6
Stati Parte accettano di limitare e di procedimentalizzare la facoltà di
ricorso unilaterale a detta clausola.
Tuttavia, nonostante la previsione di un nucleo di diritti assolutamente
inderogabili, la genericità di una siffatta espressione pone il pericolo
di aprire la strada a discrezionalità — e quindi ad un suo possibile
abuso — da parte degli Stati in merito al suo utilizzo. Per cui, dinanzi
ad una tale prospettiva, appare quanto mai indispensabile definire in
modo chiaro i contorni di una siffatta previsione normativa.
Lo studio che si farà nei capitoli seguenti partirà da un esame relativo
alla vincolatività del Patto negli ordinamenti interni, con particolare
riguardo all‘ordinamento italiano. Comprendere fino a che punto le
disposizioni del Patto possono vincolare i singoli Stati nelle proprie
scelte governative, serve a misurarne il grado di penetrazione dei
relativi obblighi e, conseguentemente, del regime derogatorio.
Si proseguirà, poi, attraverso l‘esame del sistema di controllo previsto
dal Patto e l‘organo a ciò precipuamente preposto, ovvero il Comitato
sui diritti civili e politici (d‘ora innanzi il Comitato).
Si procederà, quindi, ad un‘analisi del significato e della portata
dell‘art. 4 e dei limiti alla sua applicabilità. Si porrà, dunque, l‘accento
sui diritti assolutamente inderogabili, ovvero il diritto alla vita ex art.
7
6, il divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti ex
art. 7, il divieto di tratta degli esseri umani ex art. 8, il principio di
legalità ex art. 15, il diritto di riconoscimento della personalità
giuridica ex art. 16, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione ex
art. 18. Infine, sarà oggetto di esame la situazione mediorientale, con
particolare riferimento ai governi della Siria e dell‘Egitto, che
costituiscono un esempio emblematico di come la proclamazione di
uno stato di emergenza in base al sistema previsto dal Patto, possa, de
facto, perdere qualsiasi contorno di legittimità, nel momento in cui
uno stato contingente, si traduce in uno stato permanente di
emergenza pubblica, che legittima la violazione sistematica di
qualsiasi diritto umano.
8
Capitolo Primo
IL PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E
POLITICI: PROFILI GENERALI.
1. L’ambito di applicazione territoriale del Patto
L‘art. 50 del Patto stabilisce che le norme ivi contenute ―si applicano,
senza limitazione o applicazione alcuna, a tutte le unità costitutive
degli Stati federali‖, limitando, quindi l‘area di applicazione delle sue
norme ai soli territori rientranti sotto la giurisdizione degli Stati
membri. Tuttavia il discorso si fa più complesso allorché si fa
riferimento all‘art. 2, che impone a ciascuno Stato Parte di rispettare e
garantire i diritti a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e
siano assoggettati alla sua giurisdizione così come previsti dal Patto.
Dal combinato disposto di queste due norme, dunque, si evince che il
dato territoriale e quello della competenza, sono condizioni necessarie
e sufficienti per usufruire dei diritti enunciati nel Patto. Nondimeno il
Comitato, nell‘affrontare la questione relativa all‘applicazione del
Patto, ha più volte sottolineato che, in assenza di una riserva o
dichiarazione espressa, gli individui residenti in uno Stato membro
possono sottoporre validamente una comunicazione al Comitato
9
stesso2. Ha, altresì, precisato, che l‘assenza dell‘individuo dal
territorio dello Stato al momento della presentazione della
comunicazione non costituisce condizione di irricevibilità della
stessa
3
. Diversa è, invece, la questione nell‘ipotesi in cui l‘individuo
abbia subito un danno e si trovi fuori del territorio dello Stato al
momento in cui si avvera la violazione. Posto che un‘interpretazione
letterale dell‘art. 50 impone l‘azionabilità dei diritti previsti dal Patto
nelle sole ipotesi in cui è rinvenibile un collegamento territoriale ed,
assieme ad esso, quello relativo alla competenza, diversa è
l‘impostazione allorché si fa riferimento al Protocollo facoltativo.
