Introduzione
5
fondo è che il pack, al di là di proteggere e contenere, si trovi oggi ad esercitare
un ruolo essenziale di interfaccia comunicativa, permettendo ai prodotti di
giungere più facilmente alle percezioni del consumatore. Di fronte ad una
situazione di iperscelta da un lato, e di standardizzazione dall’altro, c’è bisogno
di una differenziazione aggiuntiva, che sia estetica, comunicativa, tecnologica e
funzionale al tempo stesso, quel qualcosa in più che sia in grado di catalizzare
l’attenzione del consumatore e orientarlo all’acquisto. Ecco che in questo senso
il packaging rappresenta uno strumento potente, in grado di creare un ponte tra
forma e sostanza delle merci, comunicando attraverso il visivo un mondo
interiore.
Il packaging è entrato a pieno titolo nelle strategie di marketing,
diventando parte integrante del sistema-prodotto. Accanto alle valenze tecnico-
funzionali, l’imballaggio risponde ad una serie di funzioni comunicative che
vanno ad integrare il contenuto di valore del prodotto stesso. Attraverso la
scelta della confezione, la componente verbo-iconica del packaging,
l’accostamento dei colori e delle forme, un’azienda può costruire e rafforzare la
corporate image, dare informazioni preziose sul prodotto, trasmettere il valore
della marca, comunicare emozioni, far vivere esperienze.
Il tema si offre a considerazioni e sviluppi di notevole rilievo. Se negli
anni Cinquanta il packaging era in cerca di legittimazione, oggi è entrato in una
fase matura e si trova al centro di interessanti questioni distributive e
comunicative. Nell’ambito della distribuzione, si sono sviluppati negli ultimi anni
nuovi canali di vendita, che inevitabilmente pongono degli interrogativi sul ruolo
del packaging. Ci si chiede infatti se, nell’era virtuale di Internet, il packaging
abbia ancora senso come momento di dialogo nella filiera produttore-
distributore e le pagine a seguire, soprattutto l’analisi del caso aziendale,
offriranno spunti di risposta. Inoltre, bisogna considerare che si stanno
progressivamente riconfigurando le dinamiche comunicative, soprattutto in
relazione all’affermarsi della comunicazione integrata, pertanto anche il
packaging deve sapersi inserire in un progetto unitario e coerente.
Oltre che per le trasformazioni in materia di distribuzione e
comunicazione, il packaging è diventato argomento di grande attualità, per la
crescente attenzione delle imprese alla responsabilità sociale e all’impatto
ambientale. I contenitori, infatti, realizzati in ingenti quantità e spesso con uno
Introduzione
6
spreco evidente di materiali, sono oggi una delle cause maggiori di
inquinamento ambientale; pertanto, nel futuro prossimo, si troveranno
avvantaggiate quelle aziende che sapranno gestire la sfida ecologica del
packaging, cercando tuttavia di mantenerne immutate le potenzialità
comunicative.
E’ doveroso sottolineare che non si tratta di una tesi sull’imballaggio, ma
sul packaging. La precisazione mira non tanto a creare delle inutili sottigliezze
terminologiche, quanto ad individuare un preciso ambito disciplinare che ruota
attorno alla comunicazione. I due termini, molto spesso usati indistintamente,
pur definendo lo stesso oggetto, hanno una diversa intenzionalità. Il termine
imballaggio, dal francese emballage, individua la “tecnica di disporre le merci
entro contenitori per la spedizione, il magazzinaggio e la vendita. Cassa o
pacco o altro materiale con cui viene confezionato il prodotto finito per la
spedizione
1
”; pertanto con questo termine ci si riferisce in modo particolare agli
aspetti funzionali, protettivi e tecnici della confezione, sottolineando l’apporto
alla catena logistica e distributiva. Il termine packaging invece ha un diverso
universo semantico di riferimento, orientato alle sfumature comunicative ed
espressive. Esso si allaccia non tanto alle procedure industriali di
confezionamento, quanto alla nozione stessa di marketing.
