2
PROFILO
Alesssandro Baricco nasce a Torino nel 1958 e si laurea a ventitré anni in filosofia con Gianni
Vattimo.
Nel 1991 esordisce nel campo della narrativa con Castelli di rabbia (Premio Selezione
Campiello), a cui fanno seguito Oceano mare (vincitore Premio Viareggio per la narrativa) nel
1993, Seta nel 1996, City nel 1999, Senza sangue nel 2002.
“Prima del romanzo, i talenti di Baricco sembrarono ed erano quelli di un promettente
musicologo, critico e storico di buona formazione filosofica”
1
. Infatti, nel 1988 pubblica, presso il
Melangolo, un saggio sul teatro musicale di Rossini, Il genio in fuga, e nel 1992 una brillante
divagazione teorica sulla musica moderna, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin.
Oltre alla narrativa e alla critica musicale, gli interessi di Baricco spaziano anche in altri
settori come il giornalismo, il teatro, la pubblicità, la televisione.
Tra il 1993 e il 1998 pubblica due raccolte di articoli, Barnum e Barnum 2, editi da
Feltrinelli, articoli comparsi prima su La Stampa, e poi su Repubblica, cui collabora tuttora. Nel
2002 pubblica, sempre presso Feltrinelli, una terza raccolta di articoli, Next, scritti per Repubblica,
sul tema della globalizzazione.
Sempre da Feltrinelli sono usciti un racconto per il libro di Moreno Gentili, In linea d’aria,
del 1999, la postfazione a Cuore di tenebra di Joseph Conrad (1995), il monologo teatrale
Novecento nel 1994, da cui il film La leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore.
Inoltre, per il teatro ha scritto nel 1996 una partitura per la regia di Luca Ronconi, Davila
Roa, mai edita. Di recente (2003) è stata pubblicata la sceneggiatura scritta nel 1986 in
collaborazione con la filmaker Lucia Moisio sulla storia di Farinelli, Partita spagnola.
1
GOFFEDRO FOFI, introduzione a ALESSANDRO BARICCO e LUCIA MOISIO, Partita spagnola,
Roma, Dino Audino Editore, 2003, pp. 5-6.
3
Baricco ha lavorato anche nel mondo della pubblicità, da giovane come copywriter per le
biciclette Bianchi, nel 2002 sceneggiando lo spot per i 125 anni della Barilla, regia di Wim
Wenders.
Inoltre ha condotto due trasmissioni televisive: una di carattere musicale, L’amore è un
dardo, nel 1993, l’altra di carattere letterario, Pickwick, nel 1994 in collaborazione con la
giornalista Giovanna Zucconi.
L’amore per la divulgazione letteraria è proseguito poi con l’esperienza di Totem, tournee a
metà tra l’esperienza teatrale e il reading, prodotte con la collaborazione di Gabriele Vacis.
Attualmente dirige a Torino la scuola di tecniche della narrazione Holden, fondata nel
1994.
Il suo contratto con Rizzoli è terminato e, secondo Enrico Aroisio, “i possibili acquirenti
non sono più di tre: Einaudi, Mondadori e Feltrinelli”
2
.
Vive e lavora a Torino.
2
ENRICO AROISIO, Dalla seta alla flanella, in “L’Espresso”, 12 settembre 2002.
4
CAPITOLO PRIMO
CASTELLI DI RABBIA
1. 1 LA TRAMA
Castelli di rabbia
1
, testo d’esordio di Alessandro Baricco, stabilisce un canone che sarà presente in
tutta la successiva produzione dell’autore: la letteratura come puro racconto, come narrazione di
storie. Secondo quest’ottica “lo scrittore si pone come cantastorie, come fabulatore, non come
interprete di un mondo di cui cerchi una verità […]”
2
. Tale dimensione viene realizzata in primo
luogo tramite l’eterogeneità “intesa sia come decentralizzazione, sincretismo, eclettismo,
mancanza di profondità e senso, sia come molteplicità dei piani di narrazione e pluralità dei
percorsi di lettura”
3
.
