Il Nuovo Mondo nelle “Navigazioni e Viaggi” di Giovanni Battista Ramusio
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Introduzione
Così come l’uomo ha sempre temuto l’ignoto, da esso è comunque stato costantemente attratto
ed affascinato. Le esplorazioni rappresentano forse il modo più tangibile che l’uomo ebbe per
esorcizzare concretamente l’ignoto che lo circondava. Fin dall’epoca delle prime civiltà, navigatori
ed esploratori cercarono di tracciare i confini delle terre dove abitavano e di quelle circostanti,
allargando il raggio delle loro conoscenze geografiche con il progredire delle possibilità
tecnologiche e organizzative.
Le antiche civiltà mediterranee cominciarono ad avere coscienza delle dimensioni di quel
grande specchio d’acqua che in seguito sarebbe divenuto il Mare Nostrum romano. Mentre nel
millenario impero cinese si acquisivano sempre maggiori conoscenze in merito ai mari orientali,
nella nostra Europa il compito di uscire definitivamente dai confini continentali spettò per primi ai
vichinghi, guerrieri e abilissimi marinai, che riuscirono a costituire colonie in Islanda, Groenlandia
e persino a Terranova, in Canada.
Le guerre interne e contro i musulmani frenarono per secoli le spedizioni europee. Con le
Crociate e la cosiddetta Pax dei Mongoli soldati, mercanti, missionari ed esploratori ritornarono
alla ribalta: era l’epoca dei viaggi verso Oriente di Marco Polo e di altri viaggiatori, veneziani e
non, lungo la via delle spezie.
Fra il XIV° e il XV° secolo cominciarono a registrarsi le prime spedizioni navali portoghesi
verso gli arcipelaghi atlantici e le coste occidentali dell’Africa. Nel corso del Quattrocento, le
spedizioni patrocinate da Lisbona si spinsero sempre più a sud, permettendo agli europei di
prendere contatto diretto con l’Africa sub sahariana e di procedere nella graduale erosione della
frontiera, fisica e psicologica, costituita dall’Oceano. Un processo secolare, coronato nel 1498 dalla
circumnavigazione dell’Africa, preceduta, nel 1492 dalla scoperta di un nuovo continente
sconosciuto a Tolomeo: le Americhe.
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Quest’ultimo evento è particolarmente degno di nota dal momento che si riferisce non
all’esplorazione di una terra la cui collocazione era già pressappoco conosciuta e i cui abitanti,
fauna e territori erano, almeno vagamente, noti agli europei, bensì alla scoperta di un intero
continente di cui non si aveva alcuna nozione.
La scoperta dell’America segna così una svolta nei rapporti fra l’Europa e il Mondo. Per
quanto la consapevolezza di tale scoperta non si sia imposta immediatamente, l’evento conserva
tutto il suo valore ed è legittimo accostare tale svolta al momento in cui finalmente l’uomo si
avventurerà ad esplorare lo spazio: un altro nuovo mondo, in tutti i sensi!
Naturalmente queste sono le considerazioni di un uomo del XXI° secolo che gode della
possibilità di valutare, da una prospettiva storica, le ripercussioni della scoperta e della conquista
delle Americhe. Se ci poniamo dal punto di vista degli uomini del XVI° secolo, solo poche persone
si resero conto della portata delle trasformazioni indotte dalla scoperta del Nuovo Mondo e
dall’avvio della prima espansione europea.
Ai contemporanei di Colombo occorse parecchio tempo per prendere coscienza
dell’importanza della scoperta. Grazie al prosieguo delle esplorazioni, fu possibile comprendere
che le isole scoperte dal genovese non si trovavano in prossimità della costa cinese (o meglio, del
Catai), bensì che si trattava di un nuovo arcipelago facente parte di un immenso continente posto a
metà strada fra l’Europa e l’Asia.
La scoperta di qualcosa di così sconfinato come le terre americane portò ad un’immediata
corsa per accaparrarsi questi luoghi che, dalle prime relazioni pervenute, parevano essere allettanti
sia per le risorse possedute sia per la disponibilità delle popolazioni ad entrare in contatto con i
nuovi venuti europei. Dal 1492, anno del primo sbarco di Colombo su un territorio americano, si
ebbero così decine, centinaia di spedizioni rivolte verso questo Nuovo Mondo, tutto da scoprire per
dimensioni, clima, popolazioni, fauna, flora... Esploratori e conquistatori, gli spagnoli ed i
portoghesi (e in seguito i francesi e gli inglesi) riuscirono nel tempo a tracciare un profilo sempre
più preciso dei confini di questa nuova terra, evidenziando attraverso ogni nuovo viaggio la vastità
effettiva della scoperta dell’Ammiraglio genovese.