E’ opportuno parlare di packaging quando, al di là delle caratteristiche
tecnico-funzionali dell’involucro, si analizzano le qualità sensoriali, la capacità
persuasiva e seduttiva, i registri linguistici, la comunicazione grafica e visiva,
l’immaginario semantico sviluppato. Imballaggio e packaging sono termini simili
ma non coincidenti. “Da un lato vengono riconosciuti valori come:
conservazione, compatibilità con il contenuto, scelta dei materiali e loro
specificità (…); dall’altro invece ci si riferisce a valori quali la capacità di allerta,
l’attrazione esercitata sul consumatore (…), il contenuto di servizio (Bucchetti,
1999: 22). Pertanto, nel corso della trattazione, pur non abolendo il termine
imballaggio, utilizzeremo prevalentemente il termine anglosassone che ha una
valenza più estesa e si adatta meglio al nostro campo di riflessione.
1
Dalla voce “imballaggio” de Il nuovo Zingarelli (1984), Zanichelli, Bologna.
Introduzione
7
Quello del packaging è un ambito poco esplorato; alla odierna maturità
del settore non corrisponde oggi un’altrettanto maturo sviluppo teorico. Se si
esclude qualche caso piuttosto recente
2
, gli esempi più interessanti di
riflessione critica sul packaging arrivano dalla Francia e dall’Inghilterra. L’Italia
si è a lungo limitata a qualche modello di manualistica e, solo ultimamente, ha
cercato di colmare questo vuoto teorico e critico. Emblematica di questa inedita
attenzione al packaging è la nascita, nel 2002, della rivista semestrale Impackt,
dedicata, come recita il sottotitolo, a contenitori e contenuti, e finalizzata a
coprire un settore trascurato nel campo dell’arte, dei consumi e dell’industria. In
generale, il tema offre una scarsa letteratura di riferimento, soprattutto in
relazione al fatto che si tratta di argomenti di recente interesse.
Per quanto riguarda l’analisi del packaging, abbiamo utilizzato studi di
matrice anglosassone e alcune interessanti riflessioni critiche italiane e francesi,
mentre per indagare il tema del lusso ci siamo affidati prevalentemente alla
letteratura italiana di riferimento, pur prestando attenzione alle più recenti
analisi d’oltreoceano
3
. La difficoltà di reperire una bibliografia organica è stata,
in qualche modo, accentuata dalla natura stessa dell’argomento di analisi, che
impone un percorso multidisciplinare e divagante.
Il packaging del lusso si offre ad essere indagato attraverso diversi piani
d’analisi, poiché in esso si fondono una vasta gamma di valenze appartenenti a
funzionalità diverse. Esso è allo stesso tempo comunicazione e funzionalità,
tecnologia e arte, forma e sostanza. La complessità dell’argomento nasce dalla
continua intersecazione di stimoli provenienti da universi differenti: il mondo
della comunicazione e delle strategie di marca, le trasformazioni interne al
sistema distributivo, il progresso tecnologico e le innovazioni di prodotto, le
tecnologie dei materiali e del confezionamento, la sfida ecologica. Gli spunti di
riflessione e le possibili linee interpretative sono molteplici e risulta piuttosto
difficile restituire la complessità e la ricchezza semantica dell’argomento.
Partendo dalle potenzialità comunicative del packaging del lusso, abbiamo
cercato di analizzare i diversi aspetti del tema, spaziando dal design all’estetica,
dalla gestione della marca alla questione ecologica. Il lavoro ha pertanto un
taglio volutamente multidisciplinare, che cerca di abbinare le nozioni di
2
Vedi Bucchetti (1999) e Ferraresi (1999).
3
Vedi Silverstein, Fiske (2004).
Introduzione
8
marketing, con studi di semiotica, analisi sociologiche, riferimenti all’arte e
all’industrial design; nella speranza che tale visione articolata e multiforme
rappresenti un arricchimento e non un limite.
L’elaborato si snoda lungo un percorso di progressiva specificazione, che
esplora dapprima l’universo del packaging in generale e in un secondo
momento analizza in maniera particolareggiata la sua declinazione all’interno
del mercato dei beni di lusso. Il lavoro è organizzato in tre parti: le prime due
destinate ad una trattazione generale sul tema del packaging del lusso, la terza
dedicata all’approfondimento attraverso l’esempio pratico di un caso aziendale,
analizzato a partire da alcune categorie concettuali precedentemente sviluppate
dal punto di vista teorico.
