2
i rapporti intersoggettivi (cioè tra enti, es. Stato-Regioni)
5
e solleva un
interrogativo fondamentale: come l’esistenza di tali poteri possa armonizzarsi con
la realtà di una organizzazione amministrativa modellata secondo i postulati
costituzionali del decentramento e dell’autonomia.
Per la dottrina amministrativistica tradizionale, i poteri di sostituzione per
inerzia sono figure intimamente connesse ad un modello di organizzazione
accentrata, che vanno ad integrare gli strumenti di vigilanza e di direzione delle
autorità superiori su quelle inferiori e dello Stato nei confronti degli enti
autarchici.
Gli attuali poteri sostitutivi sono dunque sopravvivenze tralatizie di una
cultura organizzativa ormai superata, incoerenti con la realtà attuale, o possono
essere riletti in ragione delle caratteristiche evolutive di una organizzazione
investita da complessi processi di trasformazione?
Il dibattito sui poteri sostitutivi, peraltro esiguo e marginale, è ruotato
intorno ad una annosa questione, proposta già dalla giuspubblicistica degli inizi
del secolo, quella cioè della possibilità o meno di considerare i poteri come una
forma di controllo, il “controllo sostitutivo”, o piuttosto come una particolare
forma di interferenza delle autorità superiori su quelle inferiori, caratterizzata
dalla possibilità dell’autorità superiore di dar luogo a manifestazioni di potestà
attiva.
In realtà, per meglio comprendere l’effettiva natura dei poteri di
sostituzione nel contesto della attuale organizzazione pubblica, occorre rimarcare
che essi, pur presentando profili comuni, sono chiaramente distinguibili sotto il
profilo funzionale. I poteri sono infatti in alcuni casi uno strumento che consente
di correggere l’illegittimità degli atti amministrativi, che si manifesti nella forma
della omissione di atti dovuti; in altri casi, essi fungono da strumento di tutela, in
via amministrativa, di diritti e di interessi di terzi; in altri ancora, servono a
salvaguardare la funzionalità, il buon andamento della pubblica amministrazione,
5
Cfr. V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1999.
3
quando tali valori siano pregiudicati dalla inattività degli organi responsabili
dell’esercizio di poteri di natura imperativa
6
.
La prima tipologia di poteri sostitutivi, quella cioè in funzione di garanzia
della legalità (denominata “controlli sostitutivi”), rappresenta l’aspetto più
storicamente consolidato del fenomeno
7
; e si esercitano tramite appositi
commissari, inviati presso le amministrazioni inadempienti, che provvedono, in
luogo degli organi preventivamente e tempestivamente diffidati, al compimento
degli atti obbligatori omessi. Tali poteri sono dunque esercitati per iniziativa della
stessa autorità che ne è titolare, la quale può prendere conoscenza della omissione
o in via incidentale, nel corso dell’attività di controllo su altri atti, o per denuncia
di terzi interessati al provvedimento omesso, o per segnalazione di altre
amministrazioni, o di organi dotati di eventuali poteri ispettivi.
I poteri sostitutivi in funzione di tutela di diritti o interessi di terzi, invece,
sono una categoria alquanto marginale, previsti nella legislazione comunale e
provinciale ormai superata dal nuovo ordinamento delle autonomie locali, la quale
prevedeva sia una fattispecie generale relativa alla emissione dei mandati di
pagamento, sia alcune ipotesi particolari, riguardanti il pagamento degli stipendi
di dipendenti e salariati, e il rilascio di attestati e certificati. Possono essere
considerati come una particolare forma di ricorso atipico: si riconosce infatti al
privato che si ritenga leso da una omissione della p.a., la facoltà di appellarsi ad
un organo di controllo, o ad una autorità non collegata da nessi gerarchici. La
legge n. 142 del 1990 non prevede più la disciplina di questi poteri anche perché
di improbabile o quantomeno difficile utilizzazione pratica.
