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Capitolo 1
Premesse teoriche e terminologiche 1.1 Il linguaggio dei dialoghi cinematografici Il linguaggio dei dialoghi cinematografici rappresenta un tipo particolare di parlato. Esso
infatti non è né parlato in situazione 1
, ovvero quel linguaggio utilizzato in una conversazione
faccia a faccia da due o più parlanti senza la consapevolezza di essere registrati, né
rappresenta un caso di parlato scritto 2
in senso stretto, in quanto anche con questo tipo di
linguaggio le differenze sono notevoli, soprattutto dal punto di vista funzionale, pur avendo, i
due tipi di parlato, diversi tratti “formali” in comune. L'etichetta più adatta ad identificare
questo tipo di linguaggio è infatti quella di parlato recitato , ideata e utilizzata per la prima
volta da Giovanni Nencioni in un suo saggio pubblicato nel 1976 col titolo Parlato-parlato,
parlato-scritto, parlato-recitato 3
in cui l'autore traccia le principali differenze riscontrabili tra
questi tre tipi di testo orale.
Anche Fabio Rossi, col suo volume pubblicato da Aracne è intitolato Il linguaggio
cinematografico 4
, si è dedicato all'argomento. In questo testo, e in particolar modo nelle sue
pagine iniziali, dedicate alla definizione dell'oggetto della ricerca, l'autore ci ricorda, tra le
altre cose, come questo tipo di linguaggio faccia parte di quell'insieme di modalità
comunicative denotate dall'espressione lingua trasmessa (al pari della lingua delle
trasmissioni radiofoniche e televisive o di quella utilizzata nelle conversazioni telefoniche) e
che tutti questi tipi di parlato costituiscono esempi, o casi, di falsa oralità detta altrimenti
oralità secondaria
5
. Oltre a questo fatto l'autore rileva come, dopo numerosi e approfonditi
studi, il parlato dei dialoghi cinematografici e teatrali abbia rivelato numerosi tratti in comune
col linguaggio scritto, da cui la sua assimilazione, per lungo tempo, al parlato programmato o
recitato inteso come testo orale letto ad alta voce e progettato in precedenza, una caratteristica
condivisa col linguaggio della scrittura da diversi tipi di parlato-scritto.
Ciò che qualifica questi diversi tipi di testo orale come esempi di parlato-scritto infatti è
proprio questo fatto: essi sono pensati e programmati in precedenza (come ad esempio i
discorsi pubblici dei politici o gli interventi a un convegno di studiosi) e non posseggono
quindi quella caratteristica di spontaneità e creazione in divenire propria del parlato spontaneo
(il parlato-parlato per Nencioni). I dialoghi cinematografici e teatrali hanno in comune con la
scrittura, e quindi con le altre forme di parlato-scritto, proprio questo fatto: essi sono pensati
in precedenza e pianificati dagli autori del film, o della pièce de thé â tre , e inseriti in un testo
1 Rossi (2006:647).
2 Rossi (2006:647).
3 G. Nencioni, Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato recitato , in Strumenti critici , Torino, 1976, 29.
4 Fabio Rossi, Il linguaggio cinematografico , Aracne, Roma, 2006.
5 Essendo l' oralità primaria propria di quelle civiltà che non conoscevano o non conoscono tutt'ora l'uso della
scrittura.
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scritto (nel caso del film: la sceneggiatura) che fa da guida e da traccia per gli attori che non
inventano le battute da pronunciare al momento dell'enunciazione o della recitazione, ma
seguono appunto un testo scritto per loro in precedenza da altre persone, da altri autori, e non
si producono pertanto in un parlato spontaneo per due ragioni: questo testo è pianificato in
precedenza, al pari dei testi scritti, e gli attori stessi non ne sono i pensatori, i progettisti, ma
solamente gli esecutori materiali. Questo secondo aspetto, al pari del primo, non è di scarsa
rilevanza in quanto nel parlato spontaneo l'esecutore di un enunciato è anche il suo autore,
colui che l'ha pensato e progettato in armonia con la situazione comunicativa in cui si trova
immerso e con gli obiettivi pragmatici che lo animano.
