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posizionamento strategico significhi e comporti per il nuovo rapporto
impresa-mercato che tale concetto va a configurare.
L’argomento in questione è quanto di più vasto ed eterogeneo si
possa trovare sebbene sia riscontrabile un senso comune alle sue
articolazioni. Confluiscono, infatti, nel posizionamento concetti e
significati appartenenti un po’ a tutte le aree del marketing. Nella sua più
significativa accezione, quella per cui rappresenta, come sottolineano
Guatri e Vicari, «la collocazione del prodotto in un sistema di percezioni,
riguardanti l’offerta complessiva al consumatore» esso si lega a doppio filo
con la differenziazione. In proposito, proseguono gli autori: «Ciò è
possibile in quanto ogni prodotto ha un complesso di caratteristiche che lo
differenziano più o meno dai prodotti concorrenti e che lo qualificano in un
certo modo nelle considerazioni del consumatore, consentendogli di
occupare una certa posizione relativamente ad altri prodotti»
1
.
Valdani si spinge oltre affermando: «Il concetto di posizionamento è
il frutto dell’applicazione dei principi e della politica di differenziazione
dei prodotti e delle marche in uno specifico segmento di mercato»
2
.
L’autore coglie, inoltre, l’inscindibile relazione tra posizionamento e
immagine evidenziando che «Il concetto di posizionamento è supportato
dal profilo simbolico dell’immagine del prodotto che rafforza la realtà
fisica di una marca in termini di significati, motivi, atteggiamenti, e
reazioni espresse dal consumatore». Infatti, descrivendo il processo di
posizionamento, Valdani sottolinea come «il prodotto e, più in generale,
l’offerta dell’impresa ha valore per i benefici che promette/assicura al
consumatore. Tali benefici hanno natura tangibile e intangibile e sono
percepiti dal consumatore attraverso simboli e segni. L’impresa deve perciò
costruire un’offerta il più possibile rispondente alle attese della
clientela/obiettivo, distinta da quella dei concorrenti e fare in modo che
l’immagine e il valore che ne risultano vengano percepiti e memorizzati,
così da fidelizzare il consumatore».
Il posizionamento ha una valenza strategica che prescinde dalle
possibilità che le imprese hanno di applicarne i principi a livello operativo.
1
L. GUATRI, S. VICARI, Il marketing, Giuffrè, 1986, p. 601.
2
E. VALDANI, 1986, op cit., pp. 281-290.
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Se, cioè, taluni degli strumenti utilizzati per la generazione di una strategia
di posizionamento possono essere appannaggio solamente di quelle
imprese che dispongono di adeguate competenze e potenzialità (anche
finanziarie), ciò non implica, tuttavia, che le altre non possano seguire,
seppure in maniera più approssimativa ed intuitiva, le principali indicazioni
offerte da questo concetto il cui valore non risulta, solo per questo,
inficiato. Al contrario, cimentarsi con lo studio e l’analisi del proprio
posizionamento costituisce, di per sé, un utile esercizio in grado di
sviluppare la capacitò strategica dell’impresa.
L’evidente impronta strategica del posizionamento connota i diversi
suoi aspetti che andremo ad analizzare e la relazione tra strategia e
posizionamento è al centro del primo capitolo dal quale emergerà, inoltre, il
fondamentale ruolo di sviluppo svolto dall’immagine di marca nel conferire
valore alla particolare posizione che essa assume nel mercato. Se in passato
il successo di un prodotto dipendeva soprattutto da tre fattori – qualità,
marca, distribuzione –, oggi, con il raggiungimento di un livello di qualità
accettabile da parte della maggioranza dei concorrenti, è soprattutto la
conoscenza che il consumatore ha della marca, assieme al grado di
aderenza di questa alle attese del primo, a costituire l’elemento
discriminante tra il successo ed il fallimento dell’impresa nell’arena
competitiva.
Strettamente legata alle problematiche dell’immagine di marca è la
comprensione dei meccanismi percettivi e interpretativi che sono alla base
delle scelte del consumatore, oggetto di studio del secondo capitolo. Una
marca diviene tanto più forte e affermata, quanto più rispecchia la
personalità di chi acquista, consentendone una identificazione ideale e
gratificante: è attraverso il posizionamento strategico della marca e
l’immagine ad essa associata che l’impresa può riuscire ad orientare la
scelta del potenziale acquirente tra le diverse offerte presenti sul mercato.
