5
La “realtà geografica” è quindi, prima di tutto, là dove l’uomo
vive, le terre che calpesta, che lavora: l’orizzonte che ammira ogni
giorno2.
La Terra, considerata come ente fisico, ha una storia in cui le
“giornate” sono ére e le cui vicende sono infinite, inenarrabili, poiché
si perdono nel sentimento e nel mito raccolto dalla geografia umana3,
che penetra ogni ambito in cui l’uomo vive e lavora, ne studia gli usi,
le abitudini, le attività, mettendole in relazione allo spazio ed al
tempo col quale l’uomo ha uno scambio perenne di rapporti.
Il soggetto della geografia, è stato detto, è lo spazio, percepito
nel tempo dalla coscienza dell’io come paesaggio: pianure, colline,
montagne, distese erbose, praterie, laghi, fiumi e tutto ciò che vive, è
presente e si propone alla mente. Questi elementi del paesaggio
diventano conoscenza concreta per l’uomo che in esso conduce la sua
esistenza e agisce.
2
Cfr. E. DARDEL, L’uomo e la Terra. Natura della realtà geografica, Milano, Unicopli, 1986
3
Si rimanda a P. CLAVAR, Elementi di geografia umana, Milano, Unicopli, 1980 e A. S. BAILLY,
I concetti della geografia umana, Bologna, Patron, 1989
6
Il rapporto fra uomo e Natura
L’uomo vive, dunque, immerso nel paesaggio. Egli ne
acquisisce sempre nuove esperienze, infatti uomo e Terra hanno
sempre vissuto in stretto contatto, dipendenti l’uno dall’altra. L’uomo
vive sulla Terra, la coltiva, si nutre dei suoi frutti, e la Terra si
dimostra duttile nelle sue mani trasformandosi e facendosi
comprendere nell’espressione concreta di paesaggio, nel quale è
contenuto il senso della cultura, poiché è l’oggetto dell’interesse
dell’uomo, perché accolto dai sensi e pensato dall’intelletto4, perchè
l’uomo lo ha riscoperto arricchito dalla memoria, perciò il paesaggio
non è più solo “oggi”, ma è anche il passato. Ed è questo suo essere
presente in atto che ne consente la definizione di culturale. Il
paesaggio è spazio comprensivo di oggi e di ieri, di memoria e
ricordi, condizionati dalla cultura personale, che lo trasfigurano e lo
arricchiscono di sentimenti, così da renderlo oggetto di letteratura5.
L’aspetto culturale della geografia deriva dalla presa di
coscienza dell’uomo dell’essere e del vivere uno spazio: da questo
4
P. BETTA, M. MAGNANI, Paesaggio e Letteratura , Parma, Casa Editrice Maccari, 1996, p. 4
5
Cfr. P. BETTA, “Il paesaggio fra estetica e funzionalismo”, in La nostra geografia, Trento, Anno
2, Nr. 2, Inverno 97/98
7
momento, quindi, il paesaggio è condizionato alla presenza
dell’uomo, unico essere capace di recepirlo concretamente nel suo
esistere. Infatti, il paesaggio è perché l’uomo lo percepisce, lo
descrive, lo inserisce nella sua storia, traendolo fuori dall’anonimato,
rendendolo partecipe della vita.
E’ questa circostanza che cambia lo status del paesaggio, non
più limitato ad essere lo sfondo su cui l’uomo solamente si muove.
Infatti, agendo sull’ambiente, l’uomo lo vivifica, lo umanizza e rende
il paesaggio in grado di assumere funzionalità di coattore, partecipe
delle azioni umane. E’attraverso il suo modo di abitare, attraverso il
suo stile di vita, che l’uomo esteriorizza continuamente le sue
relazioni con la Terra6.
L’ambiente, la Natura, espressa nei paesaggi che ci
circondano, sono sì vegetazione, fauna, clima, ma sono anche storia,
testimonianze del passato dell’uomo, e, soprattutto, personaggi nella
vita dell’uomo, agenti insieme all’uomo.
6
Cfr. F. LANDO, Op. cit.
8
Geografia e letteratura
Era inevitabile che la geografia, scienza della Terra e, di
conseguenza, degli uomini che su di essa vivono, si incontrasse con
l’arte, creazione dell’uomo, e lo spazio geografico ispirò all’uomo la
sua descrizione in forma di “panorami”, che conferiscono ad ogni
territorio un aspetto particolare ed unico, per cui la Terra è letta come
una scrittura da decifrare7, così che il linguaggio del geografo può
diventare facilmente quello dell’arte poetica, senza perdere il rigore
della scienza. Senza termini scientifici, la scrittura è meno rigorosa e
il lettore viene maggiormente colpito dalla grazia e dallo stile. E’
nell’universo del letterato, del romanziere, che il paesaggio si anima.
