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SOMMARIO: 1. Ratio e funzionalità della stabilità del patto di famiglia.
- 2. Profili di costituzionalità. – 3. Diritto Comunitario. – 4. Diritto internazionale
privato. – 5. Patti successori.
1. RATIO E FUNZIONALITÀ DELLA STABILITÀ DEL PATTO DI
FAMIGLIA.
La legge 14 febbraio 2006, n. 55, ha introdotto nell’ordinamento
giuridico italiano il nuovo istituto del “Patto di famiglia”
1
, modifi-
cando da un lato l’art. 458 del codice civile, statuente il divieto dei
patti successori, e dall’altro inserendo nello stesso codice, dopo la
disciplina dettata per la divisione, il nuovo “Capo V-bis” composto
dagli artt. da 768-bis a 768-octies.
Tale “Patto” è stato definito dallo stesso legislatore come «il contratto
con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel
rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in
1
Tale patto non deve essere confuso con il “patto di impresa”, istituto che non è stato
recepito nella legge in esame. Vedi funditus M. IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in
funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti
successori. Relazione al convegno di studio ‹‹Successione nell’impresa e società a base
familiare››, in Riv. Not., 1997, 1371 ss., il quale sostiene che il patto di impresa configura
un vero e proprio patto successorio, in quanto consente di inserire nell’atto costitutivo
una clausola che prevede il diritto della società, dei soci o dei terzi di acquistare le azioni
nominative cadute in successione ad un prezzo corrispondente al loro valore. In questo
caso, in effetti, si regolamenta una situazione che si forma in via originaria con la morte
del titolare delle partecipazione societarie, posto che l’obbligo di vendita non si trasferisce
dal socio agli eredi, ma nasce direttamente in capo agli eredi, iure successionis delle azioni.
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parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in
parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».
La ratio ispiratrice dell’istituto in esame è da ricercare nella necessità
avvertita dal legislatore di introdurre nel nostro ordinamento un
istituto in grado di assicurare il passaggio generazionale dell’azienda
2
ovvero delle partecipazioni societarie. Infatti, in precedenza l’elevato
tasso di litigiosità tra gli eredi di imprenditori determinava la paralisi di
molte imprese, specie piccole e medie, con altissimi costi sociali
3
.
Inoltre, il divieto dei patti successori, l’azione di riduzione, peraltro
irrinunciabile prima dell’apertura della successione e la disciplina della
collazione, impedivano all’imprenditore di programmare per tempo la
propria successione, e cioè di garantire la trasmissione
intergenerazionale dell’azienda
4
. Del resto, è statisticamente provato
che se un’impresa riesce a sopravvivere per due o tre generazioni,
senza furiosi litigi tra i soci, si è in presenza di una sorta di “miracolo”.
2
E. LUCCHINI GUASTALLA, Con l’arrivo dei patti successori l’ordinamento si modernizza, in Guida
al diritto, 2006, n. 13, p. 44, il quale sostiene che ‹‹In difesa della continuità nella gestione
sono infranti due tabù: è infatti espressa la deroga al divieto di accordi successori, così
come è chiara l’inapplicabilità al patto di famiglia degli specifici strumenti di tutela
normalmente previsti in favore dei legittimari (la collazione e soprattutto l’azione di
riduzione)››.
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G. PERLINGIERI, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli
interessi, in Rass. dir. civ., 2008, p. 147 ss. In tal senso PETRELLI, La nuova disciplina del Patto
di famiglia, in Riv. Not., 2006, p. 402 il quale sottolinea come «La “stabilità” e non
“aleatorietà” del trasferimento è funzionale ad agevolare il “passaggio generazionale” delle
piccole e medie imprese». M. IMBRENDA, Patto di famiglia, solidarietà familiare e family
business, in Rass. dir. civ., 2007, p. 440.
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La libera trasmissibilità delle imprese - in particolare di quelle di piccole e medie
dimensioni - da una generazione all’altra per evitarne il frazionamento e quindi il declino
nel nostro ordinamento trova un ostacolo nell’esistenza di una serie di disposizioni
codicistiche che disciplinano quella forma di successione cd. necessaria o dei legittimari.
Infatti, proprio la necessità di assicurare a ciascun legittimario la propria quota di riserva
impediva molto spesso la salvaguardia e la conservazione del complesso aziendale o di
una partecipazione societaria.
5
Si è avvertita, quindi, l’esigenza di preservare l’unità del bene
produttivo (l’impresa) e di favorire l’unicità del controllo, evitando il
formarsi di un controllo congiunto tra più eredi ed anticipando il
trasferimento dell’impresa allorquando l’imprenditore è ancora in vita,
ossia nella condizione di programmare e “governare” in maniera
adeguata il passaggio intergenerazionale
5
.
