Icambiamento della società è molto più rapido rispetto al passato, molte persone
ne sono sconcertate e sentono fortemente l’esigenza di cercare nuove risposte alla
domanda di come si dovrebbe vivere.
Questa costante ricerca riporta continuamente agli inizi, ai propri inizi come
esseri umani, poiché la ricerca dell’armonia e dell’adattamento non è mai cosa
facile. Come l’istituzione famiglia nel suo complesso, anche la figura del padre
vive tempi ardui per i valori e le funzioni sue peculiari, visto a sé stante che come
soggetto-oggetto di relazioni nel mosaico familiare.
Lo spunto di questa tesi è tratto dall’analisi del padre, che, fin troppo
spesso disorientato e incerto del proprio cammino, ha assunto un atteggiamento
istintivamente difensivo, anche a costo di disattendere e negare la propria
naturale collocazione nella società. Il progressivo svilimento del suo ruolo
prospetta il sinistro avvento della “società senza padri” già prevista dalla Scuola
di Francoforte e che sicuramente ha a che fare con la “famiglia lunga analizzata
dai sociologi e con l’“adolescenza interminabile” teorizzata da psicologi e
psicoanalisti. Questa pavida autoriduzione del campo d’influenza operata dal
padre, ha generato, per processo di osmosi, una eccessiva dilatazione di quello
della madre, sempre più spesso e innaturalmente chiamata a colmare lacune. Un
tale ribaltamento di ruoli e funzioni è destinato a promuovere la soddisfazione
dei bisogni primari di dipendenza, accoglimento e appartenenza, molto più che a
garantire autonomia, separazione ed individuazione. L’assenza di spirito di
indipendenza sembra infatti essere proprio il punto più debole della società
moderna. Da quanto si evince dalla letteratura corrente è l’inversione dei ruoli
genitoriali la principale ragione per cui, entrando in crisi il rapporto di coppia, i
coniugi non si trovino su posizioni di pari dignità, ma appaia, messo finalmente a
nudo, quello stato di inferiorità in cui il marito-padre si è inconsapevolmente
messo e che sin dall’origine era latente. Gli effetti sociali di questa situazione
Introduzione
II
appaiono, nei fatti, evidenti. Nell’iter giudiziario della separazione tra coniugi si
riscontra chiaramente il differente e inferiore “peso” che il padre porta a suo
favore. Le conseguenze sono quelle di un’effettiva emarginazione da tutti gli
aspetti della contesa, che culmina con la quasi regolare esclusione dall’affido dei
figli. La deduzione logica porterebbe a concludere che il padre che ha ottenuto
l’affidamento dei figli, proprio per questa ragione, sia un padre “vero”, avendo
dovuto evidenziare caratteristiche in netto contrasto con la tendenza generale e
che in virtù di tale rappresentazione abbia, nel proprio caso, convinto un sistema
generalmente scettico sulla sua idoneità all’accudimento della prole. Con ciò non
si vuole assolutamente affermare che l’affido monogenitoriale, paterno o materno
che sia, corrisponda alla soluzione ideale, anzi, nel presente lavoro si è più volte
affermato, senza ombra di dubbio, che primariamente per l’interesse dei figli e
per l’instaurazione di un civile e corretto clima tra i coniugi, occorra
salvaguardare, dopo la separazione, la bigenitorialità, intesa come vero e proprio
volano di proficue relazioni. Si ritorna, comunque, al concetto di famiglia.
Nel Capitolo Primo sono esposti gli essenziali riferimenti storici sulla
famiglia dalle sue remote origini ai nostri giorni. A ciò segue una raffigurazione
della famiglia post-moderna, mettendo a fuoco gli attuali mutamenti e in
particolar modo gli effetti che questi hanno sulla rappresentazione della figura
paterna, nei rapporti sociali. Si giunge poi all’esame delle teorie psicologiche, nel
tempo, sulla paternità, dove viene posto l’accento sull’essenzialità della presenza
paterna nell’educazione e nella crescita dei figli.
