2
Lo stato moderno è quel particolare tipo di comunità e di
struttura di potere che fa da presupposto e comprende i partiti politici.
Esso è il prodotto di un lungo sviluppo storico che ha avuto come
risultato l’espropriazione dei detentori “privati” del potere e la
conseguente <<disponibilità di tutti i mezzi d’impresa politici
3
>>
concentrata in un vertice unico dotato del monopolio dell’uso
legittimo della forza fisica sopra ad un determinato territorio.
In effetti, la lotta per la potenza, intesa come partecipazione al
potere o ad un’influenza sulla distribuzione del potere, è in senso
molto generale l’attività fondamentale delle associazioni partitiche. In
questa accezione <<anche i partiti antichi e medioevali possono venire
designati come tali, nonostante la loro struttura così profondamente
diversa da quella moderna
4
>>. Ma è solo con gli sviluppi politici
dell’Ottocento e del Novecento, che hanno portato al regime
democratico e parlamentare, che i partiti politici diventano <<i
detentori di gran lunga più importanti di ogni volere politico dei
governati dalla burocrazia, cioè dei cittadini dello stato
5
>>.
Sono quelle organizzazioni che, come abbiamo visto, mediano
il rapporto tra governati e governanti, ottenendo dapprima il consenso
attraverso il voto dei cittadini politicamente passivi. Infatti, in tutti i
gruppi politici di una certa ampiezza vi è un numero relativamente
piccolo di soggetti interessati alla vita politica che attraverso la libera
propaganda si procurano un seguito e si presentano alle elezioni. Ciò
comporta una prima scissione tra cittadini politicamente attivi e
cittadini politicamente passivi. Tra i primi si trovano i capi dei partiti e
i seguaci che fanno parte dell’associazione volontaria. Questi devono
3
M. Weber, Economia e società, cit., pag. 483
4
Ibidem, pag. 41
5
Ibidem, pag. 505
3
ottenere il consenso dalla seconda categoria per cercare di raggiungere
gli scopi che si prefiggono, che per Weber sono soprattutto due: da un
lato i partiti possono essere <<fondati su un’intuizione del mondo,
intesi cioè a servire all’attuazione di ideali di contenuto politico>>,
dall’altro lato <<il loro fine è unicamente quello di insediare il loro
capo nella carica direttiva , affinché egli assegni poi gli uffici statali al
suo seguito. Sprovvisti di ogni contenuto di principi, essi iscrivono di
volta in volta nel loro programma , in concorrenza tra loro, quelle
richieste alle quali attribuiscono la maggior forza propagandistica
presso gli elettori
6
>>. Nella realtà i partiti sono entrambe le cose. In
particolare, che anche il partito fondato su un’intuizione del mondo
debba necessariamente mirare ad occupare il più possibile le cariche
politiche è reso evidente dalla struttura stessa del regime democratico.
La realizzazione di un programma politico, da parte di un partito
“ideologico” (o perlomeno il suo tentativo), avviene attraverso le
prerogative che le cariche politiche hanno sul controllo dell’apparato
amministrativo, cosicché il patronato degli uffici, pur non essendo il
fine ultimo, è un fine intermedio inevitabile anche per questo partito.
Comunque sia, il rapporto tra leaders e seguaci e l’azione del
partito nella società si struttura in diverse forme organizzative
rappresentate attraverso tre principali modelli proposti dalla scienza
politica. Ciascuno di questi modelli è influenzato dal particolare
contesto storico in cui è nato e si è sviluppato.