Quest‘ultimo, si limita a riconoscere la competenza del Comitato a
ricevere ed esaminare comunicazioni provenienti da individui che
―pretendano essere vittime di violazioni‖. Nel Protocollo facoltativo,
dunque, differentemente da quanto statuito dal Patto, non si fa
menzione alcuna dell‘elemento territoriale. Sicché, nel contrasto fra le
due norme, ovvero quella prevista dal Patto e la norma del Protocollo
facoltativo, dovrebbe darsi prevalenza alla disposizione del primo, che
impone l‘obbligo per i soli Stati membri, e non all‘art.1 del Protocollo,
che fa riferimento alle competenze del Comitato, ed in quanto tale ha
2
Koi v. Portugal; G.A.O.R., 57th Session, Supplement n. 40 (A/57/40), Report of the Human
Rights Committee, vol. ІІ, p. 337 ss.
3
Mika Miha v. Guinea equatoriale; G.A.O.R., 4aSession, Supplement n. 40, Rapporto Comitato,
vol. ІІ, p. 96 ss.
10
carattere meramente procedurale. Tuttavia la posizione del Comitato,
nei diversi casi in cui ha avuto modo di pronunciarsi sul problema
relativo all‘applicazione territoriale del Patto, è orientata in senso
completamente opposto, preferendo una più ampia applicazione del
Patto su quella, invece, più limitativa4. Non solo, il Comitato ha,
altresì, riconosciuto la responsabilità statale nelle ipotesi in cui la
violazione sia avvenuta ad opera di funzionari statali al di fuori dei
confini dello Stato di appartenenza. La ratio di una siffatta asserzione
si fonda sul presupposto che, rilevante non è il luogo in cui è avvenuta
la violazione, quanto piuttosto il rapporto esistente fra l‘individuo e lo
Stato in relazione alla violazione5. Difatti, la responsabilità di uno
Stato membro sussiste nei confronti di un individuo in forza di
un‘autorità attuale, indipendentemente dal luogo in cui tale autorità
viene esercitata, sia essa entro i confini dello Stato oppure al di fuori
del suo territorio. Da ciò si evince, dunque, che il Comitato estende
l‘applicazione del Patto anche a tutte quelle ipotesi in cui è rinvenibile
una responsabilità dello Stato indipendentemente dal luogo in cui la
violazione si è verificata.
4
Vidal Martinez. Uruguay; G.A.O.R., 37a Session, Supplement n. 40; Rapporto del Comitato, p.
157; Celiberti de Casariego c.Uruguay, comunicazione 56/1979.
5
C. ZANGHì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 2006, p. 91 ss.
11
2. Le riserve al Patto e la severability doctrine
Inizialmente, la posizione degli Stati in merito alla ratifica del Patto è
Stata caratterizzata da una certa prudenza. Il Patto sui diritti civili e
politici, assieme al Protocollo facoltativo, difatti, è entrato in vigore
ben dieci anni dopo la sua adozione, ovvero il 23 marzo del 19766. Ad
oggi il numero degli Stati aderenti è salito ad un centinaio7. Questo
aspetto costituisce, sicuramente, un dato positivo per la proliferazione
ed affermazione dei diritti umani. Vero è, però, che tale dato positivo
si scontra con l‘ampio utilizzo, da parte degli Stati, di riserve o
dichiarazioni, che finiscono per ridurre la portata degli obblighi
assunti con il Patto, seppure quest‘ultimo non preveda un‘espressa
norma in tal senso. Ciononostante, è noto che tale facoltà è
riconosciuta dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
1969, la quale, peraltro, recepisce il c.d. principio di universalità
enunciato dalla Corte internazionale di giustizia nel Parere sulle
riserve del 19518. In base a tale principio lo Stato che intende aderire
ad un trattato può formulare una riserva, anche se tale facoltà non è
6
La clausola facoltativa contemplata dall‘art. 41 del Patto sui diritti civili e politici, che prevede la
competenza del Comitato dei diritti dell‘uomo a ricevere comunicazioni con le quali uno Stato
faccia valere che un altro Stato parte non adempie gli obblighi derivanti dal Patto, è entrata in
vigore il 28 marzo del 1979.
7UNITED NATIONS, Multilateral Treaties Deposited with the Secretary General. Status as at 31
December 1991, New York, 1992 (doc. ST/ LEG/ SER. E/ 10).
8
Corte internazionale di giustizia, Riserve alla Convenzione per la repressione e prevenzione del
crimine di genocidio, parere consultivo del 28 maggio 1951, in ICJ Reports, 1951, p. 15 ss.