Escluse dunque la spontaneità, che come abbiamo visto nel parlato recitato non esiste, e
l'”originalità”, intendendo con questo il fatto che l'esecutore delle battute di un film non è
quasi mai, contemporaneamente, anche il suo autore, qual'è la caratteristica principale dei
dialoghi cinematografici e teatrali? Di questo argomento si sono occupati diversi autori tra i
quali, citati da Giovanni Nencioni nel summenzionato saggio sui diversi tipi di parlato,
troviamo Georges Mounin , linguista francese, Petr Bogatyrev , etnologo russo, e Roman
Ingarden , filosofo polacco. Questi tre studiosi, seppur provenienti da ambiti disciplinari
differenti, concordano tutti nell'affermare che, per quanto riguarda i dialoghi cinematografici e
teatrali, la vera funzione del parlato-recitato non è tanto quella di realizzare vera
comunicazione quanto piuttosto mimarla e rappresentarla, un fatto questo che si sposa
perfettamente con la natura narrativa di questi due mezzi di rappresentazione delle storie, il
cinema e il teatro.
Cinema e teatro infatti hanno in comune questo semplice fatto: a differenza della
narrazione scritta, in prosa o in versi, questi due mezzi narrativi o espressivi non raccontano le
proprie storie mediante le parole, soprattutto per quanto riguarda le azioni svolte dai
personaggi, ma le mettono in scena, le rappresentano, demandando il compito di raccontare i
fatti della trama a degli attori in carne ed ossa che interpretano dei ruoli e danno vita a quelle
identità immaginarie e fittizie che chiamiamo personaggi. Il linguaggio verbale ha dunque,
nella narrazione mimetica, un ruolo più circoscritto o, se vogliamo, più definito.
Mentre nella narrazione diegetica il compito di descrivere gli ambienti e i fatti è demandato
al linguaggio verbale, nella narrazione mimetica non c'è bisogno di ricorrere alla lingua come
strumento per la descrizione di questi aspetti di una storia. In questo senso, potremmo anche
dire, la narrazione mimetica di cinema e teatro è potenzialmente più verosimile rispetto a
quella diegetica, nel senso che le modalità percettive del primo tipo di narrazione sono più
simili a quelle della percezione del reale che non nella seconda, in cui tutti gli elementi
narrativi sono veicolati dal linguaggio, e da esso mediati.
Nella narrazione di cinema e teatro si affiancano infatti due tipi di linguaggio: il linguaggio
cosiddetto delle immagini e quello delle parole. Nel secondo piano della narrazione, inoltre,
quello condotto con il linguaggio verbale, bisogna distinguere la narrazione extra – diegetica
condotta dalla voce fuori campo, simile a quella della narrazione verbale, in prosa o in versi
che sia, dal linguaggio mimetico impiegato per dar voce ai personaggi e farli interagire tra
loro. Poiché è soprattutto su questo secondo utilizzo del linguaggio verbale che ho soffermato
la mia attenzione per questo lavoro è su di esso che ora condurremo alcuni approfondimenti.
Come abbiamo detto in precedenza il linguaggio dei dialoghi cinematografici e teatrali è
stato oggetto di studio in molti scritti e ricerche. Tra gli autori citati in precedenza e
menzionati da Giovanni Nencioni ve n'è uno in particolare, Petr Bogatyrev, il quale, in un
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proprio articolo 6
del 1938, rilevava come il linguaggio dei dialoghi teatrali si comportasse in
realtà alla stregua di tutti gli altri oggetti di scena, e i segni linguistici impiegati nei dialoghi
dei personaggi non fossero in realtà da ricollegarsi ai referenti solitamente da essi designati,
ma fossero bensì segni di segni , al pari degli abiti, dei gioielli, e di tutti gli altri oggetti di
scena, compresi i costumi, che assolvono la funzione di definire socialmente il personaggio
inquadrandone l'appartenenza sociale, il rango, e lo stato del suo benessere economico. Il
linguaggio verbale del teatro, dunque, per Bogatyrev, era spesso alterato in modo arbitrario al
fine di caratterizzare socialmente, psichicamente e territorialmente il personaggio parlante 7
.
In Verso sera accade qualcosa di simile giacché i due personaggi principali, Ludovico e
Stella, distanti anni luce per ideologia e classe generazionale, si trovano spesso in conflitto
proprio per le loro diverse radici culturali ed esprimono questa loro differenza anche sul piano
linguistico attraverso le parole che essi utilizzano e che sono state scelte per loro dagli autori
del film, al fine di caratterizzarli socialmente e psichicamente. Oltre a questo, inoltre, bisogna
considerare anche un altro fatto.
