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INTRODUZIONE
Con il Decreto 5 agosto 2015, n. 128, rubricato “Disposizioni sulla certezza del diritto nei
rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della
legge 11 marzo 2014, n. 23”, è stato introdotto in Italia il regime di adempimento
collaborativo. Il fine principale di tale regime è promuovere forme di comunicazione e
cooperazione rafforzata tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti dotati di un
sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale.
Il regime porta con sé importanti elementi innovativi nell’ambito del rapporto tributario;
sono previste, infatti, nuove modalità di interlocuzione costante e preventiva tra
l’Agenzia delle entrate e i contribuenti aderenti, con la possibilità di giungere ad una
valutazione comune delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali prima che siano
presentate le dichiarazioni o, comunque, prima dell’assolvimento di altri obblighi
tributari. L’opportunità, quindi, di poter gestire le situazioni fiscali incerte mediante un
confronto preventivo su elementi di fatto, che può ricomprendere anche l’anticipazione
del controllo, è orientata alla prevenzione o, quantomeno, alla risoluzione anticipata
delle potenziali controversie fiscali.
L’elemento principale è la modifica dell’approccio utilizzato dal Fisco nei confronti del
contribuente: il regime di adempimento collaborativo si prefigge di passare dal
tradizionale controllo ex post, basato sulle dichiarazioni fiscali e fonte di conflittualità
(che spesso dà luogo ad un contenzioso), ad un confronto ex ante, caratterizzato da
dialogo e trasparenza, nel quale le parti possano verificare le reciproche posizioni e
impostazioni.
Logicamente, si tratta di un cambio di approccio radicale che, per questo, necessita di
un periodo di rodaggio. A questo proposito, in fase di prima applicazione, il regime è
riservato ad un ristretto numero di imprese che soddisfano determinati requisiti in
termini di fatturato o, alternativamente, hanno preso parte al “Progetto Pilota”
dell’Agenzia delle entrate, con il quale si è creato un primo tavolo di lavoro tra la stessa
Agenzia e le imprese invitate a partecipare.
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L’istituto in esame tra origine dal dibattito internazionale, dove il concetto di
cooperative compliance è, da tempo, al centro della discussione sulla tipologia ottimale
di relazione che deve intercorrere tra i contribuenti e le autorità fiscali. In particolare,
l’OCSE, dal 2008, ha iniziato a porre l’accento su alcuni dei principi fondamentali che
devono riguardare il rapporto tra Fisco e contribuente. Inizialmente, la relazione
suggerita era la c.d. “enhanced relationship”, o relazione rafforzata, basata su cinque
pilastri: la comprensione dei driver commerciali, l’imparzialità, la proporzionalità nella
gestione delle risorse, la collaborazione e reattività, la comunicazione e trasparenza da
parte dei contribuenti.
Il passo successivo, contenuto nel report del 2013, ha sancito il passaggio dall’ enhanced
relationship alla cooperative compliance, ovvero alla costruzione di un rapporto basato
sul dialogo e sulla reciproca fiducia tra Amministrazione finanziaria, finalizzato alla
prevenzione piuttosto che alla repressione delle violazioni fiscali.
Grazie al lavoro dell’OCSE e alle numerose esperienze di altri Paesi membri, anche il
governo italiano ha voluto allinearsi agli standard internazionali in termini di cooperative
compliance, dando vita all’istituto del regime di adempimento collaborativo. L’iter
normativo si sta mano a mano completando, grazie alla pubblicazione dei Provvedimenti
del Direttore dell’Agenzia delle entrate, emanati successivamente al Decreto n.
128/2015. Nel primo Provvedimento, datato 14 aprile 2016, sono dettate le disposizioni
attuative del regime, con particolare riferimento ai requisiti soggettivi di accesso e alle
caratteristiche essenziali del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del
rischio fiscale. Sono, inoltre, descritte la modalità di presentazione della domanda e
della documentazione allegata, nonché la regolamentazione della verifica dei requisiti,
che deve effettuare l’ufficio competente dell’Agenzia, in ordine all’ammissione del
contribuente che presenta l’istanza di adesione.
Con il secondo Provvedimento, emanato il 26 maggio 2017, sono esplicate più
dettagliatamente le procedure di attuazione del regime. Sono presentati, inoltre, i
relativi doveri di collaborazione, correttezza e trasparenza in capo all’Agenzia e ai
contribuenti, che devono essere osservati reciprocamente per tutto il periodo di
permanenza di questi ultimi nel regime.
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Allo scopo di chiarire il più possibile le problematiche e i dubbi sull’interpretazione del
Decreto e dei relativi Provvedimenti, che provengono principalmente dal mondo
dell’imprenditoria e dell’industria, l’Agenzia delle entrate ha emanato la Circolare n.
