- INTRODUZIONE -
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Nella storia del design le dimensioni funzionali ed estetiche di un progetto hanno
primeggiato a lungo rispetto alla funzione comunicativa. La ragione è da ricercarsi
nel ritardo con cui il mondo del disegno industriale - e non solo - si è accorto della
possibilità di rendere un discorso attraverso l’oggetto; per molti anni il progettista
si è preoccupato di permettere l’attualizzazione d’un prodotto quanto più pratico e
funzionale possibile o, al massimo, in certi casi tipici come il disegno del
packaging ha abbandonato tali dettami pragmatici per rivolgersi ad una semplice
cura dell’aspetto estetico. Solo intorno agli anni ’80 cominciò a svilupparsi
l’usanza di sfruttare le dimensioni simboliche e ludiche dell’artefatto - vedi
Philippe Stark - tuttavia all’epoca ciò non indicava una seria presa di coscienza
concernente le reali capacità discorsive e narrative del prodotto.
In questa sede affronteremo la questione del packaging poiché esso sembra
magnificamente adatto all’analisi delle modalità espressive attraverso cui
l’oggetto genera effetti di senso; lo studio del suo caso ci permetterà da un lato di
approfondire la metodologia semiotica mediante cui riteniamo possibile progettare
e leggere un testo tridimensionale e dall’altro lato di affrontare alcune interessanti
sfide teoriche legate alla natura stessa di merce del packaging, prima fra tutte
quella che ci vede impegnati contro il problema dell’omologia.
Nel primo capitolo approfondiremo la conoscenza del nostro oggetto di studio;
proporremo subito una definizione esaustiva di “packaging” spiegando i motivi
per cui tale parola, mutuata dall’inglese, non dovrebbe essere utilizzata come
sinonimo di “confezione” o di “imballaggio”, anche se poi nella letteratura
specializzata tale dettame si trasgredisce per una questione di comodità espressiva.
In seguito passeremo ad una descrizione funzionale del packaging mostrando
come le due principali dimensioni dell’artefatto - quella oggettuale e quella
comunicativa - si confondano rendendoci difficile delineare un confine preciso fra
le rispettive funzioni. Più semplice risulta invece una classificazione basata sui
soli aspetti pragmatici legati al trasporto, al magazzinaggio ed all’uso per cui
distinguiamo packaging primari, secondari e terziari. Esaurito l’argomento
descrittivo, abbiamo voluto dare un resoconto dell’evoluzione storica del
packaging nello scenario dei consumi, ovvero raccontare come un oggetto nato
esclusivamente per conservare e proteggere il prodotto vero e proprio sia salito
- INTRODUZIONE -
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agli onori della ribalta oscurando quasi il vecchio protagonista e meritandosi
l’appellativo di “silent salesman”. Abbiamo spiegato il fenomeno mediante due
fattori entrambi legati allo sviluppo della società industriale: da un lato troviamo
una ragione di carattere economico, la rapida innovazione nei sistemi produttivi e
nelle reti distributive, mentre dall’altra parte vediamo un processo di
spettacolarizzazione delle merci che ha abituato il cittadino a guardare oltre la
dimensione funzionale ed estetica dell’oggetto. In conclusione di capitolo si è
affrontato un problema molto serio concernente il rapporto del packaging con la
tutela dell’ambiente, senza dimenticare fra l’altro di riportare al proposito una
digressione in materia normativa.
Il secondo capitolo vuole essere un modo molto semplice di collocare il packaging
all’interno della vita economica della nostra società. Il suo utilizzo infatti rientra
nelle logiche di marketing, ragion per cui abbiamo pensato di fornire al lettore
meno esperto una definizione di questa materia così complessa comprensiva di
una breve esposizione concernete le relative strategie e tattiche che annovera. Il
capitolo mira però essenzialmente a spiegare l’attuale importanza della singola
sfera comunicativa all’interno del marketing perciò illustreremo soprattutto gli
aspetti principali di questa leva; in particolar modo parleremo del documento
programmatico di comunicazione aziendale, del concetto di alone comunicativo e
dell’influenza che esercita la marca sul package design.