Il Capitolo Secondo prende come unità di osservazione la coppia nel suo
divenire fino alla crisi, facendo costante riferimento alla figura del marito-padre,
sempre tentando, laddove possibile, di cogliere e focalizzare gli aspetti peculiari
della paternità; paternità talvolta idealizzata, posta a confronto con quella reale e
Introduzione
III
quotidiana, fatta di scelte e difficoltà, che, occorre ammetterlo, possono anche
condurre alla resa e alla lacerazione dei legami affettivi.
Il tema della separazione e dell’affidamento dei figli, intrecciandosi con la
posizione giuridica del marito-padre, diventano il leitmotiv del Capitolo Terzo.
In un intreccio tra aspetti giuridici e relazionali, si è giunti a dimostrare quanto lo
stato di inferiorità assunto dai padri sia iniquo e perverso, soprattutto per una
sana crescita dei figli. In tema di affido, ipotizzando un superamento del
principio monogenitoriale, avendone mostrato le gravi carenze, è sembrato giusto
enfatizzare le ottime qualità dell’affido congiunto, in quanto unica possibilità di
salvaguardare la bigenitorialità.
La ricerca sperimentale contenuta nel Capitolo Quarto conferma, nella
sostanza, alcune timide osservazioni presenti in letteratura. Osservazioni che
possono così essere brevemente descritte: un padre che riesce ad ottenere l’affido
dei figli, è un padre che avrà molte opportunità di crescita e di maturazione,
opportunità che verrebbero certamente a mancare se egli fosse lontano dai figli,
ma che addirittura potrebbero paradossalmente mancare se egli vivesse la
paternità in maniera tradizionale, delegando alla partner la maggior parte degli
aspetti di accudimento.
Le conclusioni della ricerca offrono lo spazio per diverse riflessioni, in
quanto, i dati ottenuti aprono un nuovo, illuminante spiraglio sulle molteplici
risorse che i padri posseggono e di cui talvolta non sono neppure consapevoli.
Non vi è nulla di più toccante del vedere l’entusiasmo di un padre nel prendersi
cura dei figli, di mettersi alla prova nonostante il timore di essere inadeguato;
timore che, nonostante le false sicurezze, i padri si trascinano da tempo
immemorabile.
Introduzione
1Capitolo I
IL PADRE E LA FAMIGLIA DALLE ORIGINI
AI NOSTRI GIORNI
L’evoluzione dei rapporti tra uomo e donna è parte
dell’evoluzione della coscienza umana: allorchè la
osserviamo nel corso dei secoli, vediamo movimento,
progresso, regresso, deviazioni, di nuovo progresso, a
disegnare un percorso del tutto simile a quello
dell’evoluzione stessa.
(Nathaniel Branden, 1992)
1.1. L’EVOLUZIONE DELLA FAMIGLIA NELLA STORIA
«Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti […].
La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è
diversa, perché le circostanze sono diverse». Queste parole appartengono al
sociologo francese Émile Durkheim. Se queste affermazioni risultavano valide
più di un secolo fa, attualmente sono decisamente indiscutibili. In realtà non è
solo negli ultimi anni che il nucleo fondamentale della società è stato
caratterizzato da radicali modificazioni ma, anche nel corso dell’evoluzione
dell’umanità, dalle origini ai tempi moderni, la figura della famiglia ha subito tali
e tanti mutamenti da non essere facilmente comprensibili e talvolta neppure
rintracciabili.
2Della struttura familiare presente tra gli uomini primitivi, per esempio, si sa poco
o nulla. Le scarse informazioni in nostro possesso sono desunte perlopiù dai
reperti fossili o dagli studi antropologici fatti sulle culture primitive ancora
presenti nella nostra epoca. Ancora meno si sa e si può dedurre sui loro
sentimenti: nessuno può dire se si univano per amore, se erano fedeli… Di certo
il valore primo dei nostri antenati, quello attorno al quale ruotava l’intera
organizzazione sociale, era la sopravvivenza della tribù. I desideri dell’individuo,
la sua personalità, i suoi legami emotivi erano del tutto secondari e non erano
tenuti in alcuna considerazione.
