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parte che, rappresenta il fulcro del lavoro, entreremo nel mondo dei
rifiuti Raee cercando di capire come questi possano essere riciclati, in
modo che siano una risorsa per l’intera collettività e non un
ingombrante rifiuto da lasciare in discarica.
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Cap. 1 Le connessioni tra sistema economico e ambiente naturale.
1.1 L’ecologia e il degrado ambientale.
Il termine ambiente può avere significati diversi. Il questo lavoro
definiremo l’ambiente come: il sistema di relazioni dirette ed indirette
che intercorrono tra esseri umani, altri esseri viventi e mondo
inorganico (geografia dell’economia mondiale pag. 40). Pertanto il
concetto di ambiente non rappresenta qualcosa di statico, ma è un
sistema in continua evoluzione, per l’azione combinata dei suoi
diversi contenuti, che è oggetto di studio dell’ecologia. L’ecologia
studia l’ecosistema terrestre, cioè il sistema degli organismi viventi
sulla terra (biosfera) con le relazioni reciproche e quelle che li legano
all’ambiente del pianeta. L’ecosistema terrestre è formato da sotto-
sistemi, vale a dire in ecosistemi regionali, che possono essere di
diverso livello territoriale (una savana, una foresta,uno stagno,il
tronco di un albero). Il nostro pianeta funziona come un sistema, e, per
questo motivo prende in nome di geositema. Normalmente il suo
funzionamento è di tipo aperto: esso riceve dall’esterno limitati
apporti di materia e consistenti flussi di energia, proveniente
essenzialmente dalla radiazione solare. L’energia solare, e in piccola
parte anche quella endogena terrestre, sono il motore della
circolazione di materia inorganica (rocce, suoli, acqua, aria); inoltre,
il sole è anche la fonte di tutte le trasformazioni energetiche che, a
partire dalla fotosintesi clorofilliana, permettono la vita sulla terra. Il
geosistema è mantenuto in equilibrio da una serie di cicli, che,
coordinandosi tra loro, ne assicurano il funzionamento generale.
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Fig. N. 1 Ciclo della materia organica
Fonte: S. Conti, G. Dematteis, C Lanza, F. Nano, geografia dell’economia mondiale pag.43
Dall’ambiente l’uomo riceve una serie di servizi naturali che hanno
un ruolo determinante per la sopravvivenza della specie umana:
ξ In primo luogo l’energia solare , che permette la trasformazione
di sostanze inorganiche in composti organici.
ξ La decomposizione delle sostanze organiche al termine del loro
ciclo di vita.
ξ La regolazione dei gas che compongono l’atmosfera.
ξ La regolazione del clima.
ξ La formazione del suolo.
Energia
solare
Vegetali animali
Batteri
degradatori
Suolo - Sali minerali
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ξ La regolazione del ciclo dell’acqua.
ξ La regolazione degli inquinamenti dell’atmosfera e dell’acqua.
ξ Il controllo biologico di malattie e di infestazioni di parassiti.