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espressamente prevista dallo stesso, purché la riserva non sia vietata
dal trattato, e sia compatibile con l‘oggetto e lo scopo dello stesso. Le
altri parti, nondimeno, possono manifestare la propria opinione sulle
riserve apposte da un altro Stato membro, accettando tali riserve o
formulando obiezioni. Lo Stato riservante, affinché divenga parte del
trattato, non ha bisogno dell‘accettazione della riserva da parte di tutti
gli Stati membri, ma è sufficiente l‘accettazione di almeno un altro
Stato9. Ciò detto, in tema di riserve al Patto, la tendenza degli Stati è
stata quella di obbligarsi nei limiti in cui i diritti ivi contenuti erano
già stati riconosciuti nei propri ordinamenti interni. Tale tendenza si
fonda su una duplice motivazione: da un lato uno Stato può aver avuto
interesse ad armonizzare taluni specifici diritti con le concezioni del
proprio ordinamento interno in materia di diritti umani ed, in
particolare, con il tipo di coordinamento e di gerarchia tra i diritti
umani risultanti dallo stesso ordinamento. Dall‘altro lato, l‘esclusione
di taluni diritti previsti dal Patto può dipendere da una scelta ben
precisa, ossia evitare che i diritti in esso garantiti contrastino con
norme o principi interni estranei alla materia dei diritti umani. Si pensi
a tal riguardo ad alcune riserve formulate dall‘Italia al momento della
9
Convenzione di Vienna, art. 20. 4.
13
ratifica
10
. Emblematica è a tal fine la riserva all‘art. 14 par. 5, che
garantisce il doppio grado di giurisdizione in materia penale, con la
quale l‘Italia ha dichiarato che detta norma non ostacola
l‘applicazione delle disposizioni italiane nella misura in cui prevedono
lo svolgimento in un unico grado di giudizio dinanzi alla Corte
costituzionale delle cause promosse contro il Presidente della
Repubblica ed i ministri. Va anche ricordata la riserva relativa
all‘art.15 par.1 che all‘ultima frase stabilisce che ―se, posteriormente
alla commissione del reato, la legge prevede l‘applicazione di una
pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne‖. Il Governo italiano, in
proposito, ha dichiarato di interpretare tale norma nel senso che essa si
applica ai procedimenti in corso, con la conseguenza che un individuo
che sia stato già condannato con sentenza definitiva non potrà
beneficiare di una legge che, successiva alla condanna, preveda
l‘applicazione di una pena più lieve. È chiaro che le ratifiche o le
adesioni, accompagnate da tali riserve e limitazioni riducono
sensibilmente la portata del Patto, finendo per aggiungere ben poco
alla tutela dei diritti umani previsti dai singoli ordinamenti interni.
Sennonché, proprio la preoccupante tendenza degli Stati a formulare
10C. ZANGHì, Le riserve italiane al Patto sui diritti civili e politici delle N.U., in La Comunità
internazionale, 1979, p. 358 ss.
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riserve pregiudizievoli per l‘integrità del Patto, ha spinto il Comitato a
recepire una soluzione già adottata in ambito europeo. Si tratta della
c.d. severability doctrine, che fu formulata per la prima volta dalla
Commissione europea nel caso Temeltasch c. Svizzera11, e che fu
successivamente ribadita dalla Corte europea nel caso Belilos c.
Svizzera12. In base alla severability doctrine, qualora uno Stato formuli
una riserva inammissibile, questa viene ignorata, mentre lo Stato è,
comunque, chiamato ad osservare gli obblighi del trattato come se non
avesse mai formulato alcuna riserva. In altre parole, la riserva si
considera come non apposta, mentre si fa salva la volontà dello Stato a
vincolarsi al trattato. Con il Commento generale n. 24, il Comitato ha
recepito la severability doctrine, affermando la propria competenza a
valutare l‘ammissibilità delle riserve formulate dagli Stati parte, senza
tenere conto delle posizioni assunte da questi ultimi. Cosicché,
partendo dal riferimento all‘art. 19, lett. c) della Convenzione di
Vienna sul diritto dei trattati, nel Commento generale si precisa che
l‘oggetto e lo scopo del Patto ―is to create legally binding standards
for the human rights by defining certain civil and political rights and
placing them in framework of obligations which are legally binding
11Temeltasch c. Svizzera (ric. 9116/80), Commissione europea dei diritti umani, decisione 5
maggio 1982, in DR, n. 31, p. 138 s.
12
Belilos c. Svizzera (ric. 10328/ 83), Corte europea dei diritti umani, sentenza 29 aprile 1988, Ser.
A, n. 132.