INTRODUZIONE
Quante volte le cose non vanno esattamente come ci aspetteremmo? Quante volte
siamo vittime del destino o di scelte sbagliate e ci ritroviamo a pensare “...chissa
come sarebbero andate le cose se avessi agito diversamente”? Questo genere di
pensiero ci è molto familiare e in psicologia prende il nome di pensiero
controfattuale.
Etimologicamente, controfattuale significa “contrario ai fatti” e rappresenta la
nostra capacità di riflettere e modificare scenari di vita da cui sarebbero potuti
conseguire esiti differenti della realtà. La facilità con cui riusciamo ad “annullare”
il passato, immaginando degli esiti alternativi, ha un notevole impatto emotivo sul
nostro comportamento.
Obiettivo del presente lavoro è lo studio delle dinamiche che regolano questo tipo
di pensiero, rendendolo efficace dal punto di vista adattativo, in quanto in grado
di rilevare le differenze tra ciò che avremmo voluto e ciò che abbiamo ottenuto,
permettendo così di pianificare azioni più efficaci nel futuro.
I primi tre capitoli sono dedicati ad una panoramica sul pensiero controfattuale,
partendo dalle sue prime teorizzazioni per arrivare alle sue applicazioni pratiche e
quotidiane. Nel primo capitolo, vengono analizzate quali sono le condizioni
grazie alle quali il pensiero controfattuale può attivarsi e i vincoli che ne
delimitano la mutabilità.
Nel secondo capitoli invece, si sono passate in rassegna quelle che sono le
funzioni vere e proprie del pensiero controfattuale, ossia la funzione affettiva,
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comprensiva dello spiacevole sentimento di regret, e la funzione di preparazione
all'azione futura. Il terzo capitolo affronta la questione della moralità e le sue
implicazioni nella formazione di giudizi di causalità.
L'ultimo capitolo, infine, è interamente dedicato al lavoro sperimentale, nel quale
abbiamo voluto verificare se le persone, messe nella condizione di produrre
pensieri controfattuali, si focalizzino maggiormente su antecedenti che implicano
una valutazione di tipo morale degli eventi oppure rimangano interessati al
raggiungimento dei propri obiettivi, dipendentemente dai vincoli che li
governano.
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CAPITOLO PRIMO
IL PENSIERO CONTROFATTUALE: COME
LE PERSONE CREANO ALTERNATIVE
ALLA REALTA'
1.1 Definizioni e tipologie
Nella vita di tutti i giorni, ci capita molto di spesso di fermarci a pensare e
chiederci come le cose sarebbero andate diversamente “se solo...”. Questo genere
di pensiero, detto controfattuale, ci appare irresistibile: non possiamo fare a meno
di immaginare a come la nostra vita avrebbero potuto essere migliore, o peggiore,
se solo in passato avessimo fatto delle scelte diverse.
Abbiamo la capacità di costruire un'infinità di mondi possibili: alcuni basati su
piccole variazioni (ad esempio, “se solo fossi arrivato un minuto prima”), altri
che riguardano invece dei grandi cambiamenti (“se solo fossi nato 100 anni
prima”). Ogni giorno, le persone devono avere la capacità cognitiva di
considerare tutte queste possibili alternative e di vincolarle a tutti quegli aspetti
della realtà che, come vedremo nel corso dei capitoli, sono più facilmente
mutabili: le relazioni causali tra gli eventi (Wells, Taylor e Turtle, 1989), le loro
relazioni temporali (Byrne, Segura, Culhane, Tasso e Berrocal, 2000; Miller e
Gunasegaram, 1990), la loro normalità o eccezionalità (Kahneman e Tversky,
1982) e la loro controllabilità (Girotto, Legrenzi e Rizzo, 1991).
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Il controfattuale è un tipo di pensiero che emerge fin dalla più giovane età, esiste
in ogni tipo di cultura e può riguardare sia eventi che un tempo erano possibili ma
che ora non lo sono più, sia avvenimenti impossibili che non potranno mai
verificarsi.
