1
INTRODUZIONE
La protezione del patrimonio culturale, ed in modo particolare del patrimonio
culturale intangibile, è al centro di un interesse internazionale crescente. Riprendendo una
frase di D. Lowenthal: “The world rejoices in a newly popular faith: the cult of heritage”
1
. Le
motivazioni di questo interesse risiedono principalmente nel mutamento della situazione
internazionale e, all’interno di essa, dell’evoluzione della storia dei vari Paesi, occidentali e
non, che ha messo in luce il ruolo importante che il patrimonio culturale e il patrimonio
immateriale in particolare possono svolgere nel contesto mondiale moderno. Un ruolo ampio
e multisettoriale che coinvolge un numero elevato di ambiti. Tra questi è possibile individuare
non solo quello strettamente culturale ma anche quello sociologico, quello commerciale ed
economico, quello politico, quello dei diritti umani, dei diritti delle popolazioni indigene e
delle minoranze, quello della diversità culturale e della biodiversità - quest’ultime utilizzate
come armi contro la globalizzazione. Il diritto internazionale ha dovuto sviluppare un quadro
giuridico adeguato attraverso un percorso, non privo di difficoltà, che dalle questioni
concettuali e di definizione porta all’istituzione di normative e, infine, alla garanzia della loro
applicazione e alle strategie di coordinamento tra queste e altre discipline.
Quanto detto a proposito del patrimonio culturale in generale resta valido se si
concentra l’attenzione su una “parte di questo tutto”, ovvero sul patrimonio culturale
immateriale (o intangibile)
2
.
Esso è oggetto di un rinnovato interesse all’interno del dibattito giuridico
internazionale. Molteplici sono le iniziative intraprese da parte di attori internazionali,
nazionali e anche subnazionali in materia. Quanto detto trova sostegno in alcune evidenze.
Innanzi tutto, come vedremo nel corso del lavoro, il concetto di patrimonio intangibile
è relativamente nuovo e parzialmente ancora in via di definizione. Per dare un cenno
introduttivo, potremmo dire che esso si riferisce a forme tradizionali di espressione culturale
tramandate da una generazione all’altra, che vanno a costituire una parte importante di una
data identità di gruppo o comunità
3
. Il processo della sua definizione, ed in particolare il
passaggio da una concezione di patrimonio tangibile ad una di patrimonio intangibile, ha
1
D. LOWENTHAL, The Heritage Crusade and The Spoils of History, Cambridge, 1998, p. 1.
2
I termini patrimonio culturale intangibile e patrimonio culturale immateriale sono utlizzati in tutto il testo come
sinonimi.
3
L. LIXINSKI, A Framework for the Protection of Intangible Cultural Heritage in International Law, tesi
presentata per la valutazione al fine di ottenere il titolo di Dottore in giurisprudenza all’Istituto Universitario
Europeo, Firenze, 2010, p. 15.
2
tuttavia rappresentato, e ancora rappresenta, uno dei punti più discussi del dibattito
internazionale in ambito culturale.
Inoltre, questo concetto, insieme con la prima disciplina internazionale vincolante
specifica per la sua protezione, è stato codificato a livello internazionale soltanto a partire dal
2003 con la Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile.
Questo spiega perché siano ancora molti i dubbi e le difficoltà che si incontrano, in modo
particolare riguardo a come attuare un sistema giuridico vincolante di protezione di un
patrimonio che non è di per sé materiale, ma che si incarna nelle conoscenze tradizionali delle
persone, nelle loro pratiche, nelle loro abilità, di cui le espressioni tangibili, quando ci sono,
risultano essere soltanto i prodotti.
Infine, il concetto e la tutela di questa tipologia di patrimonio si intrecciano con una
serie di altre problematiche sia in ambito internazionale che in ambito nazionale. Infatti,
nell’analisi di questo aspetto della disciplina da approntare, si incontrano questioni legate alle
dinamiche dei rapporti tra Paesi occidentali e orientali e tra Nord e Sud del mondo, nonché dei
rapporti tra gli Stati e le loro minoranze interne; questioni, inoltre, legate alle rivendicazioni
politiche ed identitarie di queste minoranze e quelle legate ai diritti dei popoli indigeni e alla
tutela delle loro conoscenze tradizionali; si incontra poi il tema della diversità (biologica e di
espressione culturale); il tema dei risvolti commerciali del patrimonio e dello sfruttamento
indebito dei medesimi ed infine, ma non meno importante, il tema dei diritti umani.