38/E, preziosa guida contenente risposte chiare e dettagliate alle perplessità esposte, a
più riprese, dalle imprese interessate al regime nel corso dei vari tavoli di lavoro,
organizzati allo scopo di far conoscere e apprezzare la nuova normativa sugli accordi di
adempimento collaborativo. La Circolare passa in rassegna le principali tematiche
affrontate nel corso del convegno “Adempimento collaborativo: nuova frontiera della
compliance”, evento organizzato dall’Agenzia delle entrate a Roma nel giugno 2016, nel
quale sono state discusse le soluzioni interpretative ai quesiti riguardanti l’attuazione
del regime emersi nel corso del meeting.
Nel presente lavoro, gli argomenti sono presentati come segue: il primo capitolo è
incentrato sull’evoluzione del rapporto tra Fisco e contribuente. Inizialmente, si fa
riferimento a quanto previsto, in merito, dalla nostra Costituzione e dallo Statuto del
Contribuente; in seguito, si evidenziano i potenziali sviluppi di questo rapporto, in
termini di maggiore collaborazione, trasparenza e fiducia reciproca.
La seconda parte del capitolo presenta, invece, l’origine internazionale del concetto di
cooperative compliance e il ruolo dell’OCSE nella predisposizione di programmi c.d. di
fiscalità dialogata. Su questa base, infatti, il nostro Paese ha costruito il regime di
adempimento collaborativo.
Il secondo capitolo entra nel merito del regime e si occupa dei requisiti soggettivi di
accesso. Secondo le disposizioni attualmente in vigore, infatti, i soggetti che possono
accedere sono i “Grandi contribuenti”, cioè le imprese con volume di affari o di ricavi
non inferiore ai dieci miliardi di euro. Per i contribuenti che hanno partecipato al
“Progetto Pilota” promosso dall’Agenzia delle entrate, la soglia di ingresso è ridotta ad
un miliardo di euro. La terza possibilità di accesso al regime è riservata alle imprese che
intendono dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia, fornita a seguito di istanza di
interpello sui nuovi investimenti, introdotto dal D. Lgs. n. 147/2015. Esso disciplina, per
le imprese che investono in Italia, la facoltà di interpellare preventivamente
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l’Amministrazione finanziaria allo scopo di ricevere un parere sui profili fiscali del piano
di investimento, di importo pari ad almeno trenta milioni di euro, da adottare.
Il terzo capitolo si focalizza sul tax control framework, ossia il sistema di rilevazione,
misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale. Si tratta di un documento
contenente la pianificazione del rischio fiscale che garantisce all’impresa “un presidio
costante sui processi aziendali e sui conseguenti rischi fiscali, consentendole di
adempiere al meglio ai doveri di trasparenza e collaborazione”.
Dopo una breve analisi sul concetto generale di rischio aziendale e la presentazione del
Sistema di Controllo Interno, vengono esaminate tutte le componenti del rischio fiscale
e il relativo processo di valutazione. Viene presa in considerazione la suddivisione in
rischio fiscale ordinario e straordinario, nonché la classificazione del rischio inerente e
del rischio residuo.
Di seguito, la trattazione si focalizza sulla descrizione del modello di gestione del rischio
fiscale, che deve essere impostato su una chiara “tax strategy”. L’Agenzia delle entrate
ha specificato che non è previsto un documento predefinito valido per tutti, lasciando,
in questo modo, al contribuente ampia autonomia di scelta nella declinazione dei
contenuti. Sono richiamati, tuttavia, alcuni dei punti cardine ai quali le imprese si
dovrebbero uniformare, facendo riferimento anche alle recenti Guidelines 2016
dell’OCSE contenute nel documento “Building better tax control framework”.
Gli aspetti essenziali che un’adeguata strategia fiscale dovrebbe analizzare sono: la
mappatura del rischio, l’individuazione di ruoli e responsabilità, il monitoraggio,
l’adattabilità e la relazione agli organi di gestione.
Il quarto e ultimo capitolo presenta i profili operativi di applicazione del regime.
Seguendo lo schema proposto dal Provvedimento del 26 maggio 2017, vengono esposte
le modalità di presentazione della domanda di accesso al regime, corredata dall’apposita
documentazione, la procedura per la verifica dei requisiti del soggetto richiedente e le
competenze per le attività di controllo.
In conclusione, si elencano gli effetti premiali previsti per i soggetti partecipanti al
regime; tra i più importanti, si ricordano l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta
(per i rischi comunicati tempestivamente e qualora l’Agenzia non condivida la posizione
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dell’impresa in merito ad una questione fiscale rilevante), la possibilità di accedere ad
una procedura abbreviata di interpello preventivo e l’esonero dalla presentazione delle
garanzie per i rimborsi.