La letteratura dei secoli scorsi è ricca di racconti di viaggio
(esperienza frequente per i letterati del ‘700, per esempio, era il
“pellegrinaggio d’istruzione” in Italia, con relativo resoconto scritto
al ritorno), di scoperte o di semplici narrazioni di fatti avvenuti nel
corso di permanenze all’estero, e ogni volta gli autori trasmettono la
meraviglia, il wonder dell’uomo davanti alle manifestazioni della
Natura, lo stupore di fronte a quello che la perizia umana mai sarebbe
7
E. DARDEL, Op. cit., p. 12
9
in grado di ricreare. C’è quindi un legame tra geografia e letteratura,
e questo rapporto consiste nel fatto che le lettere ci mostrano come le
persone fanno esperienza del mondo8.
La percezione descrittiva del paesaggio è oggi uno dei punti
di confronto tra scienza della geografia e opere letterarie. Lo stile
letterario può rivelarsi ottimo mezzo per la descrizione di una realtà
territoriale, valido sostituto di aride spiegazioni scientifiche. La
geografia, quindi, si ritaglia uno spazio all’interno della letteratura,
nell’ambientazione dei romanzi, nelle geografie disegnate da poeti e
romanzieri. Spesso i romanzieri scelgono luoghi reali come
ispirazione per creare ambienti adatti all’opera da scrivere. C’è in
questo la necessità di autolegittimarsi: scegliere un luogo esistente
infonde carattere di autenticità all’opera, e allo stesso tempo dà
attendibilità all’autore, sicuro di basarsi su qualcosa di reale. Il
riferimento a luoghi esistenti infonde sicurezza, per questo il
radicamento9 è un’esperienza importante nella vita di una persona.
8
Cfr. CLARA COPETA, “Il rapporto tra geografia umanistica e letteratura”, in Rivista Geografica
Italiana, N. 90, 1983
9
F. LANDO, Op. cit., p. 8
10
Il romanzo Ottocentesco
Nell’Ottocento il romanzo era il genere letterario per
eccellenza, ma il suo valore era oggetto di dibattito tra i letterati
dell’epoca: ci si chiedeva se il romanzo (nell’accezione di romance)
dovesse narrare eventi meravigliosi e insoliti, oppure se (nel
significato di novel) dovesse essere pedagogico e moralistico10.
Nell’epoca borghese vittoriana, ogni opera creativa manifestava la
responsabilità dello scrittore verso la comunità, il suo senso morale.
Il romanziere vittoriano era convinto che suo compito fosse la
rappresentazione della società, mentre Thomas Hardy si rese conto di
non provare nessun interesse per la società cittadina, e preferì
ricostruire la vita di una comunità contadina, di un villaggio, nella
descrizione di un complesso paesaggio rurale, che è fonte di vita e da
cui l’esistenza è condizionata. Egli fissa così nei suoi romanzi il
paesaggio rurale ancora intatto, lontano dal fragore delle macchine, e
trova ispirazione nella semplicità del quotidiano. Il suo Wessex è il
quadro di un’esistenza ordinata, di tutto ciò che è radicato, naturale e
10
Cfr. C. PAGETTI (A CURA DI) , L’Impero di carta. La letteratura Inglese del secondo Ottocento,
Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1994
11
sperimentato. Il mondo naturale rappresenta ciò che è permanente, e
ci mostra la distanza tra i ritmi eterni della Terra e quelli dell’uomo11.
Nel “dibattito” tra novel e romance12, sorprendentemente
Hardy difese una concezione antinaturalistica di romanzo. Nella
biografia dettata alla seconda moglie per la pubblicazione postuma
(The Life and Works of Thomas Hardy), si trovano diverse
definizioni di arte che pongono l’accento sulla soggettività.
Particolarmente importante per Hardy era ciò che egli chiamava the
author’s idiosyncratic mode of regard:
Art consists in so depicting the common events of life as to bring out the
features which illustrate the author’s idiosyncratic mode of regard; making old
incidents and things seem as new.13
Questo modo idiosincratico (ovvero la particolare sensibilità
di una persona), permette di guardare agli eventi comuni in maniera
personale, illuminandoli di luce nuova.
Il potere dell’arte è questo:
11
Cfr. IRVING HOWE, Thomas Hardy, New York, Collier Books, 1973
12
Cfr. C. PAGETTI, Op. cit.