6
Cfr. VITTA, Diritto amministrativo, Torino, 1954; A. M. SANDULLI, Manuale di diritto
amministrativo, Napoli, 1973 e 1990; MIELE, Principi di diritto amministrativo, Padova, 1965;
GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1970, 1988 e 1993; AZZENA, Diritto
amministrativo, (a cura di) MAZZAROLI, Bologna, 1993; CARINGELLA, DELPINO, Del
GIUDICE, Diritto amministrativo, Napoli, 1999; SCOTTO, Diritto amministrativo, Milano, 1993,
1995 e 1998; SONCINI, SALVI, COPPINI, Diritto amministrativo, Padova, 1995; NIGRO,
Giustizia amministrativa, Bologna, 1976; GIANNINI, La giustizia amministrativa, Roma, 1963;
ESPOSITO, Il potere sostitutivo, Napoli, 1968; MAGGIORA, I controlli sostitutivi, atipici e
straordinari, l’ordinamento comunale, in Riv. Amm., 1968
7
Sono proprio questi controlli sostitutivi che hanno sollevato i primi dibattiti dottrinali, di cui
accenneremo in seguito.
4
L’ultima tipologia di poteri sostitutivi, quella posta a tutela del buon
andamento della pubblica amministrazione, costituisce sicuramente l’aspetto più
rilevante e dinamico di questo istituto. Tali fattispecie sono accomunate dal fatto
che attraverso i poteri di sostituzione vengono salvaguardati interessi sostanziali
facenti capo all’autorità sostituente.
In queste situazioni, cioè, determinati interessi, sebbene riferiti ad un
centro di imputazione con carattere di esclusività, presentano profili che
coinvolgono altri interessi coincidenti o complementari, ricadenti nella sfera di
altri centri di imputazione. Tale sovrapposizione, o convergenza, di interesse, fa sì
che, qualora una amministrazione pur essendovi tenuta manchi di esercitare il
potere corrispondente, ciò non determina solo una situazione di illegittimità, ma
anche il pregiudizio degli interessi convergenti, attribuiti alle cure di altre
amministrazioni. In questi casi, la legge attribuisce alle amministrazioni cui fanno
capo gli interessi che vengono pregiudicati dall’inerzia, la facoltà di reagire in
forme di autotutela, intimando l’amministrazione inerte a provvedere, e, in caso di
mancato accoglimento dell’invito, sostituendosi ad essa.
Questi poteri li ritroviamo, quindi, nei rapporti di struttura, in cui il
carattere preminente dell’interesse dell’autorità sostituente rispetto a quello
dell’autorità sostituita è assunto, in via generale, in un rapporto di
sovraordinazione – subordinazione, come la gerarchia, la delegazione, la
direzione.
In un rapporto gerarchico, infatti, l’autorità superiore dispone di una serie
di facoltà di interferenza nei confronti di quella inferiore, le quali comprendono
anche il potere di sostituirsi all’inferiore che non compia gli atti imposti dalla
legge o comunque ordinati.
In qualche misura analogo è il caso della delegazione. Secondo
l’insegnamento corrente l’autorità delegante, pur nel silenzio della legge, dispone
di un potere di direzione, di avocazione, e infine di sostituzione nella emanazione
degli atti dovuti. L’attribuzione di tale potere trova peraltro (e come vedremo in
seguito) una conferma diretta nelle norme di delegazione di funzioni
5
amministrative statali alle Regioni contenute nei decreti delegati del 1972, i quali
riservano, appunto, allo Stato, un potere di sostituzione.
La situazione invece muta nel caso del rapporto di direzione: il soggetto
sovraordinato ha infatti il potere di ingerirsi nella sfera delle competenze del
sottoordinato in forme di varia intensità, che non contengono tuttavia una facoltà
di surrogazione per inerzia, salvo che ciò sia previsto da norme specifiche. Un
importante esempio in tale senso è fornito dall’art. 6 del d.P.R. 748/72, che
conferisce tanto ai dirigenti generali, quanto ai dirigenti superiori dello Stato, il
potere di sostituirsi agli organi inferiori nella adozione degli atti obbligatori
indebitamente omessi o ritardati, previa diffida e dopo averne informato il
Ministro.