Le esplorazioni hanno suscitato nel corso dei secoli un vivo interesse, che spazia dagli
obiettivi espansionistici al gusto per l’esotismo. Chi scrive fa parte della schiera di coloro che hanno
subito il fascino delle relazioni di viaggio sin dalla giovinezza. Rivelatrice, è stata, a suo tempo, la
lettura del Milione di Marco Polo. Di grande interesse è stato invece, più di recente, il Seminario
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sulla formazione storica dell’immagine del Nuovo Mondo nella prima età moderna tenuto dalla
prof. ssa Maria Matilde Benzoni. Il Seminario mi ha in effetti permesso di accostarmi alle fonti e
alle interpretazioni relative alla stagione delle scoperte e delle conquiste americane, fornendomi i
primi elementi per arricchire la mia conoscenza, fino ad allora basata su nozioni di tipo liceale, di
questa stagione dell’espansione europea.
Grazie al Seminario, ha cominciato a profilarsi davanti ai miei occhi un mondo che, se
possibile, risultava ancora più affascinate di quello dei viaggi in Oriente o nelle regioni africane. Da
qui l’idea di dedicare la mia tesi di laurea allo studio delle Navigationi et Viaggi di Giovanni
Battista Ramusio e in particolare del terzo volume della grande raccolta, dedicato appunto al Nuovo
Mondo.
Nel mio lavoro mi sono naturalmente impegnato nella ricostruzione, fra storia e storiografia,
della biografia dell’umanista veneziano e del contesto storico-culturale – la Venezia della prima
metà del XVI° secolo – in cui prese corpo il progetto delle Navigationi et Viaggi, un’opera tra le
più complete del suo secolo (e della letteratura di viaggio in generale). È proprio grazie a Ramusio
che ancor oggi possiamo leggere in un unico volume la maggior parte delle relazioni sul primo
periodo della scoperta e conquista del Nuovo Mondo. Ho così potuto esaminare fonti assai diverse
tra loro, che spaziano da opere oggi celebri come le Cartas de Relación di Hernan Cortés e la
Historia Natural di Fernando González de Oviedo a testi di cui, senza la traduzione ramusiana,
avremmo ora difficilmente notizia.
Tra le molte cronache entrate in suo possesso, Ramusio selezionò i testi da inserire all’interno
della sua collezione in base ad un criterio geografico: nei resoconti dovevano essere presenti
riferimenti alla conformazione del territorio attraversato, meglio se coadiuvati da precise coordinate
spaziali, longitudini e latitudini. Il suo obiettivo era quello di tracciare un quadro del mondo dopo
l’avvio della prima espansione europea che aggiornasse l’ormai superata mappa tolemaica. Un
compito difficile che riuscì a portare a termine, anche se come sappiamo le esplorazioni e le
conquiste americane sarebbero continuate per secoli e l’Oceania sarebbe stata ufficialmente
scoperta solo ad inizio XVII° secolo.
Le fonti edite nel Terzo volume sono molto varie. Si ritrovano autori che preferirono dedicarsi
prevalentemente a descrizioni di carattere geografico-naturalistico conferendo maggiore risalto alle
novità osservate nella fauna e nella flora americana. Ve ne sono altri che dedicarono attenzione alle
civiltà sviluppatisi nel continente americano: i popoli delle isole di Cuba ed Hispaniola, le tribù di
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cannibali presenti in molte isolette del mar dei Caraibi, la civiltà Maya dello Yucatan, il possente
regno azteco in Messico e l’altrettanto evoluto impero inca del Perù, le genti delle gelide terre di
Terranova… Tutte queste popolazioni, con le loro usanze, i loro costumi e le loro pratiche religiose,
compaiono nelle narrazioni raccolte da Ramusio. Accanto a queste (o collegate ad esse) si
rintracciano episodi che rendono ognuno dei resoconti unico e particolare. La conquista di veri e
propri imperi, le difficoltà delle spedizioni esplorative, naufragi, violenze ai danni dei nativi e
tentativi di convivenza, territori ostili e terre fertili e ricche di metalli preziosi, atti di eroismo e
cupidigia estrema, leggende e cruda realtà dei fatti.