Come rilevava il filosofo polacco Roman Ingarden la comunicazione teatrale, e quindi
anche quella cinematografica, può talvolta rivolgersi al di fuori della scena, al di fuori cioè del
mondo rappresentato, ovvero in direzione del pubblico. Questo tipo di comunicazione però è
di tipo fondamentalmente indiretto e la sua funzione principale è quella di mettere a
disposizione degli spettatori, di un film come di uno spettacolo teatrale, tutte quelle
informazioni necessarie alla corretta decodifica e comprensione della storia narrata.
La comprensione di una storia narrata mediante un procedimento di tipo mimetico infatti
non è un'operazione semplice e lineare in cui lo spettatore ha un ruolo di mero ascoltatore e
ricevitore degli stimoli, visivi e uditivi, che provengono dal palco come dallo schermo. Al
contrario, come rilevato anche da David Bordwell nel suo volume intitolato Narration in the
fiction film 8
, lo spettatore cinematografico ha un ruolo molto attivo nella ricostruzione dei
nessi temporali e di causa ed effetto che legano gli avvenimenti di una storia narrata
cinematograficamente.
Applicando queste considerazioni al linguaggio dei personaggi di un film se ne deduce che
non tutto ci può venir detto, riguardo ad essi, in maniera esplicita e magari utilizzando il
linguaggio verbale. Ciò non sarebbe verosimile e ucciderebbe la verosimiglianza del film che,
per essere credibile e permettere il coinvolgimento mentale ed emotivo degli spettatori, deve
riprodurre o simulare in modo credibile e completo la realtà stessa in cui essi vivono, o
quantomeno quella in cui il film è ambientato. Agli spettatori di un film è dunque demandato
un compito che consiste nella deduzione o nell'inferenziazione di tutte quelle informazioni
relative all'identità pubblica e individuale dei personaggi così come della loro (fittizia) vita
passata e precedente al momento storico inquadrato dalla cornice narrativa che non
potrebbero altrimenti essere espresse in altra maniera, sia per motivi di spazio che di
verosimiglianza. Sarebbe infatti assurdo cominciare un film con dei personaggi che, a turno,
all'inizio o quando entrano in scena, facessero un resoconto della propria vita e descrivessero
se stessi come in una sorta di scheda, così come sarebbe impossibile far ciò per motivi di
spazio giacché un film consiste in una condensazione degli eventi rilevanti compresi in un
6 P. Bogatyrev, I segni del teatro , pubblicato tradotto dal russo in Poétique , n° 8, 1971, pp. 517 sgg.
7 G. Nencioni (1976:10).
8 D. Bordwell, Narration in the fiction film , University of Wisconsin Press , Madison, 1985.
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arco di tempo più o meno lungo e all'interno di una cornice temporale che, per noi spettatori, è
mediamente compresa tra l'una e le due ore.
Di qui la necessità, sia del mezzo cinematografico così come di quello teatrale, di veicolare
il maggior numero possibile di informazioni nel minor tempo possibile concentrando la
narrazione vera e propria sugli eventi salienti della vicenda, lasciando che le non meno
importanti informazioni di contorno relative all'identità dei personaggi, alle loro differenti
personalità, e al contesto d'ambientazione vengano dedotte o inferite dagli spettatori, sia dai
dialoghi stessi che dagli elementi visivi del film o della rappresentazione teatrale.
Ecco quindi che, se gli autori di un film lo desiderano, i dialoghi di un film possono
giungere a giocare un ruolo fondamentale nella definizione della storia e dei suoi personaggi,
arricchendola e donando profondità e verosimiglianza a entrambi. Non sempre questo viene
fatto ma, quando ciò avviene, esso accade grazie allo sfruttamento di quella proprietà che la
lingua possiede di veicolare un significato maggiore di quello trasmesso dal valore
referenziale delle parole stesse, basandosi cioè anche sul significato connotativo delle parole
e non solamente su quello denotativo . Questo fatto chiama in causa un altro concetto, quello
della variazione linguistica , argomento del prossimo paragrafo e che ci accingiamo ora ad
esaminare.
