3
Interesse particolare assumono le prime opere (quella su
Giandomenico Romagnosi e su Giovambattista Vico) con le quali richiamò
l’attenzione degli studiosi. Vedremo, in particolare l’importanza della figura
del Romagnosi, che considerò come proprio maestro e che riveste un ruolo
fondamentale nella sua formazione culturale.
Proudhon e Saint-Simon, Hume e l’etica, Romagnosi e Vico, Locke,
Hegel e la dialettica, vengono in questa ricerca posti in relazione
all’influenza che hanno avuto nel pensiero filosofico ferrariano.
L’analisi delle opere di Ferrari porta inevitabilmente a considerare il
lungo periodo che egli trascorse in Francia, ove, tra l’altro, esse furono in
gran parte scritte.
Il 1851 è l’anno in cui curò la pubblicazione dell’opera fondamentale
La Filosofia della rivoluzione, nella quale rivendicò la vitalità del pensiero
speculativo, di fronte all’Europa denigratrice e abbozzò la sua tesi
federalista, ripresa e sviluppata negli scritti successivi. È nella Federazione
Repubblicana, infatti, che affrontò sotto il profilo storico-politico il problema
delle forme e degli obiettivi della “rivoluzione” italiana.
La rivoluzione a cui fa riferimento il Ferrari, quella che poteva
risolvere il problema del nostro Risorgimento, era la Rivoluzione francese,
e la filosofia cui essa doveva ispirarsi altro non era che il positivismo
4
moderno. Entrambe le opere furono dirompenti in quanto impostarono il
progetto federalistico in termini rivoluzionari.
L’aspetto federalistico e dunque il pensiero giuridico-politico del
Ferrari, è il tema centrale della presente ricerca.
Le rivoluzioni che si dovevano compiere nel nostro paese, secondo
Ferrari, erano due: quella politica e quella sociale, affinchè l’Italia si ponesse
alla pari della coscienza europea, o meglio della coscienza francese.
Quella politica avrebbe portato all’indipendenza con la cacciata dello
straniero, ed avrebbe spezzato le barriere doganali che chiudevano le strade
di comunicazione tra le varie regioni d’Italia. Accanto a questa, occorreva
inoltre una rivoluzione sociale, caratterizzata da due momenti essenziali che
sono alla base del suo socialismo: la legge agraria e la cosiddetta “irreligione”.
Per legge agraria Ferrari intende il progressivo incremento del diritto di
necessità che chiede l’assoluto della giustizia, in quanto più le nazioni
progrediscono, più la necessità si fa maggiore. Ferrari auspicava, infatti,
attraverso la legge agraria, un nuovo corso della storia e soprattutto la
realizzazione di una libertà concreta, imperniata sull’uguaglianza e sull’equa
distribuzione del reddito. Sinonimo di irreligione invece è la scienza, che
sostituisce alla religione e alla metafisica la “divinità dei diritti dell’uomo e
l’assoluto della giustizia”. Da qui parte il concetto ferrariano di alienazione
5
religiosa, attraverso il quale Ferrari considera Dio nient’altro che
un’idealizzazione che l’uomo fa di se stesso. L’irreligiosità si trasforma poi
in laicismo politico, ovvero nella necessità di liberare lo Stato, sul piano
politico, civile e culturale dai condizionamenti diretti ed indiretti della
Chiesa.
Anche in questa problematica il soggiorno francese, che come
abbiamo accennato rappresenta uno dei momenti caratterizzanti la sua
formazione, le sue opere e la sua vita, offre utili indicazioni: proprio il paese
d’Oltralpe doveva fungere da esempio per l’Italia. Parigi in quegli anni fu
teatro di sviluppo del pensiero socialista, al quale Ferrari si collegò sin
dall’inizio del suo soggiorno, stringendo rapporti con i socialisti dell’epoca,
tra i quali spicca la figura di Proudhon.
Ma è bene sottolineare il fatto che Ferrari si avvicina alla Francia e la
prende come punto di riferimento, non per sminuire le capacità e le
potenzialità dell’Italia, ma per poter innalzare il suo paese d’origine ai livelli
di quelli più avanzati in Europa. Questo è l’aspetto del suo pensiero che più
venne criticato, in quanto giudicato sempre in senso negativo.