6
M. Weber, Economia e società, cit., pag. 507
4
1.2 Tre modelli di partito
Come abbiamo visto, la necessità per il ceto politico di ottenere
i voti dei cittadini aventi diritto, per accedere alle cariche governative,
diede inizio al processo di formazione dei partiti politici che Max
Weber descrive puntualmente legandolo alle condizioni storiche nelle
quali stava avvenendo. In una prima fase, che si può situare nei paesi
europei nella seconda metà dell’ottocento, l’attività politica era svolta
da quelli che Weber chiama “notabili”, uno strato della società
composto da persone molto facoltose della nuova alta borghesia e
della vecchia aristocrazia, che svolgeva la loro attività politica
istituzionale nei primi parlamenti e nei ministeri, e che nelle comunità
locali era detentore di un potere derivatogli dal ceto sociale, dalla
ricchezza e dall’appoggio di altri notabili. Quando si instaurò il
regime democratico venne creato un corpo elettorale qualificato per
censo. Ciò, in sostanza, stabilì una forte corrispondenza sociologica
tra ceto politico ed insieme dei votanti, tutti appartenenti all’alta
borghesia divenuta indubbiamente depositaria delle sorti dello stato.
Elezioni da un lato e sviluppo dell’indipendenza e delle
prerogative delle assemblee politiche dall’altro, forzarono gli uomini
politici a raggrupparsi per agire di concerto e a dotarsi di una prima e
debole forza organizzativa per inquadrare gli elettori ed ottenerne il
consenso. E’ questo, in estrema sintesi, il processo storico che portò
alla formazione dei primi partiti politici moderni, che sono
tipologicamente descritti come partiti di notabili.
Questi soggetti erano innanzi tutto organizzazioni elettorali
ristrette, attive solo nei momenti precedenti le elezioni, il cui
predominio era nelle mani dei notabili, soprattutto i parlamentari, con
5
relazioni molto limitate con gli elettori. E’ chiaro che tale tipo di
organizzazione, che si può definire “debole” o “minima”, era adatta
all’ambiente in cui si trovava ad operare perché ne era in primo luogo
un frutto. L’ambiente in questione, come si è già detto, era formato da
un’arena elettorale censitaria, quindi ristretta ed omogenea, con pochi
partiti simili.
Il tipo di ambiente in cui si trova il partito, ed in particolare
l’arena elettorale, è un elemento fondamentale di influenza verso il
modello organizzativo che questo assume. Infatti, un secondo tipo di
partito che ci apprestiamo a descrivere è conseguenza di un
cambiamento dell’ambiente politico che rese il partito di notabili
molto meno adatto alle mutate condizioni. La più grande mutazione
dell’arena politica fu l’estensione del suffragio alle masse che rese
necessaria la ricerca del consenso presso milioni di persone non
omogenee, sparse su tutto il territorio del paese, difficilmente
raggiungibili e senza alcuna precedente esperienza di un qualsivoglia
coinvolgimento politico seppur minimo, in altre parole senza cultura
politica. Nondimeno il consenso doveva essere ottenuto e la risposta
politico – organizzativa allo sviluppo della politica di massa fu la
nascita e il consolidamento di un nuovo modello di partito chiamato
partito di integrazione di massa o burocratico di massa.
Ancora una volta è stato Weber a delineare alcune tra le
principali caratteristiche di questo modello. In primo luogo
l’organizzazione del partito di massa era fortemente burocratizzata
rispetto al precedente modello; si sviluppò un’estrema unità di
direzione e una disciplina rigorosa, assunse sempre più importanza la
figura del funzionario del partito a scapito della guida dei
parlamentari. Aumentò la complessità e la grandezza del sistema
6
creando il bisogno di un finanziamento sempre più vasto e regolare. In
sostanza il partito divenne un’organizzazione molto più coerente al
suo interno tanto che Weber la paragonò a una “macchina”. A fianco
di queste caratteristiche strutturali, tipiche del partito di integrazione
di massa, vi era l’attività volta ad integrare, ovvero a socializzare,
nelle sue fila specifici settori sociali diventati politicamente attivi,
seguendo quelle che sono state le fratture politiche (clavages) più
significative descritte da Rokkan (frattura Stato – Chiesa, città –
campagna e soprattutto capitale – lavoro)
7
.