Il luogo della narrazione è Quinnipak, una contrada inglese ottocentesca dove la bizzarria è,
da sempre, un bene condiviso da tutti. Le vicende principali ruotano attorno a quattro personaggi:
Pekisch, il signor Rail, Jun, Hector Horeau.
Pekisch, direttore della banda cittadina, inventa uno strambo strumento: l’umanofono. Si
tratta di una specie di organo in cui al posto delle canne suonano le persone. Ognuno emette una
sua nota personale e Pekisch manovra il tutto da una rudimentale tastiera a cui i cantanti sono
legati tramite un filo. Pekisch non ha una propria nota perché ha troppa musica in testa e, infatti,
morirà quando tutta questa musica scoppierà suonando simultaneamente la sinfonia della sua vita.
1
A. BARICCO, Castelli di rabbia, Milano, Rizzoli, 1997, 2000
8
.
2
S. CONTARINI, Corrente et Controcorrente, in “Narrativa”, 1997, n. 12, p. 40.
3
Ibidem.
5
Il signor Rail, proprietario delle omonime vetrerie, si assenta periodicamente per affari. In
uno dei tanti viaggi torna con un figlio, Mormy, che Jun, sua compagna per trentadue anni, non
riconoscerà mai come tale: “Ciao, Mormy. Io mi chiamo Jun e non sono tua madre. E non lo sarò
mai.”
4
Infatti ne diventerà l’amante.
Da un altro viaggio porta con sé una locomotiva, Elisabeth, perché vuole far costruire una
ferrovia senza destinazione di duecento chilometri perfettamente diritta poiché, “la traiettoria di un
proiettile è rettilinea e il treno è un proiettile sparato nell’aria.[…] è la metafora esatta del
destino”
5
. Per ottenere i fondi necessari a finanziare il suo progetto s’impegna a realizzare
novemila lastre di vetro per Hector Horeau, l’architetto che ha vinto il concorso “per la costruzione
di un immenso palazzo atto a ospitare una prossima, memorabile Grande Esposizione Universale
dei prodotti della Tecnica e dell’Industria”
6
. La costruzione, Crystal Palace, avrebbe dovuto
concretizzare la passione di Horeau per il vetro e le trasparenze, avrebbe dovuto essere una
cattedrale di vetro e ferro, ma all’ultimo momento verrà scelto il progetto di Paxton, una specie di
serra gigante di vetro e ferro che andrà distrutta in un enorme incendio. Horeau finirà in
manicomio prima come assistente, poi come internato. I beni di Rail verranno venduti all’asta,
eccetto Elisabeth che rimarrà a Quinnipak.
Jun riprenderà l’appuntamento con il destino sospeso anni prima dall’incontro con il
signor Rail, quando decise di non salpare per un luogo a noi ignoto dove avrebbe dovuto
consegnare un libro:
Un giorno ripiglierà il suo viaggio. E Jun è quel viaggio. Lo capisci? Tutto il resto, Quinnipak,
questa casa, il vetro, tu, Mormy e perfino io, tutto il resto non è che una grande fermata imprevista.
Miracolosamente, da anni, il suo destino trattiene il fiato
7
.
4
ALESSANDRO BARICCO, Castelli di rabbia, cit., p. 25.
5
Ivi, pp. 78-79.
6
Ivi, p. 146.
7
Ivi, p. 212.
6
La ritroviamo, infatti, mentre legge, ad una donna vecchissima e cieca, un libro la cui ultima
parola è “America” ed è lo stesso libro che leggiamo noi.
L’ultimo capitolo, il settimo, è una pagina di diario, datata 14 Febbraio 1922, di una donna
costretta a prostituirsi con il capitano di un transatlantico per pagarsi il viaggio verso l’ “America”.