Tutta questa fase della vita di Ferrari, che comprende il periodo
formativo, il soggiorno francese e la stesura di molte sue opere, potremmo
6
definirla “teorica”, nel senso che gli interessi del nostro autore sono quasi
esclusivamente di carattere teorico.
Nel 1860 Ferrari fu eletto deputato al Parlamento italiano
aggiungendo, pertanto, alla dimensione teorica, l’attenzione alla politica
attiva. Accettò l’incarico perché credeva nella possibilità di una costituzione
attraverso la quale trasformare un paese da antico a moderno, nonostante la
consapevolezza delle remore che gravavano sull’Italia che potevano in
qualche modo ostacolare il progresso verso un avvenire diverso rispetto al
passato. Questo impegno rappresentò anche l’occasione per dimostrare che
la sua assenza di ventitrè anni dall’Italia era stata un’astensione e non una
diserzione, come qualcuno con malignità affermava.
In questo periodo che possiamo definire “pratico”, Ferrari avverte il
bisogno di agire e di sentirsi in qualche modo partecipe degli avvenimenti a
lui contemporanei.
È in questo momento della sua attività politica che si dibattè, fra
l’altro, sui problemi dell’Unità e della capitale. L’Unità, per Ferrari, era un
raggiro, non poteva risolvere i problemi dell’Italia risorgimentale. Il suo
progetto federale propugnava una nuova struttura capace di eliminare le
contraddizioni della storia passata e avviare l’Italia ad un sistema politico in
grado di garantire un rapporto pacifico tra i cittadini e le regioni della
7
penisola, ma soprattutto si rendeva propedeuticamente necessaria la
creazione di un’Italia libera ed indipendente. Ma soprattutto una
federazione non poteva tollerare una capitale, la capitale paralizzerebbe le
forze della federazione stessa, ostacolandone il progresso.
L’intera vicenda italiana fu letta in chiave di scontro tra unità e
libertà. Dove l’unità in un paese federale, anche solo geograficamente come
l’Italia, non può che significare appiattimento e soffocamento della libertà.
La libertà necessita, secondo la visione del Ferrari, della federazione; ed è
proprio la federazione che consente lo sviluppo della nazionalità.
Nell’ambito della federazione si può parlare di un solo tipo di unità:
quella morale dei popoli federali.
In quegli anni, naturalmente, non fu solo il Ferrari ad auspicare una
“nuova” Italia; anche Carlo Cattaneo e Vincenzo Gioberti, altri due
esponenti del Risorgimento italiano, come è noto, lavorarono su questa
problematica.
Ed è proprio da qui che parte il grande dibattito sul federalismo, che
abbiamo sinteticamente cercato di ricostruire anche attraverso un
confronto tra questi tre grandi nomi della cultura politica nazionale. Una
trasformazione rivoluzionaria ma in senso democratico (Ferrari), una
confederazione di Stati con a capo il Papa (Gioberti) ed, infine, una
8
federazione che spazza via gli stati esistenti e realizzi l’unità nazionale
(Cattaneo). Dunque tre diverse soluzioni di uno stesso problema.
Abbiamo tentato, al termine del nostro veloce excursus storico,
filosofico e politico sul pensiero federalista risorgimentale, di mettere in
luce eventuali spunti di attualità del dibattito ottocentesco rispetto alle
spinte federalistiche dell’Italia odierna, considerato che si tratta di un
dibattito all’ordine del giorno dell’agenda politico-istituzionale.
Ma il risultato, ci sembra, alquanto deludente.
A parte la notevole differenza di levatura culturale tra i protagonisti
del dibattito federalista possiamo dire che i due “federalismi” nascono da
opposte ragioni, anche se c’è un elemento che li accomuna e che accomuna
tutti i tipi di federalismo: la ricerca di una distribuzione di poteri, tale da
promuovere le autonomie locali, partendo dalla riscoperta del principio di
sussidiarietà, inteso non solo come semplice metodo di devoluzione delle
competenze, ma soprattutto come strumento capace di esaltare l’autonomia
e la libertà dell’uomo.
Riflettere sul pensiero di grandi studiosi, come Ferrari, significa
elevare il livello culturale dell’odierno dibattito federalista e creare attorno a
questa problematica maggiore interesse e coinvolgimento da parte dei
cittadini.