Questo tipo di partito stabilisce un rapporto diretto, continuato e
di grande influenza verso i suoi membri (di solito molto numerosi, ma
non è questo l’elemento caratterizzante del modello), cercando di
educarli politicamente attraverso l’uso fondamentale dell’ideologia,
capace di creare un profondo senso d’identità, di formare una
comunità distinta dal resto della società e relativamente chiusa verso
l’esterno. I membri del partito, in primis militanti ed iscritti, ma anche
uno strato più vasto di semplici elettori, formano una comunità
politica propria, molto attiva nella propaganda e nell’educazione
dell’elettorato, e lavorano per l’organizzazione senza essere
stipendiati.
In termini semplici e riduttivi si può dire che il partito di
integrazione di massa è dotato di un’organizzazione interna
contraddistinta da principi burocratici (specializzazione, divisione dei
compiti, gerarchia, rapidità, continuità) che ne aumentano l’efficacia e
l’efficienza rispetto ai tradizionali partiti di notabili, e compie
un’attività verso le masse di potenziali “clienti” volta a creare fedeltà
verso sé stesso, coesione e integrazione attraverso il cemento
7
Cfr. S. Rokkan, Cittadini, elezioni, partiti, Il Mulino, Bologna, 1984, capitolo III
7
dell’ideologia. C’è da notare che storicamente molti partiti di massa
<<non furono né capaci, né interessati ad integrare i loro membri nella
comunità politica esistente>>, nel senso di renderli <<i reali
protagonisti del processo politico>>, ma li integrarono <<nelle proprie
fila contro l’apparato ufficiale dello stato
8
>>.
In aggiunta ai due modelli sopra descritti vi è un terzo modello,
descritto per la prima volta da Kirchheimer, anch’esso frutto di mutate
condizioni ambientali che intervennero nell’arena politica a partire
dagli anni ’50 del XX secolo: si tratta del cosiddetto partito
pigliatutto.
La società occidentale, nel corso del Novecento, ha conosciuto
profondi processi di secolarizzazione, di erosione delle precedenti
rigide divisioni di classe, di massificazione dei consumi e, in generale,
di notevole aumento del benessere per larghi strati della popolazione. I
precedenti forti contrasti sociali diminuirono d’intensità e furono
sempre meno politicizzati.
L’azione politica non fu più considerata come l’unico mezzo di
realizzazione personale, sostituita dalla possibilità del successo
individuale tramite il mercato del lavoro che oggettivamente portò ad
un innalzamento generalizzato del tenore di vita. In particolare la
frattura capitale – lavoro andava ricomponendosi attraverso politiche
di garanzia per i lavoratori, perdendo così la precedente dirompente
forza antagonista. La visione ideologica della politica fu
progressivamente abbandonata a favore di un approccio più
pragmatico.
8
O. Kirchheimer, La trasformazione dei sistemi politici dell’Europa Occidentale, in G. Sivini,
Sociologia dei partiti politici, Il Mulino, Bologna, pag. 182
8
Quest’insieme di caratteristiche ambientali mise sotto pressione
i partiti di massa e i partiti di notabili che, come era già successo nella
fase di passaggio dai secondi ai primi, si trovarono con una struttura e
un’attività conformata in maniera meno adatta alle nuove condizioni
intervenute.
Tali pressioni provocarono i seguenti cambiamenti: a) una
drastica riduzione del bagaglio ideologico del partito, b) un
rafforzamento dei gruppi dirigenti di vertice in relazione alla loro
capacità di attrarre voti da settori sempre più allargati dell’elettorato,
c) una riduzione del ruolo dei singoli membri e dell’importanza della
militanza considerata un ostacolo per l’apertura verso l’esterno del
partito, d) una minore accentuazione dei legami con la classe gardée,
classe sociale o confessionale, per reclutare elettori tra l’intero spettro
sociale, e) l’apertura a una grande varietà di gruppi d’interesse per
ottenere finanziamenti ed appoggio elettorale.
9
L’attività del partito pigliatutto è rivolta principalmente alla
ribalta elettorale immediata verso settori di popolazione più vasti
possibile, vale a dire ricerca la massimizzazione dei consensi
concentrando la propaganda su temi che trovino minori resistenze
nella comunità. L’organizzazione di specifiche “clientele” all’interno
del partito, con forte identità, viene sminuita, sempre per raccogliere
anche i voti di chi ne sta fuori.