Per sfuggire a questa pratica degradante la donna fa un gioco: si rifugia a Quinnipak, luogo
d’invenzione dove il vissuto personale viene superato. Gli abitanti di Quinnipak hanno gli stessi
nomi di quelli che il lettore ha incontrato lungo la storia e così, come in un gioco di scatole cinesi,
la narrazione si riapre e i piani di lettura si intersecano sfuggendo ad un’univoca comprensione e
lasciando aperte diverse interpretazioni.
Questa dinamica ipertestuale viene sottolineata anche da una citazione rilkiana
8
che, a
frammenti, precede le sezioni dispari (Uno, Tre, Cinque, Sette) e che, come scrive Fulvio Senardi,
dovrebbe fungere da cerniera intonando “il tema della felicità”
9
accennato lungo il libro:
Gli erano entrate negli occhi, quelle due immagini, come l’istantanea percezione di una felicità
assoluta e incondizionata. Se le sarebbe portate dietro per sempre. Perché è così che ti frega, la vita
[…].
10
8
Riportiamo di seguito la traduzione dei succitati frammenti: “E noi che pensiamo che la felicità/ come
un’ascesa, ne avremmo l’emozione/ quasi sconcertante/ di quando cosa ch’è felice, cade.”, RAINER
MARIA RILKE, Elegie duinesi (1923), trad. di Enrico e Igea De Portu, Torino, Einaudi, 1978, v. 110-113,
decima elegia, p. 69.
9
“[…] ma se il messaggio sussurrato dai morti nell’ultima strofa delle Elegie duinesi, di una felicità,
difficile da capire per noi uomini, che si completa e si realizza, quasi, nell’atto di negarsi, […],
indubbiamente rimanda ad accenni seminati con arte dalla mano sapiente dello scrittore […], pure cade nel
vuoto nella misura in cui non trova a sostenerlo un testo teso ad approfondire la verità dell’uomo, ma tutto
concentrato in una sua temeraria sfida di scrittura”. F. SENARDI, Alessandro Baricco, ovvero… che storia
mi racconti?, in “Problemi”, 1998, n. 112, p. 268.
10
Op. cit., p. 26.
7
1. 2 LO STILE
Castelli di rabbia presenta una struttura articolata: è composto da sette sezioni il cui titolo è
sostituito da una numerazione progressiva scritta in maiuscolo (le parti dispari sono anticipate da
frammenti, della ricordata citazione rilkiana, in corsivo). Ogni sezione si divide in capitoli
anch’essi privi di titolo e ordinati secondo la numerazione romana.
Anche a livello stilistico Baricco persegue un modello elaborato esibendo diversi generi e
registri linguistici; “si passa dal dialogo allo stile libero indiretto, dal monologo interiore al
racconto, dal saggio alla descrizione, all’epistola, alla cronaca, alla massima morale, alla poesia, al
frammento”
1
. La sua scrittura tende ad una naturalezza espressiva che, in realtà, è frutto di un
attento lavoro di laboratorio.
1. 2. 1 DIALOGHI
L’incipit del libro è un dialogo in cui appaiono ben otto personaggi. Per introdurre il parlato
Baricco utilizza le lineette, mentre le virgolette vengono introdotte per riportare pensieri
1
,
citazioni
2
o parole e discorsi non contingenti
3
che, cioè, si svolgono nel passato. (Da sottolineare
l’uso particolare delle virgolette che risultano aperte già a inizio di frase, non si sa se per scelta
editoriale o dell’autore).
Spesso fa uso del maiuscolo per sottolineare le parole urlate, in modo analogo al fumetto,
“Allora, non c’è nessuno qui?… BRATH!… Ma che canchero, sono diventati tutti sordi quaggiù…
BRATH!”
4
. Infatti, il maiuscolo ricorre solo nel parlato eccetto in tre casi, ovvero in una nota di
1
SILVIA CONTARINI, op. cit., p. 42.