E’ nata così l’espressione “successione anticipata”
6
che, peraltro, ha valore
meramente descrittivo del fenomeno e non costituisce una categoria
sul piano dogmatico.
Come può essere agevolmente inteso sin da queste primissime
osservazioni, la nuova disciplina ha posto problematiche di non poco
conto laddove ha introdotto delle “deroghe” ai quei principi e regole
5
La ratio che ha ispirato il legislatore è, peraltro, sufficientemente delineata negli stessi
lavori preparatori e nel dibattito politico-parlamentare che ha portato all’emanazione della
legge 14 febbraio 2006, n. 55. In proposito cfr. il sito web www.Camera.it: LAVORI
PREPARATORI Camera dei deputati, atto n. 3870;
6
A. ZOPPINI, L’emersione della categoria della successione anticipata, in Patti di famiglia per
l’impresa, in Quaderni della fondazione italiana per il notariato, 2006, p. 273, il quale evidenzia
che con l’espressione “successione anticipata” si intende «designare quei trasferimenti di
ricchezza operati da chi, prefigurando gli effetti della futura devoluzione ereditaria,
intende beneficiare in vita coloro che saranno i propri eredi»; A. MERLO, Divieto dei patti
successori e attualità degli interessi tutelati, in Quaderni della fondazione italiana per il notariato, 2006,
p. 100 s.; G. AMADIO, L’introduzione del Patto di famiglia e la categoria della successione anticipata,
in Quaderni della fondazione italiana per il notariato, 2006, p. 73; G. SICCHIERO, La causa del
patto di famiglia, in Contr. Impr., 2006, p. 1265, secondo il quale trattasi di «un contratto
destinato a regolare con effetto immediato la successione dell’attuale titolare del
patrimonio, ancorchè limitatamente ai beni indicati dal legislatore»; G. PETRELLI, La
nuova disciplina del Patto di famiglia, cit., 2006, p. 408 s., il quale evidenzia come il Patto di
famiglia non ha natura di patto successorio dispositivo perché non costituisce «atto di
disposizione relativo a beni o diritti facenti parte della futura successione».
Aggiunge che non può configurarsi neanche quale patto successorio istitutivo perché non
è un atto mortis causa dato che produce effetti traslativi immediati e definitivi. Inoltre, i
beneficiari dell’attribuzione sono individuati al momento del perfezionamento del Patto,
non con riferimento al momento della morte del disponente; A MASCHERONI, Un nuovo
tipo negoziale ma nessuna deroga al divieto dei patti successori istitutivi, in Quaderni della fondazione
italiana per il notariato, 2006, p. 19 s; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia,
in Giust. civ., 2006, p. 218.
6
che da tempo quasi immemorabile hanno presidiato l’ordine
successorio: divieto dei patti successori, azione di riduzione e
collazione
7
. Agli operatori del diritto spetta il compito di comporre il
conflitto tra l’esigenza di conservare l’efficienza del complesso
produttivo, da un lato, e l’esigenza di tutelare i legittimari dall’altro.
L’esigenza prevalente è quella di tutelare le piccole e medie imprese
per l’importanza che esse hanno nella nostra società, costituendo la
maggioranza delle imprese italiane. E’ necessario, quindi, che il
trasferimento (o divisione) dell’azienda non ostacoli la continuazione
dell’impresa da parte degli eredi o, ancor peggio, provochi la
disgregazione dell’azienda stessa
8
.
2. PROFILI DI COSTITUZIONALITÀ.
Per una corretta analisi del patto di famiglia non si può fare a meno di
effettuare un’interpretazione logico-sistematica e teleologica -
assiologica. È importante, quindi, analizzare il fenomeno facendo
riferimento, oltre alle norme codicistiche, a quelle del diritto
comunitario, a quelle del diritto internazionale privato e soprattutto
alle norme ed ai principi costituzionali.
7
Non è mancato chi in dottrina ha criticato e posto in dubbio la sistematicità della
novella. In tal senso cfr. G. PERLINGIERI, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e
valutazione comparativa degli interessi, cit., p. 146, che definisce la disciplina del patto di
famiglia «lacunosa e con molte ombre»; LILIANA ROSSI CARLEO, Il patto di famiglia: una
monade nel sistema?, in Notariato, 2008, p. 434; L. SALVATORE, Il trapasso generazionale
dell’impresa tra patto di famiglia e trust, in Notariato, 2007, p. 554 ss.
