2
dell'istituto, va sottolineato come il codice civile del 1865
non contenesse espressamente alcuna disposizione volta
a regolamentare il periodo di prova; in materia si faceva
riferimento agli usi prevalenti in base ai quali la prova
doveva considerarsi come un momento di verifica da parte
del datore di lavoro delle capacità professionali e delle
qualità morali del dipendente; il periodo di prova andava
quindi visto come un mezzo a disposizione del datore di
lavoro per verificare preventivamente l’idoneità del
lavoratore alle esigenze aziendali. La labilità del quadro
normativo favoriva rispetto all’obiettivo originario
applicazioni fuorvianti, ponendo in risalto la necessità di
una regolamentazione rigorosa della materia
2
.
Un primissimo tentativo diretto a circoscrivere lo strapotere
del datore di lavoro, si ebbe nel primo dopoguerra con la
legge sull’impiego privato (R.D.L.13 novembre 1924
n°1825) e con l’opera della contrattazione collettiva. Del
citato R.D.L. 1825/1924 particolare rilievo assume l’art. 4
che seppur limitatamente alla categoria degli impiegati ha
sancito alcuni importanti principi: la presunzione di
2
Cfr. VARESI-ROCCELLA, Il patto di prova nel rapporto di lavoro. Il cod. civ. in Commentario, diretto da P.
Schlesinger, Milano, 1990.
3
assunzione a tempo indeterminato in mancanza di atto
scritto volto a comprovare la previsione di un periodo di
prova, la indicazione della durata massima di tale periodo
in relazione alla qualifica assegnata e infine il computo
nella determinazione della anzianità di servizio dell’opera
prestata durante il periodo di prova
3
. Per quanto riguarda
l’apporto della contrattazione collettiva, è opportuno
distinguere due periodi: fino alla prima metà degli anni
Venti i contratti nazionali non contemplavano alcuna
disposizione in materia di prova. La dichiarazione XX della
Carta del Lavoro approvata dal Gran Consiglio del
Fascismo il 21 aprile del 1927 e l’art.3 del R.D. 6 maggio
1928 n°1251 favorirono la diffusione di norme contrattuali
sul punto. Alcuni contratti collettivi nazionali della seconda
metà degli anni Trenta contenevano norme dirette a
disciplinare aspetti importanti del patto di prova, dalla sua
durata massima alla retribuzione, fino alla ammissibilità in
3
L’art.4 del R.D.L. 13 novembre 1924, n.1825, convertito nella l. 18 marzo 1926, n. 526, così recita: "ove
sia stato stipulato, all’atto dell'assunzione dell’impiegato, un periodo di prova, questo dovrà risultare da
atto scritto. Parimenti dovrà risultare da atto scritto l’assunzione che sia fatta con prefissione del termine.
In mancanza di atto scritto l’assunzione si presume fatta a tempo indeterminato.
Il periodo di prova non può in nessun caso superare: mesi sei per gli institori, procuratori, rappresentanti
a stipendio fisso, direttori tecnici o amministrativi ed impiegati di grado e funzioni equivalenti; mesi tre
per tutte le altre categorie di impiegati. Durante il periodo di prova la risoluzione del contratto d’impiego
ha luogo in qualunque tempo senza preavviso o indennità. Il servizio prestato durante il periodo di prova
seguito da conferma, va computato a tutti gli effetti nella determinazione dell’anzianità di servizio".
4
qualsiasi momento del recesso dal rapporto di entrambe le
parti senza preavviso né indennità.
4
Per quanto riguarda la forma richiesta, era accentuata la
distinzione fra impiegati ed operai: mentre per gli impiegati
si ribadiva la necessità della forma scritta, per gli operai si
sanciva il principio per cui ogni assunzione doveva
intendersi subordinata ad un periodo di prova. Nel periodo
ora evidenziato un ruolo importante va riconosciuto alla
giurisprudenza. Essa ha provveduto a garantire una
corretta interpretazione e relativa applicazione dell’art. 4
della legge sull’impiego privato e ha affermato dei principi
per realizzare una tutela minima del lavoro operaio: si
pensi alle pronunce volte a sancire l’illegittimità del
superamento del periodo massimo previsto dal R.D.L.