A tal fine, occorre riuscire a comprendere quali siano i meccanismi
attraverso i quali avvengono i processi mentali di percezione,
interpretazione ed assegnazione di significati dei messaggi comunicativi da
- 9 -
parte della mente, nonché le ragioni che sono alla base del mutare degli
atteggiamenti del mercato verso una data marca
1
.
Una volta completata l’analisi della marca e della sua relazione con
le associazioni indotte nella mente dei potenziali acquirenti, si pone per
l’impresa il problema di tradurre ciò in una condotta idonea a realizzarne
gli obiettivi. Nel terzo capitolo, quindi, l’attenzione è rivolta alla
determinazione della strategia competitiva che meglio si accorda con il
posizionamento perseguito e con la situazione concorrenziale in cui
l’impresa è inserita, con un particolare riguardo per le problematiche
connesse ai diversi aspetti del riposizionamento.
Nel quarto capitolo, vedremo come una particolare attenzione vada
posta alla comunicazione nelle diverse forme in cui essa può esplicitarsi
nella realtà, nel tentativo di determinare la generazione e la successiva
accettazione di un’idonea identità ed immagine di marca. Il concetto di
posizionamento strategico comporta una nuova e diversa attitudine di
pensiero in grado di ribaltare i canoni tradizionali del sistema comunicativo
d’impresa, ponendo al centro dell’attenzione non il prodotto, ma la mente
del potenziale consumatore.. Se è vero che tutto comunica e che non si può
non comunicare, allora diviene subito manifesta tutta l’importanza che
riveste per le imprese un simile concetto che, andando oltre la pura e
semplice strategia pubblicitaria, investe i diversi aspetti nei quali si esprime
la loro offerta.
L’analisi empirica di alcuni casi aziendali relativi a brand operanti
nel largo consumo permette, infine, di comporre in un quadro d’insieme gli
aspetti teorici sviluppati nei quattro capitoli precedenti. In particolare viene
messa in risalto la relazione che sussiste tra la capacità dell’impresa di dare
origine, attraverso una sagace strategia di posizionamento, ad una nuova
categoria concettuale e la possibilità che da essa derivi un duraturo
vantaggio competitivo differenziale e la leadership del relativo mercato.
Le strategie di posizionamento sono di natura tipicamente relativa e
circostanziale, da ciò derivando i principali problemi che le imprese
incontrano nel delinearle. Lungi dal costituire un riferimento costante per la
1
Scriveva Leucippo nel V sec. A. C.: «Nulla accade per nulla, ma tutto da
un’origine e per necessità».
- 10 -
competizione delle imprese tali strategie si sviluppano in itinere secondo le
indicazioni offerte dai concetti che, di volta in volta, sono presi a
riferimento dal potenziale acquirente nell’assegnare un valore alla marca e,
più in generale, alla categoria cui essa viene ricondotta.
È con la consapevolezza della rilevanza delle problematiche che
queste prime considerazioni aprono che ci accingiamo ad affrontare un
tema, quello della relazione tra strategie di posizionamento ed immagine di
marca, il quale si erge tra gli altri affrontati dal marketing come uno dei più
attuali, interessanti e ricchi di spunti, cercando di offrirne una prospettiva
che, per certi aspetti diversa, cerca di mantenere un approccio il più
possibile aderente con la realtà dei fatti.
- 11 -
Capitolo 1
DALLA VISIONE AL POSIZIONAMENTO
1.1 – Le ragioni del posizionamento
Lo studio e l’applicazione del concetto di posizionamento, lungi dal
costituire e delineare un modello definitivo di comportamento per le
imprese, rappresentano in realtà, almeno in prima battuta, un approccio
mentale al problema della loro collocazione nel mercato, ma soprattutto
nella mente dei consumatori.