Il primo capitolo si propone di inquadrare il packaging secondo una
prospettiva più prettamente storica. Partendo dalle prime embrionali confezioni
realizzate per la vendita al dettaglio a metà Ottocento, vengono percorse a
ritroso le tappe della progressiva affermazione del packaging nello scenario del
consumo moderno. Dai primi empori commerciali alla nascita del supermercato
moderno, si delinea la naturale evoluzione dall’imballaggio al packaging,
sempre più protesi comunicativa e appariscente. Tale analisi viene
contestualizzata all’interno del più generale processo di spettacolarizzazione
che ha coinvolto le merci negli ultimi due secoli, dalle esposizioni universali alla
società dei consumi del dopoguerra, in relazione all’accentuarsi delle forme
dell’apparire e alla nascita di nuove logiche distributive e di consumo.
Il secondo capitolo, ancora improntato ad un inquadramento generale del
tema, è incentrato sul ruolo del packaging dal punto di vista aziendale e di
marketing. Delineato il concetto stesso di packaging e il suo duplice ruolo di
“macchina logistica” e di “macchina comunicativa”, viene analizzato il suo
coinvolgimento all’interno del marketing mix. Il packaging moderno, infatti,
delegato di nuove responsabilità comunicative e di vendita, assume un ruolo di
raccordo tra le diverse leve operative: è contemporaneamente elemento
decisivo nella strategia di prodotto, supporto alla catena logistica e distributiva e
potente strumento della comunicazione.
La seconda parte dell’analisi è dedicata più specificatamente al
packaging del lusso, ovvero alle diverse strategie creative e comunicative che
Introduzione
9
l’involucro sperimenta in questo determinato settore merceologico. L’universo
del lusso viene esplorato sulla base di alcune tendenze della contemporaneità,
evidenziando da un lato l’estetica come progetto di consumo e dall’altro il nuovo
statuto immateriale e simbolico della merce. Il terzo capitolo è dedicato
all’esplorazione del mercato dei beni di lusso, con un’attenzione particolare a
come lo stesso concetto di lusso si sviluppa e diversifica. L’analisi si snoda
lungo un percorso dapprima diacronico attraverso i diversi stadi evolutivi del
lusso nel corso dei secoli, dall’ostentazione sfarzosa al gusto raffinato della
misura, dalle forme esibizionistiche dell’apparire ai nuovi lussi immateriali. In un
secondo momento, si esamina il mercato del lusso da un punto di vista
sincronico, sulla base di alcune tendenze macroscopiche del consumo
postmoderno. Da un lato si evidenzia il progressivo estendersi dei consumi di
lusso, ad abbracciare fasce di popolazione sempre più ampie e aree
geografiche sempre più larghe; dall’altro, si sottolinea la contemporanea
inclinazione verso un lusso sempre più alto, unico, personalizzato.
Il quarto e il quinto capitolo riportano il tema del lusso a quella che
Carmagnola (1991) definisce la “svolta estetica postmoderna”, ovvero a quella
tendenza pervasiva del Bello di entrare nello scenario del consumo attraverso
le merci. Il packaging del lusso viene analizzato all’interno di questo inedito
paradigma estetico, che muove da premesse filosofiche e storiche per poi
contaminarsi con l’arte, il design, la sensorialità. La confezione, con le sue
forme e i suoi colori, diventa promessa visiva di un valore che oscilla tra
preziosità materiale e immateriale e il sistema-packaging diventa mezzo di
espressione di un dirompente bisogno estetico, nel senso esperienziale del
termine.
Il sesto capitolo si interroga sulle possibilità del packaging di partecipare
alla strategia di marca, ovvero di integrarsi con la molteplicità di forme della
comunicazione al fine di creare delle identità di marca coerenti ed efficaci. Nel
comparto dei beni di lusso, la comunicazione di marca diventa essenziale per
veicolare il proprio mondo valoriale e anche il packaging può contribuire a
tradurre questi valori in immagini visive.