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2. CENNI BIOBIBLIOGRAFICI
Giuseppe Ferrari, filosofo e uomo politico, nacque a Milano il 7
marzo 1811, dal medico Giovanni e da Rosalinda. Ebbe un solo fratello,
Carlo, più anziano di lui di sedici anni, ragioniere, impiegato presso la
Contabilità centrale di Milano, poi segretario di prima classe presso il
Ministero degli Interni italiano; i rapporti di Giuseppe con il fratello furono
limitati agli interessi patrimoniali comuni. Morì a Roma nella notte tra il 1 e
il 2 luglio 1876.
Nei primi anni di studio fu sotto la guida di un prete, il Viscardini e a
sedici anni nel Liceo di Sant’Alessandro (ora Beccaria), conseguì il premio
di fisica della fondazione Racagni, dimostrando sin d’allora la sua attitudine
agli studi positivi.
Si racconta anche che da ragazzo fu abilissimo a suonare l’arpa e a
maneggiare la spada.
Nel 1827 conseguì la laurea in giurisprudenza presso il collegio
Borromeo di Pavia e iniziò a Milano la pratica forense sotto la guida
10
dell’avvocato Gerardi, che abbandonò presto per dedicarsi agli studi
filosofici, considerando come proprio maestro il Romagnosi
1
.
Nel 1835 richiamò l’attenzione degli studiosi con La Mente di G. D.
Romagnosi
2
e con gli studi su G. B. Vico, delle cui opere fu anche editore.
Spirito irrequieto, sempre proteso verso l’azione, le lotte e i contrasti
ideali, Ferrari trovò proprio in Francia, ove si recò nel 1838
3
, un ambiente
consono al suo spirito.
Fu in infatti la lunga permanenza a Parigi, a contatto con le correnti
più vive della democrazia europea, una fase determinante nella formazione
e nella maturazione del pensiero ferrariano.
Fondamentali furono le tematiche dei positivisti francesi nel pensiero
di questo intellettuale italiano, è debitore essenzialmente ai socialisti
francesi dell’800, Saint-Simon, Fourier, Leroux, Blanc e Proudhon.
1
S. ROTA GHIBAUDI, (a cura di) Scritti politici di G. Ferrari, Torino, 1973. Nel 1833 entra
nel gruppo dei giovani studiosi legati a Gian Domenico Romagnosi, fra i quali si trovano
Carlo Cattaneo, Cesare Cantù, Cesare Correnti e Giacinto Battaglia. Il Romagnosi e i
suoi allievi sono gli animatori delle riviste milanesi più importanti, quali gli “Annali
universali di statistica”, il “Nuovo ricoglitore”, la “Biblioteca italiana”.
2
Scritti politici di G. Ferrari, op. cit. Il prestigio di Romagnosi in quegli anni è dovuto alla
sua sensibilità per i problemi dibattuti nel secolo XVIII, alla sua tendenza ad applicare i
risultati teorici raggiunti ai fini di utilità sociale, alla sua vocazione a formare una
coscienza civile nei giovani che si riunivano intorno a lui.
3
B. BRUNELLO, Il pensiero di Giuseppe Ferrari, Milano, 1933. Esulò in Francia, a Parigi,
volontariamente, in quanto i tempi non permettevano di esprimere liberamente il
proprio pensiero, e anche per la non ottenuta licenza a stampare un periodico scientifico
del quale sarebbe stato direttore.
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Pubblicò in francese alcuni importanti studi: l’Histoire des rèvolutions
d’Italie
4
(1858, Storia delle rivoluzioni d’Italia) e l’Histoire de la raison d’Ètat
(1860)
5
.
Dall’ambiente francese riceve ulteriore stimolo a sviluppare
universalisticamente il suo pensiero, teso a rintracciare leggi regolative della
condotta umana.
Dopo aver pubblicato nella Revue des deux Mondes due articoli sulla
letteratura popolare in Italia, avendo scoperto nella Biblioteca nazionale di
Parigi alcuni fogli inediti del Campanella, pubblicò in latino un opuscolo
dal titolo: De religiosis Campanellae opinionibus, avendo modo di parlare non
solo di religione ma anche di politica.
Poco dopo scrisse un saggio filosofico, De l’erreur che presentò
all’esame di dottorato all’Università parigina il 19 aprile 1840.
