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Introduzione
Qual è la prima immagine che viene in mente quando si nomina il Cammino
di Santiago? Probabilmente sono dei pellegrini in cammino su qualche strada di
campagna, zaino in spalla, diretti a Santiago de Compostela. È un’immagine
molto nota, vista spesso anche in film di successo. Questi pellegrini sono tutti
vestiti più o meno allo stesso modo, con moderni abiti sportivi; si fermano lungo
la strada, per riposarsi e ristorarsi, e poi si rimettono in marcia; sono davvero in
tanti, formano un flusso quasi continuo. Sono loro il nostro oggetto di indagine.
Il pellegrinaggio è un fenomeno estremamente articolato e complesso, con
innumerevoli interpretazioni che derivano dalle diverse fedi religiose, culture ed
epoche storiche. Ma l’oggetto di questa ricerca non è nessuna di queste
tradizionali espressioni di fede. I pellegrini su cui indagheremo, quelli che
abbiamo richiamato alla mente, hanno vissuto un’esperienza completamente
diversa, sono i protagonisti di un fenomeno con caratteristiche molto particolari, e
non perché il Cammino di Santiago abbia in sé qualcosa di speciale (o forse sì?
Vedremo).
La prima caratteristica è che si tratta di una forma di pellegrinaggio molto
moderna. Non è particolarmente avveniristica o legata a qualche innovazione
tecnologica, tutt’altro. È moderna perché è nata dal nulla soltanto pochi decenni
fa. Il Cammino di Santiago esiste da secoli, e la città santa di Santiago de
Compostela ha accolto pellegrini dal medioevo sino ai giorni nostri, senza
soluzione di continuità. Solo in anni recenti, però, è nato questo lungo “percorso
escursionistico”, pensato per essere fatto a piedi, con una sempre più imponente
organizzazione logistica (ostelli, punti di ristoro).
Sembra incredibile che così tante persone, spesso impreparate e inadeguate
fisicamente, si sottopongano volontariamente a fatica, disagi, dolore, piaghe
(letteralmente), promiscuità con sconosciuti in camerate con letti a castello e
bagni in comune. Sono le stesse persone che hanno dedicato tanti sforzi per
raggiungere il massimo tenore di vita, di confort, di privacy; sono gli stessi che
tipicamente ammettono con indifferenza di essere troppo pigri e sedentari.
Eppure, si sono messi in cammino. Questa è la seconda caratteristica che lascia
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stupefatti: un impensabile e incomprensibile successo planetario. Ogni anno,
centinaia di migliaia di persone usano il loro prezioso tempo libero per andare in
pellegrinaggio, in una società nella quale la religione è oramai relegata in un ruolo
marginale. Sembra che la fede (cattolica, nello specifico) sia, tutto sommato,
ancora abbastanza potente da spingere così tante persone in pellegrinaggio.
Vedremo che non è così. La fede religiosa è stata il motore del classico
pellegrinaggio cristiano, dal quale questa nuova pratica ha ereditato struttura e
simboli, ma chi ha vissuto in prima persona l’esperienza del Cammino di Santiago
sa bene che non è la fede a spingere questi pellegrini. C’è altro.
C’è un fattore, in particolare, che emerge frequentemente nei racconti dei
pellegrini: spesso dietro alla decisione di partire c’è un malessere, un momento di
crisi, un evento sociale anomalo, una discontinuità. Per dirla in modo molto
diretto, con le parole che ho ascoltato da un pellegrino: “qui tutti hanno un
problema”. È un’ulteriore stupefacente caratteristica del fenomeno. Non siamo di
fronte alle fasce più deboli e indifese della società. Questi pellegrini sono persone
istruite, con un buon tenore di vita e un’accettabile situazione economica. Sono
persone che, di fatto, stanno facendo una vacanza. E tutti hanno un problema?
La ricerca prende spunto dalla curiosità che sorge spontanea osservando
questa pratica così popolare ma, allo stesso tempo, così oscura. È un fenomeno
troppo diffuso per poter essere derubricato a stramberia. Queste bizzarre
caratteristiche devono avere una ratio.
Tra le tante, ho tentato di rispondere a due questioni particolarmente
significative.
Prima questione: cos’è questo malessere che spinge tante persone a
cimentarsi con un’esperienza così forte? Sono persone con vite comuni, situazioni
sociali “normali”, condizioni lavorative tutto sommato più che decorose. Non
dovrebbero avere problemi così gravi da spingerli in massa su un cammino di
pellegrinaggio.