1
« “Ce n’è troppo di mondo” pensava », Castelli di rabbia, cit., p. 46.
2
“E il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima: egli possedette quattordicimila
pecore e seimila cammelli […]”, ivi, p. 31.
3
“Sì, quella notte venne giù un vero nubifragio, sa, non è che dalle nostre parti succeda poi così di
frequente, così me lo ricordo…”, ivi p. 88.
4
Ivi, p. 15.
8
quaderno di Penht
5
- un ragazzino che ordina il caos della vita secondo massime – , nel luogo della
narrazione in cui la banda cittadina si divide per poi ricongiungersi nel centro di Quinnipak
esibendosi, così, in un incontro-scontro di sonorità
6
, e in una lettera
7
che Pehnt invia a Pekisch. Il
maiuscolo, dunque, serve ad enfatizzare e, qualora venga sfruttato nei dialoghi, si fa portatore
anche di una funzione fatica evidenziando il tono del parlato.
Un altro espediente atto a ricostruire le movenze del parlato è l’uso dei puntini di
sospensione. A questo proposito sarà utile esaminare ancora il dialogo iniziale dove troviamo un
ragazzino, Pit, che deve recapitare un pacco a Jun Rail e per non dimenticarsi alcune informazioni
inerenti al pacco stesso le ripete ad alta voce mentre corre. Oltre ai tre puntini canonici troviamo
serie anomale anche molto lunghe:
Grazie, Angy… è un pacco per la signora Rail… è arrivato ieri… e ha l’aria… di venire da
lontano… è un pacco….. Buongiorno, signor Harp!… per la signora Rail… è arrivato ieri… e
ha……. è un pacco, è un pacco per la signora… signora Rail… e ha l’aria di venire… Magg!
8
Questa soluzione serve a mimare l’affanno della corsa che produce frasi a singhiozzo. In tal modo
Baricco evidenzia graficamente i tempi del parlato, che sono alterati dalla mancanza di fiato e, in
particolare, sottolinea le pause prolungate. Tale uso ricorre spesso all’interno dei dialoghi, ma
viene dosato sapientemente, come si vede negli esempi successivi: “[…] no, non lo avrei mai
sposato… il signor Pekisch…………. Sa, ci sono delle notti che…”
9
. In questo caso la
sospensione serve a modulare l’incertezza e l’imbarazzo della vedova Abegg che non riesce, o non
vuole, esprimersi chiaramente lasciando alla sfera dell’allusione il significato della frase.
5
“1901. Sesso. PRIMA togliersi gli stivali, DOPO i pantaloni”, ivi, p. 132.
6
“ADESSO – adesso – è proprio adesso – come si sarebbe potuto immaginare tutto questo? – un milione
di suoni che scappano impazziti in un’unica musica – sono lì, uno dentro l’altro – non c’è inizio non c’è
fine – una banda che ingoia l’altra – la commozione dentro il terrore dentro la pace dentro la nostalgia
dentro il furore dentro la stanchezza dentro la voglia dentro la fine – aiuto – dov’è finito il tempo? – dov’è
sparito il mondo? – cosa mai sta succedendo perché sia tutto qui, adesso – ADESSO – ADESSO”, ivi, p.
176.
7
“E soprattutto NON STO PIU’ DAL SIGNOR IVES”, ivi, p. 203.
8
Ivi, p. 17.
9
Ivi, p. 91.
9
Altrove la serie di puntini serve a mimare il parlato di un malato che tenta di congedarsi dal signor
Rail lasciandogli in eredità la sua sapienza di vecchio:
Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solo vita… non sono quelli gli errori… quella è
vita… e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si
spacca…….. io questo l’ho capito[…]
11
.
A livello sintattico uno degli espedienti più usati per rendere la mimesi dei procedimenti
orali è l’iterazione nelle sue diverse applicazioni; “[…] Vede ci sono ovviamente dei problemi a
costruire una simile immensa… chiamiamola cattedrale di vetro. Problemi strutturali ed
economici”
12
.