In altre parole, il posizionamento è, prima di tutto, posizionamento
nella mente dei clienti e, più in generale, delle persone. Occorre lasciare
un’impronta (quella voluta) non solamente sugli acquirenti, ma anche sugli
altri pubblici aziendali. Così, diventa senz’altro utile e prioritario generare
e proiettare un’adeguata immagine di sé sui concorrenti, sui fornitori, e
sugli altri pubblici aziendali (sindacati, mondo politico, media…). Come
vedremo questa immagine è l’espressione dell’identità dell’impresa, e
appare fondamentale, ai fini di un suo rafforzamento attraverso la leva della
credibilità, riuscire a mantenere una certa coerenza di fondo, anche
nell’evolversi e dispiegarsi nel tempo delle particolari strategie adottate.
Nondimeno, risulta molto importante creare un’immagine ed
un’identità forti e nitide all’interno dell’impresa e provvedere alla loro
implementazione nell’organizzazione e in chi al suo interno opera. Ciò
consente di avere una linea direttrice chiara e definita verso cui far
convergere gli sforzi aziendali, un importante punto di riferimento che
contribuisce a consolidare la stessa proiezione all’esterno della visione
desiderata.
Non si tratta, questa, di una rappresentazione mentale destinata ad
un’applicazione limitata alla realtà d’impresa.
- 12 -
La sua valenza è assai più estesa, venendo a toccare ogni situazione
nella quale sia presente un soggetto che emana segnali e un altro che tali
segnali riceve e interpreta. Poco importa che i messaggi siano o meno il
frutto di una volontarietà da parte di chi li pone in essere: ognuno emette
continuamente segnali, anche inavvertitamente, e di questo occorre tenere
conto. Così, è possibile procedere al posizionamento non solo di
un’impresa, di un prodotto o servizio, ma anche di un politico, uno
spettacolo, una particolare decisione presa, ecc.… Con riferimento alle
situazioni più svariate sorge, infatti, la necessità di portare l’attenzione su
un aspetto o su un altro e fare in modo che si formi e si mantenga
nell’interlocutore un’immagine ad esso coerente.
1.1.1 – Il rapporto strategico impresa-mercato tra presente e
visione: una prospettiva.
L’azione portata avanti dalle imprese operanti nel mercato è andata
affrontando nel tempo situazioni ambientali che, lungi dal farsi riconoscere
in stereotipi assimilabili attraverso lo studio e l’analisi di fatti esperenziali e
funzioni e modelli incontrovertibili, sono diventate sempre più complesse e
sfuggenti a qualsiasi tentativo di ricavarne, sia da parte del mondo
accademico che di quello imprenditoriale ad esso parallelo, una
sistemazione paradigmatica e finalmente definitiva. L’affidamento troppo
speranzoso di chi, negli anni Sessanta, vedeva nella pianificazione
strategica la chiave che avrebbe portato le imprese nel cuore della
competizione si è successivamente sfaldato fino ad infrangersi contro le
turbolenze di un ambiente competitivo diventato sempre più caotico ed
imprevedibile, ostile e refrattario ad ogni tentativo di inquadramento
attraverso la lente della razionalità estrapolativa.
Quello che è seguito è stato un tentativo di reazione al mutamento
attraverso una logica che, portata ad un’estrema sintesi, si è presentata
come affatto differente rispetto alla precedente: l’impresa, sostenuta da un
attento monitoraggio delle variabili in gioco, avrebbe dovuto essere stata in
grado di agire in anticipo rispetto al cambiamento, agendo essa stessa
sull’ambiente esterno in modo da determinarne, in maniera per essa
- 13 -
favorevole, la direzione di movimento. Tale nuova impostazione del
rapporto impresa/ambiente concorrenziale appare quindi solamente come
una diversa forma di quella stessa velleità di controllo del mercato che
avrebbe inteso eliminare. In effetti, le singole imprese, specialmente nel
lungo periodo, non possono incidere nel mercato se non in maniera
marginale ed in ogni caso comunque discutibile, dal momento che è molto
difficile stabilire se l’azione delle imprese sia stata la causa o l’effetto di un
determinato movimento di mercato.