Il concetto di amore come valore di somma importanza e l’idea di esso
come passionale legame spirituale, basato sulla stima reciproca tra due esseri
umani, esisteva già ed era materia di discussione filosofica nella Grecia classica.
Tuttavia questo amore era concepito come un legame veramente “speciale” che
aveva poco a che fare con le relazioni tra gli esseri umani e la loro condotta
quotidiana e assolutamente nulla con l’istituto del matrimonio.
La nozione di “matrimonio d’amore” era di conseguenza assente dal pensiero dei
Greci. Una donna costava, era un pesante fardello, spesso solo un intralcio alla
libertà dell’uomo. Era tuttavia opinione comune che fosse un dovere dell’uomo
nei confronti dello Stato e della sua religione mettere al mondo dei figli; egli
aveva bisogno di qualcuno che si occupasse della casa e inoltre una nuova moglie
portava con sé una dote. Il matrimonio era un male necessario e un accordo tra
parti con diritti differenti.
«Le amanti le teniamo per il piacere, le concubine per accudire alla nostra
persona, le mogli per partorire i figli legittimi e per custodire con fedeltà la nostra
casa» proclamava Demostene
1
più di duemila anni fa…
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
1
DEMOSTENE, Orazioni.
3«Unione socialmente riconosciuta di un uomo e di una donna,
monogamia, autorità maschile, trasmissione del nome e riconoscimento della
filiazione da parte dell’uomo: Gli elementi di base della famiglia occidentale,
quelli che ci sembrano tanto naturali che li riteniamo (erroneamente) universali,
si ritrovano tali e quali nella famiglia romana. Ma quante differenze, in realtà, al
di là di queste prime analogie»
2
.
Il termine latino familia indicava un complesso di persone e cose sottoposto al
potere del paterfamilias: la moglie, i figli, il patrimonio mobiliare e immobiliare,
gli schiavi e i liberti. Il potere del pater era enorme e non conosceva limiti. Per
esempio spettava a lui la decisione sulla sopravvivenza dei neonati, figli suoi o
nati comunque nella sua casa: affidarli alla madre oppure “esporli”, vale a dire
abbandonarli. A ben guardare, la stessa leggenda delle origini di Roma, con i
gemelli Romolo e Remo abbandonati alla corrente del fiume, è un caso di
“esposizione”.
L’autorità prevale sulla natura: un’autorità sancita dal diritto, un’autorità che
prevale spesso sui sentimenti e sui vincoli di sangue.
Le poesie e la gelosia di Catullo sono in netta antitesi con la vera natura dei
Romani: essi erano poco interessati all’esclusività delle relazioni e ai vincoli
genetici. Era pratica diffusa, nei ceti alti, che alleanze familiari si stringessero,
per esempio, accogliendo o concedendo spose già incinte di un primo marito. Si
verificava in questo modo una sorta di “adozione prenatale” dal momento che il
bambino diventava a tutti gli effetti, figlio del secondo sposo. Il matrimonio,
peraltro, era un atto privato, per il quale non era necessario alcuna forma
pubblica, né alcuna registrazione ufficiale. Si sapeva, semplicemente, che un
uomo e una donna erano marito e moglie, perché essi così si presentavano e così
apparivano al loro ambiente, perché eventualmente c’era stata una cerimonia
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
2
GIARDINA A. “Tutto il potere al paterfamilias”, in Storia Illustrata, n.362, 1988.
4privata cui avevano assistito testimoni, oppure perché c’era stata una costituzione
di dote. Il divorzio, di conseguenza, era un atto piuttosto semplice, tanto per
l’uomo che per la donna, e non richiedeva nessuna sanzione giuridica.
