di squilibrio per l‟assetto
dell‟organizzazione amministrativa e in generale per l‟assetto istituzionale dei
pubblici poteri.
4
D‟altra parte, il processo di valorizzazione delle Regioni e degli altri enti
territoriali ha conosciuto negli ultimi anni un‟accelerazione che ha investito le
relazioni di questi ultimi sia con le autorità statali, sia con le Istituzioni
comunitarie. In questo processo, la tappa più significativa è rappresentata dalla
modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, nella quale è stato inserito
un espresso riferimento all‟Unione Europea, e sono stati presi in considerazione i
vari aspetti del fenomeno comunitario che coinvolgono gli Enti territoriali che
costituiscono la Repubblica.
Sotto questo profilo, assume rilievo quanto è previsto dal novellato art. 117
Cost. La norma in oggetto ripartisce i poteri legislativi ordinari tra lo Stato e le
Regioni, prescrivendo che spetta a queste ultime la potestà legislativa in tutte le
materie nelle quali la Costituzione non preveda una potestà legislativa statale. In
linea di principio, lo Stato ha perciò potestà legislativa soltanto nelle materie nelle
quali tale potestà è espressamente riconosciuta ad esso, mentre le Regioni hanno
potestà legislativa esclusiva o concorrente in tutte le altre materie. La medesima
norma disciplina anche i poteri regolamentari assegnando allo Stato la relativa
potestà esclusivamente nelle materie che appartengono alla sua competenza
legislativa esclusiva, e la affida alle Regioni in tutte le altre materie.
Al riconoscimento del ruolo delle Regioni in merito all‟attuazione e
all‟esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell‟Unione europea, si
affianca la previsione del potere sostitutivo dello Stato ex art. 117, comma 5, Cost.
per il caso di inadempienza di queste ultime in relazione alle competenze
legislative ad esse attribuite e la previsione di un generale potere attribuito al
Governo ex art. 120, comma 2, Cost. di sostituirsi ad organi delle Regioni, delle
Città metropolitane, delle Province e dei Comuni, che opera anche nel caso di
mancato rispetto della normativa comunitaria e delle norme e dei Trattati
internazionali.
Si tratta di novità di assoluto rilievo dal momento che, prima della riforma del
Titolo V, Parte II, della Costituzione, i poteri sostitutivi avevano trovato una
disciplina organica e di applicazione generale soltanto nella legislazione statale di
riforma delle autonomie territoriali (L. n. 59 del 1997 e D.Lgs. n. 112 del 1998),
5
che però era stata costretta a muoversi nei limiti angusti tracciati dalla
Costituzione del 1948.
La previsione costituzionale del potere sostitutivo ha avuto come primo effetto
quello di superare i numerosi dubbi di legittimità costituzionale sulla conformità
alla Costituzione, che, in assenza di una norma costituzionale espressa, erano stati
invece sollevati nei confronti delle numerose leggi statali intervenute in materia.
Tali dubbi avevano costretto la Corte costituzionale a pronunciarsi più volte sulla
materia, nel tentativo di colmare le lacune presenti nell‟ordinamento giuridico, e
ricondurre tale potere nei limiti impliciti tracciati dalla nostra Costituzione. Infatti,
secondo l‟argomento invocato con maggiore frequenza in dottrina e dalle Regioni
ricorrenti, soltanto una norma di rango costituzionale avrebbe potuto giustificare,
sul piano dell‟ordinamento giuridico, l‟intervento dello Stato nella sfera di
autonomia legislativa ed amministrativa costituzionalmente riconosciuta e
garantita delle Regioni e degli altri Enti locali.
L‟esigenza di un‟adeguata copertura costituzionale deriva dalla consapevolezza
che i poteri sostitutivi attengono alle relazioni tra Enti a rilevanza costituzionale, e
devono perciò trovare il loro fondamento e i loro limiti all‟interno della
Costituzione, dal momento che da un uso distorto di essi potrebbe derivare
un‟alterazione irreversibile di queste relazioni, con un possibile riaccentramento
dei poteri in capo allo Stato.