Data la complessità della materia, strutturo il mio lavoro in funzione di quello che è
stato il percorso seguito dagli Stati, dalle Organizzazioni intergovernative (dall’UNESCO in
modo particolare), dalle ONG, dai gruppi, dalle comunità e dagli individui in relazione a
questi punti di interesse per giungere ad una disciplina internazionale della materia. A tal fine,
basandomi su un approccio giuridico di tipo analitico/valutativo, divido il mio lavoro in tre
capitoli.
Il primo capitolo (“Il patrimonio culturale intangibile: il processo di definizione”) si
apre con una panoramica sull’origine e sul processo di definizione del concetto di “patrimonio
culturale” in diritto internazionale. Mi soffermo, in particolar modo, sul passaggio dal
concetto di proprietà culturale a quello di patrimonio culturale, utilizzato nel contesto
odierno. Dopodiché vengono accennati il ruolo e la rilevanza del diritto internazionale nella
sua tutela, per poi passare a quello che è il nucleo centrale del capitolo: il processo che porta
alla definizione odierna di patrimonio culturale intangibile, cioè quella istituzionalizzata con
la menzionata Convenzione UNESCO del 2003. Questo processo si rivela ricco di
problematiche soprattutto in relazione al passaggio dal concetto di tangibilità a quello di
3
intangibilità, e alla diversa importanza accordata a conoscenze tradizionali ed espressioni
culturali tradizionali dai Paesi non occidentali rispetto ai Paesi occidentali. Si mostra come i
percorsi attraverso i quali si giunge all’attuale definizione del patrimonio immateriale siano
stati due: il primo riguarda l’evoluzione del concetto di patrimonio culturale materiale e il
secondo riguarda l’evoluzione del concetto di folklore e di conoscenze tradizionali. Inoltre, ho
ritenuto interessante affrontare il tema del passaggio dal concetto di “protezione” del
patrimonio a quello di “salvaguardia” del medesimo utilizzato dalla Convenzione del 2003.
Infine, a scopo di completezza, opero un breve excursus sugli anni conclusivi (dal 2001 al
2003) dei lavori preparatori della Convenzione, anni in cui si concretizza il lavoro di
definizione di patrimonio culturale intangibile svolto nel periodo precedente.
Nel secondo capitolo (“Il patrimonio culturale intangibile: la disciplina
internazionale”) tento di ricostruire, nel modo più esaustivo possibile, il quadro giuridico
internazionale concernente il patrimonio culturale intangibile. Questo framework si è
sviluppato nel tempo, in particolar modo a partire dagli anni settanta, di pari passo con il
movimento anticolonialista e con l’entrata in scena nel contesto mondiale dei Paesi in via di
sviluppo, oltre che con l’ampliarsi del ruolo dei Paesi orientali. In questo processo il punto di
svolta è rappresentato dalla già citata Convenzione dell’UNESCO sulla salvaguardia del
patrimonio culturale intangibile del 2003. Esso, rappresentando il primo strumento
internazionale vincolante in materia di tutela del patrimonio intangibile, è il punto d’arrivo di
un percorso che chiude con il passato e il punto di partenza per un altro finalizzato alla
creazione di una sempre maggior consapevolezza della materia e di un sistema giuridico di
tutela più concreto ed efficace. Per ciò, al centro di questo capitolo, si trova l’analisi del
regime istituito dalla Convenzione del 2003, che comprende l’illustrazione dei principi di
base, delle istituzioni, del campo d’applicazione e del sistema di salvaguardia. Quest’ultimo si
articola su due livelli: a livello nazionale (tramite inventari, progetti e programmi educativi,
politiche socio-culturali, ecc.) e a livello internazionale (tramite il sistema delle due Liste, la
cooperazione e l’assistenza internazionale). Oltre a ciò, il capitolo offre una panoramica di
tutte le altre iniziative internazionali in tema di patrimonio intangibile, sia quelle che
l’UNESCO - l’organizzazione più importante in questo settore - aveva intrapreso
precedentemente alla Convenzione del 2003, sia quelle promosse da altri attori internazionali
(ad esempio l’OMPI e la OMC). Si parla anche della tutela offerta da altri settori del diritto
che non trattano in modo specifico del patrimonio culturale (diritti umani, diritti dei popoli
indigeni, diritti di proprietà intellettuale, diritto del commercio internazionale).