D’altronde, la vita quotidiana di un bambino romano delle classi alte non
era certo segnata dal contatto con il padre e con la madre, ma dal rapporto con la
nutrice e il pedagogo, due personaggi insostituibili, cui spettava il compito di
educare e allevare i fanciulli di entrambi i sessi. I bambini amavano spesso
teneramente il pedagogo e la nutrice, e ne erano ricambiati. In un universo
familiare in cui (anche se non mancano indicazioni di segno opposto) la
tenerezza non era la regola e un bambino educato si rivolgeva al padre
chiamandolo “signore”, dalla nutrice e dal pedagogo si otteneva spesso affetto e
protezione. La storia tramanda molti casi celebri di questo attaccamento
profondo: quando Nerone, abbandonato da tutti, si dibatté nell’angoscia degli
ultimi momenti, fu la nutrice a consolarlo; dopo il suo suicidio, fu sempre lei che
ne curò la salma.
L’infanzia delle fanciulle durava molto poco: appena adolescenti andavano
in spose e venivano trattate come signore: «Vedendo che non resta loro altro da
fare se non dividere il letto con un uomo, esse si mettono in ghingheri e non
hanno più altra prospettiva»
3
. In effetti la vita di queste giovani signore si
svolgeva in una gabbia dorata dove si respirava la noia. Le stesse qualità con cui
venivano ricordate negli elogi funebri rimandano a comportamenti abituali,
tramandati da un lontano passato. «Rimase in casa, preservò la casa, filò la lana».
Certo non mancavano le eccezioni, e si sa di donne apprezzate per la loro
sensibilità artistica ed intellettuale. Ma si trattava appunto di eccezioni, guardate
con ammirazione ma anche con una punta di malcelata diffidenza. Queste donne,
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
3
Ibidem.
5così giovani e inconsapevoli, amavano i loro mariti? Dirlo è difficile e la
generalizzazione è quanto mai pericolosa.
Sulla vita intima e sui sentimenti profondi della coppia calava frequentemente un
velo di pudore. I Romani non amavano esternare i loro sentimenti e la
passionalità verso il proprio partner era ritenuta disdicevole. Un marito talmente
innamorato della moglie da baciarla spesso in pubblico suscitava sdegno e
ridicolo. Molto meglio un comportamento contenuto e composto. Ma questo velo
di pudore e l’inevitabile lacunosità della documentazione sono talvolta illuminati
da una luce intensa: gli epitaffi romani, le lettere scambiate tra coniugi e le
occasionali notazioni di qualche osservatore sociale dell’epoca testimoniano la
forza del vincolo matrimoniale e l’esistenza di durature, affettuose unioni. La
passione però restava davvero estranea alla visione del matrimonio. Nel ricordo
che un marito ha lasciato in una lunga epigrafe, vengono esaltate le virtù
tradizionali della sposa unite a quelle di un temperamento che all’amore sacrificò
tutto: «Sono rari i matrimoni che durano tanto da finire con la morte e non essere
infranti dal divorzio; noi abbiamo avuto in sorte che il nostro sia durato
quarantuno anni senza mai un’offesa […] A che rievocare le tue virtù
domestiche, la castità, il rispetto, l’amabilità, l’arrendevolezza, l’assiduità al
telaio, la religione immune da superstizione, la modestia dei gioielli, la sobrietà
del vestire…»
4
.
Ben diverso da quello delle bambine era il destino dei ragazzi. Dopo una
breve infanzia, nella tarda adolescenza, soltanto dopo il matrimonio, li aspettava
la carriera pubblica, carica di responsabilità spesso gravi.
Un fatto psicologicamente terribile e che stupiva gli altri popoli consisteva nel
fatto che un cittadino romano, finché era vivo il paterfamilias, aveva una
capacità giuridica estremamente limitata. Questo cittadino poteva pure essere un
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
4
Ibidem.
6console e condurre una guerra, un proconsole e amministratore di intere
province, ma se il padre era in vita non poteva disporre giuridicamente di un
patrimonio personale, né ereditare da terze persone. Tutto apparteneva al padre.
«I figli che abbiamo messo al mondo con matrimoni legali, sono sotto la nostra
potestà. Questo diritto è proprio dei cittadini romani: infatti quasi nessun altro
uomo ha un potere sui propri figli, simile al nostro»
5
. Il padre poteva anche
“emancipare” il figlio. L’emancipatio era uno dei modi attraverso cui si usciva
dalla famiglia: il paterfamilias rinunciava alla potestas che esercitava sul
filiusfamilias, il quale a sua volta diveniva paterfamilias, ma si trattava sempre e
comunque di una decisione presa unilateralmente dal padre e quindi di una
concessione.