In tutte queste ipotesi il carattere di specialità del potere in esame fa sì che
il suo esercizio riguardi, non il compimento di qualsivoglia attività indebitamente
omessa, ma solo le omissioni di atti o di attività precisamente individuate o
individuabili.
I poteri di sostituzione tutt’oggi in vigore riguarda soltanto l’ultima delle
tre tipologie funzionali suddette, e cioè quelli posti a garanzia della funzionalità
della pubblica amministrazione. I controlli sostitutivi, infatti, sono stati abrogati
dalla recente legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma al Titolo V
della Costituzione; mentre, come abbiamo già detto, la legge 142/90,
sull’ordinamento delle autonomie locali, non prevede più i poteri sostitutivi in
funzione di tutela di diritti o interessi di terzi.
L’interesse per i poteri di sostituzione, aventi lo scopo di garantire il buon
andamento della pubblica amministrazione, cresce, invece, proporzionalmente
all’espansione delle funzioni pubbliche, al consolidamento degli indirizzi di
decentramento, all’infittirsi dell’intreccio procedimentale e finanziario che lega tra
loro le attività dispiegate dalle varie amministrazioni pubbliche. La stessa
crescente complessità e tecnicità che viene a caratterizzare l’azione
amministrativa nelle sue manifestazioni fa sì che, in molte situazioni, la paralisi
anche di una sola fase procedimentale abbia effetti non circoscritti ma diffusi, che
coinvolgono anche altri apparati in cui si articola il sistema amministrativo.
6
La proliferazione di poteri sostitutivi per inerzia, conferiti ad organi non
neutrali, ma di amministrazione attiva, e concernenti spesso non singoli “atti
dovuti”, come nella tradizione amministrativa, ma attività complesse ed estese,
può peraltro apparire come un evento patologico rispetto ad un assetto di relazioni
Stato-enti locali modellato secondo una ben precisa ripartizione e separazione di
ruoli, poteri e corrispondenti responsabilità.
In un disegno compiutamente autonomistico non parrebbe esservi posto
per interferenze così estreme nel campo delle attività degli enti locali, pur
limitatamente alle ipotesi della omissione di comportamenti privi di
discrezionalità. Sicché le omissioni dovrebbero trovare sanzioni solo di natura
giurisdizionale, quando l’inerzia legittimi la reazione degli interessi e dei diritti
lesi, o altrimenti di natura politica, ma in nessun caso di carattere amministrativo.
A conclusioni diverse si può tuttavia giungere qualora la presenza dei
poteri sostitutivi sia collegata ad un assetto di relazioni tra Stato, Regioni ed enti
locali, quale quello che concretamente si è venuto a delineare nel nostro Paese,
che tenta di contemperare il principio dell’autonomia con quello della
cooperazione; né è privo di interesse, per la comprensione del fenomeno, il fatto
che i poteri di sostituzione per inerzia si vadano diffondendo anche negli
ordinamenti di altri Paesi che possono vantare tradizioni di autogoverno locale più
solide delle nostre
8
.
Da sottolineare, inoltre, il mutamento che ha interessato questo istituto nel
corso della sua evoluzione. Originariamente, nell’ambito del diritto
amministrativo, è nato in funzione di tutela di interessi pubblici, e operante
all’interno di strutture gerarchiche; successivamente, è stata ampliata la sua
operatività, in funzione di tutela di valori costituzionali (interessi nazionali), ma
all’interno non di una struttura gerarchica, quale quella Stato-Regioni, ma di una
8
Cfr. G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, 1993 e 1999; S. ORTINO,
Diritto costituzionale comparato, Bologna, 1994; G. MORBIDELLI, Diritto costituzionale
italiano e comparato, Bologna, 1997; M. D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato:
trasformazioni dei sistemi amministrativi in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Bologna,
1992. Cenni sulla presenza di poteri sostitutivi negli altri ordinamenti verranno svolti nel paragrafo
10 di questo capitolo.