In questo caso si assiste ad un particolare fenomeno di anadiplosi per cui il lessema problemi, che
compare nel mezzo del primo segmento del discorso, ricompare anche nella prima parte del
segmento successivo. Ciò serve “[…] a chi ascolta per collegare più facilmente ciò che è stato
detto prima a ciò che verrà dopo”
13
, mentre a chi parla serve a tematizzare un elemento
riprendendolo anche nell’enunciato successivo. Nel seguente passo abbiamo alcuni esempi di
ripetizione a ciclo (epanadiplosi), per cui la parola con cui si inizia l’enunciato viene ripetuta alla
fine dell’enunciato stesso:
[…]
- Arriverà… da qualche parte arriverà, in una città magari, arriverà in una città.
- In che città?
- In una città, una città qualunque, andrà sempre dritto e alla fine troverà una città, no?
[…]
- E’ un treno, Jun, è solo un treno.
14
Spesso viene usata l’anafora:
Son finito qui perché è successo così. Non c’è nessun’altra ragione. Son finito qui come un bottone
in un’asola, e ci son rimasto. […] E’ così che sono finito qui.
15
;
11
Ivi, p. 135.
12
Ivi, p. 152; salvo diverse indicazioni, in queste, come nelle prossime citazioni, i corsivi sono miei.
13
BICE MORTARA, GARAVELLI, Le Figure Retoriche, Milano, Rizzoli, 1993, 1995, p. 160.
14
Op. cit., p. 113.
15
Ivi, p. 127.
10
o il polisindeto e l’asindeto combinati insieme:
C’erano quelli della ferrovia, gli operai, erano inferociti, gridavano contro di noi, erano in quaranta,
forse di più, noi abbiamo cercato di fermarli ma erano in troppi, e allora siamo scappati… stavamo
scappando quando hanno iniziato a tirarci addosso quelle dannate pietre, e io non so perché ma
Mormy è rimasto indietro, io gli ho gridato di venir via, ma lui non sentiva, io non so, è rimasto lì e
alla fine un sasso l’ha colpito proprio in testa, è caduto giù di schianto, e tutti allora si sono fermati,
ma era ormai troppo tardi, non c’era più niente da fare, non respirava e aveva la testa tutta… era
morto, insomma.
16
In quest’ultimo caso la predominanza delle coordinazioni è funzionale al ritmo dell’evento
raccontato. Il personaggio che parla è in preda al panico e questo influisce sul suo modo di
esprimersi che risulta concitato e privo di nessi causali.
Un altro espediente usato spesso nei dialoghi è l’uso della dislocazione a destra
17
, o
catafora:
[…] … bè, sappiate che ci avevo pisciato dentro, a quel bicchiere, capito? Ci avevo pisciato
dentro…
18
Se lei davvero è in grado di fare delle lastre di vetro come quelle descritte in questo ritaglio di
giornale, io riuscirò a farlo stare in piedi, il Crystal Palace…
19
Così lo smonteremo pezzo dopo pezzo, l’immane palazzo di vetro, e lo rimonteremo fuori città, con
intorno chilometri di giardini, e poi laghi e fontane e labirinti.
20
Negli esempi riportati l’elemento spostato a destra è sempre un elemento già noto che viene
menzionato per chiarezza espositiva. In questo modo, il tema viene messo in secondo piano,
mentre si enfatizza l’informazione nuova, il rema. Nel caso seguente, invece, la dislocazione a
destra serve a ribadire il tema dell’asserzione che non risulta chiaro all’interlocutore:
-Ti prego, non dirlo a nessuno.
-Non posso, Jun. Mormy è mio figlio, voglio che cresca qui, insieme a noi. E tutti lo devono sapere.
[…]
-Ti prego, non dirlo a nessuno che ho pianto
21
.
16
Ivi, pp. 189-190.