Le Navigationi et Viaggi continuano ad affascinare il lettore per tale grande varietà di
argomenti, illustrando in maniera esauriente la nuova frontiera americana, le difficoltà
nell’insediarvisi e le soddisfazioni per le imprese riuscite. Un’opera perfetta per un’efficace
comprensione di questi primi decenni dell’epopea americana che videro impegnati migliaia di
uomini: da semplici marinai a feroci conquistadores.
Addentriamoci dunque nelle Navigationi et Viaggi di Giovanni Battista Ramusio. Anche se
non si tratterà dell’oro tanto bramato dai conquistadores, avremo comunque qualcosa da
guadagnarci: una migliore comprensione delle scoperte e conquiste americane.
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PARTE PRIMA: Ramusio e le sue Navigazioni,
la creazione di un Mondo Nuovo
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Capitolo 1
Giovanni Battista Ramusio: un profilo
biografico tra storia e storiografia
I. La Repubblica di Venezia nel Cinquecento
La Repubblica di Venezia e le Americhe appena scoperte… Difficilmente si potrebbe pensare
di trovare un punto d’incontro tra questi due contesti, ma qualcosa – o meglio, qualcuno – esiste.
Il suo nome è Giovanni Battista Ramusio, oggi probabilmente sconosciuto ai più, ma in realtà
figura di rilievo per la cultura veneziana del XVI° secolo e ideatore di un’opera monumentale – le
Navigationi et Viaggi
1
- ampia silloge ragionata dei racconti di viaggi, esplorazioni e conquiste
collocate in ogni parte del mondo che gli permise di tracciare molto più fedelmente di quanto fosse
stato fatto fino ad allora il profilo di un mondo che aveva appena rivelato un nuovo enorme
continente: le Americhe.
Procediamo tuttavia con ordine, cominciando a considerare la posizione della Serenissima
all’alba del Cinquecento. La Repubblica di Venezia in questo periodo era ancora una delle più
formidabili potenze marittime mediterranee, ma l’apice appena raggiunto si sarebbe ben presto
trasformato in un inesorabile declino causato dal sempre più insistente avanzare degli ottomani ad
Oriente e dello stabilirsi, ad Occidente, di forti potenze come la Francia o la Spagna ormai
impegnate nell’area italiana. In questi decenni a cavallo tra i due secoli, la città lagunare si trovava
al massimo della sua forza grazie all’uso della diplomazia, alle sue flotte e ai suoi lucrosi commerci
attivi per tutto il Mediterraneo.
Venezia si era consolidata a tal punto da aver acquisito, con un abilissimo gioco di strategie
che spesso ponevano la Serenissima prima nel campo di un’alleanza e poi, poco dopo, nel campo
opposto, città in Lombardia e porti nelle Puglie
2
.
1
Per la storia delle edizioni e del successo editoriale delle Navigationi et Viaggi si rimanda al secondo capitolo della
prima parte del presente lavoro.
2
Frederic C. Lane riesce a dare un valido spaccato di questi continui cambi di fronte, che permisero alla Repubblica
veneziana di ottenere grandi successi politici e militari. Un esempio emblematico lo si può rintracciare proprio sul finire
del XV° secolo, precisamente nel 1495, quando Venezia si mise a capo di una lega anti-francese per contrastare la
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Chi poteva immaginare una caduta di questa florida repubblica? Invece la Lega di Cambrai –
formatasi nel 1508 con una formidabile alleanza tra i più grandi stati europei come Spagna, Francia,
il Sacro Romano Impero e tutti i piccoli stati italiani – e l’inesorabile pressione da tempo esercitata
dai Turchi, ridimensionarono rispettivamente le mire e l’influenza veneziana in Italia e gli interessi
commerciali e militari in Oriente
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.
Il Cinquecento si apre quindi con una Venezia ricca, potente e ancora simbolo importante del
mar Mediterraneo, ma in evidente affanno se confrontata con l’importanza che stavano assumendo
l’impero ottomano e l’enorme mosaico di territori che da lì a poco avrebbe riunito nelle proprie
mani Carlo V. La dipendenza dalle compagnie di ventura, la nobiltà che cominciava a preferire la
terra rispetto alle tradizioni marittime, i supremi comandi navali che finivano nelle mani di politici e
diplomatici invece che in quelle di marinai di professione, le dimensioni sempre maggiori che
stavano assumendo le flotte navali… tutti questi aspetti prefiguravano il possibile declino della
repubblica marinara.