A quanto detto si aggiunga il fatto che il ruolo dei poteri sostitutivi è destinato
a crescere a seguito dell‟abrogazione della previsione costituzionale relativa ai
controlli preventivi sulle leggi regionali e dell‟abrogazione delle norme sui
controlli preventivi e successivi sugli atti amministrativi regionali e degli Enti
locali e sulla funzione di indirizzo e coordinamento. Si può infatti sostenere che, a
seguito di queste modifiche, i poteri sostitutivi siano diventati il principale
strumento che le autorità centrali hanno a disposizione per intervenire sulle
attività degli Enti a rilevanza costituzionale. E‟ perciò necessario che essi si
muovano rigorosamente nei limiti (per la verità, tutt‟altro che certi) tracciati dalle
norme costituzionali e dalle leggi statali che vi hanno dato attuazione al fine di
evitare che, da rimedi temporanei ed eccezionali alle inerzie delle Regioni e degli
6
Enti locali, si trasformino in meccanismi di decisione alternativa in mano allo
Stato, o addirittura, al Governo.
Da ultimo, è bene precisare che, nel quadro di una riforma che valorizza il
ruolo delle Regioni e degli altri Enti locali, assegnando loro nuove e più ampie
competenze legislative ad amministrative, i poteri sostitutivi sembrano destinati
nel tempo a perdere il carattere di manifestazione di supremazia delle autorità
centrali rispetto agli altri livelli di governo territoriale, per rafforzare la loro
vocazione collaborativa, di strumenti di garanzia della tenuta complessiva di un
ordinamento giuridico articolato e strutturato su più livelli.
Il primo capitolo ha carattere generale e preparatorio, in quanto finalizzato a
delineare il contesto nel quale si muove la trattazione dell‟istituto del potere
sostitutivo. In esso è stata svolta una ricognizione avente come oggetto la
trasformazione dello Stato, da unitario a federale, e la conseguente affermazione
delle autonomie territoriali.
In questa prospettiva, una relazione del tutto speciale sembra legare insieme il
conferimento di funzioni e compiti amministrativi a Regioni ed Enti locali, e la
riforma dell‟organizzazione amministrativa dello Governo.
Alla base di tale processo riformatore vi è il definitivo superamento della
distinzione tra rami alti e rami bassi del sistema istituzionale e la consapevolezza
del valore «costituzionale» dell‟amministrazione, intesa nello stesso tempo come
strumento indispensabile per la tempestiva assunzione della decisione politica e
come complessivo di servizi, al quale è affidata la concreta soddisfazione dei
diritti garantiti ai cittadini dalla Carta costituzionale.
In sostanza, mentre nel quadro costituzionale precedente alla riforma, al centro
del sistema stava l‟uniformità dell‟ordinamento garantita dalla Costituzione e
dallo Stato, e le differenze conseguenti all‟articolazione regionale e locale si
ponevano come elementi marginali se non eccezionali, ora al centro del sistema si
pone l‟esaltazione della pluralità e della differenziazione dell‟ordinamento legate
alla molteplicità dei livelli decisionali.
Il secondo e il terzo capitolo confrontano l‟istituto prima e dopo la riforma del
Titolo V della Costituzione, per opera della legge costituzionale n. 3/2001.
7
Nel secondo capitolo, in particolare, dopo un breve excursus storico, si prende
in considerazione lo sviluppo dell‟istituto in esame, dalle origini, prima della
nascita delle Regioni, quando era espressione di potere di Commissari e Prefetti,
fino ad arrivare alla prima disciplina organica con il d.lgs. n. 112 del 31 marzo
1998, il cui art. 5 individua uno strumento di garanzia che consente di porre
rimedio ai fenomeni di inerzia che possono verificarsi in seguito all‟ampio
conferimento di funzioni amministrative alle Regioni e agli Enti locali, operato
dal decreto in parola e dalla convinzione che il decentramento amministrativo,
avviato dalla legge n. 59 del 15 marzo 1997, non possa essere compiutamente
realizzato se non si individuano alcune “clausole generali di salvaguardia”.