1.2 La variazione linguistica Nel paragrafo precedente abbiamo affermato che i dialoghi di un film possono essere
sfruttati, dai suoi autori, per conferire maggiore profondità e verosimiglianza ai propri
personaggi. Questo effetto può essere ottenuto sfruttando quella proprietà che la lingua
possiede di veicolare un significato maggiore rispetto a quello puramente denotativo.
Oltre a quello connotativo, cui abbiamo già accennato, e che si riferisce in genere alle
qualità positive o negative attribuite ai soggetti designati, siano essi esseri umani, gruppi
sociali, o oggetti astratti, le parole e lo stile comunicativo o espressivo di un parlante, e
pertanto anche di un personaggio cinematografico, possono veicolare diverse informazioni
riguardanti la classe sociale di appartenenza, il suo livello di istruzione, la sua eventuale
appartenenza ideologica e quindi anche la sua posizione riguardo a temi rilevanti dal punto di
vista etico o morale.
Questo fatto si verifica perché ognuno di noi, a seconda del proprio interlocutore, delle
circostanze della comunicazione, degli scopi che ci prefiggiamo e, naturalmente, anche della
propria formazione linguistica e della provenienza geografica si esprime in modo diverso. Di
qui la conclusione, che non necessità di ulteriori argomentazioni, che le lingue naturali non si
presentano mai come un blocco omogeneo e ben definito specie nella loro realizzazione
pratica e nel loro utilizzo quotidiano ed orale . Questa variabilità della lingua da soggetto a
soggetto, da zona a zona, e in accordo con la situazione in cui si sviluppa la comunicazione è
nota come variazione linguistica ed essa è, sintetizzando, ciò che abbiamo appena descritto:
la proprietà, o caratteristica, di tutte le lingue naturali di essere adattabili e adattate alle
circostanze della comunicazione, ai suoi scopi, all'identità dei parlanti e di essere altresì
determinata dalle esperienze pregresse dei parlanti come il loro percorso culturale, l'ambiente
in cui sono stati educati e il livello d'istruzione. A questi fattori appena elencati si aggiungono
poi la provenienza geografica, che può influenzarli tutti in vari modi, nonché il mezzo
prescelto per comunicare.
C APITOLO 1 – P REMESSE TEORICHE E TERMINOLOGICHE 11
Tra tutti questi fattori di variazione vi sono naturalmente delle relazioni di non facile
esplicitazione. Ci basti sapere che mentre alcuni di essi si richiamano alla volontà e alla
possibilità del parlante di modulare il proprio linguaggio adattandolo alle circostanze e ai
propri scopi, altri sono per così dire fissi ed esulano dalla possibilità del parlante di avere un
controllo volontario su di essi, almeno nella maggior parte dei casi (come per i fenomeni
fonetici di stampo regionale o dialettale). La situazione italiana, dal punto di vista delle
varietà linguistiche parlate sul nostro territorio, si presenta estremamente varia e frammentata,
e accanto all'italiano standard, quello generalmente insegnato nelle scuole e utilizzato in
letteratura così come nelle occasioni più formali in cui è richiesto l'uso della lingua, si
affiancano numerose altre varietà, che vanno dall'italiano neo-standard o dell'uso medio 9
all'italiano popolare, ai vari dialetti regionali e locali passando per i diversi tipi di italiano
regionale 10
. Nel film oggetto di studio, Verso sera , vedremo in azione diversi tratti linguistici
appartenenti a quasi tutte le varietà o categorie di varietà menzionate, ad eccezione del solo
italiano standard che, per via della predominanza nel film di situazioni informali e colloquiali,
si trova ad essere poco rappresentato.
1.2.1 Concetti cardine nello studio della variazione Prima di approfondire il discorso sulla variazione linguistica e sui principali assi di
variazione vorrei introdurre alcuni concetti elaborati dalla sociolinguistica e utilizzati dagli
studiosi nel momento in cui affrontano questa questione, quella della variabilità della lingua.
Gaetano Berruto nel terzo capitolo del suo volume intitolato Fondamenti di
sociolinguistica 11
divide questi concetti in due macro categorie a seconda che essi faccian
parte del versante sociale dell'oggetto della ricerca o di quello linguistico: i concetti sociali e i
concetti sociolinguistici . Noi esamineremo questi concetti chiave tenendo conto di questa
ripartizione e cercando di sintetizzare al massimo i contenuti espressi dal Berruto.