7
struttura formata da enti pari-ordinati e ispirata al principio della collaborazione.
Ciò ha sollevato non pochi dubbi sulla legittimità di questa trasposizione, visto le
nette differenze tra i due ambiti di operatività.
Il problema della compatibilità tra autonomia locale e la soggezione a
poteri di sostituzione è stato studiato, in momenti diversi, al solo riguardo dei
poteri di controllo sostitutivo tramandati dalla legge comunale e provinciale, e
trasferiti, quanto a titolarità, dai prefetti e dalle g.p.a. (giunte provinciali
amministrative) ai comitati regionali di controllo a seguito della attuazione delle
Regioni ordinarie.
Anche a tale riguardo si sono fronteggiati indirizzi opposti, riflettenti
concezioni differenti dell’autonomia locale e dei suoi limiti.
Parte della dottrina (e la giurisprudenza costituzionale – sent. 164/1972),
nel fare propria la configurazione dei poteri di sostituzione quali forme del
controllo di legittimità sugli atti, ritiene che questi possano agevolmente rientrare
nella previsione dell’art. 130 Cost.
9
, e pertanto reputa pienamente valida la scelta
operata dalla legge Scelba di devolvere agli organi regionali di controllo, insieme
agli altri poteri di controllo, anche i poteri sostitutivi che la legge comunale e
provinciale già attribuiva al prefetto ed alla giunta provinciale amministrativa
10
.
I poteri di sostituzione parziale nei confronti di comuni e province sono
ritenuti parimenti legittimi anche da interpreti che, pur rifiutando la inclusione
degli stessi nell’ambito dei controlli, li concepiscono come forme di
amministrazione attiva, espressione di poteri suprematori che non troverebbero
fondamento nell’art. 130 Cost., ma nella più generale posizione di province e
comuni, la cui autonomia si manifesta nell’ambito dei principi fissati dalle leggi
9
In questo capitolo il richiamo di articoli della Carta costituzionale farà riferimento a quelli in
vigore prima della riforma del Titolo V per opera della legge cost. n. 3 del 2001.
10
In tal senso BENVENUTI (I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni e l’ordinamento
regionale, in Riv. Amm., 1956), secondo cui i poteri statali di sostituzione nell’esercizio di uno o
più poteri degli organi locali configurerebbero una forma di controllo sugli atti “estrema nei
rapporti tra i due ordinamenti, ma costituzionale”. La Corte (sent. 164/72) nel rammentare che
l’art. 130 Cost. demanda alla legge il compito di disciplinare il controllo “limitando in modo
testuale e tassativo il sindacato di legittimità e di merito solamente sui singoli atti”, aggiunge poi
che “è da ammettere che il controllo sugli atti così inteso comprenda anche quello che si esercita
sulla legittimità della omessa omissione di uno di essi, quando sarebbe stato obbligatorio
effettuarla, e comporti la conseguente sostituzione nell’esercizio del potere corrispondente da parte
dell’organo di controllo a quello dell’ente rimasto inattivo”.
8
della Repubblica. Tali poteri configurerebbero limiti dell’autonomia locale “che
valgono a preservare il coordinamento degli enti formanti la pubblica
amministrazione, la funzionalità del sistema e la giusta preminenza che in esso va
riconosciuto allo Stato”
11
.
Il fatto che l’art. 130 Cost. prescriva l’esistenza di controlli di legittimità,
ai quali i poteri sostitutivi non possono essere omologati, non precluderebbe
dunque, in ragione dell’art. 128 Cost. la possibilità di ulteriori forme di ingerenza
statale, ivi compresi i poteri di sostituzione parziale.
Le tesi sopra richiamate sono tuttavia confutate da parte della dottrina che
invece nega recisamente la stessa compatibilità dei poteri di sostituzione con
l’autonomia locale.