Nel terzo capitolo, infine, si osserva il potere sostitutivo alla luce
dell‟intervenuta riforma del Titolo V della Costituzione. In particolare, si è posto
l‟accento sul dato che l‟istituto in oggetto si colloca, oggi, in un ambito in cui le
relazioni tra i poteri pubblici non sono più articolate prevalentemente in senso
piramidale, verticale e gerarchico ma piuttosto in senso reticolare, orizzontale e
paritario, definendo quindi in modo diverso i rapporti tra sostituto e sostituito.
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PREMESSA
Il principio generale di autonomia
Il concetto di autonomia sta ad indicare «la libertà di determinazione consentita ad
un soggetto, esplicantesi nel potere di darsi una legge regolativa della propria azione,
o, più comprensivamente, la potestà di provvedere alla cura di interessi propri e
quindi di godere e di disporre dei mezzi necessari per ottenere un‟armonica e
coordinata soddisfazione degli interessi medesimi».
Sembra, ad ogni modo, che i concetti di autonomia possano ricondursi
essenzialmente a tre:
a) autonomia normativa, intesa come « potestà attribuita in ordinamenti
giuridici statali ad enti diversi dallo Stato di emanare norme costitutive dello
stesso ordinamento giuridico statale»; in questo senso, Regioni, Province e
Comuni sono «enti autonomi», anche se non sono gli unici soggetti dotati di
autonomia normativa;
b) autonomia organizzativa, che caratterizza la situazione giuridica di
(relativa) indipendenza propria di alcune figure soggette rispetto ad altre figure
soggettive omogenee, nel senso che le prime godono di un regime giuridico
parzialmente diverso da quello cui sono assoggettate le seconde;
c) autonomia politica, intesa come potere di alcuni enti di darsi un
indirizzo politico diverso da quello dello Stato.
Quanto all‟autonomia finanziaria, essa non costituisce una figura a sé, ma sta ad
indicare una qualità dell‟autonomia organizzatoria, vale adire la autosufficienza di
alcuni soggetti per quanto riguarda la provvista dei mezzi finanziari necessari allo
1
svolgimento delle loro attività.
Il principio di autonomia trova la sua implicita affermazione nell‟art. 5 Cost.
laddove si afferma che “ La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
1
T. Martines, Diritto costituzionale, (editio di) G. Silvestri, Milano, Giuffrè, 2006, 434.
9
decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell‟autonomia e del decentramento”. In questi termini, il Costituente
ha voluto collocare tra i principi fondamentali il principio autonomistico, come parte
integrante, dunque, della caratterizzazione costituzionale della Repubblica italiana.
La proclamazione dell‟autonomia implica fondamentalmente il riconoscimento a
Comuni e Province, enti esponenziali di collettività territoriali, di potestà pubbliche
nel perseguimento di finalità e di interessi propri delle rispettive collettività, secondo
un proprio indirizzo politico-amministrativo, distinto e relativamente indipendente da
2
quello statale.
Con la Costituzione repubblicana, per la prima volta nella storia politica e
giuridica italiana, l‟assetto autonomistico dei poteri territoriali diviene carattere
qualificante l‟ordinamento pluralistico.
Il paradigma dominante il sistema amministrativo italiano, fondato sull‟idea che
solo attraverso l‟uniformità garantita dalla legge si potesse conservare l‟unità, viene
sostituito da un concetto assolutamente nuovo: «acquista valore l‟idea fondata sul
fatto che la società si amministra mediante strutture adatte ai vari livelli e ai vari
3
gruppi sociali, le quali obbediscono a comuni regole di condotta e di linguaggio».