4
Infine, nel terzo capitolo (“Il patrimonio culturale intangibile: le recenti
problematiche”) mostro innanzi tutto quali sono le principali critiche rivolte alla Convenzione
del 2003 e i principali difetti del sistema di protezione da essa istituito per poi giungere ad una
valutazione complessiva del funzionamento di questo nuovo regime, in particolare, e di tutta
la normativa relativa alla tutela del patrimonio culturale intangibile e alle sue implicazioni.
Per compiere questa valutazione mi appoggio ad un’analisi dell’attuale livello di attuazione
della Convenzione 2003 e di ciò che da essa è scaturito in termini di sviluppo della
consapevolezza internazionale sul tema, sviluppo delle ricerche e delle iniziative, dei
programmi, dei progetti, adozione di legislazioni nazionali conformi alla Convenzione,
sviluppo delle iniziative nazionali e dei dibattiti. Inoltre, a completamento di tutto ciò, opero
una disamina dei rapporti che il sistema instaurato dalla Convenzione UNESCO del 2003 ha
con le altre discipline giuridiche che, come detto sopra, benché riguardino altre materie,
contengono indirettamente alcune forme di tutela del patrimonio intangibile. Si analizzano in
particolare il rapporto con la disciplina dei diritti umani - quello più denso di risvolti
interessanti ma anche di forti elementi di incertezza - e il rapporto con la disciplina della
proprietà intellettuale, che aveva costituito la prima forma di protezione del patrimonio
immateriale.
In ultima analisi, l’elaborato segue il percorso attraverso cui si è giunti
all’istituzionalizzazione del concetto di patrimonio culturale immateriale e alla sua disciplina
e tenta una valutazione dei costi e dei benefici di questo sistema.
5
CAPITOLO PRIMO
IL PATRIMONIO CULTURALE INTANGIBILE:
IL PROCESSO DI DEFINIZIONE
1.1 Origini e processo di definizione del concetto di “patrimonio culturale”
La parola “patrimonio”, così come l’equivalente francese “patrimoine”, deriva da due
parole latine “pater” (padre) e “monere” (avvisare, informare ) e prende così il significato di
“cose che richiamano il padre”. L’idea del rispetto del passato e della sua conservazione come
elemento di definizione della propria identità è dunque insita nella parola medesima. Allo
stesso modo l’equivalente inglese “heritage” riporta all’idea di ciò che è stato trasmesso dai
propri predecessori, salvato e tramandato per le generazioni future. In questa definizione
reperiamo l’altro significato di “patrimonio”: tutelare il passato in funzione di continuità per
il futuro.
Il concetto di patrimonio culturale, storico e architettonico concepito quale eredità
comune di un gruppo o di una comunità ha preso vita soltanto nel XIX secolo nel mentre la
rovina incombeva sui monumenti, sulle chiese ed i castelli d’Europa, splendido patrimonio
del passato. Ciò avveniva mentre la cultura, prima neoclassica e poi romantica e decadente,
sviluppatasi in Europa nel corso del 1800, era animata tutta da un forte richiamo al passato,
alle sue vestigia e alle sue tradizioni culturali.
E’ in questo contesto che nasce in Francia il concetto di “monumento storico”,
concepito come parte di un’eredità da conservare.
In effetti, forme e norme dirette alla tutela di monumenti o siti storici esistevano anche
nei tempi antichi e nei secoli precedenti.
6
Ad esempio in Italia già nella Roma dei Cesari e nello Stato Pontificio a partire dal
1600 si emanano leggi ed editti dirette alla tutela dei beni artistici
4
.
Ma solo a partire dai primi anni del Novecento si delineano correnti di pensiero che
assumono ad oggetto la definizione e la tutela del patrimonio culturale.