Il pensiero controfattuale potrebbe essere definito come il risultato di un processo
creativo ma andando a vedere un po' più nello specifico, noteremmo come questi
due tipi di pensiero differiscano tra loro per alcuni aspetti caratterizzanti. Ad
esempio, mentre l'immaginazione controfattuale sembra essere un atto di tipo
involontario, anche se con delle eccezioni che ci permettono di assecondarlo alla
nostra volontà (Roese, Sanna e Galinsky, 2005), gli altri tipi di immaginazione
creativa si mostrano come maggiormente ponderati e orientati ad uno scopo. In
ogni caso, i processi cognitivi che sottendono entrambi i tipi di pensiero sono gli
stessi ed operano in maniera inconscia.
L'approccio attualmente dominante in psicologia sociale riguardo al mondo del
controfattuale si basa sul modello euristico della simulazione mentale di
Kahneman e Tversky (1982) Questo modello rappresenta il “pensiero
controfattuale” in termini di proposizioni condizionali, composte da un
antecedente (antecedent), che costituisce un'azione o una decisione del soggetto
diversa da quella fattualmente vera, e da un esito (outcome) che rappresenta uno
stato del mondo diverso da quello reale ma che viene solo ipotizzato o
immaginato, e che viene spesso posto in termini valutativi (Roese, 1997).
Queste esperienze possibili (o impossibili), paragonate alle versioni reali degli
eventi, generano sia conseguenze cognitive che affettive: le prime riferite alla
formulazione di giudizi sul comportamento che ha prodotto determinati esiti; le
seconde portate ad amplificare le reazioni emozionali alle circostanze.
Un aspetto interessante del pensiero controfattuale riguarda ciò che le persone
non considerano nel momento in cui immaginano dei mondi alternativi, ciò che
tendono cioè, a lasciare immutato. La maggior parte delle persone, infatti, non ha
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il desiderio di creare miracolosi mondi controfattuali, non va ad alterare le leggi
delle natura, non tende all'impossibile, ma si focalizza su ciò che un tempo erano
delle possibilità reali (Tetlock e Parker, 2005; McMullen e Markman, 2002).
Le persone, inoltre, non si interrogano su come sarebbero andate diversamente le
cose al termine di ogni avvenimento. Esse si impegnano in laboriosi pensieri
controfattuali soprattutto dopo che si è verificato un evento drammatico (Roese,
1997), ma anche quando ripensano a delle opportunità perdute o alla sfortuna che
hanno avuto nella propria vita (Kahneman e Tversky, 1982). A tal proposito, è
soprattutto il fatto di non aver vissuto certe esperienze (ad esempio non aver
passato abbastanza tempo con la propria famiglia e i propri amici, non aver
sfruttato tutte le possibilità che si erano presentate) a produrre una maggior
sensazione di rammarico e quindi di pensieri controfattuali (Gilovich e Medvec,
1994). I rammarichi autobiografici riguardano, quindi, molto più spesso delle
omissioni che delle azioni, anche se il rammarico per le azioni sembra esser
vissuto in maniera molto più intensa (Feldman, Miyamoto e Loftus, 1999).
Dal punto di vista della struttura logica, il controfattuale corrisponde ad una
proposizione ipotetica in cui si annullano (undoing) fatti avvenuti falsificando gli
antecedenti: se anche i conseguenti che ne derivano sono falsi, si può parlare di
un controfattuale vero e proprio; se invece i conseguenti non vengono “annullati”,
si tratta di un semifattuale, in cui l'antecedente assume la forma di una
subordinata concessiva (Goodman, 1983).
Quando ci mettiamo a pensare a tutti i possibili stati del mondi che potrebbero
scaturire dal verificarsi di un determinato evento stiamo mettendo in atto
un’inferenza controfattuale in avanti, o forward counterfactual; mentre se
ragioniamo sulle azioni, nostre o altrui, che hanno determinato un certo risultato,
stiamo effettuando un’inferenza controfattuale all’indietro, o backward
counterfactual.