La Costituzione, oltre che all‟art. 5, richiama in diverse parti la nozione di
autonomia:
a) all‟art. 33 Cost., ove si riconosce alle istituzioni di alta cultura, alle
Università ed accademie il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti
stabiliti da leggi dello Stato;
b) all‟art. 104 Cost., cui si afferma che la magistratura costituisce un
ordine autonomo ed indipendente ad ogni altro potere;
c) all‟art. 114 Cost., secondo il quale i Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni si qualificano come enti autonomi con poteri e
funzioni fissati dalla Costituzione;
Dalla lettura di queste disposizioni si ricava la convinzione che la Costituzione
non abbia inteso riferirsi ad una nozione unitaria di autonomia e, soprattutto, che si
2
L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, Bologna, Manuali Il Mulino, 2006, 22.
3
C. Calvieri, Stato regionale in trasformazione: il modello autonomistico italiano, Torino,
Giappichelli, 2002, 7.
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sia astenuta dal fornire una definizione generale che consenta di enucleare i suoi
contenuti strutturali. La Costituzione, in altri termini, ci presenta una figura
poliedrica, che varia in ragione della posizione istituzionale dell‟ente ovvero del
settore e del profilo di attività giuridica cui attiene: si tratta, cioè, di un concetto di
relazione (definibile soltanto sulla base della concreta determinazione delle funzioni
e del riparto delle competenze) e dai contenuti non assoluti (variabili alla luce delle
limitazioni poste dalle diverse fonti).
E‟ evidente, poi, che l‟ampiezza e le caratteristiche dell‟autonomia variano in
ragione degli strumenti e degli istituti che l‟ordinamento ha, nelle, diverse fattispecie,
previsto. Ad esempio, l‟autonomia delle Regioni, dei Comuni e delle Province è
maggiormente garantita dal momento che trova il suo riferimento essenziale
direttamente nel testo della Costituzione, laddove quella degli altri Enti locali è
demandata alle leggi dello Stato.
Gli studi in materia di autonomia degli enti politici decentrati sono fortemente
tributari, sotto il profilo definitorio, dei risultati dogmatici a cui è pervenuta la
scienza amministrativa, grazie agli apporti di alcuni dei suoi indiscussi maestri.
La preminenza dell‟approccio amministrativistico risale e si afferma nella prima
metà del secolo; ma si è consolidato anche nella seconda metà del secolo ventesimo.
Nel primo caso l‟influenza appare, invero, ampiamente giustificata sia dal fatto che,
agli inizi del secolo, gli studi di diritto costituzionale presentavano un‟eccessiva
commistione con la politica, la filosofia e la deontologia, il che rendeva incerto il
loro inserimento a pieno titolo tra la scienza giuridica; sia della circostanza che lo
Statuto Albertino non conteneva alcuna disposizione in tema di organizzazione degli
Enti locali, né faceva riferimento alla figura dell‟autonomia.
Meno giustificabile appare, invece, la mancanza di una prospettiva specificamente
costituzionale negli studi successivi all‟entrata in vigore della Costituzione, qualora
si consideri che il nostro documento costituzionale non solo richiama in numerose
disposizioni relative all‟organizzazione pubblica la nozione di autonomia, ma ha
anche inserito l‟autonomia degli enti politici decentrati tra i principi fondamentali,
qualificanti la nostra forma repubblicana (art. 5 Cost.).
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Tra le ragioni che possono essere individuate vanno prioritariamente indicate
quelle riconducibili all‟influenza esercitata dalle teorie statualistiche, cioè, alla
rilevanza delle impostazioni che riconoscono allo stato una posizione di preminenza,
in quanto unico ente titolare dell‟esercizio della sovranità.
Un‟altra motivazione può essere ricercata nei principi che stanno alla base dello
stato liberale di diritto, inteso nella sua dimensione di stato legislativo: in particolare,
in quelle posizioni che, da un lato, affermano la supremazia della legge
sull‟amministrazione e, dall‟altro, ribadiscono il carattere necessariamente unitario
dell‟amministrazione in quanto corpo omogeneamente rivolto alla specificazione
della volontà generale espressa dal legislatore.