A Berna, nel 1913, durante la Conferenza sulla protezione della natura, si appalesa la
consapevolezza che i più bei siti del pianeta sono parte del nostro patrimonio e che devono
essere protetti dall’innovazione invasiva della modernità. Tali beni vengono qualificati come
il “tesoro naturale” dell’umanità, un tesoro di proprietà comune, non soltanto della nazione
che lo possiede
5
, da conservare per le generazioni future.
Successivamente, nel 1931, alla Conferenza di Atene, organizzata da amanti di storia,
architettura e arte sotto l’egida della Società delle Nazioni sulla preservazione del patrimonio
culturale
6
, il concetto classico di “capolavoro” e di “meraviglia del mondo” viene fortemente
enfatizzato.
7
Con l’avvio della seconda guerra mondiale gli sforzi diretti a delineare un concetto
internazionalmente riconosciuto di “patrimonio culturale” si interrompono, ma, terminate le
ostilità, il percorso riceve un nuovo e forte impulso: la distruzione di antiche città, di
monumenti e di opere d’arte causata dal conflitto, insieme con i tentativi di annullamento
delle identità etniche compiuti dai totalitarismi determinano una forte attenzione su questo
tema.
La svolta si realizza con la nascita, nel 1946, di un’organizzazione internazionale
specifica per l’educazione, la scienza e la cultura: l’UNESCO (United Nations Education
Science and Cultural Organization), istituto specializzato delle Nazioni Unite.
4
Legislazione di tutela del Patrimonio Culturale, origini funzioni e articolazioni (a cura del Comando
Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale), 2008, p. 5, testo disponibile su
http://www.carabinieri.it/internet/imagestore/cittadino/informazioni/tutela/culturale/Raccolta_normativa.pdf
5
Documento conclusivo dell’incontro di Harare per una Prima Strategia Globale, in preparazione della
Convenzione sul patrimonio culturale africano e sul patrimonio mondiale, p. 13, Harare, Zimbabwe, 11 -13
ottobre 1995, disponibile su http://whc.unesco.org/en/events/594/#documents.
6
La Conferenza di Atene del 1931 fu il Primo Congresso degli architetti e dei tecnici dei monumenti storici e si
concluse con l’adozione della Carta di Atene per il restauro dei monumenti storici (testo disponibile su
http://www.icomos.org/index.php/en/charters-and-texts?id=167:the-athens-charter-for-the-restoration-of-
historic-monuments&catid=179:charters-and-standards.). Già dal 1904, grazie ad un Congresso di architetti
tenutosi a Madrid, che dette vita alla Madrid Charter (testo disponibile su
www.getty.edu/conservation/research_resouces/charters/charter01.html), si era iniziato a sentire il bisogno di
fare causa comune nella protezione di tutto il tessuto dei beni artistici materiali e architettonici, naturalmente
protetti per il loro valore storico e artistico.
7
Documento conclusivo dell’incontro di Harare per una prima strategia globale, cit., p. 13. Questa teoria trova
conferma anche al punto I, “Doctrines, General Principles”, della Carta di Atene, cit. : “[…]The Conference
recommends that the historic and artistic work of the past should be respected, without excluding the style of any
given period.[…] that they should be used for a purpose which respects their historic or artistic character”.
Analizzando la terminologia usata possiamo cogliere che ciò che rileva è principalmente il valore storico-
artistico del bene, in altre parole il suo essere “capolavoro”.
7
Da questo momento l’evoluzione del concetto di “patrimonio culturale” e la sua tutela
nell’ambito internazionale si svolgeranno principalmente sotto l’egida e secondo le linee
guida elaborate e dettate da questa organizzazione.
L’articolo 1 dell’atto costitutivo dell’UNESCO determina oggetto e fine dell’azione di
detta Istituzione :
“contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza rafforzando, con
l’educazione, le scienze e la cultura, la collaborazione tra le nazioni, allo scopo di garantire
il rispetto universale della giustizia, del diritto, dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, a profitto di tutti, senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione, e
che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli”
8
.