Sarà però in particolare la costante avanzata turca a costringere Venezia sulla difensiva, non
solo nel campo prettamente politico-militare, ma anche nel settore commerciale: i turchi infatti,
dominando tutta la parte del Mediterraneo orientale, costituiranno un ostacolo obbligato per i
mercanti veneziani poiché molte delle merci (come le spezie e le sete) che provenivano da India e
potenza straniera che era penetrata in Italia per accampare diritti sul regno di Napoli, schiacciando con facilità ogni
resistenza. La lega, organizzata per cercare di ristabilire l’equilibrio infranto in Italia, coinvolse non solo i piccoli stati
italiani, ma vide anche la partecipazione dell’imperatore tedesco e del re di Spagna. La lega riuscì a scacciare i francesi
dal regno di Napoli mentre Venezia ottenne alcuni importanti porti nelle Puglie come Otranto e Brindisi. Quando poi la
città veneta si trovò contro Milano dopo aver appoggiato Pisa nel tentativo di liberarsi dall’egemonia fiorentina, essa
non esitò a chiedere l’alleanza della Francia guidata dal nuove re, Luigi XII. La Francia riuscì a conquistare Milano e
Venezia ottenne in cambio la ricca città di Cremona, dimostrandosi spregiudicata giostratrice di alleanze. F. C. Lane,
Storia di Venezia, Einaudi, Torino, 2005, pp. 282 – 283.
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Sempre Lane mostra come la Lega di Cambrai si rivelò essere il peggiore rischio che la repubblica affrontò nel corso
della sua storia. Gli stati alleati con cui si era dovuta confrontare erano i più forti d’Europa oppure avevano mire dirette
sui territori veneziani, trasformando per questa via in pericolosi avversari persino i piccoli stati italiani. Venezia finì in
questa situazione proprio per un uso forse presuntuoso dei continui cambi di schieramento: gli ambasciatori di stanza
nelle varie corti italiane ed europee credettero – erroneamente – che gli attriti e le rivalità tra avversari come, ad
esempio, la Spagna e la Francia non si sarebbero mai sanati ed invece non andò così. La città lagunare doveva aver
tirato troppo la corda e da questa crisi ne uscì solo attingendo enormi risorse economiche e salvandosi ancora grazie al
gioco delle alleanze che le permise di riottenere nel 1516 quasi tutti i territori perduti con la guerra. Lane fa notare
come la Repubblica di San Marco impiegò una quantità di risorse economiche assolutamente non paragonabili a quelle
utilizzate per far fronte all’avanzata turca ad Oriente. Quando nel 1499 i Turchi attaccarono le colonie veneziane nello
Ionio, il Senato non agì con la risolutezza e determinazione che utilizzò invece pochi anni più tardi per contrastare la
Lega di Cambrai, eppure anche in questo caso i soldati ottomani arrivarono a saccheggiare il Friuli dopo aver occupato
tutte le piazzeforti veneziane presenti in Grecia. La conclusione che si può trarre è che Venezia sembrava avere più a
cuore la sorte dei suoi possedimenti in terra italiana che quelli sparsi per il Mediterraneo che pure erano stati – ed
ancora lo sarebbero rimasti per molti anni – la fonte primaria della sua grandezza tramite commerci e le flotte. Ibid. pp.
283 – 288.
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Cina facevano capo proprio ai porti musulmani. Se a questo aspetto aggiungiamo l’impresa
compiuta da Vasco da Gama, che nel 1498 era riuscito ad arrivare in India doppiando il capo di
Buona Speranza e aprendo così una nuova rotta commerciale per i portoghesi che tagliava fuori di
fatto sia l’impero turco sia i veneziani, ci si rende conto della difficile condizione commerciale in
cui cominciava a trovarsi Venezia. Anche se il quadro non va estremizzato, Lane cita la reazione dei
mercanti veneziani alla notizia dell’apertura del Capo, ma sottolinea contestualmente che Venezia
continua a conservare il suo ruolo nel corso dei decenni successivi. Da qui l’enorme interesse verso
le “scoperte”.
Era dunque imperativo cercare una nuova rotta, più veloce di quella portoghese, che
permettesse di arrivare in Oriente scavalcando l’intermediario ottomano… e quale migliore
occasione veniva fornita alla repubblica se non la scoperta e l’esplorazione del Nuovo Mondo?