Il terzo capitolo apre il nostro viaggio teorico alla ricerca di quei modelli e quegli
strumenti concettuali che ci permettano di analizzare il testo di un packaging. In
apertura sarà ricordato il modello linguistico di Van Onck, uno dei primi tentativi
- seppure imperfetto - venuti dall’interno stesso del mondo del design di aprire le
proprie porte alle discipline della linguistica e della semiotica nella lettura di un
artefatto. Preso atto della necessità sentita ad un certo punto dagli stessi
disegnatori di svelare quei meccanismi attraverso cui l’oggetto è capace di
generare effetti di senso, spiegheremo le ragioni per cui l’ambiente che s’è mosso
intorno a tale problema ha individuato nella semiotica la disciplina più adatta a
raggiungere l’obiettivo. Mostreremo perché si dice che un packaging possa
contenere una narrazione ed adotteremo i dettami della semiotica strutturale
generativa per analizzarne il livello semionarrativo e quello discorsivo. Al termine
- INTRODUZIONE -
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di questa fase saremo pronti ad occuparci della vera e propria analisi di un testo
packaging; da principio introdurremo alcuni strumenti concettuali quali
l’indicalità, l’iconicità e la sinestesia, che ritroveremo nel prosieguo della
trattazione, poi passaremo alla descrizione delle tre componenti analitiche di un
artefatto: configurativa, tassica e funzionale; quest’ultima, dal canto suo, è stata
ulteriormente scomposta in tre dimensioni - funzionale, mitica ed estetica -
rispondendo ad una esigenza di dettagliare ulteriormente l’oggetto d’analisi.
Classificati dunque gli aspetti che considereremo nella lettura di una confezione,
proseguiremo con una rassegna di alcuni modelli analitici provenienti da diversi
autori e diverse scuole di pensiero. Il capitolo ci vedrà poi scendere in una
descrizione del livello discorsivo di un testo tridimensionale consistente in una
rassegna dei singoli elementi compositivi del packaging, per ognuno dei quali
definiremo la natura ed i meccanismi messi in atto allo scopo di veicolare
determinati contenuti. Continueremo con una digressione di carattere teorico che
giustifichi la scelta compiuta d’adottare un approccio semiologico di tipo
strutturalista ma allo stesso tempo lasci le porte aperte ad una possibile
contaminazione con la semiotica interpretativa - l’antagonista della nostra
metodologia per quanto riguarda le applicazioni di marketing - in prospettiva di
un lavoro sul campo in cui seguire solo le proprie esigenze di comprensione. Ciò
vuol dire accantonare le teorizzazioni superflue, scegliere teorie e concetti
indipendentemente dalle scuole d’appartenenza e saper costruire, all’occorrenza,
nuove teorie e nuovi modelli d’interpretazione. Concluderemo infine
introducendo l’omologia come limite progettuale e comunicativo del package
design ponendo così le premesse per effettuare le considerazioni dell’ultima parte
di questa esposizione.