Seconda questione: perché queste persone hanno pensato che un
pellegrinaggio fosse la risposta ai loro problemi? Che giovamento sperano di
ottenere? Posso immaginare il beneficio per una persona profondamente religiosa,
ma non si capisce a cosa possa servire un pellegrinaggio per tutti gli altri.
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Ritengo che la risposta alla prima questione possa emergere analizzando il
fenomeno alla luce del modello di società descritto da Zygmunt Bauman. Il
sociologo polacco ha messo in evidenza, con spietata lucidità, le ombre della
società postmoderna emersa dalla globalizzazione degli ultimi decenni. I paesi più
ricchi e avanzati del mondo occidentale hanno realizzato un modello di società
che non è mai stato così libero, ricco di opportunità e aperto a nuove scelte. Da
questo punto di vista, questa società realizza un’ideale di vita che le epoche
passate hanno solo potuto sognare. Ma questa modernità sempre più liquida
(Bauman 2006) ha un prezzo da pagare: è una società che obbliga l’individuo a
fare continue scelte, senza mai avere punti di riferimento stabili o prospettive a
lungo termine. Ogni ambito di questa società è divenuto precario: le carriere
lavorative, le relazioni sentimentali, le famiglie, il luogo nel quale vivere e
crescere i figli, tutti questi aspetti sono continuamente messi in discussione. Ne
deriva una perdurante incertezza, la necessità di rimettersi in gioco per adattarsi
alle circostanze, l’assenza di solide istituzioni sociali e un conseguente senso di
solitudine. Fino a pochi decenni fa, in società meno libere e tutt’altro che perfette,
gli individui dedicavano le loro intere esistenze a costruirsi una famiglia e una
solida situazione lavorativa. C’erano minori opportunità, ma anche più certezze.
Oggi vi sono infinite possibilità, ma tutte evanescenti, incerte e problematiche.
I problemi che affliggono i pellegrini, il loro diffuso senso di disagio,
potrebbero essere un effetto tangibile delle dinamiche descritte da Bauman.
Queste persone, pur nel loro relativo benessere, forse stanno sperimentando in
prima persona il malessere prodotto da questa società postmoderna. È il primo
punto che dovrà essere approfondito.
C’è poi la seconda questione: comprendere l’utilità del pellegrinaggio al
giorno d’oggi. Qual è il valore di questa “vacanza” per un individuo tipicamente
poco sportivo e abituato al confort, con una sensibilità religiosa tiepida o del tutto
assente? Può davvero aiutare a gestire un disagio, a risolvere un problema?
È necessario, in primo luogo, analizzare da un punto di vista antropologico
il fenomeno del turismo. Un pellegrinaggio è indubbiamente una vacanza molto
particolare, ma rimane comunque una vacanza. È lecito ipotizzare, come stiamo
facendo, che si scelga la vacanza in base al particolare momento della vita? Forse
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è chiedere troppo al turismo, che in definitiva potrebbe essere solo ricerca di relax
o divertimento. Vedremo che non è così. Le motivazioni che indirizzano le scelte
del turista sono profondamente connesse al suo contesto sociale. La vacanza è un
momento molto significativo nella società moderna; può essere relax o
divertimento, ci mancherebbe, ma può essere anche molto altro. Decidere come
impiegare il proprio tempo libero è un affare molto serio, e l’esito non è affatto
scontato. Questa analisi completa il primo capitolo.
C’è un altro tema che deve essere affrontato, ancor prima di poter ragionare
sul pellegrinaggio in sé. L’immagine iconica del Cammino di Santiago, quella con
la quale abbiamo aperto, mostra dei pellegrini che stanno camminando, che hanno
deciso di viaggiare a piedi. Questo aspetto non è di poco conto. Camminare è
stato il mezzo più naturale e diffuso per spostarsi in epoche antiche, quando vi
erano ben poche alternative. Successivamente, i moderni mezzi di trasporto hanno
permesso trasferimenti sempre più rapidi, e andare a piedi non è stato più
necessario, neanche per andare in pellegrinaggio. Anche per un viaggio spirituale
è sembrato sempre più logico e naturale usare l’autobus o il treno. Nessuno va a
piedi a Lourdes, a Medjugorje o a San Giovanni Rotondo; non avrebbe senso. Ma
questi pellegrini sono diversi: tutti hanno deciso di andare a piedi (qualcuno in
bicicletta, ma è un dettaglio). È una differenza cruciale. Andare a piedi richiede
tanto tempo libero, che al giorno d’oggi è preziosissimo, e tanta, tantissima fatica.