Dopo la scoperta ufficiale di Cristoforo Colombo nel 1492, il Portogallo e la Spagna avevano
cominciato ad interessarsi sempre di più nei confronti di queste “nuove isole” occidentali inviando
numerose spedizioni che ebbero il compito di esplorare, colonizzare e poi conquistare parti di
quello che non avrebbe tardato a manifestarsi come un vero e proprio “nuovo continente”.
Sebbene solo Spagna e Portogallo, sulla base del Trattato di Tordesillas
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, ebbero il privilegio
di poter organizzare tale genere di spedizioni verso le Americhe appena scoperte, questi due Stati
non si limitarono ad utilizzare marinai ed esploratori delle proprie terre, ma si avvalsero anche di
abili personaggi delle più svariate nazionalità.
Tra i navigatori assoldati per scoprire queste nuove terre o nuove rotte da sfruttare dal punto di
vista commerciale ci furono anche dei veneziani: Giovanni Caboto e suo figlio Sebastiano. In
qualità di mercante, Giovanni comprendeva l’importanza della scoperta di una rotta occidentale che
arrivasse velocemente in terra asiatica e tentò di rintracciarla nel nord America con una spedizione
finanziata dal re inglese Enrico VII. Approdato a Terranova nel 1497, egli scambiò questa terra,
4
Il privilegio in questione era stato concesso subito l’anno dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo
Colombo da parte di papa Alessandro VI con la promulgazione – nel 1493 – di un speciale bolla papale chiamata “Inter
Caetera”. Di fatto essa divideva le sfere d’influenza di Spagna e Portogallo (i due principali concorrenti nella corsa al
Nuovo Mondo) in base al meridiano che passava 100 leghe dall’isola di Capo Verde: alla Spagna andavano tutte le terre
ad ovest di quel meridiano mentre al Portogallo tutte le terre contenute ad est. Nuovi atti giuridici l’anno successivo
spostarono questa linea di demarcazione di altre 270 leghe ad ovest rispetto all’isola di Capo Verde (il trattato di
Tordesillas). Aldo Andrea Cassi nel suo libro Ultramar ci spiega come questa bolla risultò un privilegio di enorme
importanza per i paesi iberici perché tagliava fuori dalla “competizione” per la conquista del Nuovo Mondo tutti gli altri
stati europei; per la precisione essi non erano ostacolati giuridicamente dall’andare a prenderne possesso (come cercò di
fare in seguito re Francesco I di Francia con la terza spedizione di Jacques Cartier), ma erano costretti a mantenere
fisicamente i propri domini con la presenza di colonie, possessi che al Portogallo e alla Spagna venivano dati per
impliciti una volta scoperto il territorio. A.A. Cassi, Ultramar – L’invenzione europea del Nuovo Mondo, Laterza, Bari
2007, pp. 37 – 42.
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conformemente all’immagine del mondo corrente all’epoca, per la propaggine più orientale del
continente asiatico, cosa che sembrarono poi confermare le sue nuove esplorazioni. Di fatto, Caboto
riteneva quindi di aver scoperto una rotta che arrivava in Asia in soli 35 giorni: le sue supposizioni
si dimostrarono naturalmente errate. Anche suo figlio Sebastiano fu un valido navigatore e intorno
agli anni 20, in segreto, cercò un accordo con la sua terra d’origine, Venezia, asserendo di
conoscere un passaggio a Nord-Ovest che arrivasse direttamente in Catai.
La città lagunare constatò l’impraticabilità di un tale progetto di ricerca e di sfruttamento di
questo presunto passaggio: è tuttavia emblematico vedere come Venezia tenesse aperta qualunque
porta allorquando erano in gioco nuove rotte commerciali.
Se i mercanti erano uno dei punti cardine della repubblica di San Marco – e abbiamo
osservato quanta importanza desse la città veneta alla possibilità di aprire nuove tratte commerciali
(anche distanti migliaia di chilometri rispetto ai suoi abituali commerci nel Mar Mediterraneo) pur
di mantenersi attiva di fronte alle nuove difficoltà che si venivano a configurare – altrettanto si
poteva dire dei diplomatici, abili personaggi inviati alle corti di tutta Europa per curare gli interessi
veneziani e seguire la situazione politica presente in ogni stato. Fu proprio Venezia la prima città –
insieme a Milano – a sfruttare queste scaltre figure in modo permanente in Italia tra il 1440 e il
1460, passando poi a renderli presenze fisse nelle corti inglesi, francesi, spagnole, asburgiche, ecc.