8
G. PETRELLI, La nuova disciplina del Patto di famiglia, cit., p. 403, il quale evidenzia come
l’istituto in oggetto ‹‹tende a evitare lo smembramento del complesso produttivo,
coinvolgendo nell’operazione divisionale i discendenti legittimari dell’imprenditore al fine
di evitare liti tra gli stessi che possano compromettere l’assetto di interessi predisposto in
vita dal disponente attraverso un meccanismo negoziale efficacemente definito di
“riallocazione consensuale del controllo” sui beni d’impresa››.
7
L’analisi non potrebbe non partire dall’art. 41 Cost., ove è espresso il
principio della libertà di iniziativa economica. Con questo principio si
vuole intendere che tutti possono esercitare liberamente tale attività,
nel limite in cui essa non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
Un aspetto essenziale della libertà di iniziativa economica si individua
nella libertà di concorrenza, in quanto tale libertà può essere esercitata
non soltanto nei confronti dello Stato (c.d. garanzia verticale), ma
anche nei confronti di tutti gli altri consociati, titolari anch’essi della
stessa libertà di iniziativa (c.d. libertà orizzontale)
9
.
Poste queste premesse, si comprende come l’espressione della libertà
di iniziativa economica è anche il poter disporre della propria azienda
e non solo per dopo la morte. Se da un lato vi è l’esigenza di tutelare
l’aspetto economico dell’intera famiglia con tutti i mezzi previsti dal
legislatore, dall’altro vi è anche la necessità di tutelare e, soprattutto,
rispettare i sacrifici svolti da un piccolo imprenditore. Il patto di
famiglia, quindi, non può essere considerato come un patto contrario
al principio di uguaglianza
10
espresso nell’articolo 3 della Costituzione;
è espressione della libertà di iniziativa economica riconoscere
9
P. PERLINGIERI, Commento alla Costituzione italiana, Napoli 2001, p. 287, secondo il quale
la libertà economica e la concorrenza rappresentano «un mezzo, una regola, per realizzare
l’utilità sociale, l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione economica e sociale del
Paese e il pieno sviluppo della persona» e p. 301 ove si evidenzia la relazione intercorrente
tra successione e libertà di iniziativa economica, relazione che postula un’esigenza di
stabilità dei risultati derivanti dall’esercizio dell’attività economica con la conservazione
dei rapporti patrimoniali anche dopo la morte del soggetto a cui facevano capo. Sulla
tematica v. anche P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, Napoli 2006, p. 471 ss.; G. PERLINGIERI, o.c., p. 153.
10
P. PERLINGIERI - G. RECINTO, Manuale di diritto civile, Napoli 2007, p. 941.
8
all’imprenditore la possibilità di scegliere chi dei suoi familiari sia il più
adatto a continuare tale attività di impresa.
Il patto di famiglia, infatti, prevede che l’imprenditore trasferisca, in
tutto o in parte, l’azienda, ad uno o più discendenti, liquidando gli altri
legittimari. Il principio di uguaglianza dal punto di vista quantitativo,
ma con qualche dubbio dal punto di vista qualitativo
11
, non può essere
considerato intaccato perché gli altri legittimari ricevono comunque la
loro quota di legittima uguale a quella che riceve il beneficiario del
patto.
Se, dal punto di vista formale, il trasferimento dell’impresa o delle
quote societarie potrebbe essere considerato discriminatorio nei
confronti dei non beneficiari, dal punto di vista sostanziale non lo è,
perché è sempre necessario effettuare un bilanciamento in concreto
degli interessi sottesi. Quindi, se da un lato è giusto che
quantitativamente tutti i legittimari ricevano quanto previsto dalla
11
La configurazione della legittima qualitativa è andata via via modificandosi: dapprima si
riteneva trattarsi del diritto di ricevere in natura una porzione di tutti i beni ereditari (per i
riferimenti a precedenti storici e bibliografici v. per tutti L. MENGONI, Successioni per causa
di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. di dir. civ. e comm. Cicu e Messineo
continuato da Mengoni, 4ª ed., Milano 2000, p. 99). Oggi, invece, ha una visione diversa
G. MARINARO, La tutela qualitativa della legittima e il lascito eccedente la disponibile, Napoli 2004,
p. 25, ove l’Autore precisa che «Per tutela qualitativa non si deve intendere il diritto del
legittimario a ricevere – a titolo di legittima – una porzione di ogni bene ricadente nel
compendio dell’eredità ma il diritto di conseguire la piena legittima, cioè la legittima
composta da beni non gravata da diritti a favore di altri, o da pesi o condizioni: in
sostanza il legittimario ha il diritto di conseguire beni in piena proprietà, se così
appartenevano al de cuius al momento dell’apertura della successione (ovvero se erano stati
da lui donati, in piena o nuda proprietà, - essendosi il donante riservato l’usufrutto ai sensi
dell’art. 796 cod. civ. – prima di allora, ma considerati per la piena proprietà nel
patrimonio ereditario attraverso la riunione fittizia ex art. 556 cod. civ.), e con la sola
eccezione che i beni appartenessero al de cuius già gravati (ad esempio da enfiteusi), perché
in tali ipotesi detti beni non potrebbero efficacemente essere attribuiti dal de cuius in
piena proprietà».
