INTRODUZIONE
I concetti fondamentali del riassetto
Il riassetto sistematico dei diritti di proprietà industriale è stato effettuato per
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uniformare l’ordinamento italiano a quello consacrato nei TRIPs che costituiscono
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un accordo complementare dei negoziati GATT nell’ambito dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio. Questo modello costituisce il risultato di un’evoluzione
che, a partire dalla proprietà sulle creazioni intellettuali come istituto nato dalla
Rivoluzione Francese, si è progressivamente consolidata, divenendo elemento
essenziale di un’economia di mercato e giungendo, con l’Accordo TRIPs, ad essere
un vero e proprio statuto della economia globalizzata , in quanto esso ha la funzione
di convincere e di costringere tutti gli Stati che partecipano all’Organizzazione
Mondiale del Commercio a garantire nei loro territori una tutela minima della
proprietà industriale secondo le prescrizioni all’uopo concordate. In altri termini, il
Legislatore delegato ha scelto un modello destinato, sia pure in forme diverse, a
divenire il riferimento di tutte le legislazioni nazionali in un contesto come quello
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di ampio e duraturo respiro. Sulla
base dunque di questo modello, il Codice non si è limitato ad unificare dal punto di
vista redazionale le 39 leggi e gli innumerevoli provvedimenti di altro tipo che, nel
loro insieme, ponevano fino ad oggi la disciplina italiana della proprietà industriale,
ma, pur non modificando se non nella misura strettamente necessaria le singole
disposizioni che componevano la legislazione in vigore, ha ricostruito in un quadro
nuovo e moderno i nessi sistematici che collegano i molteplici diritti di proprietà
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Vedi paragrafo Cap. 2, “l’accordo TRIPs”, pag. 59
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Il General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio,
meglio conosciuto come GATT) è un accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra
(Svizzera) da 23 paesi, per stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo
scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. Il GATT è cresciuto, nel corso degli
anni, attraverso otto diverse sessioni di negoziati (indicate col termine di “round”) per la riduzione
delle tariffe doganali nonché con l’aggiunta di accordi plurilaterali tra i paesi partecipanti. Il GATT
(come organizzazione) è stato sostituito, dal 1 gennaio 1995, dall’Organizzazione Mondiale del
Commercio (World Trade Organization - WTO), organizzazione permanente dotata di proprie
istituzioni che ha adottato i principi e gli accordi raggiunti in seno al GATT, mentre il GATT come
accordo esiste ancora e, per distinguere il nuovo accordo dall’accordo originario, si parla di “GATT
1947” quando ci si riferisce all’accordo originario e di “GATT 1994” quando ci si riferisce invece
all’accordo aggiornato nel 1994 a seguito dell’Uruguay Round. (www.wikipedia.org)
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industriale (come individuati nell’Accordo TRIPs), sulla base di uno schema che è
certamente di natura proprietaria.
La prima e più importante conseguenza di questa scelta fondamentale è stata quella
di far confluire nella categoria della proprietà industriale diritti che, in precedenza,
erano protetti con le norme contro la concorrenza sleale, a condizione che
possedessero un’oggettività sufficiente per essere ricompresi in uno schema di tutela
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proprietaria. Una precisa indicazione in questo senso proveniva infatti dall’Accordo
TRIPs, se è vero che questo ha sicuramente selezionato i diritti di proprietà
industriale ricomprendendovi tutti quelli che fossero capaci di generare un diritto
esclusivo, riferibile ad un’entità suscettibile di oggettivazione. Il concetto è stato
espresso nell’art. 1 del Codice, rubricato “Diritti di proprietà industriale”, nel quale
vengono elencati, come oggetti di tali diritti: marchi ed altri segni distintivi,
indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni,
modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali
riservate e nuove varietà vegetali. La prima conseguenza di quest’operazione è stata
quella di ampliare la categoria dei diritti di proprietà industriale, rispetto alla sua
definizione secondo la disciplina precedente, dato che in essa vengono fatti confluire
diritti che, in precedenza, erano tutelati con le norme contro la concorrenza sleale.