I poteri in questione, essendo intrinsecamente distinti dai controlli di
legittimità e di merito, non potrebbero essere legittimati dall’art. 130 Cost.; d’altro
canto, viene contestata la ammissibilità di controlli ulteriori rispetto a quelli
previsti dall’art. 130 Cost., in quanto la facoltà rimessa dall’art. 128 al legislatore
ordinario di regolazione dell’autonomia degli enti locali incontrerebbe limiti assai
stretti in uno statuto di autonomia, ancorato all’art. 5 Cost., riferibile tanto alle
Regioni quanto alle Province ed ai Comuni, e non suscettibile di graduazioni
12
.
Si è affermato al riguardo che, se l’autonomia trova il suo fulcro nella
competenza esclusiva a soddisfare un determinato nucleo di interessi propri della
comunità locale a mezzo di organi elettivamente espressi, essa verrebbe lesa
qualora si consentisse a soggetti ricompresi in ordinamenti esterni di svolgere la
11
Cfr. A. M. SANDULLI, I controlli sugli enti locali nella Costituzione, in Riv. Trim. dir. Pubbl.,
1972.
12
Cfr. ARCIDIACONO, Organizzazione pluralista e strumenti di collegamento, Milano, 1974, il
quale sottolinea che il controllo di legittimità sugli atti negativi dovrebbe esaurirsi in una
dichiarazione di illegittimità. Forti perplessità sulla compatibilità tra posizione di autonomia e
soggezione a poteri di sostituzione sono state avanzate anche da LEDDA (Atti convegno su aspetti
e problemi dell’esercizio del potere di sostituzione, Milano, 1981) in quanto il potere di
sostituzione presupporrebbe sempre la subalternità dell’ente minore e la coincidenza dei suoi fini
con quelli dell’ente maggiore: “il vero è che il controllo sostitutivo non può assolutamente reggere
senza quel solidissimo sostegno che era dato dal rapporto di gerarchia e subordinazione. Venuto
meno un simile supporto risulta impossibile spiegarlo”. Altri autori (BERTI, TUMIATI) negano la
possibilità di ricondurre i poteri di sostituzione ai controlli, in quanto questi non potrebbero mai
tradursi in una attività surrogatoria o modificatoria degli atti controllati, come previsto in via
generale dall’art. 327 del TULCP.
9
cura di interessi implicanti una valutazione di natura discrezionale. Con la
conseguenza che poteri sostitutivi sarebbero tollerabili solo nei casi, assai rari, in
cui si riferissero a fattispecie totalmente vincolate, e non già in quello di atti
dovuti quanto all’an, ma discrezionali nel quid, quomodo, etc.
13
.
Tuttavia nel corso degli anni si è fatta strada la teoria per cui il controllo di
legittimità previsto dall’art. 130, 1° comma, Cost., poteva essere comprensivo
anche dei poteri sostitutivi, (esercitabili ovviamente nel solo caso di omissione di
atti dovuti), senza necessità di fare appello all’art. 128 della Costituzione.
Di fatto, proprio la crisi dei controlli di legittimità e di merito, ex artt. 125
e 130 Cost., strutturalmente e funzionalmente inadeguati rispetto alle mutevoli
esigenze della azione pubblica - in particolare quelle connesse alla
programmazione dei servizi pubblici, alla gestione ed al controllo unitario della
spesa pubblica, alla necessità di fronteggiare “emergenze” - ha favorito la
diffusione, nella prassi legislativa e di governo, dei poteri sostitutivi, nascenti
dall’intento comune di garantire, in settori svariati, il rispetto di vincoli positivi
dell’autonomia regionale
14
.
13
Cfr. SCUDIERO, I controlli sulle Regioni, sulle Province e sui Comuni nell’ordinamento
costituzionale italiano, Napoli, 1963.
14
Come nota PASTORI (Atti Convegno sui controlli sugli enti locali) “(…) da una parte ci sono
dei controlli costituzionalmente corretti ma inutili, e, dall’altra dei controlli atipici inconferenti con
il quadro costituzionale delle autonomie, benché escogitati in funzione delle esigenze di
compatibilità e di coordinamento”.