Verso la fine degli anni Settanta, i sistemi di posizionamento
anticipatorio hanno iniziato a mettere in mostra tutti i propri limiti
nell’affrontare le crescenti turbolenze di un ambiente caratterizzato dal
succedersi di eventi sempre più imprevedibili nel sorgere e nello
svilupparsi. Le risposte non potevano più essere tempestive e incidevano
perciò sulla realtà in maniera tardiva e inefficace. Il tempo ha così reso
giustizia ad un mercato che, esso sì, è sovrano, pur nelle sue numerosissime
e all’apparenza inspiegabili contraddizioni. Se contraddizioni vi sono,
infatti, ciò non può essere che all’apparenza, posto che non si voglia
ritenere invalido il principio di causalità intercorrente tra qualsivoglia date
situazioni. Probabile appare, semmai, l’individuazione a posteriori di un
errore di valutazione o di interpretazione di fenomeni peraltro niente affatto
facili – ma non per questo impossibili – da comprendere già nelle loro linee
essenziali. Quella che invece è possibile riconoscere e senz’altro va
riconosciuta alle imprese è l’appartenenza a un ecosistema relazionale di
cui esse stesse sono elementi vitali e del quale, però, non è ammissibile
violare le norme di funzionamento, esistenza ed evoluzione. In tale sistema
di relazioni – per sua natura aperto – gli organismi-impresa nascono, si
sviluppano, muoiono e operano ciascuno portando il suo particolare
contributo di conoscenza e di azione che va a modificare lo status quo del
sistema stesso. Ma un’analisi che si basi esclusivamente sull’osservazione
di variabili ritenute oggettive, per quanto numerose e definite con
precisione nel loro dettaglio, poco ha da offrire alla comprensione dei
complessi e sfuggenti fenomeni che caratterizzano quel magma di
sommovimenti che è il mercato.
- 14 -
Nasce da qui l’esigenza di un ripensamento con una prospettiva e
visione potremmo dire dal dentro e dal basso del rapporto tra l’impresa e il
suo ambiente di riferimento, alla quale se ne dovrebbe affiancare una
dall’esterno e dall’alto il più possibile autonoma, disincantata e
obiettivamente critica verso il variegato e pluridimensionale oggetto del
proprio giudizio.
Il primo modo di guardare alla dinamica dei rapporti di mercato
esprime tutta la rilevanza della partecipazione sistemica e organica da parte
dell’impresa: solo chi è completamente immerso in una situazione può
comprenderne appieno significati, evoluzione nei comportamenti e
risvolti
1
. Il mercato deve permeare di sé l’impresa. Il contatto diretto e
ravvicinato con la realtà non deve essere perciò quello di un corpo
estraneo: dobbiamo fonderci il più possibile sia idealmente che
materialmente con il vissuto, il vivendo ed il vivente
2
in una simbiosi
talmente spinta da giungere idealmente in una situazione di aspazialità e
atemporalità nella quale non abbiamo bisogno alcuno di sforzarci per
comprendere i cambiamenti che avvengono in un ambiente che ormai non è
più esterno, dal momento che quegli stessi cambiamenti avvengono in noi.
In questo modo è certo che ci stiamo muovendo nella direzione del
mercato. Spostarsi con il mercato significa essere in grado di distinguerne
ogni singolo movimento scorgendo fino le più minute onde e increspature
all’interno della corrente poiché siamo parte integrante di essa. Quella che
in questo modo abbiamo raggiunto non è una rappresentazione in scala del
mercato, bensì l’essenza stessa di esso: dobbiamo essere noi stessi il
mercato. Quest’impostazione presenta poi il notevole pregio di permettere
e agevolare, all’occorrenza, un rapido riposizionamento, mettendo in
evidenza quella qualità principe dell’evoluzionismo che è la reattività,
intesa come la capacità di un adattamento rapido ed efficace alle mutate
condizioni ambientali.
1
Un detto pellerossa, sicuramente estensibile a qualsiasi entità intelligibile,
afferma: «Per comprendere veramente un uomo occorre camminare per due lune nei
suoi mocassini».
2
Rispettivamente con le esperienze (tutte, percettibili e non) che generano il
presente, quelle che sono da esso generate e ancora in itinere e quelle che ne
costituiscono l’essenza.