Fondamentale, insieme ai fattori socio – economici prima citati,
è stato lo sviluppo e la diffusione capillare dei mezzi di
comunicazione di massa che ha reso possibile il superamento delle
barriere delle subculture politiche chiuse tipiche dei partiti di
9
Sulle caratteristiche del partito pigliatutto cfr. O. Kirchheimer, La trasformazione dei sistemi
partitici dell’Europa occidentale, cit., pag. 243-267
9
integrazione di massa, introducendo peraltro uno stile comunicativo
del tipo “pubblicitario”, che ha avvicinato l’immagine del partito a
quella di un prodotto da vendere e che ha aumentato parecchio
l’importanza e la visibilità dei leaders, finalmente in grado di
comunicare direttamente, in prima persona, con l’elettorato. Benché
Kirchheimer, nella sua opera originale, non metta in primo piano
l’avvento dei mass media come causa del passaggio dal modello del
partito di massa al modello del partito pigliatutto, sono stati molti i
politologi che successivamente lo hanno invece posto come causa
principale.
10
Infatti il partito, indipendentemente dai tre modelli che lo
caratterizzano, è, analizzato nella sua dinamica, un sistema di
comunicazione. Il partito di notabili è un sistema di comunicazione
semplice perché semplice, ridotto ed omogeneo è il suo “pubblico
ricevente”. Con l’ingresso delle masse in politica la comunicazione si
fa complessa e lo strumento più adatto, date anche le capacità tecniche
e tecnologiche, è un’organizzazione ramificata sul territorio, legata
gerarchicamente con il centro e che utilizza come vettori di messaggi
e propaganda i propri militanti ed iscritti. L’ingresso sulla scena dei
mezzi di comunicazione di massa (soprattutto la televisione) offre
nuovi canali comunicativi più semplici e al contempo più potenti che,
uniti alla crescente omogeneizzazione della società, tendono a
sostituire, o perlomeno ad affiancare riducendolo, il precedente
sistema di comunicazione realizzato dal partito sul territorio.
Giunti a questo punto, descritti i tre modelli di partito che si
sono avuti in Occidente, si deve chiarire che non è avvenuto un
passaggio storico deterministico da una forma di partito all’altra.
10
Sul ruolo dei media cfr. G. Pasquino, Mass media, partito di massa e trasformazione politica, in
“Il Mulino”, XXXII, 4, 1983
10
Certo, i tre modelli sono legati, come abbiamo visto, alle condizioni
ambientali e quindi sono prodotti tendenzialmente da periodi storici
particolari, ma essi rappresentano dei modelli teorici costruiti
estrapolando le caratteristiche distintive dei partiti così come si sono
presentati nella realtà. Come è proprio dei modelli teorici, essi
evidenziano delle tendenze senza la pretesa di fotografare il reale, ma
con lo scopo di ottenere dei concetti interpretativi il più possibile
chiari ed esplicativi.
11
1.3 Dall’origine all’istituzionalizzazione
Le caratteristiche organizzative di ogni partito sono influenzate
dal modello originario sviluppatosi nel momento genetico. Diventa
fondamentale, per capire alcuni aspetti dell’organizzazione del partito,
analizzare il modo in cui questo è nato e si è sviluppato. Generalmente
è avvenuta per prima la formazione dei gruppi parlamentari, che si
possono intendere come lo sviluppo delle “fazioni” delle precedenti
assemblee autocratiche. Furono soprattutto tre i criteri sulla base dei
quali si aggregarono, dividendosi in gruppi, i deputati: la comunanza
di dottrine politiche, la vicinanza geografica e gli interessi
professionali. Con l’estendersi del suffragio, sebbene ancora
censitario, sorse la necessità di farsi conoscere ad una cerchia ben più
vasta di elettori che altrimenti si sarebbero con tutta probabilità rivolti
alle tradizionali élite sociali (fu proprio ciò che successe in Francia per
le elezioni dell’Assemblea nazionale nel 1871 in cui mancavano i
partiti; la grande massa dei votanti nelle circoscrizioni rurali si orientò
verso i castellani del paese). Questo fu lo scopo e insieme la molla che
spinse alla formazione dei comitati elettorali le cui modalità di
creazione dipesero da circostanze locali e quindi non sono
riconducibili a principi generali.