La terza parte della tesi è dedicata allo studio di uno specifico caso
aziendale, particolarmente originale e degno di nota. L’azienda presa in esame
è la Pianezza Paolo s.r.l., piccola impresa lombarda della seta che si distingue
Introduzione
10
nel panorama del lusso per un progetto di packaging singolare e innovativo. Il
settimo capitolo analizza l’azienda e la sua evoluzione da studio di design
tessile a produttrice e venditrice di accessori in seta, l’ottavo invece si concentra
specificatamente sul packaging utilizzato dall’azienda per confezionare la
propria produzione di cravatte e foulard. L’intera trattazione utilizza come
categoria semantica di riferimento la narrazione. L’idea di fondo, infatti, è che
oggi le aziende, spinte ad una concorrenza sempre più spietata, cerchino di
convolgere il consumatore attraverso la dimensione narrativa del prodotto e
della marca. Il packaging Pianezza è costruito in questo senso come una
speciale “macchina narrativa” in grado di raccontare una storia di lusso, tra
passato e futuro, tra globale e locale.
Introduzione
11
Ringrazio il Prof. Marco Bettiol per avermi seguito con attenzione e
disponibilità durante il percorso di tesi, guidandomi nella difficile scelta del tema
e frenando in corso d’opera certe mie “intemperanze linguistiche e semantiche”;
un doveroso ringraziamento alla Dott.ssa Maria Zemira Nociti, consulente
dell’Istituto Italiano Imballaggio, senza i cui suggerimenti il lavoro avrebbe
sicuramente perso di concretezza.
L’ultima parte della tesi, dedicata specificatamente all’analisi del caso
aziendale è stata possibile grazie alla preziosa collaborazione dell’azienda
Pianezza, che mi ha permesso di entrare nel proprio universo creativo e
produttivo, fornendomi informazioni e materiale aziendale. Ringrazio il Dott.
Paolo Pianezza per avermi fatto conoscere la sua piccola ma intraprendente
azienda e un grazie particolare al Dott. Michele Pianezza per avermi dedicato
tempo ed energie, offrendomi, attraverso le sue parole, una chiave di lettura
originale per rileggere il lusso e il packaging.
12
PARTE PRIMA
DALL’IMBALLAGGIO AL PACKAGING:
PROSPETTIVA STORICA E DINAMICHE EVOLUTIVE
DEL MONDO DEL CONSUMO
Capitolo Primo
13
Capitolo Primo
L’affermazione del packaging nello scenario del consumo
1.1 Alle origini dell’imballaggio: storia e funzioni
Il packaging, così come lo intendiamo oggi, è fortemente radicato nella
“cultura della merce” del XX secolo; tuttavia per ritrovare le origini
dell’imballaggio, nelle sue primitive funzioni di contenitore, non basta percorrere
a ritroso le tappe dell’industrializzazione e della modernità, ma è necessario
tuffarsi nel passato più remoto, laddove zucche, conchiglie, tronchi cavi e organi
animali fungevano da primi e rudimentali recipienti. Volli (2001: 12) ha
individuato alcune tra le forme più antiche e pionieristiche di imballaggio:
Chi visiti un qualunque museo di una civiltà antica badando agli
oggetti quotidiani esposti e non solo ai grandi simboli culturali e
artistici, vi troverà sempre grande abbondanza di contenitori, più o
meno preziosi: fiale per i profumi, scatole per unguenti, cassapanche
e urne, bottiglie e scatole. Ancora più antichi sono gli imballaggi per
materiali sfusi o liquidi, senza cui non è possibile nessuna agricoltura:
giare e bisacce per i semi, anfore per l’olio e il vino, reti per la cacciagione e la
frutta, ceste di vimini. Senza questi oggetti, inventati per delimitare lo spazio fra un
interno e un esterno e per racchiudere al sicuro dentro di sé il prodotto del lavoro
umano, è difficile concepire anche la civiltà più semplice.
Dalla preistoria ad oggi le tecnologie del contenimento hanno saputo
evolversi continuamente alla ricerca di tecniche e materiali sempre più efficaci
per contenere, proteggere e conservare. Nell’8000 a.C. s’iniziano a produrre
oggetti e gioielli in oro, rame e argento e, a partire dall’Età del Rame, si sviluppa
la metallurgia; risale però al 3000 a.C. il primo materiale prodotto dall’uomo: la
ceramica. A partire da questo momento l’ingegno e l’abilità umana hanno
permesso di arricchire continuamente la gamma dei materiali e dei manufatti a
disposizione per l’imballaggio: dal vetro dei Fenici alla carta inventata in Cina,
passando per le casse di legno utilizzate dai Romani per trasportare le merci.