1825/1924 oppure all'esclusione della prova per il
lavoratore già impiegato presso la medesima azienda con
identiche mansioni. L'elaborazione giurisprudenziale ha
inoltre proposto innovazioni, successivamente accolte
dall’art. 2096 c.c.; basti pensare all’orientamento allora
4
La durata massima è fissata di solito per gli operai in una settimana, a volte prorogabile di comune
accordo tra le parti a due settimane (v.: art. 5 C.C.N.L. L.30 luglio 1936 per gli operai dell’industria
meccanica, metallurgica; art. 5 C.C.N.L. 19 febbraio 1940 per gli operai addetti all’industria calzifici).Per
gli impiegati, la durata massima è invece fissata in tre mesi, salvo che per gli impiegati di concetto con
fuzioni direttive.
5
minoritario secondo cui il datore di lavoro doveva
consentire al lavoratore di effettuare la prova per
permettergli di dimostrare le capacità professionali
possedute; comincia così a farsi largo il convincimento che
l’esperimento risponde all’interesse di entrambi i contraenti.
Su tutti i principi sopra enunciati emerge un punto fermo,
sancito dalla legge per quanto riguarda l’impiego privato e
costantemente affermato dalla giurisprudenza per quanto
riguarda gli operai: la libera recedibilità dal rapporto da
parte di entrambi i contraenti, in qualunque momento del
periodo di prova. Forma scritta, libera recedibilità dal
rapporto senza l’obbligo del preavviso, limiti alla durata del
periodo di prova: sono questi dunque i tratti essenziali della
disciplina precodicistica il cui limite più evidente è dato
dalla mancanza d'uniformità, o meglio dall’essere
fortemente differenziata tra operai ed impiegati.
1.2. LA NATURA GIURIDICA DEL
PATTO DI PROVA.
Per quanto concerne la natura giuridica del patto di prova,
difformi e contrastanti sono le interpretazioni date dalla
6
dottrina, la quale può essere suddivisa in due grandi aree:
la prima considera il contratto di lavoro in prova come un
contratto distinto e speciale rispetto al contratto definitivo;
la seconda invece preferisce evidenziare l'unicità del
rapporto, considerando il patto di prova come una clausola
accidentale che è stata inserita nel contratto di lavoro
5
. Il
primo di questi due orientamenti fonda il proprio
convincimento sull'assoluta libertà delle parti di continuare
il rapporto alla data del periodo di prova o di recedere
anche prima della scadenza, senza alcun obbligo di
contrarre e senza che ciò importi ulteriori conseguenze
patrimoniali. Ciò porterebbe a rilevanti modificazioni nella
struttura dei due tipi di contratto (in prova e definitivo) pur
riconoscendo al contratto speciale i comuni elementi della
faciendi necessitas, della subordinazione e dell'onerosità.
Alcuni autori hanno tentato di assimilare il contratto di
lavoro in prova al contratto preliminare. Il contratto di lavoro
con periodo di prova si distingue però dal contratto
preliminare (art.1351) che impegna le parti alla conclusione
del successivo contratto definitivo, stante l’insussistenza di
5
Cfr. ALIBRANDI, Appunti in margine all’art.2096 c.c. , in , Arch. Civ. 1992 , p. 3.
Cfr. PAPALEONI, Durata della prova e autonomia sindacale, in Giust. Civ. 1982 , I , p. 95.
7
tale reciproco obbligo nel contratto in esame; il contratto
preliminare ha, infatti, per oggetto la prestazione del
consenso per un impegno a contrarre; nel contratto di
lavoro in prova, invece, le parti non assumono alcun
obbligo circa la conclusione e il perfezionamento di un
contratto di lavoro definitivo
6
. Per quanto riguarda i
sostenitori del secondo orientamento (unico contratto di
lavoro, con inserzione della clausola accidentale del patto
di prova), il contratto di lavoro in prova è stato ritenuto un
contratto a termine e quindi provvisorio nel quale sono
dominanti i due elementi del termine e della condizione. In
definitiva un rapporto a termine finale incerto di cui è
stabilita la durata massima ed eventualmente anche
minima, sottoposto a condizione sospensiva (“del
gradimento o del mancato recesso dell’una o dell’altra
parte”) e seguito da un eventuale contratto definitivo.
Alcuni autori configurano il rapporto di prova come un
rapporto destinato ad uno scopo (l’esperimento) e con le
conseguenti caratteristiche: un termine massimo di durata,
la facoltà reciproca di recesso anche prima della scadenza
6
Cfr. ALIBRANDI , Appunti in margine all’art.2096 c.c. ; cit. ,p. 3.