1.2.1.1 Concetti sociali La prima serie di definizioni che affronteremo riguarda il versante sociale dell'oggetto della
ricerca, in questo caso la variazione, e questo perché le caratteristiche sociali dei parlanti o dei
gruppi di parlanti sono da considerare la variabile indipendente, ovvero la x , nel rapporto che
lega i tratti sociali dei parlanti alle loro modalità espressive, mentre i tratti linguistici che
definiscono e contraddistinguono le diverse varietà sono da considerare, al contrario, definiti a
partire dai primi, e si configurano quindi come variabile dipendente 12
(y ).
9 F. Sabatini (1985).
10F. Sabatini (1985).
11G.Berruto, Fondamenti di sociolinguistica (2001).
12Questo paragone "matematico" non deve assolutamente far supporre che tra i tratti sociali dei parlanti e le
caratteristiche del loro linguaggio vi sia un rapporto deterministico e scontato. I diversi assi di variazione
infatti, come vedremo in seguito, molto spesso si sorappongono interferendo l'uno con l'altro, ed è anzi
questo il caso più frequente, senza contare il fatto che tra le cause di un certo modo di esprimersi adottato da
un parlante vi possono sempre essere fattori imponderabili e irriducibili legati ad esempio alle sue preferenze
individuali e al suo gusto personale.
C APITOLO 1 – P REMESSE TEORICHE E TERMINOLOGICHE 12
1.2.1.1.1 Classe, Strato e Gruppo sociale. I concetti di classe, strato, e gruppo
sociale sono di importanza fondamentale in SL, e, pertanto, anche nello studio della
variazione linguistica. I tre termini non sono equivalenti poiché, soprattutto per i primi due,
sono molto forti le connotazioni ideologiche e politiche che gravano su di essi. Non a caso
infatti negli ultimi decenni infatti si è affermato, presso gli studiosi, l'uso del terzo termine,
quello di gruppo, che libero da connotazioni politiche e ideologiche di qualsiasi tipo può
essere più liberamente utilizzato per descrivere le realtà sociali di riferimento. Una delle
caratteristiche che rende il concetto di gruppo preferibile quando si voglia evitare di conferire
connotazioni politiche o ideologiche al proprio lavoro è il fatto che, a differenza dei concetti
di classe e di strato esso non implica l'esistenza di rapporti gerarchici tra gruppi diversi, i quali
vengono solamente a individuare insiemi di individui con caratteristiche sociali simili, come,
ad esempio, la localizzazione geografica o la fascia d'età.
1.2.1.1.2 Rete sociale. Il concetto di rete sociale può essere considerato
un'evoluzione e un affinamento di quello di gruppo 13
, ed è stato introdotto nell'uso dei
sociolinguisti che l'hanno mutuato dall'antropologia sociale verso la fine degli anni ottanta. É
un concetto che si presta molto bene alla ricerca sul campo ed è, in sociolinguistica, molto
utile per la scelta e la selezione degli informatori da intervistare. A differenza delle nozioni di
gruppo e di strato sociale quella di rete si colloca a un minore livello di astrazione ed è, in
questo senso, più “realistica”. Mentre Strato e Gruppo sociale, pur con le debite differenze,
sono “etichette” poste dall'esterno, dal sociologo, dallo storico, o più in generale dallo
studioso della società che raggruppa un un certo numero di individui in base a caratteristiche
sociali simili, la rete sociale fa riferimento alle reali ed effettive relazioni personali tra i
membri che la compongono e, per quanto riguarda il sociolinguista, sul fatto che vi siano reali
scambi comunicativi tra di essi. Mentre ad uno stesso strato o gruppo sociale possono dunque
appartenere individui che non hanno effettivi rapporti tra di loro, non conoscendosi
personalmente, nel caso della rete sociale questo non può verificarsi per definizione e, sempre
per definizione, essa si colloca a un livello inferiore, rispetto al concetto di gruppo o di strato,
anche dal punto di vista quantitativo, nel senso che una rete sociale può essere sottoinsieme di
un gruppo, mentre difficilmente si potrà verificare il caso contrario. Poiché una rete sociale
identifica un insieme più ristretto di individui, e poiché tra questi individui devono esserci,
perché la rete possa esistere, dei reali rapporti di comunicazione, questo concetto si presta
molto bene ad essere utilizzato nel presente lavoro, poiché la comunità di parlanti, seppure
fittizi in quanto personaggi, è molto piccola. Prima abbiamo affermato che una rete sociale
può essere sottoinsieme di un gruppo o di uno strato sociale, nel senso che i membri di una
rete sociale possono condividere tratti sociali simili, oltre ad avere tra di essi reali rapporti di
conoscenza e di comunicazione. E' anche possibile però che i reali rapporti di conoscenza e di
comunicazione di un individuo che, poniamo, sia scelto come nucleo o centro di una rete
sociale, travalichino i confini del gruppo o dello strato sociale (o anche della classe) di cui egli
fa parte. Questo infatti è uno dei fattori che ha messo parzialmente in crisi sia il concetto di
classe che quello di strato sociale, almeno in SL, in quanto ha permesso di evidenziare come i
rapporti di relazione non sempre rispettino i confini tracciati dagli studiosi, sia che si tratti di
storici, di sociolinguisti, o di sociologi. Un contributo importante apportato dal concetto di
13Berruto (2001:101).