9
legge, dall’altro è parimenti giusto che non ci sia una frammentazione
dell’azienda, sia per i vantaggi economici non solo dei privati ma
anche della società, sia soprattutto per il rispetto della volontà e del
lavoro profuso dal titolare dell’impresa.
3. DIRITTO COMUNITARIO.
E’ stata da tempo avvertita in ambito comunitario, l’esigenza di
apprestare adeguate soluzioni ai problemi della conservazione
dell’unità dell’azienda e della successione nella guida dell’impresa. Ci
sono stati dei provvedimenti con i quali si è espressamente auspicata
l’introduzione, negli ordinamenti degli Stati membri, di strumenti di
pianificazione della successione dell’imprenditore quando questi è
ancora in vita, in funzione dell’integrità del valore produttivo
dell’impresa.
In particolare, l’Organismo Comunitario, in funzione dell’obiettivo di
preservare il valore produttivo, ha sollecitato la vendita dell’impresa, là
dove non sia agevole rinvenire all’interno della famiglia un successore
affidabile, suggerendosi all’imprenditore la pianificazione della
successione quando egli è ancora in vita
12
.
Ed è stato proprio l’istituto del “Patto di famiglia e d’impresa”, sul
modello degli strumenti normativi già impiegati in Francia e Spagna,
che la Commissione Europea ha proposto come soluzione diretta ad
agevolare la trasmissione delle imprese nell’ambito familiare.
L’indirizzo comunitario ha, peraltro, trovato consenso in parte della
dottrina italiana, la quale non ha mancato di osservare però che la
12
Raccomandazione n. 94/1069/CE sulla “Successione nelle piccole e medie imprese”, in
G.U.C.E., 31 dicembre 1994, n. L. 385.
10
soluzione adottata dal nostro legislatore con l’introduzione dell’istituto
del patto di famiglia quale strumento per agevolare la trasmissione
dell’impresa è diversa e meno incisiva rispetto a quella degli altri Stati
membri che, al contrario, ammettono i patti successori
13
.
4. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO.
L’art. 46 della legge 31 maggio 1995, n. 218
14
, dispone che la
successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del de
cuius al momento dell’apertura della successione. Tale regola può
essere derogata mediante apposita professio iuris - che sembra doversi
effettuare da parte del medesimo de cuius solo in un testamento - con la
quale è possibile sottoporre l’intera successione alla legge dello Stato
in cui lo stesso de cuius risiede. Tuttavia, si precisa che la scelta non ha
effetto se al momento della morte il dichiarante non risiede più in tale
Stato e che, nell’ipotesi di successione di un cittadino italiano, la scelta
non pregiudichi i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari
residenti in Italia al momento della morte della persona della cui
successione si tratta.
13
G. PETRELLI, o.c., p. 403 s., nota 6, in cui si evidenzia come «tali accordi sono una
alternativa relativamente debole rispetto ai patti di successione ammessi nella maggior
parte degli Stati membri. Là dove i patti successori sono vietati (Italia, Francia, Belgio,
Spagna, Lussemburgo), gli stati membri dovrebbero considerare l’opportunità di
introdurli, perché la loro proibizione complica inutilmente una sana gestione
patrimoniale».
14
Vedi funditus EMILIO PAGANO, Lezioni di diritto internazionale privato, II edizione, Napoli
2007, p. 144, il quale afferma che ‹‹La legge 218/95, invece, si cura di indicare l’ipotesi in
cui è possibile l’esercizio della giurisdizione italiana e, in generale, lo fa senza distinzione
tra cittadini e stranieri (salvo che per la volontaria giurisdizione); le sue norme non
esauriscono, tuttavia la disciplina della materia. Accanto ad essa vanno tenute presenti
altre regole preesistenti che non sono state abrogate e, poi ancora, norme comunitarie e
internazionali››