Capitolo Primo
14
Fin dai tempi più antichi, il contenitore oscilla tra la necessità di coprire e
il desiderio di svelare, in quel gioco dialettico tra dentro e fuori, tra forma e
sostanza, ancora oggi così attuale
4
. Tuttavia, finché la società rimarrà legata ad
una struttura tradizionalmente rurale, dedita all’autoproduzione e
all’autoconsumo, sarà ancora molto arduo cercare le origini del packaging
moderno.
Gli imballaggi - bottiglie e recipienti di vetro, sacchi in tessuto, giare di
terracotta e barili – sono quasi tutti riutilizzabili e rispondono più alla necessità
di immagazzinare i prodotti della terra che a quella di trasportarli e venderli sul
mercato. Si tratta più di recipienti che di veri e propri imballaggi. Sarà con la
commercializzazione crescente dei prodotti e la conseguente necessità di
trasportarli dal luogo di produzione a quello di vendita che il concetto di
imballaggio si evolverà per rispondere alle esigenze di cura e protezione delle
merci (Volatier, 1994: 9-11).
Le prime forme di beni confezionati per il dettaglio risalgono a metà
Ottocento, quando tuttavia il commercio urbano è ancora affidato ai tradizionali
empori, dove la merce è prevalentemente artigianale e il servizio affidato alle
mani di esperti bottegai (Danton de Rouffignac, 1990: 1-3). E’ appunto nel XIX
secolo, con la rivoluzione industriale, che si assiste allo sviluppo del commercio
al dettaglio secondo le strutture urbane preesistenti; nelle botteghe fanno
capolino per la prima volta merci arrivate attraverso la distribuzione
4
Per una trattazione più completa si rimanda a Hine T. (1995), The total Package, Little, Brown and
Company, Boston.
Bottega di primizie
nella Milano
dell’Ottocento.
Capitolo Primo
15
commerciale, trasportate in grandi contenitori per essere poi vendute a peso. I
primi imballaggi hanno, infatti, lo scopo di proteggere i prodotti e facilitarne il
trasporto.
Il bottegaio, all’arrivo della merce, toglieva ogni imballo ed esponeva il
prodotto “nudo” e non ancora diviso in quantità adatte al consumo; quando poi il
cliente sceglieva la merce e ne decideva la quantità, il venditore, da dietro il
bancone, si premuniva di “confezionarla” creando “un impacco molto
provvisorio e adattabile (un cartoccio per le olive, un sacchetto per il pane, un
foglio di carta per il sapone)” (Volli, 2001: 18). “Le prime confezioni, infatti,
emergono quale prima acerba evoluzione degli involucri di carta oleata che
servivano ai negozianti per raccogliere la merce sfusa difendendola dagli agenti
esterni” (Ferraresi, 1999: 16).
Verso il 1820 i negozi inglesi espongono i primi cibi in scatola; d’allora in
poi si susseguono nel corso del secolo e, in maniera più articolata e importante
nel Novecento, una serie di invenzioni e migliorie ai materiali, ai macchinari, alle
tecniche industriali, che hanno arricchito la gamma degli imballaggi e
perfezionato la protezione e la conservazione dei prodotti. Non è nostra
intenzione stilare un trattato tecnico e ingegneristico sull’evoluzione delle
tecnologie del confezionamento, né tanto meno ripercorrere la storia dei
materiali; tuttavia l’evoluzione del packaging, nel suo connubio di funzionalità
tecniche e comunicative, si configura come un percorso articolato e complesso
che intreccia campi d’indagine apparentemente lontani e distinti, dei quali alcuni
più espressamente tecnici che non possono essere sottovalutati. Come
sostiene Bucchetti (2001: 62-63):
Si deve quindi considerare come l’imballaggio sia giunto alle sue forme attuali
attraverso una frequentazione continua del percorso evolutivo delle tecnologie dei
materiali e del confezionamento. Un percorso nel quale è possibile leggere i
sedimenti delle fasi che lo hanno preceduto. I materiali hanno subito evoluzioni
significative, modificando le possibilità di impiego e allargando il proprio raggio di
applicazione a nuovi segmenti, “inventando” nuove soluzioni, “rubando” il segreto
ad altri settori e trasferendolo così da un materiale ad altro, in un movimento di
continuo progresso tecnologico. Tecnologia dei materiali, soluzioni progettuali,
innovazioni di prodotto sono così divenute reciprocamente causa ed effetto dei
cambiamenti.