Che senso ha? Non si può sperare di capire qualcosa di questa forma di
pellegrinaggio senza interrogarsi sul perché di viaggiare a piedi. Nel secondo
capitolo si vedrà che un viaggio a piedi può essere un’esperienza assai intensa,
profonda e ricca di significati.
Nel terzo capitolo si arriva (finalmente) a ragionare sull’esperienza del
pellegrinaggio. È un tema affrontato dall’antropologia solo in tempi relativamente
recenti, ma sin dai primi studi ha prodotto risultati eccezionali. Victor Turner, che
50 anni fa ha avviato questo filone di studi, osserva che tra i pellegrini nascono
relazioni sociali particolarmente intense. Turner ipotizza che i pellegrini,
lasciandosi alle spalle la società e le sue regole, abbiano la tendenza a formare
communitas, gruppi nei quali i rapporti umani sono quanto mai semplici, diretti e
sinceri. È una situazione di reale fratellanza, che rende il pellegrinaggio
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un’esperienza unica e indimenticabile. È un’intuizione di gran fascino. Questo
contatto umano così caldo e speciale potrebbe essere la chiave per comprendere il
valore del pellegrinaggio e, forse, per spiegarne il successo anche in epoca
moderna, in società nelle quali la fede non ha più un ruolo centrale. Purtroppo,
come vedremo, non è così semplice. Diversi autori hanno evidenziato i limiti e gli
errori delle tesi di Turner. Ne è nato un ricco dibattito tutt’ora molto vivo, che in
qualche modo ha comunque raggiunto una sintesi.
Quando si mettono insieme tutti questi elementi, la modernità liquida, il
turismo, il viaggio a piedi, il pellegrinaggio, ne risulta un quadro complessivo
assai coerente e convincente. Il gesto di questi pellegrini postmoderni risulta più
chiaro e comprensibile. Si intuisce perché tante persone partono, cosa li spinge,
cosa cercano, cosa trovano, e perché i loro racconti sono così carichi di emozioni.
Risultano finalmente chiare le apparenti contraddizioni, come la scarsa religiosità
di chi va in pellegrinaggio, o lo scarso amore per l’attività fisica di chi decide di
camminare per centinaia di chilometri.
Non sarebbe possibile capirlo senza aver integrato tutti questi elementi,
perché siamo di fronte a un’esperienza ibrida: il pellegrinaggio ha conservato un
nucleo dell’originale significato religioso, ma ha assorbito e amalgamato tante
altre dimensioni.
Nel quarto capitolo sarà possibile sperimentare la capacità di comprensione
di questo modello ascoltando alcuni racconti di pellegrini, alcuni dei tanti che si
sono cimentati con il Cammino di Santiago. Ogni pellegrino ha la sua storia, ha
avuto i suoi motivi per partire e concepisce il pellegrinaggio a modo suo. Ciò
nonostante, tutti i racconti risultano comprensibili e sensati. Tutti gli intervistati
sono, ognuno a suo modo, perfetti esempi del pellegrino moderno (anzi,
postmoderno). Ciò che emerge dalle loro parole non è il racconto di una vacanza,
bensì lo spaccato di una vita, con gli eventi e le situazioni che li hanno spinti a
partire, con i dubbi e i problemi che si sono portati in viaggio.
I loro racconti ci mostrano con chiarezza quanto la nostra società sia
divenuta liquida. I tanti problemi descritti dai pellegrini probabilmente non
destano stupore: bene o male siamo tutti consapevoli di quanto le nostre vite siano
divenute complicate, sul lavoro, nelle relazioni sentimentali, in tutto. Stupisce
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molto, invece, vedere quanta fatica (fisica) e quanta strada (a piedi) le persone
siano disposte a fare per ritrovare uno scopo dopo un momento difficile, per
recuperare equilibrio dopo l’ennesima crisi. Per qualche strana alchimia, questa
forma di pellegrinaggio è divenuta una cura per questi malesseri. Richiede un
considerevole impegno ma, a giudicare dal successo, pare che ne valga la pena.
Cercheremo di capire in cosa consiste questa alchimia, questa ricetta magica
che pare funzionare così bene. È un obiettivo importante, a prescindere dal valore
(comunque non piccolo) dei pellegrinaggi o di altre esperienze simili: ci aiuta a
capire cosa ci manca, di cosa siamo in cerca, di cosa abbiamo bisogno in questa
società, per essere più forti, resilienti e, in definitiva, più felici.