- 15 -
Non è più reale la questione se sia il consumatore a ruotare attorno
alle imprese o semmai queste ad orbitargli intorno nel continuo cercare di
coglierne la luce oscurando quella ricevuta emanata dalle altre. La
questione si pone invece nella logica di un continuo avvicinamento da
perseguire fino a che le due identità diventino una sola e unica, termine
ultimo di un vicendevole implementarsi che, solo, può portare ad un
vantaggio competitivo duraturo, valido sino a quando non avvenga un
rigetto o prevalga una diversa forza attrattiva (la cui capacità di inserimento
dipende dalle possibilità offerte dalla nostra incapacità di vivere e gestire
tale connubio).
Per far sì che questo modo di vivere il rapporto impresa-ambiente sia
effettivamente realizzato, l’intera organizzazione deve possedere
determinati attributi ed essere pervasa da una mentalità in sintonia con
l’ideale di fusione sopra delineato. Ogni sua parte costituente deve riuscire
ad intuire – e, ancor meglio, a comprendere – quale sia la direzione
intrapresa e per quali motivi la si è intrapresa. L’assenza di chiarezza in
proposito inevitabilmente porta a problemi di messa a fuoco di ruolo e
missione nella e dell’impresa con inevitabili conseguenze negative nel
portare avanti l’azione strategica. Occorre, in particolar modo da parte di
chi detiene la leadership decisionale, una spiccata propensione alla
flessibilità soprattutto mentale consentendo il divenire viva creta nelle mani
di eventi che siamo in grado di avvertire già e in parte di indirizzare.
Sebbene la diffusione iniziale di un tale nuovo, coinvolgente modo di
intendere il reale debba inizialmente seguire un andamento top-down, in
seguito, l’organizzazione tutta, come fosse un organismo segnato in ogni
sua parte da una medesima impronta genetica, deve rendersi capace di
respirare in un moto unico e nutrirsi di valori condivisi in modo da potersi
inserire senza alcuna remora nelle turbolenti correnti del mercato.
Riuscire a vivere emotivamente la frammentarietà e la precarietà dei
diversi moti del mercato come un progresso desiderato costituisce la chiave
per la soluzione di ogni problema di posizionamento. Possiamo dire con
Gerken che «Solo mediante la pratica della partecipazione è possibile fluire
con gli avvenimenti e accordarsi con le discontinuità dell’ambiente»
1
.
1
G Gerken, Addio al marketing, ISEDI, 1994, pag. 130.
- 16 -
Ed è sempre la partecipazione a sottrarre l’impresa dall’anonimato,
conferendole quella credibilità che è tipica di chi è compartecipe di un
evento o processo e si pone a fianco di chi – come il consumatore – è
coinvolto in prima persona nell’affrontare il cambiamento. Quest’ultimo
aspetto risulta decisivo nel conquistare la fiducia del mercato che, alla
lunga, sempre premia chi mostra la capacità di mettersi in discussione
insieme alle posizioni acquisite nel tentativo costante di raggiungere
qualcosa di superiore. «Tramite l’apertura e la disponibilità ad identificarsi
con gli scenari, i temi e le opinioni e la disponibilità a integrare la propria
personalità nel flusso dei mutamenti e a lasciarsi formare – prosegue
Gerken – si ha che tutti apprendono da tutti». In assenza di ciò vengono a
determinarsi situazioni di dissonanza e contrasto col mercato che, oltre a
non arrecare alcun vantaggio in termini di competitività, rischiano di
minare il futuro dell’impresa aggredendone la struttura strategica.
Ai fini di un reale apprendimento occorre, a tutti i livelli, la
mobilitazione dell’intelligenza dell’impresa, insieme al mantenimento
dell’armonia tra cultura e strategia. L’idea che il campo di applicazione
della strategia sia anche e in primis l’interno dell’azienda non deve
rimanere un enunciato fine a se stesso: apertura e mobilitazione devono
essere le parole d’ordine, fondamenta sulle quali costruire la competitività
d’impresa. La capacità di azione deve divenire il più immediata possibile
riducendo al minimo il rischio di paralisi derivante da una troppo lunga
fase di analisi preliminare che spesso produce solo un ulteriore incremento
del carico informativo. L’impresa sa già, nell’ottica della fusione, quello
che deve fare: la volizione è già in itinere, deve solo esplicitarsi. L’intera
organizzazione deve essere votata all’azione e a un sentire diffuso (dove
per sentire va intesa l’accezione più incline alla percezione, alla sensibilità
partecipe).