Anche il sistema economico mondiale, come insieme di elementi
materiali e di relazioni intersoggettive per la produzione o lo scambio
di beni, è un sottosistema dell’ecosistema terrestre, con cui ha intense
relazioni in entrata (produzioni alimentari, materie prime, fonti
energetiche, servizi naturali) e in uscita ( trasformazioni della biosfera,
crescita demografica, emissione di rifiuti,ecc. ); esso tuttavia ha un
comportamento diverso e contrastante rispetto al sistema di cui fa
parte. Il sistema economico, infatti, alimenta una circolazione di
materia, energia e informazione, che tende a modificare il resto
dell’ecosistema, secondo modalità antinaturali. Da questa
contraddizione deriva il problema ecologico che è forse il più grave
problema di sopravvivenza che l’umanità ha incontrato nel suo lungo
cammino storico. Esso ha assunto proporzioni sempre maggiori a
partire dalla rivoluzione industriale, in quanto il costante progresso
tecnologico intensivo ha prodotto alterazioni all’ambiente, tali da far
pensare che l’attuale funzionamento del sistema economico mondiale
sia incompatibile con l’ecosistema terrestre. Va ricordato che in un
sistema economico i risultati dipendono dalla produttività dei
“fattori”, cioè dal rapporto tra quantità (fisica o in valore) dei beni e
servizi prodotti e le corrispondenti quantità di fattori impiegati: terra,
lavoro, capitale. Di quest’ultimi tre la terra ed il lavoro sono fattori
originari, per fattore terra non si intende solo lo sfruttamento agrario
ma l’insieme delle risorse che il sistema economico riceve dal
geosistema. Il genere umano ha sempre cercato di aumentare la
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produttività del proprio lavoro attraverso una crescente mobilitazione
del fattore terra. Tale mobilitazione ha riguardato le materie prime,
destinate a fabbricare macchine, utensili, impianti, capaci di
moltiplicare i mezzi naturali di cui l’uomo disponeva in origine, e le
fonti di energia, mediante le quali l’uomo ha moltiplicato per milioni
di volte l’energia naturale del suo corpo. Ciò che spesso sfugge è il
fatto che gli uomini, accrescendo con questi mezzi la produttività del
loro lavoro, hanno progressivamente ridotto la produttività del fattore
terra, basti pensare che nel Neolitico per produrre 1000 chilocalorie
alimentari occorrevano alcune ore, oggi il lavoro umano direttamente
necessario per produrre tale quantità è dell’ordine di secondi, mentre
è enormemente più elevata che non in passato la quantità delle risorse
naturali prelevate dalla Terra, per avere la stessa quantità di prodotto.
Si spiega così il fatto che oggi ogni abitante della Terra, pur lavorando
mediamente meno dei nostri antenati in epoca pre-industriale, ha in
media a sua disposizione una maggior quantità di beni e servizi, ma
dispone anche di, sempre minori, riserve naturali e ambientali.
Bisogna dire che, il sistema economico mondiale attuale non è in
grado di riequilibrare questa progressiva perdita di produttività del
sistema terrestre. Ad esempio, all’agricoltore appare conveniente
comprare sempre più macchine, fertilizzanti e antiparassitari chimici
per coltivare i suoi campi al minor costo possibile. Né i produttori del
fattore terra (materie prime, energia) sono generalmente in grado di
rallentare queste tendenze. Si tratta spesso di Paesi del Sud del mondo
che, in concorrenza tra loro, offrono risorse primarie ai Paesi più
sviluppati e sono in un certo senso costretti a venderle nelle quantità
richieste, qualunque sia il prezzo di mercato, perché si tratta delle sole
voci attive della loro bilancia commerciale. Da un punto di vista
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ecologico sarebbe anche auspicabile una riduzione dei consumi.
Tuttavia esso potrebbe riguardare soli i paesi e le fasce sociali più
ricche, in quanto per i più poveri i consumi dovrebbero invece
aumentare, per permettere a tutta la popolazione di superare anche
solo la soglia della fame. Detto ciò, si può affermare che i bilanci
puramente economici, non riescono a valutare i costi derivanti dalla
produttività decrescente dei fattori naturali e gli effetti del progressivo
esaurimento delle risorse corrispondenti. Perciò la compatibilità tra il
sistema economico e il geosistema richiede dei correttivi. Ciò che
procura un vantaggio economico nel breve periodo può produrre gravi
danni ambientali nel lungo periodo, in quanto il mercato non
considera i costi ambientali a lungo termine. Purtroppo anche là dove
interviene lo Stato, molto spesso, la programmazione pubblica spinta
da urgenze politiche ed economiche, non considera il bilancio
economico di lungo periodo. Ciò significa che azioni distruttive, ma
convenienti nel breve periodo a persone, imprese e collettività,
possono essere attuate anche in presenza di danni ecologici assai
rilevanti. Quando questi squilibri non si limitano a certe località,
regioni o gruppi sociali, ma hanno effetti che minacciano la vita
dell’intero pianeta, dagli squilibri locali che potevano facilmente
essere ignorati o sottovalutati si passa a squilibri globali, di fronte ai
quali i soggetti in posizione dominante sono costretti a correre ai
ripari. Negli ultimi 20 anni l’economia mondiale è ormai entrata in
questa fase. Di conseguenza quello ecologico è diventato una degli
aspetti più rilevanti ed inquietanti della globalizzazione. La sua
soluzione non dipende da politiche locali o statali, più o meno
avanzate, ma soprattutto da accordi internazionali, che assicurano il
rispetto di certe norme da parte di tutti i paesi. Tra i danni ecologici
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apportati all’ambiente gli inquinamenti sono quelli più evidenti, in
quanto rientrano ormai nell’esperienza quotidiana della gente,
soprattutto nei grandi agglomerati urbani e nei grandi centri
industriali.