Capitolo Primo
16
Alcuni studi (Danton de Rouffignac, 1990) attribuiscono il primo
imballaggio all’industriale francese Nicolas Appert che, all’inizio del
diciannovesimo secolo (1810), inventa un procedimento per conservare il cibo
confezionandolo in contenitori di vetro sigillati e sterilizzati. L’invenzione
risponde alla richiesta dell’imperatore Napoleone, il quale, stanco di sprechi,
emana un bando di concorso per la progettazione di un metodo valido di
conservazione del rancio delle sue truppe. In realtà sarà l’inglese Peter Durand,
nello stesso anno, a brevettare l’idea di Appert sostituendo il vetro con la più
efficace latta. L’invenzione attraversa rapidamente l’oceano, dove cominciano a
fioccare brevetti affini fino ad arrivare nel 1825 alla prima lattina per alimenti
brevettata da Thomas Kensett negli Stati Uniti.
Una delle forme di confezionamento primario ancora oggi molto
utilizzata, soprattutto per la sua ecocompatibilità, sono i sacchetti di carta. Il
merito della loro diffusione va ricondotto a Charles Stillwell, il quale nel 1883
brevetta una macchina in grado di fabbricarli, dotandoli di un fondo piatto
rinforzato per permettere alla confezione di autoreggersi.
Di grande portata è anche l’invenzione introdotta dallo svedese Ruben
Rausing all’inizio degli anni Cinquanta: il Tetra Standard, un cartone per liquidi
a forma di tetraedro costituito da carta comune plastificata, resa perciò
impermeabile e termosaldabile. Si tratta di un tubo di polietilene, riempito in
modo asettico di liquido e saldato in linea con due saldature successive
orientate perpendicolarmente. L’idea di Rausing rispondeva alla necessità di un
contenitore leggero, economico e usa e getta che ben si adattasse alle
esigenze della grande distribuzione alimentare, che pian piano stava prendendo
piede anche in Europa.
Primi contenitori di vetro, sigillati e sterilizzati, per la conservazione degli alimenti.
Capitolo Primo
17
Un’altra scoperta che ha aperto la strada ad una nuova concezione del
confezionamento (sviluppata poi negli anni Sessanta con i film plastici) è il
cellophane. Questo film di cellulosa trasparente, brevettato in Francia nel 1908
per opera del chimico svizzero J.E. Brandenberger, trova, dopo la seconda
guerra mondiale, il suo impiego più innovativo come packaging di tanti prodotti
della grande distribuzione. Il cellophane, con la sua trasparenza e quindi per la
visibilità concessa ai prodotti stessi, anticiperà il ruolo del PVC e del polietilene.
Saranno le materie plastiche, infatti, a guidare la rivoluzione nelle forme
di confezionamento dei prodotti. La plastica, con la sua versatilità, ha saputo
adattarsi agli usi più disparati, piegandosi alle esigenze di qualsiasi merce e,
superate certe resistenze culturali, ha
gradatamente soppiantato il vetro e gli
altri materiali. Basti pensare alla
bottiglia di plastica creata negli anni
Sessanta in pieno boom delle materie
sintetiche, all’insegna dell’usa e getta:
nata inizialmente per contenere acqua
naturale si è successivamente imposta
anche nel mercato delle bibite gassate, grazie allo sviluppo di materie plastiche
di alta tecnologia, assolutamente impermeabili ai gas (Picchi e Strina, 1994: 30-
50).
Certi imballaggi, inventati sulla base di intuizioni veloci, si sono poi
affermati nel tempo grazie a modifiche successive e ad accorgimenti dettati
dalle esigenze pratiche e dall’uso quotidiano. Un caso è quello del tubetto di
Ruben Rausing, Tetra Pak, 1955.
L’industriale svedese inventa il
rivoluzionario ed economico
contenitore di cartone plastificato, di
forma tetraedrica, per il latte e le altre
bevande.