C APITOLO 1 – P REMESSE TEORICHE E TERMINOLOGICHE 13
rete sociale agli studi sociolinguistici è stato quello di permettere di comprendere meglio
come certi comportamenti e tratti linguistici si possano diffondere, nel concreto, all'interno di
una comunità di parlanti. Uno stesso tratto linguistico infatti può essere caratteristico del
parlato di membri che appartengono, secondo parametri non linguistici, a classi sociali
diverse. Oppure può verificarsi anche il caso opposto, ovvero quello in cui individui
appartenenti al medesimo gruppo o strato sociale utilizzano tratti linguistici differenti. Una
rete sociale presenta una struttura a “cipolla”, ovvero a più strati 14
, nella quale, a partire da un
centro composto dai parlanti con cui l'individuo di riferimento ha rapporti sentimentali ed
affettivi più stretti, si procede via via verso parlanti e individui con cui il parlante di
riferimento prescelto per la definizione della rete, ha rapporti più occasionali e sporadici. E il
caso ad esempio di quegli individui con i quali abbiamo rapporti legati alla nostra professione,
e che pertanto rientrano nella zona della rete cosiddetta “utilitaristica” 15
. Più all'esterno si
trovano una zona detta nominale e un'altra allargata. In entrambi i casi si tratta di individui
con i quali abbiamo rapporti sporadici o comunque privi di importanza sia dal punto di vista
strumentale, pratico, che affettivo. Nella zona allargata in particolare rientrano quegli
individui solo parzialmente conosciuti e con i quali abbiamo pochissimi scambi comunicativi
o anche nessuno. Risulta evidente, dalla definizione che ne abbiam dato, come il concetto di
rete sociale si presti molto bene a spiegare soprattutto la variazione diafasica e la sua
influenza o interferenza nei confronti degli altri tipi di variazione. Questo perché, è bene
ricordarlo, la mutazione linguistica (in sincronia, non intendendo qui il mutamento diacronico
della lingua) è sempre un fatto multifattoriale o pluricausale.
1.2.1.1.3 Situazione comunicativa e Dominio. Premesso che i due termini non
sono sinonimi in quanto non indicano la medesima cosa, sono però l'uno sottoinsieme
dell'altro. In sociolinguistica si tiene gran conto delle circostanze in cui si sviluppa e ha luogo
la comunicazione, circostanze che sono fondamentali anche per i parlanti, non solo per lo
studioso, al fine di comprendere correttamente il messaggio, o i messaggi, del mittente, e
cooperare con successo affinché la comunicazione sia efficace. La situazione in cui una
conversazione può aver luogo è costituita da diversi fattori che sono, sintetizzando, i parlanti,
il mezzo impiegato per la comunicazione, l'argomento della conversazione e l'intenzione
comunicativa (Berruto, 2001:88). Essendo però che ogni conversazione o atto comunicativo
può aver luogo in circostanze uniche e irripetibili, in sociolinguistica si preferisce utilizzare il
concetto di Dominio, con il quale si raggruppano sotto lo stesso termine classi di situazioni
simili: famiglia, vicinato, lavoro, istruzione, religione, ecc. Classi di situazioni simili
presuppongono che l'argomento della conversazione, i rapporti di potere esistenti tra i
parlanti, e anche gli scopi della comunicazione si assomiglino in qualche modo. Nel dominio
della famiglia, ad esempio, sarà facile riscontrare come, anche in famiglie diverse, gli
argomenti di conversazione siano più o meno gli stessi, e sarà simile anche il grado di
confidenza tra i membri della famiglia. Uno studio che voglia tener conto del concetto di
dominio potrà evidenziare, ad esempio, similitudini e differenze nei comportamenti linguistici
di individui che appartengono a famiglie diverse, ad esempio, per la classe sociale in cui si
collocano. Oppure, al contrario, uno studio sempre sulla famiglia potrebbe verificare ed
14Berruto (2001:102).