Fig. N.2 Rifiuti in discarica.
Fonte: il corriere romano
Il fenomeno ha risvolti geografici inquietanti: spesso le immissioni
inquinanti vengono diffuse attraverso la circolazione naturale delle
correnti atmosferiche, marine e fluviali. Le principali alterazioni
irreversibili dell’ecosistema su scala globale sono la riduzione delle
risorse naturali e della biodiversità. La sopravvivenza della specie
umana è legata alle risorse naturali presenti nel geosistema (suoli
agrari, flora, fauna, giacimenti minerari ecc), che, pertanto devono
essere utilizzata senza determinarne la sparizione. Lo sfruttamento
delle materie prime minerarie, assai limitato nelle società
preindustriali, è aumentato enormemente nell’ultimo secolo.
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Nell’economia capitalistica si tratta di un processo cumulativo che si
autoalimenta: un aumento di produzione aumenta la capacità di
investimento e di consumo e, ciò richiede nuove produzioni, con un
aumento del consumo di materie prime e di fonti d’energia.
L’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili è un
problema di tipo ecologico, che coinvolge non solo i paesi
industrializzati, principali consumatori, ma l’intero geosistema. Infatti
se il livello dei consumi dei paesi industrializzati dovesse diffondersi a
tutto il mondo, già oggi le risorse esistenti sarebbero insufficienti. Il
problema nasce dalla diversa scala temporale degli eventi: quelli legati
ai tempi economici (molto brevi) e quelli legati ai tempi geologici
(molto lunghi). Tra le alterazioni dell’ecosistema che superano la
soglia di reversibilità vi è inoltre la perdita di diversità biologica o
biodiversità. Un’elevata biodiversità è una ricchezza in termini
generali per il fatto che accresce le probabilità di durata della vita sulla
Terra e in termini economici perché la possibilità di utilizzo delle
risorse rinnovabili vegetali e animali dipendono dalla ricchezza e dalla
varietà del patrimonio genetico disponibile. Le specie si estinguono
anche per cause naturali, tuttavia si calcola che l’attuale tasso di
estinzione, dovuto all’alterazione degli ambienti naturali, sia tra 1.000
e 10.000 volte più rapido di quello naturale.