Tale visione, tuttavia, pure se vissuta e portata fino ai suoi termini
estremi, non può essere sufficiente in quanto persiste, dal dentro, un angolo
cieco. Se, nel contempo, riuscissimo ad avere una visione dall’esterno e
dall’alto della situazione nella quale siamo immersi potremmo determinare
dov’è che ci stiamo portando e giungere da subito laddove il mercato
arriverà nel futuro, arrivando addirittura noi stessi ad “educare”, attraverso
- 17 -
l’applicazione di una volontà creativa, il mercato, in modo che raggiunga
quella posizione più rapidamente oppure che non ne raggiunga un’altra
altrettanto plausibile e a noi invisa (questo potrebbe succedere perché nella
sua instabilità, a volte, esso si rende suscettibile di prendere questa o quella
via influenzato da minime e imprevedibili oscillazioni del momento).
L’impresa deve cioè essere in grado di seguire nell’ambito del mercato una
propria rotta, di sapere dove esattamente si trova, dove sta andando e
perché. Non deve comunque essere dimenticato il limite derivante da
un’inevitabile miopia a causa del quale più lontano guardiamo e più è facile
incorrere in valutazioni errate.
Secondo l’intensità con cui sono perseguite e del risultato ottenuto
nel raggiungere queste visioni, l’impresa inserita in un ambiente
caratterizzato da turbolenze e incertezza è esposta a rischi diversi quanto a
natura e portata. Possiamo dare una rappresentazione di ciò attraverso la
matrice esposta nella figura 1.1.
Figura 1.1 – Relazione tra prospettiva dell’impresa e situazione competitiva
Visione
dall’alto
Elevata
Bassa
Visione dal dentro
Bassa Elevata
Disorientamento
sclerotico
Deriva strategica
Disorientamento
miòpico
Perfetta
simbiosi
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Ponendo sulla dimensione orizzontale la forza con cui l’impresa si
sforza di penetrare l’intimo del mercato divenendone essenza (visione da
dentro) e su quella verticale il modo con cui essa cerca di darsi una più
imparziale e spassionata visione dal di fuori, possiamo dividere la matrice
che ne risulta in quattro quadranti corrispondenti a quattro diverse
situazioni.
Un’impresa che non sia dentro appieno ai flussi del mercato, ma che
abbia la pretesa di conoscere, attraverso una visione distaccata e oggettiva,
non partecipe, la direzione da esso seguita, rischia di ritrovarsi,
disorientata, da tutt’altra parte, per giunta con l’aggravio di un peso
costituito da una cultura e un’organizzazione poco duttile e dinamica,
sclerotizzata nel suo incedere alla deriva. Il pericolo è quello di non riuscire
a rimettersi in rotta rimanendo esclusi dalla competizione o quantomeno ai
suoi margini. Lo sforzo da compiere è dunque quello di immergersi
appieno nelle correnti concorrenziali e recuperare una completa e cosciente
fusione con l’ambiente competitivo.
Se in aggiunta ad una poco sensibile visione dal dentro non si riesce
neppure a compiere uno sforzo di inquadramento delle varie forze che
sommuovono l’ambiente di riferimento, la situazione diviene altamente
critica e le possibilità di risollevarsi e non uscire dal mercato dipendono
ora, oltre che dalla capacità di cambiare rapidamente e decisamente rotta
(esigua, vista l’assenza di flessibilità e di perspicacia), dal fatto che la
situazione di mercato non si allontani troppo dalle nostre attuali posizioni
consentendoci il rientro. L’impresa, in alte parole, è in piena deriva
strategica e, se anche dimostrasse una certa capacità ad operare, a lungo
andare soffrirà le conseguenze delle carenze a livello di visione venendosi a
restringere il tempo che essa ha a disposizione per riorientarsi alle
condizioni di mercato in essere.