8
del termine senza oneri particolari, l’assorbimento del
rapporto provvisorio in quello definitivo qualora durante il
periodo di prova nessuna delle parti si sia valsa della
facoltà di recesso (Greco)
7
. Altri ancora hanno ravvisato
nella prova una fase preliminare di un rapporto di lavoro
unitario
8
. Non vi è però nessun dubbio che l’orientamento
prevalente in dottrina riconduca il contratto di lavoro con
clausola di prova alla figura del contratto condizionale o
condizionato (di cui all’articolo 1521 c.c.). I sostenitori di
quest'orientamento sono però divisi tra coloro che
considerano la prova come condizione sospensiva e quelli
che ritengono piuttosto che vada intesa come condizione
risolutiva. I primi affermano che da un rapporto provvisorio,
sottoposto dall’art. 2096 c.c. ad una disciplina tipica, sorge
con l’avveramento della condizione un rapporto definitivo. I
secondi pongono l'accento invece sul fatto che il contratto
di lavoro con clausola di prova instaura tra le parti un
rapporto di lavoro dotato di normali effetti, con la
particolarità del carattere sperimentale del rapporto stesso
7
In Il contratto di lavoro , 1939 , p. 142.
8
Cfr. ZANGARI, Il contratto di lavoro con clausola di prova , 1965, pp.129 e seguenti.
Cfr. CORRADO ,Trattato di diritto del lavoro , II ,1966 , pp.680-682 e seguenti.
9
nella fase che precede il verificarsi della condizione; la
modificazione introdotta dalla clausola di prova rispetto al
rapporto tipico andrebbe quindi individuata unicamente
nella subordinazione del rapporto alla risoluzione per
mancato gradimento di una o dell’altra parte
9
. Questa sia
pur sintetica rassegna delle varie opinioni dottrinali
testimonia i notevoli contrasti e soprattutto le difficoltà di
corretto inquadramento del problema. Le diverse
ricostruzioni ricordate non sono peraltro sfuggite a
numerose analisi critiche, che, nel porre in evidenza le
varie contraddizioni e i risultati insufficienti raggiunti da
ciascuna di esse, sono però giunte alla individuazione di
alcuni punti fermi: primo fra tutti, quello che considera il
rapporto di lavoro in prova e quello definitivo come due
momenti di un unico rapporto di lavoro che discendono
entrambi da un unico contratto. La questione della natura
del patto di prova, che tanta attenzione ha suscitato in
dottrina, è stata pressoché ignorata nelle elaborazioni
giurisprudenziali, ciò in ragione dello scarso rilievo pratico
9
Cfr. VARESI P. A. , Prova (patto di), in Digesto delle Discipline Privatistiche sez. commerciale , Utet. Volume. XI,
p.424.
Cfr. ARDAU, Nuove riflessioni sul patto di prova, in Giur. It. 1978 , I , p. 255.
Cfr. SANTORO, PASSARELLI , Nozioni di diritto del lavoro , XXXV ed. 1995 , p. 165.
10
della stessa (la discussione sulla natura giuridica del patto
di prova è stata addirittura definita dal Suppiej “oziosa”)
10
.
La Corte di Cassazione in alcune pronunce degli anni
Settanta
11
si è limitata ad affermare, senza peraltro
particolari approfondimenti, che l'apposizione del patto di
prova subordina il rapporto di lavoro alla condizione
sospensiva (potestativa semplice) che nessuna delle parti
receda entro il termine massimo predeterminato in via
contrattuale o entro il termine fissato dalla legge. In favore
di questa tesi si è espressa la Corte costituzionale nella
sentenza n°204 del 1976. Tra i vari orientamenti ricordati,
considerando anche la sentenza della Corte costituzionale
n°189 del 1980 che avvicina ulteriormente la
regolamentazione del rapporto di lavoro in prova a quello
definitivo, appare preferibile la tesi secondo cui l'eventuale
apposizione del patto di prova sottopone il rapporto di
lavoro a condizione senza incidere sull'unicità del rapporto
stesso. Pertanto è da ritenere che non sorgano due distinti
rapporti, uno provvisorio che si estingue al raggiungimento
10
Cfr. SUPPIEJ , Il rapporto di lavoro , Padova, 1982 , p. 270.
11
V. Cass. 17 gennaio 1977 , n. 232 , in Or. Giur. Lav. , 1977 ,p. 627; Cass. 30 maggio 1977 , n. 2217 , in
Lav. Prev. Oggi , 1978 , p. 984; tra le più recenti v. Cass. 11 novembre 1988 , n. 6096 , in Dir. Prat. Lav. ,
1989 , p. .596.