Il quarto capitolo, quindi, si occuperà del problema dell’omologazione a livello
discorsivo di tutte le confezioni costituenti uno stesso settore merceologico; a tal
proposito esporremo una nuova soluzione che non presenti gli stessi difetti
attribuibili secondo noi alle misure già previste in questi casi. La nostra proposta
costituirà un pretesto per approfondire alcuni aspetti teorici nella progettazione di
un oggetto testo che affondino le proprie radici nel solido campo della semiologia
e tratterà una prospettiva basata sul concetto di traducibilità transemiotica di
- INTRODUZIONE -
10
Jakobson; riprendendo tale nozione, data la possibilità di trasporre qualsiasi
contenuto fra due determinati codici, riteniamo possibile applicare gli espedienti
retorici e stilistici delle forme espressive più comuni - letteratura, cinema, pittura e
via dicendo - ad un linguaggio nuovo e di cui non sono state ancora ben fissate le
regole come quello degli oggetti di design. Per dimostrare ciò partiremo alla
ricerca di un settore merceologico affetto da omologia, che troveremo mediante
un’analisi delle maggiori marche nel settore italiano dei deodoranti stick. Il
packaging di un settore merceologico omologato è infatti un ottimo campo di
prova su cui applicare i dettami semiologici provenienti dalle nostre
considerazioni; attraverso l’adozione di alcune tecniche retoriche e stilistiche -
ricavate in particolar modo dai codici della letteratura e del cinema - proveremo
infatti a modificare l’aspetto esteriore di un packaging senza coinvolgere il livello
semionarrativo né sostanzialmente quello discorsivo credendo così di dimostrare
semmai ce ne fosse ancora bisogno - oltre ad una nuova soluzione all’omologia -
la pari dignità attribuibile all’artefatto comunicativo rispetto a qualsiasi altro testo
più comune che siamo abituati a leggere.
Da un punto di vista pragmatico per la professione del designer, invece, va
osservato come in virtù delle considerazioni effettuate questi, dopo aver accettato
con un po’ di ritrosia i contributi provenienti dalla disciplina della semiotica,
dovrà oggi avvalersi anche delle conoscenze provenienti dai campi meno affini
della stilistica e della retorica.
CAPITOLO 1
L’OGGETTO DI STUDIO
- L’OGGETTO DI STUDIO -
12
1. Una disquisizione terminologica fra imballaggio, packaging e
packing.
Prima di cominciare quest’analisi, ci sembra doveroso effettuare una
puntualizzazione circa l’esistenza di una idiosincrasia fra i significati delle parole
“imballaggio” e “packaging”; la ragione scaturisce dopo aver constatato come tali
voci siano troppo spesso impiegate come sinonimi pieni quando, in realtà, ci
troviamo a che fare con definizioni che si differenziano per alcuni aspetti
importanti ed utili a comprendere la natura effettiva del nostro oggetto di studio.
Consultando un dizionario d’italiano scopriamo facilmente che la voce
“imballaggio”, di derivazione dal francese “emballage”, fa riferimento a quelle
tecniche adottate ai fini di proteggere il prodotto nonché di facilitarne le
operazioni di trasporto, magazzinaggio e vendita; dunque il termine rimanda a
tutti gli aspetti funzionali dell’involucro. La voce “packaging”, altresì, è stata
mutuata dall’inglese ed è entrata nel nostro linguaggio quotidiano (e nei nostri
dizionari) poiché contiene nella sua accezione più comune un’estensione
semantica di “imballaggio” che la rende insostituibile da qualsiasi parola italiana
che sembri verosimilmente un suo sinonimo; infatti essa, a differenza di
“imballaggio”, ha attinenza con tutte quelle modalità di confezionamento e di
presentazione del prodotto che vengono studiate a fini informativi e persuasivi,
rientrando fra le tattiche tipiche della comunicazione di marketing.
Questa precisazione terminologica risulta utile se si pensa, come dice Bucchetti,
che “[…] ci si va ad occupare di un ambito progettuale le cui origini recenti e la
- L’OGGETTO DI STUDIO -
13
cui evoluzione rapida non hanno consentito lo sviluppo di un solido apparato
disciplinare” e che “entrare nel merito delle definizioni può essere […] un mezzo
per individuare in modo più preciso gli ambiti disciplinari che convergono intorno
al tema e per comprendere quali siano le aree della conoscenza coinvolte”.
1
Quando parliamo del confezionamento d’un prodotto, di fatto, vengono coinvolti
molteplici luoghi di competenza: produttivi, tecnologici, scientifici, economico-
finanziari, di marketing, comunicativi ecc., tuttavia utilizzando correttamente uno
dei due termini fra packaging ed imballaggio possiamo selezionare di volta in
volta, a seconda dei casi, una precisa sfera di ruoli e funzioni dell’involucro
rispetto alla loro totalità.