Capitolo Primo
18
alluminio, dotato negli anni Cinquanta di un tappo profondo, piatto, di plastica,
del diametro della spalla del tubo, che gli permette di rimanere in piedi. Altra
miglioria rilevante è quella apportata alle lattine che, negli anni Sessanta,
vengono munite di una linguetta a strappo che ne facilita l’apertura.
Storia di invenzioni e innovazioni tecniche, storia di uomini ingegnosi e
idee vincenti, quella del packaging diventerà poi anche una storia di marche,
nomi storici dell’industria, in primis alimentare, che introdurranno nel mercato
cambiamenti di portata notevole, approfondendo passo dopo passo le loro
iniziali intuizioni. E’ il caso del farmacista Henry Nestlé che iniziò realizzando
manualmente scatole di una particolare farina (la Farina Lattea Nestlé) o di
Justus Liebig che diede origine, a metà Ottocento, ad un’emblematica
confezione per il suo Extractum carnis costituita da un vaso con capsula ed
etichetta con la firma J. Liebig in azzurro.
Certe forme inizialmente anonime e interscambiabili, nel corso degli anni,
aderiranno in maniera sorprendente a certi prodotti tanto da diventare una
seconda pelle. La storia del packaging, nelle mani di abili industriali, diventerà
una storia di prodotti-simbolo, le cui confezioni saranno
talmente rappresentative nelle forme e nei colori da
diventare modello di riferimento per l’intera categoria
merceologica. Si tratta di prototipi forti e riconoscibili,
dove la forma si fonde con il prodotto e la marca, in un
connubio armonico difficile da scindere. “Si pensi
all’Heinz Tomato Ketchup, ai biscotti della Lazzaroni o a
quelli inglesi della Huntley & Palmers, alla Coca-Cola,
alle conserve Cirio, al cacao Banania o alla pasta Barilla” (Bucchetti, 2001: 57).
Capitolo Primo
19
1.2 Tra palco e realtà: lo spettacolo della merce
Al di là del progresso tecnico, dell’evoluzione dei materiali, delle scoperte
scientifiche e industriali in campo di imballaggio, che pure sono una
precondizione importante, il packaging contemporaneo, sempre più protesi
comunicativa e spettacolare del prodotto, trova le sue radici nella cruciale
trasformazione degli oggetti in merci di fine secolo. E’ in questo passaggio
decisivo che si ritrovano le origini di quella particolare condizione descritta
come feticismo della merce. “Le merci infatti >da questo momento in poi ≅ non
sono >più ≅ beni prodotti per autoconsumo, né oggetti strumentali collettivi. Il loro
destino è di essere trasportate dal luogo di produzione a un luogo di mercato, di
esservi esposte ed acquistate” (Volli, 2001: 15). I mercati acquisiscono la
struttura di “realtà fisicamente complesse” dove i nuovi prodotti-merce vengono
“esposti come spettacoli sociali e competono, prima ancora che per l’acquisto,
per l’attenzione di colui che viene definito secondo la sua funzione economica,
consumatore” (Volli, 2001: 16).
E’ proprio nel secolo scorso che, con le esposizioni universali, s’iniziano
a delineare i caratteri peculiari che segneranno irreversibilmente quello che
Bucchetti (1999) definisce “il processo delle forme dell’apparire”. Per la prima
volta le merci vengono messe in mostra, esposte una accanto all’altro ed
ostentate come simboli evidenti del progresso sociale; nascono luoghi appositi
in cui valorizzarle nella loro dimensione estetica, creando una sorta di
competizione tra modalità di spettacolarizzazione. Le merci diventano attori
Cacao Banania e Coca Cola:
esempi pluridecennali di
packaging-icona.
Capitolo Primo
20
sociali, ai quali viene fornito uno spazio scenico in cui esibirsi, attraverso
eterogenei apparati comunicativi (Bucchetti, 1999: 32).
Di fronte alla necessità di stupire e meravigliare, le merci hanno dovuto
amplificare “la loro natura di oggetti visibili, la loro particolare forma di
comunicazione che procede per ostensione” (Codeluppi, 2000: 1), affinché il
pubblico potesse vedere con i propri occhi i frutti migliori del progresso
occidentale. Esposto in bella mostra come un’opera d’arte, “l’oggetto deve
emergere attraverso i propri attributi, deve passare attraverso il senso della
visione, deve per questo attrezzarsi ed essere, in primo luogo, fruibile
visivamente” (Bucchetti, 1999: 33).