13
THOMAS HARDY, The Life and Works of Thomas Hardy, London, Macmillan Press Ltd., 1984,
p. 235
12
Art is a disproportioning – (i. e. distorting, throwing out of proportion)
– of realities, to show more clearly the features that matter in those realities,
which, if merely copied or reported inventorially, might possibly be observed,
but would more probably be overlooked. Hence “realism” is no Art.14
Il disproportioning di cui parla Hardy è la capacità di fare
emergere qualcosa che non appare allo sguardo profano. La sua arte
non è un mero inventario di impressioni visive, bensì la
rielaborazione della sua memoria. Sullo stesso argomento, più avanti
Hardy aggiunge:
Art is a changing of the actual proportions and order of things, so as to
bring out more forcibly than might otherwise be done that feature in them which
appeals most strongly to the idiosyncrasy of the artist.15
Ed è la sua capacità di selezionare e isolare ciò che per lui è
significativo del suo mondo, espresso nei paesaggi descritti, che lo
rende diverso da un puro realista.
14
T. HARDY, Id ., p. 239
15
T. HARDY, The Life and Works…, Op. cit., p. 239
13
Hardy, infatti, concepisce il suo Wessex fondandolo sulla
contea del Dorset e su altre contee inglesi realmente esistenti,
creando sì un mondo di fantasia, ma un mondo in cui sia possibile
ritrovare e scoprire tratti reali e, soprattutto, inserire i ricordi della
sua gioventù, vissuta in parte nei luoghi che ritornano nelle sue
narrazioni. Hardy scrive attingendo alla ricchezza del suo cuore:
l’amore per il Wessex lo ha spinto a voler conoscere sempre più e
sempre meglio la sua Terra. Non con la curiosità dello straniero o del
turista, ma col calore di chi si sente a casa sua tra quei vecchi suoni e
colori16.
16
Cfr. GRAHAM CLARKE, Thomas Hardy Critical Assessments, Mountfield, East Sussex, Helm
Information Ltd., 1993
14
La memoria
Thomas Hardy scelse la sua terra natìa, il Dorset, come realtà
unificante delle sue creazioni artistiche, estendendo l’ambientazione
anche alle contee limitrofe. Una volta definito il suo campo d’azione,
Hardy vi ritorna per raccontare ogni storia: questo paesaggio sarà il
suo punto fermo, la sua nostalgia, come la Parigi di Balzac, reale ma
popolata da un universo creato dall’autore17; così come sarà per la
Dublino di Joyce18. Con la contea di Yoknapatawpha di Faulkner19
ritroviamo una regione immaginaria ispirata dalla realtà, tratta dalla
sua piccola regione natale, della quale Faulkner stesso disse che tutta
la sua vita non sarebbe bastata per narrarla completamente20.
Le nostre origini possono anche essere dimenticate, eppure
continuano ad esistere, nascoste e pronte a risvegliarsi. Sono
l’allontanamento, l’esilio, a fare uscire i paesaggi vissuti dall’oblio,
restituendo loro l’attrattiva dimenticata e facendoli apparire come
17
Si rimanda a HONORE DE BALZAC, La peau du chagrin, Paris, Gallimard, 1974; Pére Goriot,
Paris, Gallimard, 1976
18
Si rimanda a JAMES JOYCE , Dubliners, New York, Penguin Books USA Inc., 1991
19
Si rimanda a WILLIAM FAULKNER, The Sound and the Fury, New York, Vintage Books, 1990;
As I Lay Dying, New York, Vintage Books, 1991; Selected Short Stories of William Faulkner,
New York, Random House Inc., 1993
20
Si rimanda a W. FAULKNER, Mentre Morivo, Milano, Studio Editoriale, 1987, Intervista di J. S.
van den Heuvel a W. Faulkner, p. 214
15
privazione ed assenza. Ogni società umana è una cosa sola con le
proprie origini, ed emigrare è una perdita.21
Nei romanzi di Hardy, da The Well – Beloved a The Return of
the Native, è sempre presente il tema del ritorno, proprio perché
l’Autore riteneva impossibile dimenticare la propria provenienza.
Questo progetto di unire in maniera organica quelle che altrimenti
sarebbero rimaste opere isolate, conferisce verosimiglianza alla serie.
Hardy farà dell’unità il motivo ricorrente della sua opera,
estendendola anche ai personaggi, che vediamo ritornare attraverso
diversi romanzi, come per esempio James Everdene in The Mayor of
Casterbridge, zio di Bathsheba, che già era proposto in Far from the
Madding Crowd, o Boldwood, che è presentato nel primo romanzo
come creditore di Henchard e nel secondo come innamorato di
Bathsheba.