15Berruto (2001:102).
C APITOLO 1 – P REMESSE TEORICHE E TERMINOLOGICHE 14
elencare quali sono i momenti della giornata (a pranzo, dopocena) in cui i membri di una
famiglia (intesa qui come dominio) intrattengono più spesso i propri rapporti comunicativi, e
quali sono, statisticamente, gli argomenti preferiti di conversazione.
1.2.1.1.4 Prestigio. Il prestigio è il valore positivo, riconosciuto dalla società, o
da una comunità di individui, e attribuito a un comportamento, un gruppo sociale o, come nel
caso della lingua, a una certa varietà di lingua che può essere considerata, anche in virtù di
fattori non linguistici, superiore alle altre. Essendo un tratto culturale, e perciò suscettibile di
variare nel tempo, esso ha un valore relativo ovvero può mutare da una cultura ad un'altra,
così come mutano in questo caso gli oggetti stessi del giudizio di prestigio. Il contrario del
prestigio è lo stigma, il quale può colpire, ad esempio, gruppi minoritari all'interno di una
comunità e, quindi, le varietà linguistiche ad essi associate. E' quindi possibile che all'interno
di una stessa società coesistano sistemi di valori differenti, e che un comportamento o una
parlata stigmatizzata da parte di un gruppo o di una classe sociale, sia invece connotata da
prestigio presso altri sottogruppi. Talvolta infatti può accadere che, sempre per motivi non
linguistici, una varietà di lingua in precedenza considerata inferiore e colpita da stigma, quindi
disprezzata dalle élite al potere, ascenda al rango di standard diventando il nuovo punto di
riferimento per la comunità linguistica in cui è in voga. Le varietà di lingua o le lingue
naturali possono dunque seguire le sorti, positive o negative, delle comunità di parlanti che ne
fanno uso 16
.
1.2.1.1.5 Atteggiamento. Un concetto legato a quello di prestigio è quello di
atteggiamento (o atteggiamenti , al plurale), il quale indica lo stato di predisposizione
dell'individuo, o del parlante, nei confronti di una certa varietà di lingua o di un certo tratto
linguistico. Il concetto di atteggiamento deriva in sociolinguistica dalla psicologia sociale, ed
è stato formulato e precisato da Allport (1967)
17
. Secondo Allport gli atteggiamenti sono
quegli stati mentali di predisposizione, favorevole o sfavorevole, organizzati dall'esperienza,
nei confronti di un certo oggetto sociale (ad esempio un gruppo di individui, come un gruppo
etnico). Nel campo della SL ci si riferisce agli atteggiamenti (linguistici) indicando tutti gli
atteggiamenti dei membri di una comunità nei confronti di comportamenti linguistici o di
varietà di lingua, o, ad esempio, nei confronti di un gruppo minoritario che si distingue dal
resto della comunità, tra le altre cose, per l'utilizzo di particolari tratti linguistici. Gli
atteggiamenti non vanno confusi con le opinioni, le quali sono generalmente circostanziate e
razionalmente motivate e argomentate. Nonostante ciò può accadere che gli atteggiamenti di
un individuo o di un gruppo di individui nei confronti di un certo oggetto sociale siano rivelati
dalle opinioni espresse dal gruppo o dal singolo parlante. Però questo avviene quasi sempre in
modo indiretto, in quanto atteggiamenti negativi (ad esempio stereotipi razzisti) espressi
esplicitamente potrebbero esser sanzionati negativamente se il sistema dominante di valori li
stigmatizza, colpendoli quindi con giudizio negativo.