Il primo profilo induce a sostenere che tutti i poteri debbono trovare il proprio
fondamento nella legge: per cui essi possono manifestarsi soltanto entro i confini e
secondo i modi e le regole determinati dalla legge.
La natura sostanzialmente unitaria dell‟amministrazione, a sua volta, postula che
tutti i suoi atti siano coerenti con la volontà generale dello Stato, non potendosi ad
essa contrapporre.
Nonostante la profondità delle trasformazioni intervenute nella definizione delle
relazioni tra la sovranità ed il territorio, tali criteri hanno a lungo continuato ad
orientare l‟atteggiamento del legislatore e di ampi settori della dottrina. Se, per un
verso, non sussistono più remore a riconoscere che l‟autonomia presuppone la
possibilità di perseguire finalità proprie; per un altro verso, permane la convinzione
che la legge sia la fonte legittimante i poteri dei soggetti autonomi, nel senso che
dipendono da essa l‟oggetto, i modi di manifestazione e i limiti dell‟autonomia.
Ne consegue che l‟autonomia, invece di rappresentare un limite alla
discrezionalità del legislatore, tende ad essere considerata – piuttosto – un oggetto
dell‟azione legislativa: diventando una limitazione che la legge impone a se stessa;
non si sarebbe tanto di fronte ad un limite per la legge, quanto all‟espressione di un
potere discrezionale attraverso il quale tale fonte si autolimita.
Ma se così fosse, il principio di autonomia – per quanto costituzionalizzato –
rimarrebbe privo di una sostanziale garanzia costituzionale, riducendosi ad essere
una “pagina bianca”, sulla quale il legislatore può modulare, con ampi margini di
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discrezionalità, le attribuzioni delle autonomie territoriali sia sul versante delle
competenze che in ordine alla determinazione dei loro poteri organizzatori.
In una prospettiva parzialmente nuova si colloca la legge costituzionale n. 3/01, la
quale – a differenza del precedente testo della Costituzione – offre una diretta
garanzia costituzionale della autonomia dei Comuni e delle Province (art. 114 Cost.).
La non piena innovatività di tale disposizione consiste nel fatto che in realtà il
testo della Costituzione non ha codificato significativi principi sull‟autonomia degli
Enti locali territoriali – riproducendo uno status differenziato rispetto alle Regioni -, i
quali dovranno in buona misura essere ricavati dalla legislazione statale e regionale
in materia.
Il principio di autonomia presuppone anche il superamento del principio di
omogeneità e di uniformità, con il conseguente riconoscimento che ciascun ente
regionale o locale possiede una specifica individualità.
La normativa più recente – innovando rispetto al passato – ha ammesso il
principio di differenziazione, il quale è stato costituzionalizzato all‟art. 118 Cost. (Le
funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurare
l‟esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza). A sua volta,
l‟art. 4 della legge 59/97 ha qualificato il principio di differenziazione disponendo
che nell‟allocazione delle funzioni tra i diversi livelli istituzionali in cui si articola la
Repubblica si debbono considerare le diverse caratteristiche, anche associative,
demografiche, territoriali e strumentali degli enti.
Il nucleo qualificante la nozione costituzionale di autonomia consta di elementi,
che ciascun ordinamento il quale si ispira al principio di autonomia può diversamente
organizzare e modulare, ma non può pretermettere, pena negare il carattere
autonomistico del sistema.
In primo luogo, l‟autonomia presuppone l‟esistenza di un effettivo potere
dispositivo circa i contenuti ed i caratteri della propria autonomia. In secondo luogo,
autonomia è anche partecipazione alla definizione delle regole fondamentali
dell‟ordinamento generale e concorso alla determinazione dei principi comuni su cui
si fonda il carattere unitario di un ordinamento. Infine, la autonomia è tale se il
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soggetto che gode di tale status è dotato di efficaci strumenti rivolti alla tutela dei
propri ambiti di competenza.