Come dice Anceschi, “probabilmente, è […] più opportuno parlare di imballaggio
laddove sia in questione la funzione di contenimento, di protezione, ecc., laddove
emerga il carattere sistemico dell’intero contesto, allora si può dire che il ruolo
principale tocca al designer industriale, che si occuperà di questioni che vanno
dall’impilabilità alla riciclabilità, ecc. In questo contesto il ruolo esercitato dalle
comunicazioni visive è quello di una facilitazione, di una ergonomia del flusso
delle informazioni. Laddove invece si tratta della dialettica suasiva, del celare e
del mostrare, quando è in causa l’arte retorica del modificare il comportamento
dei destinatari, dovunque, ad esempio, i materiali vengano usati, aldilà delle loro
peculiarità tecnico-funzionali, per le loro qualità sensoriali e semantiche, laddove
a questi registri sintattici della grafica, insomma, in generale, in tutti i luoghi e i
modi dove il prodotto va incontro all’immaginario del consumatore, allora si avrà
un ruolo principale delle comunicazioni visive, e l’oggetto progettuale si chiamerà
packaging”
2
.
Sebbene a nostro avviso un simile chiarimento fosse importante per introdurre la
distinzione dei due principali aspetti del packaging - da una parte l’oggetto
contenitore e dall’altra l’oggetto persuasivo e seduttore - dobbiamo osservare
come nella letteratura specifica sia pacifico che entrambe le voci vengano
interscambiate indistintamente affidandone di volta in volta l’interpretazione del
significato al contesto ed alle capacità analitiche del lettore; dunque, considerata
la diffusione dei precedenti, anche la presente opera si concederà la licenza
1
V. Bucchetti, La messa in scena del prodotto, F.Angeli, Milano, 1999, pag. 19.
2
G. Anceschi, L’involucro transitorio, Imballaggio, n. 439 (settembre), 1992, pag. 125.
- L’OGGETTO DI STUDIO -
14
d’interscambiare i termini intendendo indicare normalmente la funzione
comunicativa dell’involucro.
A tal proposito, rimanendo alla questione terminologica scaturita dalla duplice
natura del nostro oggetto, anticipiamo che nelle prossime pagine tenteremo di
spiegare le fasi di quel cambiamento attraverso cui si sia passati da una datata idea
d’imballaggio a quella attuale di packaging; vedremo cioè come la funzione
comunicativa di una confezione, da inesistente, sia arrivata a soverchiare per
importanza il ruolo delle vecchie mansioni protettive e conservative; ciò avverrà
quando discuteremo dell’evoluzione storica avvenuta sullo scenario dei consumi e
di quel processo nominato “spettacolarizzazione delle merci” che ha trovato
respiro e si è consolidato lungo tutto il Novecento.
In chiusura di questo paragrafo, invece, vogliamo citare per completezza
d’informazione l’esistenza di un’altra parola - seppur utilizzata meno
frequentemente nella letteratura specifica - che il lettore inesperto rischia di
confondere col packaging ancora più facilmente di quanto accada per il termine
“imballaggio”; si tratta del vocabolo “packing”, il quale indica essenzialmente gli
imballaggi adibiti al trasporto. Questo particolare imballaggio appare solitamente
al rivenditore e non al consumatore, tuttavia può considerarsi uno strumento di
comunicazione perché deve essere progettato e realizzato accuratamente in modo
da sollevare un’impressione favorevole nei soggetti addetti alla vendita della
merce. Il packing non deve peccare sia per funzionalità che per questioni
estetiche, pena l’indebolimento della motivazione del rivenditore allo smercio del
bene contenuto. Dentro alla denominazione di packing ricadono nondimeno i
mezzi addetti al trasporto dei prodotti quali autoveicoli, autocarri, container ecc., i
quali svolgono, tra l’altro, il compito comunicativo di render noto e
successivamente richiamare alla memoria il prodotto al di fuori del suo contesto
naturale.