16 Berruto (2001:104).
17 Berruto (2001:109).
C APITOLO 1 – P REMESSE TEORICHE E TERMINOLOGICHE 15
1.2.1.2 Concetti sociolinguistici 1.2.1.2.1 Varietà di lingua. Per varietà di lingua si intende un insieme di tratti
linguistici co-occorrenti nel parlato di un individuo o di una comunità di parlanti. La co-
occorrenza dei tratti linguistici che si desidera far rientrare nella medesima varietà è
fondamentale per la definizione della varietà di lingua stessa. Inoltre questi tratti, e dunque le
varietà di lingua, devono essere in qualche modo connessi, e quindi motivati, o coi tratti
sociali dei parlanti che li utilizzano oppure con le situazioni comunicative in cui sono più
frequentemente, od obbligatoriamente, utilizzati. Ad esempio, nel caso dell'enunciato “scusi,
vieni qui!” è facile notare l'incongruenza tra il segnale discorsivo scusi, coniugato alla terza
persona per la formula cosiddetta di cortesia, utilizzata quando tra due parlanti non c'è un
grado adeguato di confidenza, e l'utilizzo dell'imperativo alla seconda persona singolare vieni,
che tale confidenza suppone, o richiede. L'enunciato non è dunque grammaticalmente ma
sociolinguisticamente scorretto in quanto presenta tratti linguistici non omogenei e
appartenenti a due varietà, allo stesso tempo sia diafasiche che diastratiche, distinte.
1.2.1.2.2 Repertorio linguistico. Il repertorio linguistico è costituito dall'insieme
di risorse linguistiche e comunicative che un parlante, o un gruppo di parlanti, possiede e può
utilizzare per esprimersi e comunicare. Il primo autore che ha utilizzato quest'espressione per
indicare la varietà, o le varietà, al plurale, che l'utente di una data lingua possiede e conosce è
stato John J. Gumperz , uno dei pionieri della sociolinguistica e dell'etnografia della
conversazione. Nel caso si utilizzi il termine per indicare il bagaglio di conoscenze
linguistiche di un singolo parlante, si preferisce utilizzare l'espressione repertorio individuale,
laddove con la semplice definizione di repertorio si indica il repertorio collettivo di un gruppo
o di una comunità di parlanti. In tal caso dunque il repertorio linguistico indicherà l'insieme di
varietà che i parlanti di un dato gruppo condividono. Il repertorio linguistico di una comunità
o di un individuo non indica però solamente la somma delle varietà possedute e utilizzate, ma
anche le regole sociolinguistiche che soggiacciono al loro utilizzo, quindi anche gli eventuali
rapporti gerarchici o di appropriatezza contestuale e pragmatica che possono esistere tra le
diverse varietà di lingua note a un parlante o a un gruppo.
1.2.1.2.3 Comunità linguistica . Definendo che cos'è una varietà di lingua e il
repertorio linguistico abbiamo parlato di parlanti o di gruppi di parlanti che, per essere tali,
devono condividere delle caratteristiche sociali o, quantomeno, delle caratteristiche di tipo
sociolinguistico. Abbiamo quindi involontariamente introdotto il concetto di comunità
linguistica, che, secondo la definizione che ne da il Berruto (2001), è costituita un insieme di
individui che condividono la stessa lingua o lo stesso insieme di varietà di lingua come
strumento prediletto per la comunicazione, sia essa interna o esterna al gruppo in questione.
Una comunità linguistica è quindi un insieme di individui che condividono, almeno in parte,
lo stesso repertorio e che ricevono la loro omogeneità e il proprio status di gruppo anche in
virtù di altre caratteristiche sociali che li accomunano. Nella ricerca sociolinguistica si può
quindi procedere in due modi: o selezionare un insieme di individui con caratteristiche sociali
simili (ad esempio il livello di scolarizzazione, oppure la professione, oppure ancora il
reddito) e ricercare nei loro repertori individuali dei tratti linguistici comuni, oppure si può
procedere seguendo il percorso inverso: dati tali tratti linguistici ricercare quali sono i parlanti
che, nella maggior parte dei casi, li utilizzano e verificare, eventualmente, se essi posseggano