17
Queste riflessioni prendono spunto da DARDANO-TRIFONE, Grammatica Italiana, Zanichelli, 1995.
18
Ivi, p. 130.
19
Ivi, p. 152.
20
Ivi, p. 198.
21
Ivi, p. 28.
11
Jun, accorgendosi dell’incomprensione, si corregge tematizzando a destra. La catafora è molto
presente, mentre sono rari gli esempi di anafora, cioè di dislocazione a sinistra:
-… girate così e guardate… ecco, il mondo lo si vede così quando si è sui treni… proprio così…
girate e guardate… è come andare veloci… la velocità…
22
.
E’ un po’ come scrivere l’indirizzo su una busta. La lettera la scriveremo poi, e sarà lunga duecento
chilometri
23
.
Con la tematizzazione a sinistra si pone l’accento su ciò che già si conosce. Poiché la
focalizzazione cade su un elemento noto le informazioni successive possono solo specificare
meglio ciò che si vuole dire. Infatti quando Baricco vuole tendere all’allusività usa la catafora,
creando nel lettore un meccanismo di attesa; prima fornisce informazioni sconosciute al lettore e
successivamente le abbina a un elemento noto creando un effetto di sorpresa. Ciò si nota bene nel
Capitolo due della terza sezione dove si trovano una serie di diversi frammenti alternati, tra cui dei
dialoghi:
-Al limite si potrebbe anche accorciarla un po’, quella giacca[…].
24
-Eh no, questo non me lo devi fare, Andersson
25
.
Trattandosi di frammenti il lettore non conosce il contesto di riferimento per cui la posticipazione
del noto crea un lieve effetto di disorientamento e di aspettativa. A questo proposito è significativo
ciò che Baricco scrive in un suo saggio di argomento musicale:
Che lo si voglia o no, l’esperienza dell’ascolto si fonda su una dialettica di previsione e sorpresa, di
attesa e risposta. L’ascoltatore deduce da qualsiasi scheggia di materiale offertogli una gamma di
possibili sviluppi, secondo le leggi di una certa organizzazione dei suoni (ad esempio
l’organizzazione tonale). Ovviamente è portato ad aspettarsi gli sviluppi più elementari e logici. La
musica gli risponde in due modi possibili: conferma le sue idee (ad esempio con una cadenza
perfetta) o lo sorprende con sviluppi più elaborati ma comunque interni all’organizzazione stabilita
[…]. E’ un meccanismo di piacere che continua a scattare a ripetizione.
26
22
Ivi, p. 93.
23
Ivi, p. 108.
24
Ivi, p. 124.
25
Ivi, p. 125.
26
A. BARICCO, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Milano, Garzanti, 1992, 2002, p. 55.
12
A livello morfosintattico si registrano alcuni fenomeni tipici dell’italiano dell’uso medio
come: forme aferetiche “- Lascia perdere il calesse e prendi ‘sta roba piuttosto…”
27
, apocopate “-
Va be’…non fare fesserie, Brath […]”
28
, concordanza a senso con soggetto collettivo “- Sono cose
che nella vita non bisogna fare. -E ce n’è tante?”
29
, “ci” con uso attualizzante “- Tu ce l’hai una
nota, vero?”
30
, sostantivi in funzione di aggettivi “-Non è un’idea male”
31
, tendenza a usare
l’indicativo al posto del congiuntivo “- Io credo che tu sei matto, e che appunto per questo li
troverai quei soldi.”
32
Infine va fatta menzione dell’uso dei deittici, ovvero di tutte quelle particelle connettive
che riguardano la situazione extra-testuale. Gli esempi riportati sono tratti dal dialogo iniziale:
-Dove diavolo ti eri cacciato… è un’ora che sto qui a…
-Il tuo calesse è a pezzi, Arold, non dovresti andare in giro così…
33
;
e :
- Va bene, Pit, ma adesso vieni qui…posala quella corda e vieni qui, ragazzo… ho bisogno che
torni su alla casa, subito, hai capito?… Tieni, prendi questo pacco. […]
34
;
e ancora: “-Senti, vuoi prenderlo, Brath? Devo tornare a Quinnipak entro mezzogiorno…”
35
.