Adesso, abbandonata definitivamente la trattazione preliminare sulla terminologia
utilizzata nell’ambito degli studi che andiamo ad affrontare, siamo pronti ad
occuparci della conoscenza, della definizione e della descrizione delle funzioni di
quell’artefatto oggettuale e comunicativo che richiamerà la nostra attenzione nelle
prossime pagine, ovvero il packaging.
- TAVOLA -
I
Packaging per gli omogeneizzati Plasmon.
Il packaging disegnato
Per il latte Blu Premium
Della Parmalat.
Il packaging della
Candeggina Ace
Gentile.
Confezione in legno di un coltello
Opinel.
Anche la bottiglia di Jack Daniels rappresenta un packaging fortemente
Comunicativo.
- TAVOLA -
II
Casse da imballaggio
Adibite al trasporto.
Mezzi per il trasporto delle merci.
- L’OGGETTO DI STUDIO -
15
2. Il packaging come oggetto di studio.
2.1. Il packaging all’interno dell’universo oggettuale.
Quando si vuole comprendere la natura del packaging in una prospettiva
principalmente comunicativa e semiotica - è il nostro caso - va precisato come
esso sia prima di tutto un oggetto al pari di tanti altri generi di manufatti;
considerata però la vaghezza del termine “oggetto”, la cui interpretazione deve
fare i conti con le numerose tradizioni culturali di provenienza della parola e coi
più svariati ambiti disciplinari che la utilizzano, Ferraresi propone di fissarne una
tipologia
3
mediante uno strumento tipico della semiotica definito “suddivisione ad
albero”.
3
M. Ferraresi, Il packaging. Oggetto e comunicazione, Franco Angeli, Milano, 2003, pag. 35.
Oggetto del
mondo
naturale
Oggetto
costruito
(concreto e
concettuale)
Oggetto
temporale
inesteso (del
mondo naturale)
Oggetto
esteso (del
mondo
naturale)
Oggetto
temporale
inesteso
(costruito)
Oggetto
temporale
esteso
(costruito)
Oggetto che
contiene ed
organizza lo spazio
all’interno
Oggetto che dispone
ed organizza lo
spazio all’esterno
Oggetto che organizza
lo spazio interno e
dispone lo spazio
esterno
- L’OGGETTO DI STUDIO -
16
La tipologia parte dalla constatazione che qualunque oggetto si prenda in
considerazione debba appartenere al mondo naturale e debba essere sottoposto
alle sue leggi; questa entità oggettuale, poi, si suddivide in tre categorie fra cui
citiamo subito l’oggetto naturale esteso e l’oggetto naturale inesteso, distinguibili
a seconda che si esprima una propria fisicità (un sasso) oppure no (per esempio i
buchi neri dello spazio cosmico). La terza categoria riguarda invece l’oggetto
costruito ed abbraccia sia quanto concepito dalla mente dell’uomo che i prodotti
realizzati dal suo corpo; dunque possono far parte di tale categoria una sedia, una
teoria, un software informatico e così via; l’oggetto costruito si suddivide a sua
volta in oggetto costruito temporale inesteso (per l’appunto tutti i concetti) e
oggetto costruito temporale esteso, ulteriormente distinguibile in oggetti che
organizzano e contengono lo spazio all’interno (mobilia, scatole, automobili
ecc.), oggetti che dispongono ed organizzano lo spazio all’esterno (utensili e
strumenti vari, tavoli, sedie ecc.) ed oggetti che organizzano lo spazio interno e
dispongono lo spazio esterno (vetrine, quadri, packaging ecc.).