«Psicologicamente, la situazione di un adulto il cui padre è in vita è
insopportabile. Non può muovere un dito senza il padre, né concludere un
contratto, né affrancare uno schiavo, né fare testamento. A queste umiliazioni si
aggiunge il rischio di essere diseredato, che è reale. Si sa d’altronde quali sono in
ogni società i caratteri della demografia prima di Pasteur: la mortalità moltiplica i
vedovi, le vedove, le donne morte di parto e i secondi matrimoni; e, poiché il
padre ha completa libertà di testare, i figli di primo letto temono una matrigna»
6
.
Non di rado, la difficile situazione psicologica del figlio adulto si manifestava
drammaticamente e c’è ragione di ritenere che il parricidio fosse più diffuso a
Roma che in altre società: «La maggiore lealtà si trovò nelle spose, qualcosa di
mezzo fu la lealtà delle schiave affrancate, non del tutto assente quella delle
schiave, uguale a zero quella dei figli, tanto male si sopporta una speranza che
tarda a realizzarsi!», scriveva Velleio Patercolo
7
.
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
5
GAIO, Institutiones.
6
VEYNE P., cit. in Giardina A., “Tutto il potere al paterfamilias”, in Storia Illustrata, n.362, 1988.
7
VELLEIO PATERCOLO, Storia romana.
7In conclusione, così come i Greci, i Romani non si sposavano per amore ed i
matrimoni erano generalmente concordati dalle famiglie sulla base di
considerazioni finanziarie o politiche. La famiglia venne, ad un certo momento,
ad assumere valore come unità politica e sociale e la sua importanza culturale
conferì nuovo significato al rapporto tra mariti e mogli, che sfociò in una
accresciuta considerazione dell’unità domestica e talvolta in un innalzamento
della posizione delle donne. Eppure, la stessa cultura che generò il primo ideale
di felicità domestica e reciproco rispetto tra uomini e donne, la stessa cultura che
istituzionalizzò elaborate forme di matrimonio, era una cultura nella quale sesso
e amore, passione e rapporti interpersonali altruistici, apparivano come poli
opposti.
L’usanza dei matrimoni precoci per le donne si mantenne a lungo.
Sant’Agostino per esempio, scelse come fidanzata, nel 384, una bambina di dieci
anni che avrebbe sposato di lì a due anni se non fosse sopraggiunta poi la
conversione. Uno dei motivi per cui venivano incoraggiate ed ammesse unioni di
questo tipo è dovuto al fatto che un marito più anziano (di dieci, venti anni) ed
esperto poteva esercitare un pieno dominio, o quasi, sulla giovane moglie che
come età apparteneva più alla sfera psicologica dei bambini che a quella degli
adulti.
Con l’avvento del Cristianesimo, le donne, e soprattutto le grandi dame
dell’aristocrazia romana, divennero le protagoniste della più radicale messa in
crisi dell’istituto familiare che l’antichità abbia conosciuto. Seguite spesso
passivamente dai loro mariti, che apparivano come rassegnati comprimari
piuttosto che come veri e propri protagonisti, queste nobili signore esprimevano
un esasperato livello di anticonformismo: liberavano gli schiavi, vendevano gli
immobili, le terre, i gioielli e li donavano alle chiese, ai monasteri, ai poveri.
Antichi patrimoni di famiglia vennero dispersi in un attimo. La carità di queste
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
8donne era una carità eversiva, che seminava lo scompiglio nell’ambiente sociale
e lacerava senza rimpianti i più stretti vincoli familiari.