Il paesaggio rurale del Wessex è ben delimitato nello spazio e
nel tempo, perché l’Autore ha bisogno di un sostegno concreto per
l’esercizio della sua fantasia creatrice: vallate, colline, brughiere,
fiumi, strade, casolari di campagna, dimore nobiliari, piazze,
locande…, sono parte autentica della realtà della sua terra natale, e il
21
Cfr. E. DARDEL, Op. cit.
16
lasso di tempo coperto dalla narrativa hardiana corrisponde ai primi
tre quarti del XIX secolo 22.
Nel creare il suo Wessex, microcosmo che rappresenta
l’intero palcoscenico su cui si svolge l’esistenza umana, Thomas
Hardy ha realizzato la memoria di una vita in cui Natura e società
sono in pace. Il senso del passato permea le zolle di questa Terra.
Hardy fu maestro nel trasmettere l’inettitudine dell’uomo di fronte
alla potenza della Natura, alla bellezza del paesaggio, alla spietatezza
di un mondo di Natura che, nonostante le conquiste umane, resta
indomabile. La sua maestrìa si manifesta principalmente nelle
descrizioni, nel suo essere nel paesaggio; egli si immerge e ci
immerge realmente nella Natura: ci fa annusare il profumo dell’erba
appena tagliata, dei campi bagnati dalla pioggia, dell’umidità
dell’aria. Il paesaggio con i suoi colori, le sue luci, il cielo, l’acqua, le
rocce, la vegetazione, gli uccelli, gli insetti, gli animali che lo
popolano, arriva alla nostra mente e si presenta come vivo e reale. I
suoi personaggi sono emblema di come l’uomo, pur capace di
sfruttare la Natura per i suoi scopi, ne sia allo stesso tempo
assoggettato. A contatto con la Natura, in un mondo ancora arcaico,
22
Cfr. ROSANGELA BARONE, I racconti di Thomas Hardy, Bari, Dedalo Libri, 1980
17
non toccato dall’industrializzazione, l’uomo ritorna alle origini, torna
ad essere parte della Terra su cui vive, ne assume gli stessi tratti.
Nei romanzi di Hardy la maggior parte delle attività si svolge
in campagna: si lavora la terra, si vende il grano, si producono burro
e sidro, ci sono artigiani, contadini e proprietari terrieri, e pur avendo
vissuto durante il periodo culminante della Rivoluzione Industriale,
l’Autore non ci mostra l’industrializzazione, l’evento storico che va
turbando equilibri secolari; le trame dei suoi romanzi si basano sulla
fissità propria della Natura: la vita procede, eppure per i suoi
personaggi resiste il legame con le origini. Al tempo di una società
che si trasforma velocemente, Hardy oppone un tempo che non
cancella il passato, il tempo eterno della Natura23.
Esemplare del legame indissolubile tra uomo e Natura è Clym
Yeobright, protagonista di The Return of the Native, così vincolato
alla sua terra d’origine da abbandonare la sfolgorante Parigi per fare
ritorno ad Egdon Heath, la solenne brughiera, protagonista, sfondo e
simbolo dell’immutabilità della Natura. A testimonianza del valore
della brughiera come personaggio, il romanzo si apre su di essa:
23
Cfr. ENRICA VILLARI , “Il vizio moderno dell’irrequietezza”. Saggio sui romanzi di Thomas
Hardy, Bari, Adriatica Editrice, 1990
18
A Saturday afternoon in November was approaching the time of twilight
and the vast tract of unenclosed wild known as Egdon Heath embrowned itself
moment by moment. […] The heaven being spread with this pallid screen and the
earth with the darkest vegetation, their meeting – line at the horizon was clearly
marked. In such contrast the heath wore the appearance of an instalment of
night which had taken up its place before its astronomical hour was come:
darkness had to a great extent arrived hereon, while day stood distinct in the sky.
[…] In fact, precisely at this transitional point of its nightly roll into darkness the
great and particular glory of the Egdon waste began, and nobody could be said
to understand the heath who had not been there at such a time.24
Ulteriore esempio dell’integrazione, in questo caso forzata,
fra uomo e Natura, sarà la ribelle Eustacia Vye, mai piegata, mai
domata, proprio come la brughiera in cui è costretta a vivere e che
tanto odia. Esemplificazione della sua appartenenza alla Natura, che
però la giovane si ostina a rifiutare, è la prima apparizione nel
romanzo:
24
THOMAS HARDY, The Return of the Native, London, Penguin Classics, 1985, pp. 53 - 54