1.2 L’impronta ecologica e la capacità di carico
Per valutare correttamente il consumo delle risorse naturali ed il
problema dei consumi diseguali delle varie parti del mondo, si ricorre
a vari metodi di calcolo, tra i quali è particolarmente efficace quello
dell’impronta ecologica. Il concetto di impronta ecologica è stato
introdotto nel 1996 da Mathis Wackernagel e William Rees. A partire
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dal 1999 il WWF aggiorna periodicamente il calcolo dell'impronta
ecologica nel suo Living Planet Report. Nel 2003 Mathis Wackernagel
e altri scienziati hanno fondato il Global Footprint Network, che si
propone di migliorare la misura dell' impronta ecologica e di
conferirle un'importanza analoga a quella del prodotto interno lordo. Il
Global Footprint Network collabora attualmente con 22 paesi, tra cui
Australia, Brasile, Canada, Cina, Finlandia, Francia, Germania, Italia,
Messico, Regno Unito, Russia, Sud Africa, Svizzera e con agenzie
governative, autorità locali, università, istituti di ricerca, società di
consulenza, associazioni. In Italia collaborano con il Global Footprint
Network, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei
Biosistemi dell'Università di Siena, l'Istituto Ricerche Economico
Sociali della Regione Piemonte, la società di ricerca e consulenza
Ambiente Italia Srl, la Rete Lilliput. Si tratta di un indicatore sintetico
di sostenibilità ambientale in grado di stimare l’impatto che una
popolazione ha sull’ambiente calcolando l’area di terreno produttivo
necessaria per fornire, in modo sostenibile, tutte le risorse utilizzate, e
per riassorbire, sempre in modo sostenibile, tutte le emissioni
prodotte. Il concetto di Impronta Ecologica è strettamente collegato a
quello di Capacità di Carico. Partendo dal concetto di Capacità di
Carico, inteso come il massimo di popolazione di una certa specie che
un determinato territorio può sopportare senza che venga
permanentemente compromessa la produttività del territorio stesso, è
possibile affermare che l’Impronta Ecologica rappresenta la quota di
Capacità di Carico di cui si è appropriata la popolazione umana
residente nell’area considerata. L’analisi dell’Impronta Ecologica
rovescia, in un certo qual senso, il concetto di Capacità di Carico:
l’attenzione infatti non viene posta sulla determinazione della
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massima popolazione umana che un’area può sopportare, problema di
difficile determinazione perché il peso ecologico della popolazione
varia in funzione di numerosi fattori, bensì sul conteggio del territorio
produttivo effettivamente utilizzato dai residenti, indipendentemente
dal fatto che questa superficie coincida con il territorio su cui la
popolazione stessa vive. Nel nostro Paese l'impronta ecologica è stata
e viene calcolata non solo per l'intera nazione, ma anche su scala
regionale e locale. Si tratta, in pratica di calcolare l’area del fattore
terra, cioè di terra produttiva (campi coltivati, pascoli, foreste,
sottosuolo) e di mare necessaria ad una persona (o ad una città, o
all’intera umanità), per produrre tutte le risorse che consumano e per
riassorbire i rifiuti che produce. Per valutare l’impronta ecologica di
un paese si aggiungono alle sue produzioni interne le importazioni e si
sottraggono le esportazioni.
importazioni produzione esportazioni consumo netto
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Fig. N. 3 Impronta Ecologica per una ipotetica economia a tre
settori
Fonte: l’impronta ecologica: analisi regionale e settoriale, IRES Torino 2001
Da alcuni studi effettuati su scala mondiale e su alcuni paesi emerge
che l'impronta mondiale è maggiore della capacità bioproduttiva
mondiale, nel 1961 l'umanità usava il 70% della capacità globale della
biosfera, ma nel 1999 era arrivata al 120% (edizione 2006 del Living
Planet Report del WWF). Ciò significa che stiamo consumando più
risorse rinnovabili di quanto potremmo, cioè che stiamo intaccando il
capitale naturale e che nel futuro potremo disporre di meno materie
prime per i nostri consumi. Relativamente ad alcuni stati, i dati sono i
seguenti. Per ogni paese è riportata l'impronta ecologica pro capite. Il
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dato va raffrontato con la biocapacità media mondiale che è di 1,78
ettari pro capite (edizione 2006 del Living Planet Report del WWF).
Fig. N.4 Impronta ecologica dei Paesi più importanti:
Paese I.E. I.E. rispetto alla terra
Austria 4.9 -3.12
U.S.A 9.6 -7.82
Australia 6.6 -4.82
Svezia 6.1 -4.32
Canada 7.6 -5.82
Francia 5.6 -3.82
Italia 4.8 -2.50
Spagna 5.4 -3.62
Argentina 2.3 -0.52
Cina 1.6 0.18
Egitto 4.2 -2.42
Etiopia 0.8 0.98
India 0.8 0.98
Mondo 1.78 0
fonte: edizione 2006 del Living Planet Report del WWF.