La partenza di Santa Paola da Ostia verso la Palestina assume nel racconto di San
Gerolamo il tono di un’epopea dei sentimenti mistici, in cui l’amore per la
divinità trionfa sulle più profonde radici umane. La donna era già sulla nave, il
figlio più piccolo, dalla riva, tendeva le mani verso di lei, la figlia in età da
marito la supplicava di attendere almeno il giorno delle sue nozze, ma Paola
«dirige al cielo gli occhi asciutti… Ignorava in sé la madre, per provare in sé
l’ancella di Cristo»
8
. In immagini come questa si annuncia già una certa
sensibilità medievale.
Per tracciare in modo plausibile una storia sommaria e rapida della
famiglia del Medioevo, bisogna tener preliminarmente presenti due dati. Primo,
il carattere composito delle società e della cultura medievale. Secondo, la natura
largamente convenzionale dello stesso termine “Medioevo”, che in realtà non
corrisponde a nessun contenuto specifico. Il Medioevo è un periodo che va dal
sec. V al sec. XV: un millennio, troppo per poter fare generalizzazioni. Di
conseguenza, una “civiltà medievale”, un “uomo medievale”, non esistono. In
mille anni ne sono accadute una infinità, e ne sono cambiate moltissime, di cose.
Il che vuol dire che non esiste una famiglia medievale dotata in quanto tale di
proprie caratteristiche distinguibile da quella antica o da quella moderna. Il
Medioevo è un mosaico a comporre il quale concorrono gli antichi substrati pre-
romani, la fortissima eredità romana, la tradizione giudaica ridefinita e diffusa
attraverso il Cristianesimo e gli apporti originali dei cosiddetti popoli “barbari”; a
questa varietà storica e etnica, si accompagna una non meno ampia varietà
geografica.
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
8
GIARDINA A., 1988, op. cit.
9Alcuni dati di partenza rimangono ben solidi. Anzitutto l’influenza della Chiesa,
che a partire dal IV secolo ha potentemente influito sullo sviluppo delle
istituzioni familiari lottando contro il divorzio, l’endogamia (e favorendo anzi
una tesi secondo la quale la consanguineità, e quindi il divieto di nozze pena
l’incesto, si estendeva fino al settimo grado di parentela), l’infedeltà coniugale e
la limitazione delle nascite (che all’epoca consisteva prevalentemente
nell’infanticidio). La graduale trasformazione del matrimonio in sacramento ha
inciso nettamente sulla trasformazione del concetto stesso di famiglia dal modo
antico di intenderla (complesso delle persone, imparentate o legate da rapporti di
servizio, viventi sotto lo stesso tetto) a quello moderno (struttura sociale e
psicologica di base della società, caratterizzata dai rapporti di sangue e dalla co-
residenza).
Nella cultura germanica e celtica, per esempio, venne istituita una nuova
struttura familiare, fortemente legata al territorio che controllava e in cui operava.
Si trattava di gruppi nei quali vigeva un sistema bilineare, cognatizio, nei quali
avevano peso i rapporti di parentela sia di linea maschile che femminile.
D’altronde, in questa cultura si possono riscontrare segni di un ruolo interessante
della donna. All’interno della rete familiare più ampia, avevano grande influenza
le unità familiari di tipo monogamico. Questa loro autonomia traspariva in
maniera evidente nel meccanismo delle doti e delle eredità, che venivano divise
in maniera uguale tra tutti i figli di una stessa coppia. All’interno di ciascuna
Kleinfamilie, comunque, il padre esercitava su moglie, figli e servi un’autorità
simile a quella di epoca romana. Con il matrimonio, la donna passava dalla
potestà del padre a quella del marito, anche se il sistema delle doti e dei doni
maritali la favoriva assegnandole una percentuale sul patrimonio del marito. Si
assiste dunque in quest’epoca a una generale regolamentazione delle strutture
familiari.
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
10
Ma la vera “rivoluzione familiare” del Medioevo si ebbe dall’XI secolo in poi.
Nell’XI secolo il mondo feudale e la Chiesa, in stretto rapporto tra loro,
elaborarono un nuovo assetto familiare alla base del quale stava un’esigenza:
quella del consolidamento del lignaggio e del relativo patrimonio, che conduceva
a una differenziazione dei figli nella distribuzione dell’asse ereditario e a una
progressiva perdita del ruolo femminile. Si affermava allora con forza il principio
patrilineare: fulcro del sistema familiare divenne l’asse padre-primogenito, il che
obbligava i figli cadetti alla ricerca di altri sbocchi o verso l’avventura
cavalleresca. Nacquero così le dinastie, regolate dalla genealogia e dall’araldica.