Sotto questo profilo, il riassetto sistematico corrisponde ad una più rigorosa
impostazione dogmatica dei rapporti intercorrenti fra proprietà industriale e
concorrenza sleale. Ed invero, a distanza ormai di più di cinquant’anni dall’entrata in
vigore del Codice del 1942, è divenuto chiaro che le norme sulla concorrenza sleale
degli artt. 2598-2601 c.c. costituiscono il fondamento di un diritto alla lealtà della
concorrenza che, nei suoi tratti essenziali e nel corredo sanzionatorio, non differisce
dai diritti di proprietà industriale. La dottrina, a questo riguardo, è già da tempo
pervenuta alla conclusione che la riconduzione delle fattispecie di concorrenza sleale
nell’ambito della responsabilità extracontrattuale per fatto illecito ha la sua origine
storica nella necessità, da parte della giurisprudenza anteriore al Codice del 1942, di
rinvenire nella norma generale sulla responsabilità civile (art. 1151 c.c. del 1865 ed
art. 2043 c.c. del 1942) il riferimento normativo della disciplina sanzionatoria.
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Il Codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali, Giorgio Floridia
in Il diritto industriale N. 1/2005
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Conseguentemente, se ci si libera dal “tabù” di una contrapposizione dogmatica fra
tutela reale e tutela personale, che non ha alcuna ragion d’essere quando si faccia
riferimento ad una disciplina come quella degli artt. 2598 ss. c.c., è ben giustificato
trarre nella categoria dei diritti di proprietà industriale tutta quella parte della
disciplina in questione che è suscettibile di dare luogo ad una protezione
“oggettivata”.
Si è convenuto che un marchio di fatto costituisce oggetto di proprietà industriale
non diversamente da come lo è un marchio registrato, che un’informazione aziendale
riservata costituisce oggetto di proprietà industriale non diversamente da come lo è
un’invenzione brevettata, e così via. Questo è infatti il modello deducibile
dall’Accordo TRIPs, dal quale esula completamente l’idea che, nella tutela contro la
concorrenza sleale, abbiano rilevanza interessi diversi ed antagonistici rispetto a
quello del titolare del diritto (come l’interesse dei consumatori) e l’idea che tale
rilevanza possa segnare una distinzione rispetto all’impostazione dominicale.
D’altronde, un’estensione siffatta dell’impostazione dominicale della proprietà
industriale non desta alcuna preoccupazione perché, nell’attuale fase evolutiva
dell’ordinamento nazionale, la tutela dei consumatori viene organizzata sulla base di
appositi istituti, mentre l’altro interesse antagonistico rispetto a quello sotteso al
diritto di proprietà industriale, e cioè l’interesse della collettività ad un mercato
concorrenziale libero ed efficiente, viene garantito in tutti gli ordinamenti nazionali
ed anche in quello italiano dalla Legge Antitrust: entrambi questi interessi
antagonistici sono infine garantiti dal controllo di autorità indipendenti, la cui
funzione è completamente estranea alla tutela della proprietà industriale. Il Consiglio
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di Stato dapprima ha rilevato che, sotto il profilo del raccordo del nuovo Codice
della proprietà industriale con il codice civile, qualche perplessità avrebbe potuto
destare l’enucleazione di una serie di posizioni giuridiche soggettive che, protette in
precedenza con le norme contro la concorrenza sleale, erano state ritenute in
possesso di un’oggettività sufficiente a ricomprenderle nello schema della proprietà
industriale. Subito dopo ha però proseguito approvando la scelta e giudicandola
perfettamente conforme alla generale tendenza della creazione di nuovi e
differenziati statuti del diritto di proprietà.
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Casaburi-Malfatti, Consiglio di Stato; adunanza generale; parere, 25-10-2004, n. 2/04.
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Diritti di proprietà industriale titolati e non titolati
Come l’art. 1 del Codice, anche l’art. 2, rubricato “Costituzione ed acquisto dei
diritti”, rappresenta una novità. Ed invero, ricostruita una categoria generale dei
diritti di proprietà industriale, in funzione di una tutela assoluta capace di conferire
un diritto esclusivo avente un riferimento oggettivo, era necessario distinguere tali
diritti, contrapponendo quelli che sono stati chiamati “titolati”, perché suscettibili di
acquisto mediante brevettazione oppure mediante registrazione, da tutti gli altri che,
non titolati, sono protetti ricorrendone i presupposti di legge, che non
necessariamente devono essere consacrati nello stesso Codice della proprietà
industriale, ben potendo essere contemplati altrove, come nel caso della ditta e
dell’insegna le cui basi, oltre che dalla generale disciplina dei segni distintivi, sono
posti nel codice civile.