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CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE DEL RAPPORTO FISCO-CONTRIBUENTE
Sommario: 1.1. Il rapporto tra Fisco e Contribuente nella Costituzione. – 1.2. Il rapporto
tra Fisco e Contribuente nello Statuto del Contribuente. – 1.2.1. Lo Statuto europeo del
Contribuente. – 1.3. L’origine internazionale della “Cooperative Compliance” e il ruolo
dell’OCSE. – 1.3.1. Le prime esperienze internazionali di cooperative compliance. – 1.3.2.
Il crescente numero di modelli di cooperative compliance e la loro implementazione in
campo internazionale. – 1.4. L’iter normativo del nuovo regime di adempimento
collaborativo.
1.1 - Il rapporto tra Fisco e Contribuente nella Costituzione
La disciplina del diritto tributario è da sempre soggetta a continui cambiamenti; in
alcune circostanze essi si manifestano molto chiaramente, in altre, invece, si rivelano
quasi impercettibili. Se si pongono a confronto le attuali dinamiche tra Fisco e
Contribuente con quelle precedenti, ciò che emerge non è tanto il mutamento del
rapporto tra questi due attori, quanto l’esistenza di un rapporto vero e proprio.
Per meglio comprendere queste dinamiche, è necessario svolgere una riflessione sui
principi cardine della Carta Costituzionale che configurano la possibilità di
collaborazione tra l’Amministrazione Finanziaria e il Contribuente. I due articoli che
meglio incarnano l’idea di cooperazione sono il 23 e il 53 che, rispettivamente,
riguardano il principio di legalità e il principio di capacità contributiva.
L’articolo 23 dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla Legge” e dimostra una chiara intenzione a collaborare da
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parte del Fisco, perché garantisce che solo l’imposizione normativa può essere causa
della corresponsione di un tributo. È solo lo Stato, quindi, che attraverso il suo organo
legislativo, può imporre una prestazione personale o patrimoniale al contribuente, che
deve essere imposta nel rispetto dei principi di uguaglianza ed equità.
È molto importante sottolineare come questa norma costituzionale rappresenti una
duplice garanzia; da un lato, l’Amministrazione Finanziaria è giuridicamente legittimata
alla riscossione del tributo, dall’altro lato, il contribuente non può mettere in discussione
la pretesa se non sulla base di una eventuale illegittimità della norma impositiva. Solo
un’irregolarità nella formulazione della norma, infatti, può condurre all’invalidità
giuridica della pretesa tributaria.
Il secondo caposaldo costituzionale, nell’ottica del rapporto collaborativo tra Fisco e
Contribuente, è l’art. 53 della Costituzione, che sancisce il principio della capacità
contributiva e costruisce il sistema tributario italiano sulla base della progressività.
L’articolo dispone infatti che: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di
progressività”
1
. Da esso si desume che le prestazioni tributarie devono gravare in modo
uniforme su soggetti che manifestano la stessa capacità contributiva e in modo
differente, secondo il criterio della progressività, sui soggetti che hanno manifestazioni
di ricchezza differenti. La ratio di questa legge si sostanzia nel fatto che il dovere di
concorrere a sostenere la spesa statale sia espressione di un generale dovere di
solidarietà, principio fondamentale richiamato dall’art. 2 della Costituzione, cioè
dell’obbligo di contribuire ad assicurare uguaglianza e a creare un sistema in grado di
prevedere servizi per tutti, anche per i soggetti meno abbienti. La capacità contributiva,
quindi, si allinea alle disposizioni di cui agli art. 2 e 3 della Costituzione, le quali
1
Oltre al generale principio della capacità contributiva, il legislatore ha stabilito che il sistema fiscale deve
basarsi su un meccanismo di proporzionalità, il quale implica che ciascuno sia chiamato a concorrere alla
spesa pubblica in base alle proprie risorse, in modo che chi ha meno versi meno e chi ha di più versi di più
(in maniera, appunto, proporzionale). In realtà, esso è suscettibile di trovare piena attuazione solo in
relazione alle imposte c.d. dirette, che, cioè, colpiscono le forme immediate di produzione di reddito (ad
esempio l'IRPEF), ma non in ordine a quelle indirette (come l'IVA) che, gravando sui beni, finiscono per
pesare indistintamente su tutti (salvo correttivi come imporre un'IVA più bassa su certi beni).
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introducono per ogni cittadino un dovere di solidarietà economica che la Repubblica
deve tutelare.