La monogamia, la crescente moralità, lo sviluppo di una teologia e di un diritto
canonico del matrimonio, configurarono un nuovo tipo di famiglia. Il matrimonio
era essenzialmente considerato un’istituzione politica ed economica, benché la
Chiesa avesse dichiarato che era un sacramento senza soluzione di continuità e
ne gestisse il consenso, ed eventuali divorzi e nuovi matrimoni dovessero essere
autorizzati con una dispensa papale
9
.
In Italia il sistema familiare dinastico non si affermò se non nei ceti alti. Al
contrario si affermò un differente modello, il consorzio. Presupposto del sistema
consortile era il principio secondo il quale ciascun figlio maschio dovesse
accedere a una uguale porzione dell’asse ereditario e non si adottavano quindi
misure privilegianti il primogenito. Con l’affermarsi delle attività commerciali,
imprenditoriali e manifatturiere, il sistema flessibile della ripartizione delle
eredità senza dubbio polverizzava i patrimoni e quindi il prestigio dei lignaggi,
ma consentiva alle singole famiglie di cercare ciascuna la propria strada verso il
successo nella vita. Di conseguenza, la vita cittadina favoriva per certi versi la
frammentazione dei grossi nuclei familiari mentre quella di campagna tendeva a
mantenere una certa coesione. Questa resistenza all’affermarsi, almeno formale,
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
9
BRANDEN N., La psicologia dell’amore romantico, SugarCo, Carnago, 1992.
11
del principio della famiglia monocellulare, coniugale, si coglie in molti
documenti tardo-medievali. In quest’epoca si parla della famiglia come di un
insieme “patriarcale”, che riunisce padre, madre, fratelli, sorelle, nuore e nipoti.
Si afferma poi il principio della patrilinearità. All’interno della famiglia, si
raggruppavano parenti in linea maschile. All’interno di una famiglia
mononucleare, il numero dei componenti poteva oscillare. Se è vero che le donne
restavano spesso incinte, è anche vero che fra gravidanze fallite e bambini che
non riuscivano a superare i primi anni di età, solo pochi figli raggiungevano l’età
adulta. La differenza di età tra i coniugi creava all’interno della famiglia equilibri
differenti da quelli attuali. Il padre anziano, autorevole, restava un’entità lontana
per la stessa moglie. Meccanismi mentali ma anche sociali, come la gelosia e
quindi il brutale controllo familiare sulle giovani donne da parte dei membri
maschili o delle donne anziane della famiglia, potevano rendere il clima
all’interno delle dimore medievali anche molto duro
10
. D’altronde, sposate
giovani a uomini più anziani di loro, le donne restavano spesso vedove. E allora
preferivano, anziché restare sotto la pesante tutela di un nuovo marito o tornare
sotto quella, non meno ingrata, della famiglia d’origine, consorziarsi tra loro
sotto la tutela della Chiesa.
Certo è che ricostruire la vita affettiva della famiglia medievale è difficile.
Philippe Ariès ha dichiarato che fino al tardo Medioevo l’affetto per i figli era
praticamente sconosciuto. «In precedenza i sentimenti non erano polarizzati ma
diffusi verso un numero di oggetti naturali e soprannaturali incluso Dio, i santi, i
genitori, i bambini, gli amici, i cavalli, i cani, gli orti e i giardini. In seguito
saranno focalizzati interamente nell’ambito della famiglia»
11
. Allora più che mai
il matrimonio era tenuto insieme da considerazioni concrete; perciò, benché non
Capitolo Primo Il padre e la famiglia dalle origini ai nostri giorni
10
CARDINI F., “E vennero le dinastie”, in Storia Illustrata, n.362, 1988.
11
ARIÈS P., The Family and the City, Spring, New York, 1977.