Il potere di disporre di un‟effettiva autonomia nella definizione dei caratteri
dell‟ordinamento della comunità che si rappresenta si manifesta in diversi ambiti e
può possedere un‟intensità diversa. Tuttavia, i principali profili in cui tale potere si
articola sono essenzialmente costituiti da: a) la possibilità di individuare la comunità
di riferimento attraverso la competenza a determinare i confini del proprio territorio.
In proposito, la normativa italiana non ha attribuito né alle Regioni, né agli Enti
locali territoriali il potere istitutivo, ma di revisione e di modifica degli ambiti
territoriali fissati dalla Costituzione e dalla legge; b) l‟esercizio di una potestà
statutaria. Nella sua accezione più ampia, l‟autonomia statutaria implica la
competenza a determinare autonomamente la propria forma di governo,
l‟organizzazione preposta ai procedimenti di decisione politica, la distribuzione delle
competenze tra gli stessi. In una prospettiva più ridotta – quale è quella che emerge
dal decreto legislativo n. 267/00 in materia di ordinamento di Comuni e Province -,
invece, l‟autonomia statutaria si limita a determinare l‟organizzazione degli uffici ed
a conferire attuazione ai principi che la legge dello stato ha posto alla forma di
governo.
In base al principio partecipativo – che costituisce un ulteriore elemento che
connota i sistemi costituzionali che si ispirano al principio di autonomia – agli Enti
locali territoriali deve essere garantita un‟effettiva partecipazione alla definizione dei
principi e delle norme suscettibili di fungere da parametro nella ripartizione delle
rispettive sfere di attribuzione. Tale principio rappresenta una specificazione del più
generale criterio di leale collaborazione, che – secondo il testo costituzionale – deve
informare le relazioni tra i diversi livelli istituzionali. A livello costituzionale, esso si
manifesta essenzialmente sotto forma di concorso al procedimento di revisione o di
approvazione di una nuova Costituzione.
Un altro elemento qualificante la nozione costituzionale di autonomia è
rappresentato dalla possibilità di difenderne il nucleo essenziale anche nei confronti
del legislatore medesimo. Al riguardo si è lamentata l‟assenza nel nostro
ordinamento di efficaci forme per Comuni e Province di accesso alla Corte
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Costituzionale avverso leggi (statali e regionali) ritenute lesive dell‟autonomia
costituzionale garantita dagli artt. 5 e 114 Cost.
Le Regioni possono sia promuovere una questione di legittimità costituzionale
avverso una legge o atto avente forza di legge dello Stato o di altra Regione, sia
sollevare un conflitto di attribuzione contro atti non legislativi che siano ritenuti
lesivi della propria sfera di competenza.
Gli strumenti, invece, di cui dispongono gli Enti locali sono essenzialmente due:
a) il potere di sollevare, in quanto parti di un giudizio, una questione di legittimità
costituzionale di fronte al giudice, affinché esso, se ricorrono le condizioni, la
trasmetta alla Corte costituzionale; b) la facoltà di partecipare, in qualità di parti, ad
un processo costituzionale già instaurato.
La Costituzione italiana ha optato, come emerge dall‟art. 5 Cost., per una forma di
stato unitaria a base regionale. Il carattere unitario dello Stato può essere inteso
secondo una duplice eccezione: in primo luogo, nel suo significato politico-
istituzionale, come garanzia affinché l‟ordinamento italiano non venga minacciato da
tendenze separatistiche e sia preservato nei caratteri originari con cui si è
storicamente realizzato. In questo senso, l‟unità assolve ad una funzione garantistica,
proponendosi di evitare che vada perduta l‟unità politica raggiunta, che il pluralismo
degeneri in separazione istituzionale; in secondo luogo, in un significato più
propriamente giuridico-ordinamentale, la codificazione del principio unitario suona
come riaffermazione dell‟esigenza che tutte le articolazioni del sistema concorrono al
perseguimento dell‟interesse nazionale, o meglio degli obiettivi costituzionali
ispirandosi a comuni valori.