La coordinazione organica e permanente tra gruppi parlamentari
e comitati elettorali dà luogo ad un vero e proprio partito, a una vera e
propria, seppur limitata, organizzazione. Infatti il partito politico è
essenzialmente un’organizzazione che ha come ambiente in cui opera
la democrazia (e le regole particolari di ciascun regime democratico
influenzano a loro volta l’organizzazione e l’attività dei partiti) e ha
12
come proprio scopo la ricerca del consenso per ottenere per i suoi
leaders l’accesso alle cariche governative o rappresentative.
Storicamente i partiti sono sorti in un altro modo in aggiunta a
quello prima descritto e cioè grazie alla presenza di un’istituzione
preesistente al di fuori del Parlamento e delle elezioni. L’esempio più
noto è quello dei sindacati che, in molti casi, sono stati i diretti
promotori della nascita dei partiti socialisti, i quali diventavano il
“braccio” parlamentare di un’organizzazione esterna, ma ciò vale in
larga misura anche per le associazioni agrarie, le società di pensiero,
le Chiese, le associazioni di ex combattenti e i movimenti clandestini.
Questa prima distinzione sul processo di formazione originario
dei partiti è stata elaborata da Duverger e ha portato a due tipologie di
partiti: di origine elettorale e parlamentare (o interna) e di origine
esterna. I primi sono cronologicamente anteriori ai secondi se li
consideriamo in rapporto al sistema politico. Infatti, per usare le
parole dello stesso Duverger, <<il primo tipo descritto corrisponde alla
creazione di partiti politici in un paese ove non esiste ancora un
sistema di partiti organizzati. Appena funziona un tale sistema,
generalmente si impone il secondo modo di creazione
11
>>. Duverger
sottolinea l’importanza del tipo di origine del partito che secondo lui
influenza l’organizzazione, l’attività successiva e la struttura
definitiva, ma la distinzione interno/esterno, secondo Panebianco,
<<non è in grado di rendere conto delle differenze organizzative, anche
cospicue, fra partiti aventi una medesima origine
12
>>, pur tuttavia
rimanendo valida dal punto di vista storico perché descrive due diversi
processi effettivamente avvenuti.
11
M. Duverger, I partiti politici, cit., pag. 31
12
A. Panebianco, Modelli di partito, Il Mulino, Bologna, 1982, pag. 105
13
Quel che si può sostenere è che la creazione di un nuovo
sistema politico (democratico) ha condotto, partendo da alcune
condizioni preesistenti, alla nascita dei partiti politici moderni.
La citata distinzione tra partiti a creazione interna e partiti a
creazione esterna di Duverger viene pertanto modificata da
Panebianco in una tripartizione di fattori più significativi nel
caratterizzare il modello originario. Il primo fattore è il modo
attraverso il quale è nata e si è sviluppata l’organizzazione. La
costruzione dell’organizzazione <<può avvenire per penetrazione
territoriale o per diffusione territoriale o per una combinazione di
entrambe queste modalità>>
13
.
Si ha penetrazione quando c’è già un “centro” di potere che
stimola e dirige la costruzione delle strutture intermedie e locali del
partito; si ha invece diffusione quando diverse élite locali sparse sul
territorio si uniscono creando un’organizzazione nazionale laddove
prima non vi era coordinamento. Può inoltre accadere che dopo un
iniziale processo di integrazione tra le élite, il centro così costituito
utilizzi una strategia di penetrazione territoriale per allargare
l’organizzazione.
Il secondo fattore consiste nella presenza o assenza di
un’istituzione esterna che “sponsorizza” la nascita del partito. Se
questa è presente parleremo di legittimazione esterna, altrimenti di
legittimazione interna.