Grazie all’azione dei suoi ambasciatori, Venezia riuscì a barcamenarsi in mezzo a potenze di gran
lunga a lei superiori
5
(come in occasione della guerra del 1508 contro la già evocata Lega di
Cambrai) e a mantenersi indipendente in un’Europa piena di aggressive grandi potenze fino
all’arrivo delle truppe napoleoniche nel 1797, anno della caduta definitiva dello stato veneziano. E
sarà ancora grazie ai suoi abili diplomatici che numerosi documenti relativi ai viaggi e alle
esplorazioni effettuate nel Nuovo Mondo arrivarono nella città lagunare
6
, sempre alla ricerca della
possibilità di sfruttare commerci e nuove rotte come si era tentato di fare con Sebastiano Caboto.
5
I rapporti provenienti dagli ambasciatori erano acuti ed analizzavano in maniera intelligente forze e debolezze dei
paesi a cui erano stati assegnati; si analizzavano anche le personalità più rilevanti, le risorse e gli avvenimenti fornendo
così alla Repubblica di San Marco una visione completa degli interessi politici di gran parte dell’Europa che venivano
poi adeguatamente e sapientemente sfruttati. F.C. Lane, Storia di Venezia, cit., pag. 283.
6
Luciana Stegagno Picchio ci ricorda come ancora prima dell’istituzione delle ambasciate diplomatiche fossero presenti
negli archivi di stato della Serenissima una notevole quantità di documenti relativi a relazioni, diari e cronache di viaggi
compiuti da mercanti e viaggiatori italiani nei decenni e nei secoli precedenti: Marco Polo, Nicolo’ de Conti, Alvise da
Mosto, Comito Veneziano, Ambrogio Contarini, Giosafat Barbaro e Pietro Quirini. L. Stegagno Picchio, “Navigationi
et Viaggi” di Giovanni Battista Ramusio in Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere vol. II, a cura di Alberto Asor Rosa
Einaudi, Torino, 1993, pag. 481.
Il Nuovo Mondo nelle “Navigazioni e Viaggi” di Giovanni Battista Ramusio
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Nel suo articolo Giovanni Battista Ramusio e le sue “Navigazioni”
7
, Massimo Donattini
segnala il contributo di alcuni diplomatici e segretari presenti presso le corti iberiche nella
diffusione, attraverso i loro scritti, di notizie assai interessanti sulle recenti scoperte geografiche in
terra americana: Angelo Trevisano, segretario dell’ambasciatore Domenico Pisani, Giovanni Mattia
Cretico (che ebbe più il ruolo di spia che un ambasciatore), Pietro Pasqualingo fino ad arrivare ad
Andrea Navagero e a Ramusio stesso.
Commercianti, marinai, ambasciatori e poi naturalmente anche letterati. Venezia è sempre
stata un centro importantissimo per la cultura italiana: lo dimostrano i numerosi personaggi che vi
hanno operato, mettendo al servizio della città le proprie qualità come pittori, architetti, scrittori,
ecc. La Serenissima, paradossalmente, non riuscì a valorizzare la vivace corrente culturale
cinquecentesca che si stava sviluppando nei propri domini come invece era stata in grado di fare per
i secoli precedenti: la pressione militare causata dal progressivo avanzamento dei Turchi nel
Mediterraneo orientale aveva costretto a dirottare gran parte delle risorse dedicate alla cultura verso
altri campi più prioritari per gli interessi immediati dello stato veneziano. In breve, vennero
privilegiati i mercanti, le armi ed la politica, i primi importanti per il mantenimento dei commerci e
quindi dell’afflusso di denaro all’interno della repubblica, mentre i restanti si rivelarono obbligatori
per contrastare la politica espansionistica dell’impero ottomano. Ovviamente questo calo di
mecenatismo da parte del governo veneziano non significò una mancanza di una corrente
umanistica degna delle altre corti italiane come quella romana o medicea. Tutt’altro. Si pensi alle
figure dell’editore e tipografo Aldo Manuzio, allo storico della Repubblica veneziana Pietro Bembo,
al medico, filosofo, astronomo, geografo e letterato Girolamo Fracastoro, al filosofo ed umanista
Pietro Pomponazzi e al patrizio ed ambasciatore della Serenissima Andrea Navagero, solo per
citarne alcune. Figure che beneficiano della trasformazione di Venezia in uno dei più importanti
centri editoriali dell’Europa della prima età moderna.
7
M. Donattini, Giovanni Battista Ramusio e le sue “Navigazioni”: Appunti per una biografia, contenuto in “Critica
Storica”, XVII, 1980, pag. 78.