Inoltre, l’art. 53 implica due importantissime funzioni, che rilevano particolarmente
nell’ottica della collaborazione tra Fisco e contribuente: da un lato, la funzione
solidaristica, secondo la quale ciascun contribuente è obbligato a concorrere alla spesa
pubblica, con lo scopo di supportare anche il carico della stessa di coloro che non sono
in grado di sostenerlo, oppure lo sono, ma in misura minore rispetto ad altri
contribuenti; dall’altro lato, la funzione garantista, ben rappresentata dal concetto del
“minimo vitale”, grazie al quale lo Stato si adopera per permettere ad ogni cittadino di
condurre un’esistenza libera e dignitosa
2
. Per questi motivi, dunque, all’assolvimento
delle due funzioni da parte dello Stato, corrisponde un dovere di collaborazione di tutti
i cittadini con esso (ed a maggior ragione dei contribuenti con l’Amministrazione
Finanziaria): l’Amministrazione è quindi legittimata alla pretesa e alla riscossione
tributaria, con l’unico limite rappresentato dal rispetto della Legge, mentre i cittadini, a
loro volta, sono tenuti a cooperare con essa. Questo rapporto collaborativo trova la sua
ragion d’essere nel raggiungimento di un interesse superiore per la collettività.
Non sono state, però, solamente le previsioni costituzionali a contribuire alla
costruzione di un rapporto collaborativo tra Fisco e Contribuente, in passato, infatti,
vennero introdotte altre discipline in ambito di cooperazione, che orientarono
definitivamente i due attori principali del panorama fiscale sulla strada del dialogo
reciproco.
Ripercorrendo le tappe storiche di questo rapporto, si può affermare come, nel periodo
che va dall’ Unità d’Italia alla Seconda guerra mondiale, l’unico adempimento in capo al
cittadino/contribuente si sostanziava nel pagare i tributi; tutti gli altri oneri relativi al
rapporto erano infatti in capo all’Amministrazione Finanziaria, con l’unica eccezione
della presentazione della dichiarazione dei redditi: questa era esistente dal 1864, ma
veniva presentata una sola volta nella vita e confermata tramite il silenzio. La svolta
2
G. Marongiu “Lo statuto dei diritti del contribuente nell’accertamento e nel processo”, Diritto e Pratica
Tributaria, 2014/6, 10954.
16
cruciale si verificò con la riforma Vanoni del 1951, la cui novità fondamentale fu
l’introduzione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi annuale,
anche nel caso in cui le condizioni economiche fossero rimaste invariate nel corso
dell’anno. Tale adempimento, almeno per le attività produttive, presupponeva la tenuta
di una chiara e precisa documentazione
3
.
Successivamente, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, si ampliò
notevolmente la platea dei contribuenti e allo stesso tempo si assistette al moltiplicarsi
dei tributi; questi due fattori spinsero lo Stato ad implementare un sistema di
autotassazione, per effetto del quale i contribuenti cominciarono ad essere autonomi
nel processo di liquidazione delle imposte. Il maggiore sforzo richiesto ai contribuenti
dall’autotassazione, soprattutto in termini di adempimenti, di precisione e di
conoscenza delle leggi, era compensato dalla nascita di alcuni istituti volti alla
valorizzazione del dialogo con l’Amministrazione Finanziaria. Tra questi, riveste notevole
importanza il principio del contraddittorio, ossia della dialettica tra le parti e, in
generale, tutte quelle occasioni di dialogo che sono funzionali all’emissione del
provvedimento, inteso come la conclusione del procedimento. L’articolo 111 della
Costituzione, a tal proposito, dispone che: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio
tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.” Il contraddittorio
rappresenta, quindi, l’esaltazione del rapporto di collaborazione tra Amministrazione e
Contribuente, perché volto a facilitare il dialogo tra le parti con l’obiettivo di definire
“amichevolmente” inadempimenti o incongruenze nella regolarizzazione delle varie
situazioni fiscali, raggiungendo più agevolmente la formazione del provvedimento
finale. Tale procedimento, all’interno del nostro ordinamento, è retto da importanti
principi, primo tra tutti quello della buona fede e della correttezza nel rapporto tra le
parti. Il principio della buona fede è riconducibile alla disciplina civilistica: l’articolo 1175,
infatti, impone alle parti di un rapporto giuridico di comportarsi secondo le regole della
correttezza nell’adempiere una o più obbligazioni. Per quanto concerne la sua struttura,
il principio della buona fede si può scomporre nella sua dimensione soggettiva e in quella
3
Marchetto R., “Tendenze moderne nel rapporto tra Contribuente e Fisco”, all’interno di “Dialoghi di
diritto tributario tra attualità e prospettive”, 2015.