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INTRODUZIONE
Le emozioni costituiscono un elemento essenziale e particolarmente
importante nella vita, anche se spesso si tende a trascurarle e a non prendersi
cura di questa parte di sé. La maggior parte delle persone è impegnata, infatti,
nella vita di tutti i giorni a migliorare le proprie capacità intellettive, ma pochi
ancora prendono in considerazione l’importanza di migliorare le proprie
competenze e capacità emotive (Goleman, 1995).
Nel primo capitolo vengono presentate le varie teorie sulle emozioni, da
quella di Strongman (cit. in Camaioni, 1999) che definisce le emozioni come un
sistema influenzato da altri sistemi che portano motivazione ed energia alle
nostre azioni, distinguendole, inoltre, in emozioni primarie e secondarie, a
quella di Campos et al. (ibidem) che le definisce da un punto di vista funzionale.
Izard (ibidem) invece definisce le emozioni come la causa delle azioni e dei
comportamenti e propone la teoria da lui definita “delle emozioni differenziali”,
ponendo l’accento sulle espressioni facciali delle emozioni. Per quanto riguarda
la loro classificazione, alcuni studiosi parlano di emozioni di base o derivate
(ivi), altri invece di famiglie di emozioni (ivi); da ricerche in luoghi molto
lontani Darwin (1872) poté affermare che l’espressione delle emozioni è innata
e che la loro manifestazione presenta caratteristiche comuni a tutti: non bisogna,
però, trascurare l’importanza del contesto sociale per lo sviluppo delle emozioni
e delle loro manifestazioni (Camaioni, 1999).
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A tal proposito in questo capitolo viene illustrata l’importanza
dell’educazione socioaffettiva come metodologia che mira a migliorare le
capacità emotive e relazionali e a formare individui con un buon livello di
socializzazione e capaci di buoni rapporti interpersonali, grazie alla
consapevolezza delle proprie e emozioni e del modo in cui poterle manifestare.
Tra gli obiettivi di tale metodologia vi è quella di acquisire consapevolezza
delle proprie emozioni, pensieri e comportamenti e allo stesso tempo
riconoscere le emozioni altrui e saper gestire meglio i rapporti interpersonali
(Francescato, Putton, Cudini, 2003). Vengono, inoltre, presentati i riferimenti
teorici dell’educazione socio-affettiva, che si rifà alla psicologia umanistica e
alla psicologia di comunità (Putton, 1999), e le metodologie utilizzate, come
quelle proposte da Gordon (1974) utili per l’applicazione dell’educazione
socioaffettiva all’interno di un gruppo classe: tra queste vi sono l’ascolto attivo,
il Messaggio-Io, il problem-solving e il circe time.
Migliorare le proprie capacità emotive, cioè la capacità di saper attribuire un
nome alle emozioni e ai sentimenti che si provano, saperle distinguere e allo
stesso tempo controllarle, se necessario, aiuta a capire se stessi e rende
maggiormente consapevoli delle proprie emozioni: contribuisce, dunque, ad
essere più aperti alle relazioni interpersonali e maggiormente capaci di
intraprendere decisioni per affrontare i problemi quotidiani.
L’educazione socioaffettiva è una metodologia che può essere utilizzata in
ambito scolastico per insegnare ai bambini sin da piccoli ad avere un buon
rapporto con se stessi e con le proprie emozioni, ma può essere utilizzata anche
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in ambito familiare ed essere rivolta ai genitori per migliorare i rapporti con i
figli e per aiutarli a sviluppare strategie di coping e a renderli maggiormente
efficaci (Gordon, 1970).
Nel secondo capitolo viene, infatti, presentato il parent training come
programma di intervento rivolto ai genitori per aiutarli e sostenerli nel loro
compito genitoriale; la psicologia di comunità utilizza, infatti, l’educazione
socioaffetiva come metodologia per realizzare programmi di intervento per
genitori (Putton, op. cit.). Il parent training è un intervento di tipo psico-
educativo il cui obiettivo è quello di dare un supporto ai genitori tramite la
trasmissione di conoscenze di tipo educativo, al fine di migliorare la relazione
genitori-figli e la loro comunicazione, accrescere il benessere familiare e far in
modo che i genitori acquisiscano maggiori conoscenze rispetto allo sviluppo
psicologico dei figli e maggiore capacità di analisi dei compiti educativi
(Camaioni, 2001).