Il terzo fattore è dato dal carattere carismatico o no della
formazione del partito. Se il partito è carismatico non ha esistenza
autonoma dal leader e solitamente ha vita breve.
13
A. Panebianco, Modelli di partito, cit., pag. 106
14
Nel momento della fondazione i leaders svolgono l’importante
compito di scegliere le mete ideologiche del partito, la base sociale a
cui riferirsi e cominciano a plasmare l’organizzazione secondo
modalità che poi tenderanno a persistere. Il ruolo dell’ideologia è
spesso decisivo perché rappresenta la base principale sulla quale si
forma l’identità collettiva dei membri del partito.
Con il processo di istituzionalizzazione è il partito stesso che
diventa fonte di identità collettiva, acquista valore in sé agli occhi dei
suoi aderenti, diventa esso stesso uno “scopo”, ben più di quello
strumento per raggiungere certe mete che era in origine.
Il processo di istituzionalizzazione è prodotto dallo sviluppo di
interessi al mantenimento dell’organizzazione e dallo sviluppo di
lealtà organizzative diffuse. In entrambi questi sviluppi giocano un
ruolo decisivo gli incentivi che la leadership riesce a distribuire agli
aderenti e all’elettorato. Distinguiamo due tipi di incentivi: selettivi e
collettivi. I primi possono essere materiali (compensi in denaro e
servizi di assistenza) o di status (legati alle cariche interne
all’organizzazione), i secondi sono soprattutto provenienti
dall’ideologia e dall’identità. Dato che si tratta di un’associazione
volontaria, il partito deve essere in grado di distribuire questi tipi di
incentivi al suo interno, e in parte all’esterno, se vuole riuscire ad
ottenere partecipazione e militanza. Quest’ultima è composta da due
categorie legate al tipo di incentivo elargito: dai credenti, che
beneficiano soprattutto di incentivi collettivi, e dai carrieristi che
beneficiano di incentivi selettivi. Su questo punto torneremo più
avanti, quando parleremo dei rapporti interni al partito.
15
C’è da notare che il processo di istituzionalizzazione varia di
grado da partito a partito creando istituzioni deboli e istituzioni forti. Il
grado di istituzionalizzazione raggiunto è misurabile dal grado di
autonomia dall’ambiente che il partito ha sviluppato e dal grado di
sistematicità tra le diverse parti dell’organizzazione (o coerenza
strutturale interna). Panebianco elenca una serie di caratteristiche che
presumibilmente si associano al grado di istituzionalizzazione e che
esponiamo di seguito. Una forte istituzionalizzazione è legata: a un
forte sviluppo della burocrazia centrale che domina le strutture
intermedie e locali, a un elevato grado di omogeneità fra le sotto –
unità organizzative, a un sistema di finanziamento basato su entrate
regolari per il mantenimento della struttura burocratica, a un
predominio sulle organizzazioni esterne, ed infine a un elevato grado
di corrispondenza tra norme statutarie e “costituzione materiale” del
partito. Va da sé che un’istituzione debole presenta caratteristiche
tendenzialmente opposte a quelle appena descritte.
Altre due importanti caratteristiche tipologicamente associate al
grado d’istituzionalizzazione riguardano la coesione della coalizione
dominante e le modalità di reclutamento delle élites.
Una forte istituzionalizzazione mette capo ad una coalizione
dominante coesa (suddivisa in tendenze), cioè con gruppi interni poco
o per niente organizzati, mentre un istituzione debole mette capo a
una coalizione dominante poco coesa (suddivisa in fazioni), i cui
gruppi interni sono altamente, o in buon grado, organizzati.
14
Nelle istituzioni forti il reclutamento delle élites tende ad avere
andamento centripeto, dato che la presenza di un forte centro unito
rende necessario farsi cooptare per emergere nel partito. I militanti che
14
Su questo argomento cfr. A. Panebianco, Modelli di partito, cit., pag. 121-122