10
2. Breve excursus storico
La Carta costituzionale del 1948 non faceva alcuna menzione di poteri
sostitutivi statali, azionabili nell’ipotesi di inerzia amministrativa o legislativa
delle Regioni, responsabili quindi di un inadempimento che pregiudichi esigenze
unitarie ritenute meritevoli di tutela. Difatti, la problematica del potere sostitutivo
ha iniziato a prospettarsi concretamente solo a seguito dell’entrata in funzione
delle Regioni ordinarie; in precedenza, può registrarsi soltanto un’attenzione assai
modesta nel dibattito dottrinale, il quale appare attestato su di un diffuso consenso
circa la radicale illiceità di interventi sostitutivi di qualsivoglia natura da parte
dello Stato nei confronti delle Regioni.
In questo quadro, dunque, sarà soltanto l’attuazione, nella sede del primo
trasferimento delle funzioni alle Regioni appena formate, del disposto di cui al 2°
comma dell’art. 118 Cost., ad aprire la strada all’applicazione, anche se ancora
secondo moduli collaudati da una risalente tradizione amministrativa, all’istituto
del controllo sostitutivo nei confronti delle Regioni, il quale verrà perciò reso
possibile (e plausibile) dal ricorso allo strumento della delega, a sua volta
giustificata dalla permanenza in capo allo Stato della titolarità (piena e senza
riserve in quel particolare momento evolutivo dei rapporti fra i due Enti) delle
funzioni delegate alle Regioni.
Tale apertura ha trovato subito un’ampia convalida nella sentenza n.142
del 1972 della Corte costituzionale, dove si giustificò la scelta compiuta dal
legislatore di ricorrere all’istituto della delega alle Regioni di funzioni
amministrative (in luogo del trasferimento), inerenti all’attuazione di obblighi
comunitari: e ciò proprio in ragione della assenza di una previsione normativa (di
rango costituzionale o legislativo) che consentisse di configurare un potere
sostitutivo statale nei confronti delle funzioni proprie delle Regioni, potere invece
ritenuto coessenziale alla delega di funzioni.
Per questa via, dunque, la Corte perveniva, ancora prima del legislatore, a
giustificare la necessità di un potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle
11
Regioni, più precisamente laddove lo Stato fosse risultato responsabile
nell’attuazione di obblighi comunitari.
Da qui l’introduzione in via legislativa di poteri sostitutivi statali,
dapprima con puntuali e specifiche disposizioni, poi attraverso due previsioni
generali: l’art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonché la successiva disciplina
intervenuta con l’art. 2, 3° comma, lett. f) della l. n. 400 del 1988, relativi ai poteri
sostitutivi (in ambito amministrativo) nei confronti delle funzioni delegate; e l’art.
6 del d.P.R. n. 616 del 1977 relativo all’attuazione degli obblighi comunitari. E’
mancata, però, una norma generale di disciplina della sostituzione nei confronti
delle funzioni amministrative proprie, giustificata dalla tutela di tutti gli altri
interessi nazionali diversi dal rispetto degli obblighi comunitari da parte dello
Stato.
Determinante è stato, per la definizione dell’istituto, il ruolo della
giurisprudenza della Corte costituzionale che, nel sindacare puntuali disposizioni
di legge, ha provveduto via via, e non senza incertezze e qualche contraddizione, a
dettare un vero e proprio statuto della sostituzione statale; sia per quanto riguarda
i presupposti sostanziali che legittimano l’intervento surrogatorio statale, sia per
quanto riguarda i requisiti procedurali al loro esercizio. In questo senso si parla di
origine sostanzialmente “pretoria” dell’istituto.