Gli obiettivi che la psicologia di comunità mira a raggiungere tramite il
parent training sono molteplici, tra cui quello di rendere i genitori
maggiormente consapevoli dei propri stili educativi e dello sviluppo
socioaffettivo dei bambini, potenziare le loro capacità relazionali e
comunicative e promuovere tecniche e strategie che migliorino le capacità di
risolvere i problemi e prendere decisioni, specialmente in ambito educativo
(Parasporo, Scavuzzo, 1999).
Tra gli obiettivi principali dei parent training nell’ambito della psicologia di
comunità non bisogna trascurare quello della promozione del benessere in
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ambito familiare attraverso, appunto, l’educazione socioaffettiva e
dell’empowerment, attraverso interventi che mirano all’autostima, cercando di
lavorare sulle risorse dell’individuo e della coppia, stimolando così le loro
potenzialità e facendo in modo di renderli maggiormente competenti ed efficaci
in ambito educativo (Francescato, Putton, 1991).
Essere emotivamente competenti vuol dire, dunque, imparare e conoscere
emozioni, pensieri e comportamenti e allo stesso tempo aiuta a controllare lo
stress e gestire meglio le relazioni, anche quelle familiari. Rendere i genitori
efficaci attraverso i programmi di parent training vuol dire anche rendere loro
dei buoni allenatori emotivi, così come li definisce Gottman (1997), e
maggiormente competenti in ambito socio-affettivo, cercando di sviluppare in
loro la capacità di stare emotivamente vicini ai loro figli e guidarli alla scoperta
delle loro emozioni.
Nel secondo capitolo vengono, inoltre, presentate le varie modalità di
svolgimento dei parent training e i suoi contenuti: in base al problema da
affrontare, che può essere di tipo generale o specifico, l’intervento può essere
progettato per genitori singoli o coppie oppure per gruppi formativi e rivolgersi,
dunque, a gruppi di genitori. Il parent training può, inoltre, mirare alla
trasmissione di nozioni teoriche o di abilità pratiche da utilizzare quando i
genitori si troveranno di fronte alle specifiche situazioni educative con i propri
figli (Benedetto, 2005).
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Questo tipo di intervento è molto utile anche nei casi in cui i genitori si
trovino ad affrontare una situazione familiare particolare, come la nascita di un
figlio con ritardi di sviluppo.
Nel terzo capitolo viene presentato, infatti, il quadro familiare di una
famiglia che si trova ad affrontare tali difficoltà, i vissuti emotivi, le risorse
familiari e gli interventi adatti a tale situazione; la famiglia può decidere, infatti,
di partecipare a tali programmi di intervento per lasciarsi guidare ed aiutare in
questo difficile percorso di adattamento alla nuova e difficile realtà.
In questo capitolo vengono presentati i tipi di intervento e di parent training,
come quello che mira a sviluppare l’empowerment e un adattamento positivo
della famiglia, per rendere la famiglia capace di affrontare tale situazione nel
miglior modo possibile, cercando di sfruttare e potenziare le risorse interne e
crearne delle altre allo stesso tempo (Byrne, Cunningham, Sloper, 1988). Viene
presentato anche il metodo Portage adatto alle famiglie di bambini portatori di
handicap (Benedetto, op. cit.), l’importanza del sostegno sociale e il tipo di
aiuto che una famiglia può ricevere da esso, in base al tipo di rete sociale in cui
è inserita (Putton, op. cit.). Il capitolo affronta anche le differenze con i vecchi
modelli di intervento familiare (Benedetto, 1997), cercando di mettere in risalto
quanto sia importante, per tali famiglie, imparare a conoscere le proprie
emozioni in una situazione così difficile, capire che vi possono essere emozioni
anche contrastanti e imparare a gestirle nel miglior modo possibile.
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CAPITOLO 1
L’EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA
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1. LE EMOZIONI
L’emozione è considerata, in psicologia, una reazione dell'organismo
caratterizzata da modificazioni psichiche e fisiologiche (accelerazione o
rallentamento delle pulsazioni cardiache, diminuzione o incremento dell'attività
di particolari ghiandole e della temperatura corporea). Le emozioni
costituiscono una risposta ad uno stimolo presente nell’ambiente e rivestono
un’importanza fondamentale per ogni comportamento umano; tutti gli studiosi
sono d’accordo nel sostenere, infatti, che le emozioni costituiscono i moventi
fondamentali del comportamento umano e che ognuna di esse abbia una sua
funzione adattiva (Camaioni, 1999).