11
del termine ed uno definitivo che si sostituisce al primo nel
caso in cui le parti abbiano manifestato il loro gradimento,
ma un solo rapporto di lavoro che vive due fasi: una prima
fase in cui le parti reciprocamente s'impegnano a
consentire e fare l’esperimento ed entro i cui limiti di durata
è consentito recedere liberamente; una seconda fase in
cui, avendo il patto di prova esaurito la sua funzione, in
mancanza di recesso il rapporto prosegue e diviene
definitivo. Quest'impostazione non appare criticabile in
ragione dell'applicabilità al rapporto di discipline
differenziate nelle due fasi sopra indicate. Infatti, la dottrina
più attenta ha posto in luce che non ogni deviazione dalla
normativa del rapporto tipico costituisce un rapporto
speciale
12
. Applicando questo principio al caso in esame
possiamo evidenziare come non sia riscontrabile una
deviazione funzionale ne della causa, ne di elementi
fondamentali del contratto; pertanto l’applicazione al
rapporto di lavoro con clausola di prova di una disciplina
differenziata non è sufficiente a configurare uno speciale
rapporto di lavoro. Siamo, invece, in presenza di un
12
Cfr. VARESI-ROCCELLA , Il patto di prova nel rapporto di lavoro , cit. pp.68-69.
12
normale rapporto di lavoro cui si applica una disciplina
speciale per la durata massima prevista dal patto stesso.
Alla luce di queste considerazioni possiamo constatare
come il patto di prova altro non sia che uno degli strumenti
di transizione verso una stabile occupazione. Esso
consente opportunamente una valutazione statica e non
dinamica; è interesse non solo dell’azienda ma anche del
lavoratore che il rapporto di lavoro possa nel tempo
evolversi: da questo punto di vista il periodo di prova ha il
pregio di consentire all’azienda di valutare al meglio le
potenzialità del lavoratore e di impegnarlo in un processo
di crescita professionale, come del resto permette al
lavoratore di valutare i possibili sviluppi di carriera.
13
2. L’ART. 2096 DEL CODICE CIVILE.
2.1. LA FORMA DEL PATTO DI PROVA.
L’art. 2096 del codice civile disciplina l’assunzione in prova
del lavoratore: esso prevede la possibilità per il datore di
lavoro e per il lavoratore di “sperimentare” di comune
accordo il rapporto di lavoro, al fine di valutare la reciproca
convenienza a rendere definitivo il rapporto stesso. La
formulazione di questo articolo non appare invero
felicissima, come è stato più volte ribadito dalla
dottrina
1
,non tanto per ciò che in essa è contenuto quanto
per il silenzio tenuto su alcune questioni di rilievo. L’2096
rappresenta comunque una tappa fondamentale nella
evoluzione della disciplina dell’istituto: da un lato sintetizza
molti degli orientamenti e principi affermatisi nei decenni
precedenti volti ad assicurare una adeguata protezione al
lavoratore contro i possibili abusi del contraente più forte;
dall’altro lato la norma racchiude in sé una visione più
equilibrata della funzione dell’istituto rispetto al passato,
riconoscendo e tutelando l'interesse di entrambe le parti (e
1
Cfr. ZANGARI.: Il contratto di lavoro con clausola di prova, 1965, cit. p. 34.
14
dunque anche del lavoratore) alla effettuazione
dell’esperimento. Questa norma, nonostante le rilevanti
innovazioni introdotte dal legislatore (art. 10 l. 604/1966),
dalla giurisprudenza costituzionale (vedasi in tal senso
sentenza n. 190 del 1988)
2
e dalle disposizioni contenute
nei contratti collettivi, rappresenta in ogni caso il corpo
centrale dell'istituto. Prima di procedere ad esaminare in
modo dettagliato gli aspetti affrontati nell'art. 2096 c.c.,
debbono essere effettuate alcune considerazioni in merito
all'apporto dato dalle diverse fonti normative alla disciplina
del patto di prova. L'apporto della legislazione, in verità è
stato alquanto limitato: se si escludono le norme
riguardanti rapporti speciali di lavoro (v. apprendistato e
lavoro a domicilio) o provvedimenti con finalità circoscritte
(v. la l. 675/1977 in materia di mobilità interaziendale), il
nostro legislatore si è occupato dei rapporti di lavoro con
patto di prova solo per escluderli dall'applicazione della
disciplina limitativa dei licenziamenti individuali (art. 10
della l. 604 del 1966).
2
Con questa sentenza (22 dicembre 1980, n.189) la Corte Costituzionale era intervenuta per risolvere
positivamente l'annosa questione del riconoscimento del diritto alla indennità di anzianità (ora
trattamento di fine rapporto) ed alle ferie retribuite al lavoratore assunto con patto di prova, nel caso di
recesso durante il periodo di prova stesso.