Definito così lo scopo, nella medesima disposizione, il comma 2° delinea le modalità
operative per il conseguimento dello scopo e specialmente l’attività di vigilanza:
“alla conservazione ed alla tutela del patrimonio universale […] raccomandando ai popoli
interessati la conclusione di convenzioni internazionali a tale fine; promovendo la
cooperazione internazionale in tutti i rami dell’attività intellettuale, lo scambio tra le nazioni
dei rappresentanti dell’educazione, delle scienze e della cultura, come pure lo scambio di
pubblicazioni, di opere d’arte, di materiale di laboratorio e di altra documentazione utile;
facilitando con adeguati metodi di cooperazione internazionale l’accesso di tutti i popoli a
quanto pubblica ciascuno di essi.”
9
In riferimento a questa funzione, l’UNESCO si impegna a predisporre tutte le
condizioni necessarie per la stipula di convenzioni internazionali e specialmente
l’organizzazione di conferenze intergovernative, di summit, di commissioni internazionali di
esperti; la predisposizione di studi e ricerche, il varo di programmi pluriennali, emanazione di
dichiarazioni e redazione di testi di convenzione da sottoporre all’Assemblea Generale.
Così l’UNESCO percorre fino ad oggi la strada per l’elaborazione, a livello
internazionale, di un sistema sempre più articolato di tutela del patrimonio culturale, a partire
dal patrimonio materiale e naturale per giungere al patrimonio c.d. “intangibile”o
“immateriale”.
Lungo questo itinerario, a partire dalla metà degli anni settanta, si colloca una
revisione del concetto stesso di “patrimonio culturale”: sotto la spinta dei paesi di nuova
indipendenza, e poi negli anni novanta sotto la spinta dei Paesi dell’Est Europa, emerge la
8
Statuto UNESCO adottato a Londra il 16 novembre1945 e oggetto di successivi emendamenti apportati dalla
Conferenza Generale, art.1, 1°comma, testo, aggiornato al 2012, disponibile su
http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=15244&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html
(traduzione mia).
9
Statuto UNESCO, cit., art.1, 2° comma, lett. c).
8
convinzione che il medesimo debba definirsi con riguardo all’identità culturale racchiusa nel
bene più che all’eccezionalità storico-artistica dello stesso
10
.
Tuttavia, mentre vi è unità di intenti sulla necessità di tutela del “patrimonio
culturale”, si registra disaccordo sulla definizione giuridica di “cultura” e di “patrimonio
culturale”
11
. Questo avviene anche in conseguenza del carattere relativo del termine stesso e
delle divergenze nel definirlo registrate dalla giurisprudenza in materia.
La relatività del termine “patrimonio culturale” è riscontrabile in varie fonti. Ad
esempio, nello “Studio sulla protezione della cultura e della proprietà intellettuale dei popoli
indigeni” redatto nel 1993 da Erica - Irene Daes – relatore speciale dalla Sotto-Commissione
sulla prevenzione della discriminazione e sulla protezione delle minoranze e Presidente del
Gruppo di lavoro sulle popolazioni indigene – si legge che : “ “Heritage” is everything that
belongs to the distinct identity of a people and which is theirs to share, if they wish, with other
peoples. It includes all of those things which international law regards as the creative
production of human thought and craftsmanship, such as songs, stories, scientific knowledge
and artworks. It also includes inheritances from the past and from nature, such as human
remains, the natural features of the landscape, and naturally-occurring species of plants and
animals with which a people has long been connected.”
12
. Quindi secondo l’autrice il
patrimonio è tutto ciò che appartiene all’identità distintiva di un popolo, e sta ad esso
selezionarlo ed eventualmente condividerlo con gli altri popoli. Inoltre appartengono a tale
patrimonio tutte quelle cose che il diritto internazionale considera come prodotti del pensiero
e della manodopera umana. In entrambi i casi il patrimonio viene definito in base ad una
selezione, ad una scelta, che si appoggia su criteri relativi.
Un altro esempio è riscontrabile nell’articolo di Sarah K. Harding, pubblicato
sull’Arizona State Law Journal nel 1999 nel quale si afferma: “Cultural Heritage is an
individual or group creation of either a tangible or intangible good which, by virtue of the
creation process, customary use, historical event, or simply geographic proximity, becomes an
important expression of human or cultural life. It is a mishmash of things, […] normatively
these things are similar in that they contribute at a fundamental level to individual well-being,
10
G. PUGLISI, Introduzione, in Il Patrimonio immateriale secondo l’UNESCO: analisi e prospettive (a cura di
C. Bortolotto), Roma, 2008.
11
P. K.YU, Cultural Relics, Intellectual Property and Intangible Heritage, in Temple Law Review, vol. 81, 2008,
p. 441.