In seguito, tuttavia, è stata riconosciuta la legittimità costituzionale della
sostituzione statale anche nei confronti delle funzioni proprie, seppur limitandone
i presupposti alla tutela degli obblighi internazionali – e comunitari in particolare
– assunti dallo Stato centrale
15
. Questa giurisprudenza, risalente agli anni ’70, è
stata ben presto superata da una serie di pronunce degli anni ’80 che hanno
progressivamente ampliato i presupposti legittimanti: e così si è ritenuto legittimo
un potere sostitutivo statale a tutela di valori costituzionali primari, a salvaguardia
di interessi nazionali non suscettibili di frazionamento e, secondo uno schema
15
Nella sentenza n. 182/76 la Corte faceva salva una previsione di legge ordinaria che introduceva
poteri sostitutivi statali nei confronti di funzioni trasferite, e non più delegate, alle Regioni; nella
successiva pronuncia n. 81/79 veniva ribadito l’orientamento per cui la sfera degli obblighi
internazionali e comunitari rappresentasse l’unico limite all’autonomia regionale in grado di
giustificare interventi sostitutivi statali anche nei confronti di funzioni amministrative esclusive
delle Regioni.
12
ricostruttivo che ha avuto una certa fortuna anche in dottrina, a sanzione
dell’inosservanza di prescrizioni dettate nell’esercizio della funzione di indirizzo e
coordinamento
16
. E questa giurisprudenza rispecchia un modello di relazioni già
orientato al superamento del principio della separazione delle competenze e
costruito invece sul coordinamento e sulla collaborazione, a cui si accompagna la
trasformazione definitiva dell’interesse nazionale da limite di merito a limite di
legittimità delle competenze amministrative e legislative regionali.
Tale orientamento confluì nella ben nota sentenza n. 177 del 1988 in cui la
Corte, oltre a meglio individuare i contorni dell’istituto del potere sostitutivo
statale, cercò di definire anche altri istituti cardine nell’assetto dei rapporti Stato-
Regioni, cioè l’interesse nazionale, la funzione di indirizzo e coordinamento e la
distinzione tra legislazione di principio e di dettaglio.
Con riferimento, invece, al profilo dei requisiti procedurali, si può
registrare una prima fase in cui il legislatore dettò modalità d’esercizio dei poteri
sostitutivi coinvolgenti anche l’ente inadempiente, consentendogli di confrontarsi
con il potere centrale e, al limite, di impedire la surrogazione esercitando in
extremis le proprie competenze. In una seconda fase, coincidente con gli anni ’80,
ad un aumento significativo di puntuali previsioni normative che, nelle diverse
legislazioni di settore, hanno introdotto poteri sostitutivi statali, è seguita invece
una decisa attenuazione delle garanzie procedurali, drasticamente ridotte e talvolta
perfino dimenticate. E, curiosamente, in sede di contenzioso, questi profili non
hanno trovato censura non solo da parte della Corte costituzionale ma nemmeno
da parte delle Regioni ricorrenti, impegnate a contestare, in questa fase, la
legittimità costituzionale degli interventi sostitutivi statali in quanto tali: con
l’effetto, senz’altro paradossale, di vedere maggiormente tutelate, in sede di
sostituzione amministrativa, le funzioni delegate rispetto a quelle proprie
17
.
L’attenzione per i profili procedurali si è riaccesa sul finire degli anni ’80,
allorché si è proposto, anche in dottrina, un modello di regionalismo costruito
sulle garanzie procedurali, oltre che sostanziali, all’autonomia regionale,
16
Vedi, al riguardo, le sentenze n. 31/83; 151 e 153/86; 177/86; 210/87.
17
Cfr. C. MAINARDIS, I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e
(molte) ombre, in Le Regioni, 2001, 6.
13
attraverso la valorizzazione del principio di leale collaborazione. Ed anzi, quasi
tutte le pronunce della Corte costituzionale negli anni ’90 hanno ad oggetto i
requisiti procedurali previsti per l’esercizio dell’intervento sostitutivo statale della
cui legittimità costituzionale, al ricorrere di determinati presupposti, nemmeno si
discute più.
Questa ricostruzione della Corte è rimasta in sostanza invariata fino
all’introduzione, con l’art. 5 del d.lgs. n. 112/98, di una disciplina generale dei
presupposti sostanziali e dei requisiti procedurali dei poteri sostitutivi statali, che
cercò di riordinare la disciplina dell’istituto, fino ad allora di natura
prevalentemente giurisprudenziale.