L‟attenzione per le esigenze unitarie non si deve, però, tradurre in una
svalutazione e compressione del principio autonomistico. Non pare, quindi,
accoglibile un‟impostazione che ritenga di far discendere dalla formula letterale
dell‟art. 5 Cost. la conseguenza che l‟autorità centrale ha il potere di imporre agli enti
dotati di autonomia costituzionale di uniformarsi all‟indirizzo politico di governo
ovvero di organizzarsi in modo omogeneo ed esercitare uniformemente le funzioni
loro attribuite.
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Gli interessi nazionali non si identificano necessariamente con quelli individuati
dalla maggioranza parlamentare o da altri poteri dello Stato apparato; vanno,
piuttosto, ricercati tra i principi politici comuni che formano il sostrato su cui poggia
il nostro assetto costituzionale. In definitiva, si è dell‟avviso che l‟unità della
Repubblica presupponga più l‟azione concorde di una molteplicità di soggetti volta al
conseguimento di scopi individuati dalla Carta Costituzionale, che l‟accentramento
in una sola autorità centrale della potestà di indirizzo politico.
Secondo questa interpretazione, l‟art. 5 Cost. conferma la piena compatibilità tra
la natura unitaria dello Stato ed il carattere autonomistico della sua articolazione
4
organizzativa.
Nei sistemi istituzionali a più livelli, natura unitaria dello Stato e distribuzione
territoriale del potere politico debbono considerarsi valori complementari; ma perché
tale condizione si verifichi occorre che a ciascuno dei due termini si assegni un
valore ed una portata compatibili con l‟esistenza dell‟altro; si deve, in altri termini,
realizzare un equilibrato bilanciamento.
Unità ed autonomia costituiscono due principi contrapposti, ma inscindibili, dal
momento che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali territoriali danno vita ad
ordinamenti distinti (costituzionalmente autonomi), ma integrati all‟interno di un
medesimo sistema di valori individuato dalla Costituzione; e, pertanto, i rapporti
debbono avvenire sulla base di regole relazionali ispirate al principio della lealtà
costituzionale. Infatti, ogni organizzazione territoriale fornita di autonomia è pur
sempre parte di un tutto.
La conciliabilità tra i principi di unità e di autonomia si manifesta essenzialmente
attraverso la codificazione di valori costituzionali, realizzati sul piano storico e
politico, vivi nella percezione dei consociati.
In società composite, eterogenee, complesse, pluralistiche come le attuali, il
sentirsi parte di un medesimo ordinamento non può poggiare sul principio di
gerarchia e di uniformità, ma è ricostruibile soltanto riferendosi a valori comuni,
condivisi, in grado di trasformare una molteplicità di individui in una comunità
unitaria. E questa è una delle funzioni principali delle Costituzioni, le quali
4
G. Rolla, Diritto regionale e degli enti locali, Milano, 2002, 1 ss.
16
valorizzano, in tal modo, la loro moderna funzione di artefici dell‟unità
dell‟ordinamento e di garanzia della convivenza delle pluralità che compongono
siffatta unità. Attraverso l‟esercizio del potere costituente si dà vita, negli
ordinamenti aperti alle istanze di autonomia, ad un duplice patto – tra cittadini e tra
comunità territoriali -, nella convinzione che i singoli individui rilevano nella duplice
veste di popolo e di componenti di specifiche comunità territorialmente localizzate.
In questa prospettiva, la codificazione del principio unitario suona come
riaffermazione dell‟esigenza che tutte le articolazioni del sistema concorrono al
perseguimento dei valori e degli interessi comunitari.