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Vediamo ora quali sono i criteri in base ai quali sono stati differenziati i
ragionamenti controfattuali (Tasso, 2004).
Il primo criterio è in relazione alla direzione che si vuol far seguire all'esito,
ovvero se la realtà immaginata va in direzione di un'ipotesi migliorativa o
upward (“Se solo avessi studiato di più, avrei superato l’esame) o peggiorativa o
downward (“Almeno non mi sono rovinato le vacanze”) rispetto a quella attuale
(Roese, 1994).
Il primo modello, detto“upward” o “mondo migliore”, permette alle persone di
imparare dai propri errori e di preparasi al futuro, pianificando come prevenire
che cose brutte si verifichino nuovamente cogliendoci impreparati (Markman et
al., 1993; Sherman e McConnell, 1995).
Il secondo modello, invece, detto “downward” o “mondo peggiore”, aiuta le
persone a sentirsi meglio facendole immaginare come le cose sarebbero potuto
andare peggio (McCullen e Markman, 2000).
Anche le condizioni di attivazione dei due modelli sono parzialmente diverse:
mentre la negatività dello stato d'animo interviene prevalentemente nei
controfattuali di tipo upward, nel caso dei controfattuali di tipo downward
bisogna ricondursi maggiormente a variabili di personalità; la vicinanza ad un
esito non accaduto, invece, può innescare sia controfattuali upward che
downward (Roese e Olson, 1993; Sanna et al., 1999).
Un secondo criterio di classificazione è invece in rapporto alla sua struttura, e
indica, cioè, se il ragionamento prevede l'aggiunta (addictive) di un fattore non
presente negli antecedenti, l'eliminazione (subtractive) di qualcosa di presente o
la sostituzione (substutive) di un antecedente con un altro. Nel ragionamento “Se
non avessi fumato ora non sarei malato” la controfattualizzazione prevede
un'omissione che sottrae un elemento agli antecedenti; il pensiero “Se avessi
preso più vitamina C ora non sarei ammalato” riguarda, invece, l’aggiunta di
un’azione non compiuta nella realtà; il controfattuale “Se invece di fumare avessi
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fatto dello sport” contiene infine, un’azione che sostituisce quella effettiva
(Roese, 2008). Infine, gli eventi descritti negli antecedenti possono essere riferiti
a se stessi (“Se avessi guidato più lentamente, non avrei avuto quell’incidente”)
oppure ad altri (“Se quel guidatore non avesse invaso la corsia, non sarei uscito di
strada”).
Il ragionamento controfattuale è quindi una caratteristica dell’intelligenza umana
che utilizziamo per ragionare sulle possibili conseguenze delle nostre azioni e
sulle possibili determinanti della nostra situazione attuale, ed è molto utile nella
soluzione di problemi, nella messa a punto di una strategia e nella presa di
decisioni. Ma esso ha un ruolo fondamentale anche nella nostra esperienza
emotiva: esiste, infatti, tutta una serie di emozioni, definite controfattuali, che
vanno dal senso di colpa (guilt) alla vergogna (shame) e dal rammarico (regret) al
biasimo (blame).
Nonostante questo tipo di pensiero sia utile e talvolta indispensabile al nostro
adattamento all’ambiente in cui viviamo, fermarsi a rimuginare eccessivamente
su di un mondo possibile che è stato scartato da una nostra scelta o dal corso
naturale degli eventi, può facilmente dare origine a sentimenti di tipo dolorosi che
possono sfociare in stati depressivi, dove la realtà passa in secondo piano rispetto
agli altri mondi controfattuali.
Prima però di focalizzarci sull’influenza del pensiero controfattuale sulla
regolazione degli stati emotivi, vogliamo ripercorrere gli studi da cui ha avuto
origine il tutto.
1.2. I primi studi
In psicologia, il pensiero controfattuale e’ stato oggetto di una consistente ricerca
che si è focalizzata principalmente su due approcci fondamentali: il modello
attributivo e il modello euristico. Il primo si è sviluppato all'interno della teoria
dell'attribuzione di Kelley (1967), e pone alla base di tutti i principali modelli
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