Nell’ottobre dello stesso anno coprì la cattedra di filosofia del liceo di
Rochefort, ma dove purtroppo fu sospeso dall’insegnamento, a causa di
una coalizione di fanatici anticlericali.
4
Scritti politici di G. Ferrari, op. cit. Opera che iniziò nel 1853, uscì a Parigi nel 1858,
incontrando un notevole successo. L’opera è discussa da Proudhon, Renan, Brisset e
Cattaneo.
5
Ibidem, opera edita nel 1862 in italiano con il titolo Corso sugli scrittori politici italiani e
stranieri.
12
L’anno dopo, nell’ottobre 1841, venne chiamato dal ministro Cousin a
reggere la supplenza alla cattedra di filosofia nell’ Università di Strasburgo,
che fu in passato teatro delle predicazioni ultracattoliche dell’abate Bantain.
Dopo diciotto lezioni, in seguito a nuovi attacchi clericali, e malgrado
le difese del Cousin, fu destituito dal ministro Willemain, impaurito
dall’opposizione cattolica e dallo spauracchio delle idee di socialismo e di
comunismo.
Allora Ferrari pubblicò il corso che aveva iniziato a trattare intorno
alle Idées sur la politique de Platon e d’Aristote, per dimostrare le false accuse
che gli erano state lanciate contro, ma non valse a sua difesa nemmeno la
sincera testimonianza dei suoi discepoli, contro l’odio di parte e
l’ignoranza.
Nel 1851 Giuseppe Ferrari si recò a Capolago per curare la
pubblicazione della Filosofia della rivoluzione
6
, sua opera fondamentale,
attraverso la quale rivendicò la vitalità del pensiero speculativo, di fronte
all’Europa denigratrice.
6
S. ROTA GHIBAUDI, L’evoluzione del suo pensiero (1838 – 1860) , Torino, 1969. Le opere
del Ferrari suscitano aspre opposizioni cattoliche, moderate e mazziniane. Alcune copie
della Filosofia della rivoluzione vennero addirittura sequestrate e i possessori arrestati.
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La Rivoluzione a cui fa riferimento il Ferrari, quella che soltanto
poteva risolvere il problema del nostro Risorgimento, era la Rivoluzione
francese, e la filosofia cui essa doveva ispirarsi altro non era che il
positivismo moderno, venato di un’intuizione pragmatista.
Nella Federazione repubblicana (1851), egli affrontò sotto il profilo
storico e politico il problema delle forme e degli obiettivi della
“rivoluzione” italiana. In quest’opera si afferma che “come ogni altra
rivoluzione, il socialismo ha un’idea ed un interesse; l’idea è che la nostra
ragione deve sola servirci di guida;…l’interesse poi del socialismo è la
rivoluzione del povero”
7
.
Richiamato in Italia dagli avvenimenti della guerra del ’59, fu eletto
nel 1860 a rappresentare alla Camera italiana, il collegio di Luino; partecipò
per molti anni ai dibattiti parlamentari, trattando con vivacità molte
questioni importanti per il primo periodo del Regno.
Dai banchi della sinistra sui quali sedeva, Giuseppe Ferrari fu un
tenace sostenitore dell’idea federalista, nonostante Cavour, Minghetti,
Crispi, vedevano in lui il superstite di una corrente politica sconfitta.
7
G. FERRARI, La Federazione repubblicana, Londra, 1851, pag. 864.
14
Fu però favorevole ad una Roma capitale e, nonostante il suo
federalismo, votò per la Convenzione di Settembre
8
.
Prese parte soprattutto alle discussioni economiche, sociali ed
amministrative e i meriti scientifici di Ferrari ottennero riconoscimenti
ufficiali: ebbe una cattedra universitaria a Milano, e tenne corsi liberi a
Torino e a Pisa.
Dunque, alla base del pensiero e dell’atteggiamento politico del Ferrari
c’è il principio di libertà ed uguaglianza sociale e l’idea di un federalismo
repubblicano e democratico come unica forma di soluzione del problema
italiano del Risorgimento.
Il federalismo per Ferrari si doveva manifestare nell’assetto da dare
all’Italia libera, ma per raggiungere questo era necessario che vi fosse
un’unione rivoluzionaria.