Baricco sfrutta molto la deissi senza però appesantire la lettura, ma, anzi, fornendo delle
coordinate visive che rendono più immediato il luogo della narrazione. Inoltre, trattandosi
dell’incipit del libro, fornisce tutte le indicazioni spazio-temporali necessarie senza ricorrere alla
descrizione.
27
A. BARICCO, Castelli di rabbia, cit., p. 15.
28
Ibidem.
29
Ivi, p. 44.
30
Ivi, p. 75.
31
Ivi, p. 47.
32
Ivi, p. 112.
33
Ivi, p. 15.
34
Ibidem.
35
Ibidem.
13
1. 2. 2 STILE EPISTOLARE
Baricco fa spesso ricorso allo stile epistolare che è evidenziato dall’uso del corsivo; ciò avviene
con la corrispondenza tra Marius Jobbard e il signor Pekisch
1
, la breve corrispondenza tra il signor
Rail e l’ingegnere Bonetti
2
, la corrispondenza tra Penht e Pekisch
3
.
A seconda della situazione comunicativa, lo stile si fa più o meno informale, ma le varianti
diafasiche vengono sfruttate anche per ottenere fini ironici. Ciò è ben visibile nella corrispondenza
tra Penht e Pekisch. Penht, orfano “adottato” da Pekisch e dalla vedova Abegg, vive a Quinnipak
fino al giorno in cui si avvera il destino annunciatogli dalla sua tutrice:
Questa giacca l’ha lasciata tuo padre. […]Tu crescerai. E succederà così: se un giorno diventerai
abbastanza grande da fartela diventare di misura lascerai questa cittadina da niente e andrai a
cercare fortuna nella capitale.
4
Penht diventerà un ricco e affermato assicuratore e sarà l’unico abitante di Quinnipak a non subire
un destino fatale; si salverà tramite la normalità della quotidianità:
Si guardava sempre l’infinito a Quinnipak insieme a te. Ma qui non c’è l’infinito. E così guardiamo
le cose, e questo ci basta .
5
Naturalmente Pekisch non ammette un simile stile di vita e così, quando Penht gli invia il Manuale
del perfetto assicuratore, fa seguire ad un prolungato silenzio una lettera in cui sostituisce il Tu
colloquiale, col quale si rivolgeva a Penht, con una fredda terza persona:
[…]Vi assicuro che pagine come queste restituiscono la fiducia nella capacità della nostra amata
nazione di partorire ineguagliabili scrittori umoristici.[…]Vogliate ricevere ancora le mie più
sentite congratulazioni e abbiate la compiacenza di credermi l’infinitamente vostro Pekisch .
6
1
ALESSANDRO BARICCO, Castelli di rabbia, cit., pp. 38-42.
2
Ivi, p. 125 e p. 131.
3
Ivi, pp. 203-208.
4
Ivi, p. 49.
5
Ivi, p. 208.
6
Ivi, pp. 206-207, qui il corsivo è dell’autore.
14
Altrove lo stile formale viene applicato nella rigida funzione burocratica: “mi corre
l’obbligo di confermarLe quanto già documentatoLe[…]”
7
, ma Baricco lo sfrutta anche per
testimoniare l’empatia tra Marius Jobbard e Pekisch. Qui la terza persona è di cortesia e non limita
la scrittura, ma, anzi, le restituisce quella patina di delicatezza tipica della corrispondenza d’altri
tempi:
Per questo, stimatissimo sig. Pekisch, io mi permetto di dirLe in tutta umiltà: non rinunci ai suoi
esperimenti, e anzi cerchi in tutti i modi di affinare le Sue procedure e a diffondere i suoi risultati.