Nel caso in cui l’impresa abbia una completa visione dall’interno, ma
manchi di proiezioni riguardo quella dall’esterno, essa si muoverà sì
assieme al suo mercato, tuttavia non ne conoscerà il movimento
complessivo e non saprà o non riuscirà ad intendere dove esso stia in realtà
andando a parare.
- 19 -
Se ad esempio la direzione presa portasse verso un globale suo
restringimento a causa e in favore di altri mercati spinti da più potenti
elementi, staremmo, in effetti, andando verso la dissoluzione assieme ad
esso. La miopia, in questo caso, può portare all’impatto con scogli e vortici
concorrenziali che, giungendo inaspettati e cogliendo l’impresa
impreparata, ne mettono seriamente a repentaglio le prospettive future.
Occorre pertanto cercare di mettere la testa fuori dell’ordinario e sapersi
muovere attraverso le visioni.
Essere al contempo coscientemente visionari e parte attiva della
fusione con il mercato è la caratteristica vincente che contraddistingue le
imprese che realizzano una simbiosi perfetta tra moti e realtà del presente e
del futuro, con la cultura, sempre aperta a nuovi contributi e foriera di
adattamenti di tipo olistico, a fare da cerniera tra presente e visione.
Se la fusione tra impresa e ambiente di riferimento (visione dal
dentro) e l’aspetto puramente prospettico-visionario (visione dall’alto)
costituiscono un elemento fondamentale per affrontare la competizione, le
condizioni imposte per il loro conseguimento risultano essere tuttavia sì
necessarie, ma non sufficienti. L’impresa deve in realtà disporre, come
sopra enunciato, di risorse idonee per percorrere questa strada e soprattutto
di un’adeguata cultura, promotrice del nuovo e del cambiamento, che
pervada l’intera organizzazione.
- 20 -
1.1.2 – Nuove sfide e nuove spinte per il posizionamento.
In passato, sapersi posizionare era importante, ma non determinante.
Le imprese e chi le dirigeva dovevano confrontarsi con una mutevolezza
dell’ordinario relativamente bassa. Una vera e propria necessità di
ripensare la propria posizione strategica emergeva solo al verificarsi di
eventi di rottura
1
. Fino ad alcuni decenni fa esisteva un numero inferiore di
marche che potevano competere sulla base di reali differenze nelle
rispettive offerte. Le imprese, di solito, potevano trovare qualcosa che fosse
allora effettivamente superiore ai concorrenti e cercare una particolare e più
appetibile posizione sull’arena competitiva. Tuttavia, ancora non si può
parlare correttamente di vere e proprie strategie di posizionamento,
mancando la coscienza di tutte le implicazioni che il in tali termini
comporta.
Quella che oggi sta emergendo è invece l’incombente esigenza di
pensare alla propria collocazione sul mercato o su un suo segmento e tenere
sempre ben saldo il controllo della propria posizione, l’importanza del
quale va continuamente aumentando. Si è costantemente esposti al pericolo
che venga a mancare il terreno da sotto i piedi, magari quello stesso terreno
che abbiamo sempre considerato come saldo e ormai una certezza
acquisita. Tutto traballa, ma il rischio maggiore è quello di non avvertire o
di sottovalutare le scosse.
Numerosi sono gli elementi che stanno determinando la nuova realtà
con la quale si devono confrontare le imprese, tutti comunque riconducibili
a quella globalizzazione che, come un titanico sistema di vasi comunicanti
è potenzialmente in grado di livellare le posizioni competitive ad oggi
raggiunte. Una notevole spinta in questo senso è data dalla sempre più
diffusa e rilevante presenza delle nuove tecnologie le quali, annullando
d’un colpo tutte le principali certezze spazio-temporali, costituiscono il
1
Pensiamo, per esempio, all’industria automobilistica degli anni Venti ed al
successo della nuova organizzazione produttiva e della strategia di ampia diffusione
adottate dalla Ford, la quale costituiva una sfida che fu affrontata con successo dalla
General Motors attraverso un’estesa gamma di prodotti rivolti ai numerosi segmenti di
un mercato ormai aperto e in espansione.