12
ECOSOC, Sotto-Commissione sulla prevenzione della discriminazione e sulla protezione delle minoranze,
Gruppo di lavoro sulle popolazioni indigene, Discrimination Against Indigenous Peoples: Study on the
Protection of the Cultural and Intellectual Property of Indigenous Peoples, punto 24, UN. DOC.
E/CN.4/Sub.2/1993/28, disponibile su
http://www.unhchr.ch/Huridocda/Huridoca.nsf/(Symbol)/E.CN.4.Sub.2.1993.28.En?Opendocument.
9
and they provide the ties that help bind communities”.
13
Questo passaggio mette specialmente
in evidenza la relatività dei criteri utilizzati per la selezione di ciò che può o non può definirsi
appartenente al “patrimonio culturale”, arrivando addirittura a definirlo come un “mishmash
of things”.
Analizzando le varie convenzioni e i vari testi giuridici succedutisi nel tempo in tema
di “patrimonio culturale” possiamo osservare che non esiste una definizione di “patrimonio
culturale” che sia utilizzabile in maniera uniforme e univoca.
Infatti il campo semantico varia a seconda dei propositi del singolo strumento
giuridico nel quale detto termine viene utilizzato e definito.
14
È possibile rilevare questa evoluzione a partire dalla seconda metà del 1800, quando
per la prima volta si inserisce il riferimento al “patrimonio culturale” in un documento
giuridico internazionale, fino all’avvento dell’UNESCO.
La Dichiarazione
15
adottata della Conferenza di Bruxelles del 1874, e la II e la IV
Convenzione dell’Aja
16
, rispettivamente del 1899 e del 1907, sono i primi documenti a
trattare di “patrimonio culturale” in ambito internazionale, affrontando specificamente i temi
della distruzione e della confisca del patrimonio culturale in tempo di guerra. Tutti questi atti
sono diretti ad affermare e regolare l’accesso straniero al patrimonio culturale nel senso di
limitarlo, offrendo un’accezione di proprietà culturale in termini di proprietà privata.
Secondo l’art. 8 della Dichiarazione di Bruxelles:
“The property of municipalities, that of institutions dedicated to religion, charity and
education, the arts and sciences even when State property, shall be treated as private
property. All seizure or destruction of, or willful damage to, institutions of this character,
historic monuments, works of art and science should be made the subject of legal proceedings
by the competent authorities.”
17
La II Convenzione dell’Aja del 1899 all’art. 56 afferma lo stesso principio
18
.
13
S. K. HARDING, Value, Obligations and Cultural Heritage, in Arizona State Law Journal, vol. 31, 1999, pp.
303-304.
14
Vedi di P. K YU, op. cit, pp. 441-442, nota 47.
15
Progetto per una Dichiarazione internazionale concernente le leggi e le consuetudini di guerra, Bruxelles, 27
agosto 1874, testo disponibile online su http://www.icrc.org/ihl.nsf/FULL/135?OpenDocument.
16
Rispettivamente: la Convenzione sulle leggi e consuetudini della guerra terrestre, ovvero la II Convenzione
dell’Aja, stipulata il 29 luglio 1899 (testo disponibile su http://avalon.law.yale.edu/19th_century/hague02.asp); e
la Convenzione, rispettando le leggi e le consuetudini della guerra terrestre e il relativo allegato: Regolamento
concernente le leggi e le consuetudini della guerra terrestre, ovvero la IV Convenzione dell’Aja, stipulata il 18
ottobre 1907 (testo disponibile su http://www.icrc.org/ihl.nsf/full/195).
17
Progetto per una Dichiarazione internazionale concernente le leggi e le consuetudini di guerra, cit., art. 8.
18
Convenzione sulle leggi e sulle consuetudini della guerra terrestre, cit., art.56: “The property of the communes,
that of religious, charitable, and educational institutions, and those of arts and science, even when State property,
shall be treated as private property. All seizure of, and destruction, or intentional damage done to such
institutions, to historical monuments, works of art or science, is prohibited, and should be made the subject of
proceedings.”