Ma perché interessa una simile classificazione? Cosa può insegnarci sul
packaging? Le riflessioni appena svolte sono importanti perché ci dimostrano
come una parte degli oggetti del mondo naturale si differenzino dagli altri per il
fatto di possedere “[…] una sequenza di tratti, di marche disposizionali o
topologiche iscritte […]. Marche che organizzano lo spazio interno e lo spazio
esterno, e che prefigurano una sorta di libretto d’uso e d’impiego dell’oggetto dal
punto di vista del rapporto con il soggetto”
4
. Da ciò consegue che “[…]
nell’oggetto costruito è previsto e assegnato il numero di uno o di più interlocutori
esterni e il numero di uno o di più interlocutori interni. […] la disposizione
spaziale di un packaging istituisce il rapporto con ciò che mostra o cura […] e il
rapporto con il consumatore.”
5
Dobbiamo tenere a mente quanto appena detto, in particolare su quella categoria a
cui appartiene il packaging perché le nozioni sopra espresse si riveleranno molto
utili ora che ci accingeremo a definire più nello specifico il nostro oggetto di
studio.
4
Ibidem, pag 36.
5
Ibidem, pag 37.
- TAVOLA -
III
La cassettiera è un oggetto che contiene ed
Organizza lo spazio all’interno.
Il tavolo è un oggetto che
Dispone ed organizza lo
Spazio all’esterno.
La vetrina,
Come il
Packaging, è
Un oggetto che
Organizza lo
Spazio interno
E dispone lo
Spazio esterno
- L’OGGETTO DI STUDIO -
17
2.2. Definizione e funzioni del packaging.
Oggi definire il concetto di packaging risulta più difficile di quanto potesse
sembrare un tempo poiché l’opera deve scaturire da un’attenta osservazione e
comprensione di quella sfera di ruoli e funzioni assunte recentemente dal nostro
oggetto di studio, dalla fase dell’imballaggio del prodotto a quella della vendita,
comprese tutte le forme d’interazione che la merce intrattiene coi vari soggetti
della filiera e, più in generale, del proprio settore merceologico. Le ragioni che
implicano l’attuale importanza della comprensione del fenomeno packaging sono
molteplici, basti pensare a quanti prodotti perderebbero la propria identità, le
proprie funzioni e persino il loro stesso statuto di merci se non fossero
accompagnati da certi imballaggi; tutto ciò giustifica lo sforzo d’interrogarsi sulla
natura di quest’oggetto.
Dunque cos’è il packaging? Se dovessimo definirlo da un punto di vista
essenzialmente materiale potremmo dire che sia: “Nel prodotto, tutto quanto non è
il prodotto stesso”
6
. Dobbiamo altresì constatare che utilizzare una definizione
simile per il packaging finisce per sminuirne la vera natura e per limitare il nostro
campo d’analisi; potremmo obiettare, ad esempio, come tale definizione possa
essere sconfessata dal fatto che la vista (sia pure parziale) del prodotto
confezionato, ricavata grazie ad un involucro trasparente od al posizionamento di
una finestrella su d’esso, debba considerarsi a pieno titolo parte integrante del
packaging.
Conviene allora partire da un’altra considerazione, ovvero dalla palese
trasformazione che ha subito l’imballaggio rispetto alle proprie funzioni in seguito
a quell’evoluzione dei moderni sistemi distributivi dovuta alla comparsa della
grande distribuzione (GD) e della grande distribuzione organizzata (GDO). Grazie
ad essa il packaging ha superato negli anni la propria semplice occorrenza fisica
per diventare un mezzo di comunicazione, il primo e più importante portavoce del
bene custodito così come ha affermato Caron
7
nei primi anni Novanta: l’involucro
non preserva più solo il contenuto ma vuole rivolgersi al consumatore instaurando
un dialogo e svolgendo una narrazione che influenzino le scelte d’acquisto.
6
Tale asserzione fa riferimento al testo Le Pack, BSN Emballage, 1987.
7
G. Caron, Un Carré noir dans le design, Dunod, Paris, 1992, pag. 176.