A partire dal 1851, per circa cinquant’anni, si susseguono oltre 250
grandi esposizioni di respiro universale, che mostrano al mondo intero le
meraviglie della scienza e della tecnica; nate principalmente con l’intento
pedagogico di informare le nuove masse urbane, diventano successivamente
“enormi contenitori di merci”, in concorrenza tra loro in quanto a grandiosità e
magnificenza (Codeluppi, 2000: 60-61).
Con l’esposizione di Londra del 1851 e quella successiva di Parigi del
1867 si pongono le basi di un nuovo modo di rapportarsi con la merce; il valore
d’uso passa in secondo piano e il valore di scambio assume un ruolo dominante
nella determinazione dei rapporti tra le cose e le persone. Del resto, questa
nuova sensibilità nel rapportarsi con i beni di consumo, “che è
fondamentalmente di tipo scopico, poiché si basa soprattutto sulla grande
capacità d’impatto della comunicazione visiva, sull’apparenza e sull’immagine”
(Codeluppi, 2000: 65), era già stata messa alla prova con lo sviluppo dei
passages parigini, eleganti gallerie di negozi, dove le luci e lo sfavillio della
Parigi dorata si sposavano con lo spettacolo delle merci esposte nelle vetrine
dei negozi.
Le merci, dotate per la prima volta di autentiche “code di pavone”, in un
secondo tempo, scendono dai “palcoscenici” delle grandi esposizioni, e
cominciano ad esibire i loro apparati comunicativi e seduttivi tra le gente, nel
caotico mondo urbano di ogni giorno; raccontate sui muri delle città attraverso
le affiche ottocentesche, spettacolarizzate nelle pubblicità poste sulle carrozze
dei mezzi di trasporto pubblico, valorizzate all’interno delle grandi e luminose
vetrine dei negozi moderni (Bucchetti, 1999: 33-34). Tale modello di visibilità,
Capitolo Primo
21
reiterato in tanti modi, lo vedremo sfociare, a distanza di un secolo dalle
esposizioni universali, nel sistema della grande distribuzione, dove a competere
non sono più modelli di progresso, ma agguerrite aziende in concorrenza sul
mercato.
Questa necessità della merce di rendersi oggetto visibile, attraverso
apparati sempre più sofisticati sui quali costruire la propria immagine e
comunicazione, è una questione più volte sottolineata da Baudrillard (1987),
che parla in tal proposito di oscenità “del visibile, del troppo visibile, del più
visibile del visibile”; “l’oscenità di ciò che non ha più segreti, ed è
completamente solubile nell’informazione e nella comunicazione”. Baudrillard
(1987: 39) distingue tra merce e oggetto:
L’oscenità della merce dipende dal fatto che essa è astratta, formale e leggera, in
opposizione alla pesantezza, all’opacità, alla sostanza dell’oggetto. La merce è
leggibile: in opposizione all’oggetto che non svela mai completamente il proprio
segreto, la merce manifesta sempre la propria essenza visibile, il proprio prezzo.
Essa è il luogo formale della trascrizione di tutti gli oggetti possibili: per il suo
tramite, gli oggetti comunicano – la forma merce è il primo grande medium del
mondo moderno.
Il packaging contemporaneo ha in sé tutte le prerogative che
appartenevano alle ottocentesche forme di esibizione delle merci: volontà di
stupire, persuadere, incantare, competere. Tuttavia le merci di oggi hanno
dovuto affilare le armi, perché la visibilità non è più così facile da conquistare.
Da un lato esiste la difficoltà di emergere in uno scenario complessivo in cui
tutto è ugualmente visibile, tanto da diventare invisibile. Dall’altro si pone il
problema di conciliare le esigenze di visibilità con la perdita di fisicità di alcuni
prodotti, ridotti sempre più a puri valori (Bucchetti, 1999: 34); l’ardua impresa è
quella di "visibilizzare l’astratto, di marcare con contorni netti ogni oggetto, ogni
prodotto, ogni servizio offerto” (Carmagnola, 1991: 128); è per questo che oggi
la merce “si riveste più che mai di segni, linguaggi, colori” (Carmagnola, 1991:
130), anche attraverso il packaging.