1.1. TEORIE E CLASSIFICAZIONE DELLE EMOZIONI
Tra le prime posizioni teoriche, Strongman (cit. in Camaioni, op. cit.)
riconosce alcuni elementi che accomunano le emozioni e che possono essere
ritrovati anche in teorie e modelli recenti. Innanzi tutto egli sostiene che le
emozioni sono come un sistema che influenza ed è influenzato da altri sistemi,
che ci possono essere sia somiglianze che differenze tra le varie emozioni e che
esse si distinguono in emozioni fondamentali o primarie e derivate o
secondarie in base alla differenziazione innate/acquisite; egli, inoltre, considera
le emozioni come portatrici di motivazione ed energia, affermando che se
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l’intensità delle emozioni va al di là di un certo livello la loro qualità tende a
cambiare.
Successivamente Campos et al. (ibidem) preferirono descrivere le emozioni
da un punto di vista funzionale, focalizzando l’interesse più su quello che la
persona cerca di fare e sulle conseguenze degli stati emotivi. Secondo questi
studiosi le emozioni sono il risultato di quattro fattori interconnessi: esse sono,
infatti, responsabili della regolazione dei comportamenti sociali e
interpersonali e dei processi psicologici interni, poiché influenzano la selezione
delle informazioni e il tipo di risposta dell’organismo; sostengono, inoltre, che
è possibile distinguere le emozioni dalle forme istintuali e che le emozioni di
base utilizzano un processo comunicativo non codificato culturalmente, che
non richiede quindi apprendimento sociale.
In contrapposizione a Campos (ibidem), che considera l’emozione quasi
esclusivamente come qualcosa che è suscitata dagli eventi interni o esterni,
Izard (ivi) successivamente sottolinea, invece, come l’emozione possa essere
uno stimolo o una causa di delle azioni e dei comportamenti; egli, infatti, si
colloca all’interno della teoria da lui definita “delle emozioni differenziali”,
ponendo l’accento sulle espressioni facciali delle emozioni, e considerando
quindi l’emozione come qualcosa che si riferisce all’aspetto motorio, e che è
quindi visibile all’esterno, e il sentimento, invece, come qualcosa che riguarda
la componente interna, che è quindi avvertita soggettivamente.
Queste linee interpretative, anche se assumono punti di vista diversi per ciò
che riguarda la definizione delle emozioni, trovano un punto d’incontro
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nell’analisi delle caratteristiche delle emozioni, assumendo come punto guida
le espressioni facciali, su cui Izard (ibidem) pone l’accento, anche se ciò non è
ritenuto un metodo sufficiente per identificare le emozioni (Camaioni, op. cit.).
Riguardo alla classificazione delle emozioni alcuni studiosi come Ekman et
al. (cit. in Camaioni, op. cit.) generalmente sostengono che vi siano delle
emozioni fondamentali, quali la gioia, la tristezza, la rabbia e la paura, anche se
non tutti sono d’accordo con questo tipo di classificazione. Campos e Barrett
(ivi), infatti, aggiungono oltre a queste, il disgusto, l’interesse e la sorpresa,
mentre secondo Izard (ibidem) anche il senso di colpa e la timidezza sono da
considerare come emozioni fondamentali. Secondo altri studiosi, invece, la
vergogna, la timidezza e il senso di colpa sono varianti della stessa emozione;
altri ancora inseriscono in questa lista l’ansia, la depressione, l’amore, la
gelosia, l’ostilità e l’orgoglio anche se, in queste, i fattori cognitivi ed emotivi
sono strettamente connessi (Camaioni, 1999).
Izard (ibidem) definisce bene i criteri tramite i quali distinguere le emozioni
di base dalle altre, affermando che esse devono avere uno specifico substrato
neurale e una specifica espressione facciale; devono essere, inoltre, legate ad
una specifica qualità emotiva che raggiunge la consapevolezza e avere
proprietà organizzative e motivazionali che contribuiscono alle funzioni
adattive.
Barrett e Campos (ibidem) sostengono, invece, una posizione teorica molto
diversa, poiché preferiscono parlare di “famiglie” di emozioni più che di
singole emozioni, affermando che una persona può fare delle esperienze che,