L’art. 2, conformemente al linguaggio ed all’assetto internazionale e comunitario,
distingue, dunque, fra diritti di proprietà industriale oggetto di brevettazione, quali
quelli sulle invenzioni, i modelli di utilità e le nuove varietà vegetali; diritti di
proprietà industriale oggetto di registrazione, quali i marchi, i disegni e modelli e le
topografie dei prodotti a semiconduttori ed, infine, diritti di proprietà industriale non
titolati, quali i segni distintivi diversi dal marchio registrato, quivi compresi i nomi di
dominio, le informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le
denominazioni di origine.
Importante, e non semplicemente esplicativa sul piano dogmatico, è la disposizione
del comma 5 dell’articolo in questione, nella quale si precisa che l’attività
amministrativa di brevettazione e di registrazione ha natura di accertamento
costitutivo e dà luogo a titoli soggetti ad un regime speciale di nullità e decadenza
sulla base delle norme contenute nel Codice. Questa disposizione, quanto alla
connotazione dogmatica, è conforme ad un’impostazione recepita da tutta la dottrina
e dalla giurisprudenza italiane e, quanto alla dimensione operativa, è importante
perché chiarisce con riguardo ai diritti non titolati che la mancanza dei presupposti
della tutela si traduce puramente e semplicemente nella negazione della tutela stessa,
mentre per i diritti titolati i presupposti rilevano come requisiti di validità e di
efficacia, la cui mancanza non dà luogo soltanto alla negazione della tutela ma anche
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alla nullità ed alla decadenza dei titoli con riflessi sul sistema della loro pubblicità
legale.
La disposizione del comma 5 dell’art. 2 del Codice acquista poi una rilevanza
sistematica fondamentale considerandone i riflessi strutturali:
• la tutela giurisdizionale contemplata nel capo III del Codice, per la parte che
riguarda l’azione di rivendicazione e le azioni di nullità e di decadenza, è
stata organizzata per essere applicabile a tutti i titoli di proprietà industriale,
indipendentemente dall’oggetto dei medesimi;
• la circolazione dei diritti di proprietà industriale è stata equiparata a quella dei
beni mobili registrati, con riguardo a tutti i titoli di proprietà industriale;
• l’attività amministrativa di brevettazione e di registrazione è stata organizzata
con regole comuni a tutti i titoli di proprietà industriale.
Gli artt. 1 e 2 del Codice si pongono dunque a fondamento della struttura del Codice,
5
con il preciso scopo di conferirgli organicità e coerenza.
Proprietà industriale e proprietà intellettuale
Il nuovo Codice della proprietà industriale non comprende la disciplina del diritto
d’autore e questa circostanza sicuramente non è conforme all’impostazione del
Codice che, nel momento stesso in cui elabora ed applica la categoria generale dei
diritti di proprietà immateriale, comprensiva dei diritti non titolati, ricomprende dal
punto di vista concettuale anche il diritto d’autore che, più di ogni altro, si
caratterizza proprio per il fatto che il suo riconoscimento non è subordinato ad alcuna
procedura amministrativa. L’assenza del diritto d’autore dal novero dei diritti di
proprietà immateriale contemplati nel Codice ha suscitato critiche particolarmente
severe, addirittura di condanna per così dire morale, giungendo ad affermare che i
giuristi della Commissione ministeriale avrebbero dovuto dimettersi, dopo avere
constatato che il Codice della proprietà industriale, nella stessa legge di delega, si
riferiva alla materia sua propria, volendo escludere da essa il diritto d’autore. È vero
che nell’ordinamento dell’Accordo TRIPs, e nel contesto internazionale,
l’espressione di “proprietà intellettuale” è divenuta comprensiva anche
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Il Codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali, Giorgio Floridia
in Il diritto industriale N. 1/2005
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dell’espressione “proprietà industriale”, a significare l’omogeneità di tutti i diritti
compresi nella più ampia categoria, ma biasimare la scelta politica di procedere alla
formazione non di uno solo ma di due codici di settore, dedicati rispettivamente alla