Se pur lontano dalle grandi cattedrali della scienza e dai suoi sacerdoti, Lei sta percorrendo il
luminoso cammino di una nuova umanità .
8
Anche il lessico diventa più ricercato, non per scopi parodistici, ma per rendere testimonianza di
una modalità espressiva tipica degli uomini dell’ottocento. Ciò appare evidente se si tiene conto
del contesto narrativo: Marius Jobbard ha appena ucciso il prof. Dallet e il suo coaffittuario, e sta
per suicidarsi. La lucida follia che lo ha accompagnato nei suoi delitti fa posto alla fatica fisica e
psicologica -“[…], ma la mia mano, come Lei stesso può constatare, si fa di minuto in minuto più
incerta. E così la mia mente ”
9
- per cui si può supporre che la scrittura epistolare gli sia congeniale
e non richieda sforzi particolari.
Dalle considerazioni stilistiche, inoltre, si possono desumere alcuni spunti interpretativi che
si è pensato di collocare in coda al paragrafo poiché connessi all’analisi lessicale. Lo studio
ermeneutico sarà comunque trattato in un capitolo a parte. Baricco nell’epistola insiste sulla
famiglia lessicale di “lume” che ricorre spesso nei suoi derivati: “[…]Lei sta percorrendo il
luminoso cammino di una nuova umanità”
10
e altrove “Avrei anche altri e più illuminanti
aneddoti”
11
e ancora “[…]lo stesso prof. Dallet non è sempre illuminato dal più puro e
disinteressato amore per la verità”
12
.
7
Ivi, p. 125.
8
Ivi, p. 41, qui, fino alla nota 12, il corsivo è dell’autore.
9
Ivi, p. 49.
10
Ivi, p. 41, qui, come nelle due note successive, la sottolineatura è mia e serve ad evidenziare il fenomeno
in causa, questo perché il corsivo è già dell’autore.
11
Ivi, p. 40.
12
Ibidem.
15
Un tale ricorso al metaplasma
13
potrebbe far pensare ad un’ambientazione della vicenda nel
secolo dei Lumi, ma sappiamo che la narrazione si svolge nell’ Ottocento. Quindi Baricco, più che
un’indicazione cronologica, sembrerebbe testimoniare un’eredità culturale: la fiducia nella scienza
e nel progresso. Tuttavia Marius Jobbard è il primo dei personaggi di Castelli di rabbia ad essere
sconfitto, infatti muore suicida. Il messaggio dunque potrebbe essere questo: il destino fatale
dell’uomo è una dimensione universale, indipendente dallo spazio-tempo in cui si concretizza, e
ineluttabile.
Vi si può rintracciare, però, anche un altro scopo: fornire i fondamenti culturali su cui tutto
il mondo di Quinnipak si fonda. Infatti, secondo l’ottica che Baricco esprime in un suo saggio
musicologico, il progetto illuminista svela:
un’inaspettata possibilità di evoluzione: si prefigura un oltre che sembra seguire necessariamente
all’affermazione della soggettività e che, paradossalmente, lavora contro quella soggettività. Questo
oltre il Settecento non lo riconobbe […].
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Si tratterebbe, allora, di un’eredità culturale che attende di essere superata, in quanto percepita
come potenziale, senza, però, l’intuizione delle dinamiche atte a realizzarla. Questo passaggio si
concretizza nell’opera buffa rossiniana che identifica e mette in scena quell’altrove.
Sull’importanza del teatro musicale di Rossini per Baricco si dirà più avanti; qui è importante
sottolineare come lo scrittore getti le fondamenta per la costruzione di un proprio universo
immaginario che, nonostante abbia l’ambizione di elevarsi a condizione universale dell’esistere,
salda il suo debito con la cultura storica cui attinge.
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MORTARA GARAVELLI, Le Figure Retoriche, cit., p. 86.
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A. BARICCO, Il genio in fuga, Torino, Einaudi, 1988, 1997, p. 30.