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Capitolo 1. Turismo liquido
1 Introduzione
Introducendo la ricerca, abbiamo spiegato quanto sia complesso il fenomeno
che vogliamo studiare. L'analisi deve necessariamente procedere per gradi. In
questo primo capitolo ragioneremo su due temi di portata ben più ampia che
permettono di inquadrare correttamente l'oggetto della ricerca.
È in primo luogo necessario approfondire le dinamiche tipiche di una
società oramai compiutamente postmoderna. Zygmunt Bauman, probabilmente
più di ogni altro, ha saputo leggere con lucidità tali dinamiche, mostrando quanto
profondi siano gli effetti di una società globalizzata sulla vita delle persone. Le
discontinuità, le crisi di identità ci sono sempre state, fanno parte della vita; in
alcuni momenti, nella post-adolescenza per esempio, sono probabilmente
fisiologiche. Ma secondo Bauman la vita liquida nella quale ora viviamo rende
immensamente più fluide le nostre identità e di conseguenza più frequenti tali crisi
e discontinuità. Riprendendo ed estendendo l'esempio che fa nel suo libro
“Modernità liquida” (2006), un operaio della Ford poteva ragionevolmente
pensare che sarebbe stato un operaio della Ford per tutta la vita, che sarebbe stato
sposato con la stessa donna per tutta la vita, e che avrebbe vissuto nella stessa città
per tutta la vita. Inutile dire quanto oggi sia tutto diverso.
Successivamente, in questo capitolo, sarà approfondito un secondo tema.
Come ho già avuto modo di dire, la motivazione religiosa non è più la forza
motrice di questi viaggi. La maggior parte delle persone non considera più il
pellegrinaggio nell'accezione classica, ovvero come una pratica devozionale
compiuta da un fedele a scopo religioso. I pellegrini diretti a Santiago sono, a tutti
gli effetti, turisti. Nel luogo comune la “vacanza” è associata all'immagine di un
lettino e un ombrellone, la parola “turismo” evoca uno sciame di persone che
irrompe da una nave da crociera a caccia di souvenir e selfie. Ma questi turisti
hanno fatto una scelta completamente diversa. Se sono turisti anche coloro che
camminano lungo un sentiero polveroso, stanchi, sporchi, claudicanti, vuol dire
che il turismo ha un significato che va ben oltre lo stereotipo. Nella seconda parte
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di questo capitolo si ragiona, quindi, sull'identità del turista e sulle sue
motivazioni. L'antropologia, pur avendo inizialmente trascurato il fenomeno, negli
ultimi decenni ha prodotto contributi fondamentali che mostrano, in modo molto
lucido, che l'esperienza turistica è molto più complessa di quanto si poteva
pensare e profondamente vincolata alle dinamiche della vita sociale.
Queste considerazioni di carattere generale sugli effetti della postmodernità
e sull'esperienza turistica sono la cornice di riferimento nella quale si potrà
inquadrare, nei capitoli successivi, il fenomeno del pellegrinaggio.
2 Vita liquida
La globalizzazione è un tema di enorme complessità. Considerato
inizialmente un fenomeno meramente economico, ha progressivamente indotto
profondi mutamenti nelle società di tutto il mondo. Oggi, nelle società post-
industriali in cui questo processo è maturo, è sempre più radicata la percezione di
vivere una vita liquida (Bauman 2008), un'esistenza precaria e caratterizzata da
continui mutamenti, in alcuni casi desiderati e perseguiti, altre volte subiti
passivamente.
È nata una nuova classe di persone di successo che si muove alla perfezione
in questo habitat; sono veloci e leggeri, la loro ricchezza è basata su beni
intangibili, hanno volontariamente abbandonato ogni legame con il territorio e con
ogni entità solida e pesante che possa pregiudicare la loro libertà di movimento.
Sull'altro estremo c'è una classe di disperati, in balia di eventi per loro
incomprensibili e incontrollabili. Si aggrappano ostinatamente ai relitti di una
società solida, pregando che resistano alle ripetute bordate della globalizzazione.
Queste persone, tra l'altro, devono far fronte a tutto questo da soli, senza il
supporto di una comunità di lavoratori; la globalizzazione riguarda tutti, ma gli
effetti colpiscono individualmente e casualmente, e la situazione non si presta a
una lotta di classe. Anche i referenti politici ed economici, che in passato
governavano con autorità le loro vite, oggi si inalberano, inveiscono, minacciano,
ma sono di fatto impotenti.
Nel mezzo, tra i due estremi della nuova gerarchia sociale, in tantissimi