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proprietà intellettuale ed alla proprietà industriale pare eccessivo. Nulla di
veramente disdicevole vi è se nell’ordinamento italiano, accanto ad un Codice della
proprietà industriale, troverà posto un Codice della proprietà intellettuale, che
certamente dovrà rispecchiare, insieme alla specificità di quella materia, anche
l’impostazione generale che è stata adottata per la proprietà industriale, perché si è
trattato di una scelta che ha la sua giustificazione in ragioni inerenti alla ripartizione
delle competenze ministeriali, essendo il diritto d’autore compreso nelle attribuzioni
del Ministero dei Beni Culturali ed essendo, per contro, tutti i rimanenti istituti
facenti parte dell’universo della proprietà immateriale ricompresi nelle attribuzioni
del Ministero delle Attività Produttive. È diffusa la convinzione che, al di fuori della
indicata giustificazione organizzativa, la distinzione tra la proprietà industriale e la
proprietà intellettuale sia del tutto superata da quando le opere dell’ingegno, protette
appunto dal diritto d’autore, non sono più soltanto quelle frutto dell’esperienza
artistica (opere della letteratura, della musica, delle arti figurative, ecc.), ma anche
quelle cosiddette “utilitaristiche”, come il software, oppure come i database, ed ora
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anche come i disegni e modelli aventi carattere creativo e valore artistico. Il
superamento della distinzione fra proprietà industriale e proprietà intellettuale, come
comparti separati della proprietà immateriale, è consacrato dalla stessa sistematica
dell’Accordo TRIPs, il quale si riferisce alla proprietà intellettuale comprensiva
anche di quella oggi chiamata proprietà industriale, rispecchiando così la concezione
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Con la locuzione proprietà industriale si vuol indicare quel complesso di istituti che comprendono la
tutela sui segni distintivi dell’impresa da una parte e la tutela delle creazioni intellettuali a contenuto
tecnologico dall’altra.
Si parla di proprietà giacché caratteristica comune a tutti questi diritti è la facoltà ad escludendum
alios da un bene, tipica del diritto di proprietà, ma che comunque nel caso della proprietà industriale
viene ad assumere caratteristiche proprie in quanto si esercita su beni cosiddetti “immateriali”.
In quanto all’attributo industriale esso non va inteso nel senso che tali istituti siano limitati al settore
dell’industria in senso tecnico, ma esso deve essere inteso nell’accezione di attività economica; la
convenzione di Parigi al riguardo precisa che “la proprietà industriale s’intende nel senso più largo e si
applica non solo all’industria e al commercio propriamente detti, ma anche alle industrie agricole ed
estrattive e a tutti i prodotti fabbricati o naturali”. (www.ipi.it)
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Il Codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali, Giorgio Floridia
in Il diritto industriale N. 1/2005
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Il Codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali, Giorgio Floridia
in Il diritto industriale N. 1/2005
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anglo-americana in base alla quale la protezione del diritto d’autore non si distingue
concettualmente da ogni altro diritto esclusivo su bene immateriale. Ma non per
questo si può giungere a biasimare, addirittura da un punto di vista di morale
personale, un’opera che è stata svolta in attuazione di una legge di delega, che
altrimenti sarebbe rimasta lettera morta. La limitazione della legge di delega ha
perciò comportato un riassetto per certi versi monco e, dal punto di vista
dell’interpretazione sistematica, rallenta probabilmente il processo di integrazione
del diritto d’autore nell’ambito del sistema complessivo, nel quale i titoli di proprietà
immateriale sono visti come funzionali al corretto svolgimento della concorrenza
nelle economie di mercato.
Il quadro normativo previgente il Codice
È sufficiente una breve storia della legislazione italiana in materia di proprietà
industriale per rendersi conto che il suo riordino era divenuto un’esigenza
improrogabile.