Infine, la dimensione unitaria dello Stato postula che gli organi centrali di governo
siano autorizzati ad intervenire, da un lato, affinché le differenze tra le diverse
comunità regionali non pervengano al punto di menomare la parità tra i cittadini nel
godimento dei diritti fondamentali, dall‟altro lato, al fine di realizzare quei doveri di
solidarietà richiamati dall‟art. 2 Cost. che attengono non soltanto ai singoli, ma anche
alle diverse componenti della società italiana. In questo senso, le esigenze unitarie si
manifestano sotto forma di interventi volti a riequilibrare le posizioni soggettive o a
redistribuire le risorse.
Qualora si consideri che il principio di unità della Repubblica e quello di
autonomia delle comunità territoriali che la compongono determinano la forma dello
Stato in conseguenza del quale debbono interpretarsi tutti i precetti costituzionali, si
deve ritenere che l‟individuazione degli strumenti preposti alla salvaguardia del
principio unitario, così come quelli finalizzati a contemperare le esigenze
dell‟autonomia con quelle dell‟unità debba essere operato dalla Costituzione: ne
consegue che gli istituti giuridici idonei ad assicurare l‟unità del sistema complessivo
debbono avere un fondamento costituzionale e questi non possono essere creati né
5
dal legislatore ordinario, né dalla giurisprudenza costituzionale. In caso contrario, il
richiamo al principio unitario diverrebbe una clausola aperta, un disposizione del
contenuto giuridico indeterminato alla quale ricorrere per giustificare la possibilità
per lo Stato di incidere su competenze regionali.
5
Cfr. AA.VV., La definizione del principio unitario negli ordinamenti decentrati, Torino, 2003.
17
Il carattere unitario dell‟ordinamento rappresenta il fondamento della riserva di
concreti poteri allo Stato da parte della Costituzione con l‟obiettivo che il sistema
possa funzionare come un tutt‟uno e possa essere riconosciuto nei suoi attributi
essenziali come uno Stato. In genere, negli ordinamenti decentrati, la salvaguardia
del principio unitario è affidato a tre tipologie di strumenti: la riserva allo Stato della
competenza legislativa ed amministrativa, l‟individuazione di specifici meccanismi,
la previsione di apposite regole comportamentali. In particolare, i meccanismi a cui,
di solito, gli ordinamenti costituzionali ricorrono per assicurare l‟unitarietà del
sistema debbono essere rinvenuti nell‟istituto del potere sostitutivo e nella previsione
di clausole generali finalizzate a garantire allo Stato l‟esercizio di poteri extra
ordinem con finalità unitarie.
Il potere sostitutivo rappresenta un «ibrido concetto» che ha progressivamente
modificato la sua funzione istituzionale: inizialmente previsto con compiti di
controllo, per rimuovere omissioni o ritardi nell‟adozione di atti obbligatori, ha finito
per divenire uno strumento al quale si ricorre per assolvere a compiti di impulso, di
garanzia della funzionalità complessiva del sistema delle autonomie. Non è un caso
che nell‟ordinamento costituzionale italiano l‟intervento sostitutivo statale si sia
manifestato innanzitutto in materia comunitaria, per sopperire all‟eventuale inerzia
delle Regioni nell‟attuazione delle direttive dell‟Unione europea.
Dall‟evoluzione della normativa in materia e dall‟esame della prassi emerge la
propensione a ricorrere a tale istituto per tutelare il principio unitario piuttosto che
per assicurare la vincolatività degli obblighi giuridici; d‟altra parte, le stesse
fattispecie richiamate dall‟art. 120 Cost. che autorizzerebbero il Governo ad
esercitare il potere sostitutivo appaiono emblematiche, specie laddove fanno
riferimento all‟esigenza di assicurare l‟unità giuridica o economica, ovvero la tutela
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Se i casi che legittimano il ricorso all‟intervento sostitutivo sono chiaramente
riconducibili alla funzione propria dello Stato di garante dell‟unitarietà
dell‟ordinamento costituzionale, i modi e le procedure attraverso cui tale istituto si
deve manifestare debbono, invece, fare riferimento alla natura non gerarchica delle
relazioni interistituzionali: in altri termini, deve essere assicurata una sostanziale
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