L’umanità, egli sostiene in tono positivistico, passata attraverso l’età
della religione e quello della metafisica, ha compiuto, con la Rivoluzione
francese, il passo decisivo verso “l’età della rivoluzione”.
8
A. MONTI, G. Ferrari e la politica interna della destra, Milano, 1825. La Convenzione di
Settembre consentì all’Italia di trasportare la capitale da Torino a Firenze, rendendo più
immanente il problema di Roma, ed accentrando in un solo punto della Penisola,
spostabile dal Nord al Sud, a seconda della graduale realizzazione del programma
nazionale, i focolai di reazione all’unitarismo, ed imponendo come necessaria e logica la
soluzione del problema stesso, in omaggio al nuovo principio di diritto pubblico, il quale
consacrava la facoltà dei popoli di sciogliersi dagli antichi legami, e creandone dei nuovi
con elementi per i quali sentivano maggiore e naturale affinità.
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La filosofia ha il compito dunque di spazzar via il rigurgito di
spiritualismo, verificatosi dopo gli eventi rivoluzionari francesi, e le
nostalgie dell’astrattismo logico, per affermare l’insostituibilità del “fatto
positivo” nella formazione della conoscenza e nell’organizzazione sociale.
Deve sostituire la “rivelazione naturale”, cioè l’osservazione empirica dei
fatti, alla “rivelazione religiosa”, aprendo così la strada al definitivo
predominio della scienza in una società fondata sull’uguaglianza, sul
socialismo e sulla democrazia; in una società in cui non vi siano più chiese
né religione, e in cui non sussista più la sovranità della proprietà privata,
difesa con vigore dai borghesi e produttrice di squilibri e disuguaglianze
sociali. È proprio da questi elementi che si evince, come accanto
all’influenza esercitata dal positivismo, fu decisiva per Ferrari quella del
socialismo utopistico, in particolare quello di Proudhon
9
.
La Rivoluzione francese, nota Ferrari, è rimasta incompiuta: per farla
proseguire, occorre tener saldo, contro ogni forma di spiritualismo, il
9
L. GATTO, Il Federalismo, Roma, 1995. Proudhon fu il primo in Francia, dopo la vaga
utopia del Crucè e del Sully, passata per Fenelon, e giunta al Rosseau e al Saint-Simon,
che predispose la formulazione politica e giuridica precisa di una “Repubblica degli Stati
Uniti d’Europa”. A muovere Proudhon fu l’indagine sui principi di nazionalità e sulle
forme possibili di governo che, conducendo a negare le fondamenta della monarchia
universale e ad affermare i primari, insopprimibili diritti della collettività e di rispetto di
ogni ordine sociale, lo spinse verso una lenta formazione di un insieme di posizioni tra
loro non armonizzate con cui dette una risposta ai problemi politico-sociali in generale e
a quelli dell’Europa in particolare.
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presupposto del sensismo illuministico, secondo il quale la base della
certezza sta nei fatti, ovvero in ciò che si vede e si sente.
Ferrari è convinto che l’umanità cammini lungo la strada di un
progresso inarrestabile orientato verso l’epoca della rivoluzione, che sarà
caratterizzata dall’instaurazione del dominio della scienza e
dell’uguaglianza. Essa procederà oltre le conquiste della Rivoluzione
francese, eliminando le chiese, riequilibrando le ricchezze e stabilendo una
democrazia egualitaria. Mediante la scienza, sarà possibile sopperire ai
bisogni del proletariato, liberandolo dalla fame e dalle malattie e
provvedendo alla sua educazione. Il governo stesso si dovrà ridurre
all’amministrazione di un popolo, che si organizzerà attraverso libere
associazioni.
Della sua vita privata poco si sa: non ebbe moglie; l’unica discendenza
della famiglia Ferrari, furono i quattro figli del fratello Carlo. Anche sulla
sua morte non c’è luce perfetta. La sera del 1° luglio 1876 fu visto
passeggiare sul Corso a Roma. La mattina del 2 fu trovato morto nella sua
stanza: un male improvviso lo aveva assalito nella notte.
Dopo la morte, così scriveva per la Rivista Storica un suo avversario
politico: “Il suo animo era naturalmente buono, ed il cuore aperto a tutti i
nobili sentimenti. Arditissimo nelle idee nelle quali non trovava mai nulla