L’inizio della legislazione italiana moderna in tema di diritto industriale può farsi
risalire alla L. 12 marzo 1855, n. 782, per gli Stati Sardi estesa al Regno d’Italia e
meglio nota come L. 30 ottobre 1859, n. 3731. Fu infatti a proposito del primo
articolo di questa legge che Antonio Scialoja Sr., nella sua relazione, affermava
solennemente che si era voluto convertire in diritto il favore del privilegio sovrano
concedibile all’inventore e che si era eliminata così ogni idea di arbitraria
concessione della tutela brevettuale: principio che, riferito al diritto di brevetto,
valeva allora come vale ora per ogni diritto di proprietà industriale.
Il primo grande tentativo di riforma si ebbe con il R.D. 13 settembre 1934, n. 1602,
mai entrato in vigore, ma ripreso con l’emanazione del R.D. 29 giugno 1939, n.
1127, e relativo Regolamento di esecuzione (R.D. 5 febbraio 1940, n. 244)
concernente le invenzioni, cui fece seguito il R.D. 25 agosto 1940, n. 1411 e relativo
Regolamento di esecuzione (R.D. 31 ottobre 1941, n. 1354) concernente i modelli
industriali.
Per quanto riguarda i marchi, alla riforma si è provveduto con il R.D. 21 giugno
1942, n. 929 e relativo Regolamento (D.PR. 8 maggio 1948, n. 795).
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Con l’inserimento, nella codificazione del ‘42, degli artt. 2584-2594 c.c. per quanto
riguarda le invenzioni e i modelli, e degli artt. 2569-2574 c.c. per quanto concerne i
marchi, lo sviluppo legislativo nella materia della proprietà industriale raggiunse il
traguardo di una disciplina organica e completa.
Sul piano internazionale, la disciplina dei brevetti ebbe un assetto stabile ed organico
con la Convenzione di Parigi del 20 marzo 1883 istitutivo dell’Unione Internazionale
per la Protezione della Proprietà Industriale (Unione di Parigi), la quale, attraverso
successive revisioni, è rimasta in vigore fino ai giorni nostri e tuttora costituisce parte
essenziale del sistema internazionale dei brevetti.
La legislazione nazionale, in materia di invenzioni, è rimasta in vigore nel suo nucleo
fondamentale fino alla generale revisione del 1979 , benché nel frattempo fosse stata
integrata con nuove disposizioni avente sempre origine da atti internazionali: in
particolare si era avuta l’introduzione della disciplina della licenza obbligatoria con il
D.P.R. 26 febbraio 1968, n. 849, ed era stata introdotta la disciplina sulle novità
vegetali con il D.PR. 12 agosto 1975, n. 974, mentre, a loro volta, i procedimenti
amministrativi di brevettazione erano stati semplificati con le norme del D.P.R. 30
giugno 1972, n. 540. Anche la Corte Costituzionale aveva contribuito a modificare la
normativa vigente con la sentenza 14 luglio 1977, n. 127, che ha dichiarato
illegittimo l’art. 25 l.i. nella parte in cui prevedeva come obbligatorio, anziché
facoltativo, il ricorso all’arbitrato per la determinazione del premio o del prezzo
spettante all’inventore dipendente e con la fondamentale sentenza 20 marzo 1978, n.
20, che aveva dichiarato illegittimo l’art. 14 l.i. che sanciva il divieto della
brevettazione dei farmaci.
Pur con queste modificazioni-integrazioni, la normativa nazionale in materia di
brevetti è rimasta sostanzialmente immutata per quattro decenni nel corso dei quali
sono venute manifestandosi, però, istanze di rinnovamento originate da convenzioni
9
internazionali ed in particolare dal Patent Cooperation Treaty (P.C.T.) del 1970,
9
Il PCT (Trattato di Cooperazione in materia di Brevetti) è un trattato gestito dall’Organizzazione
Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) con lo scopo di offrire una procedura unica per ottenere
un brevetto simultaneamente in un grande numero di paesi. L’Italia vi aderisce dal 1985. La procedura
PCT ha gli stessi effetti di una serie di domande nazionali nei singoli stati designati. Il PCT non
elimina quindi la necessità di proseguire la procedura di rilascio in ogni singolo stato, ma ne facilita la
messa in opera, a mezzo di una domanda unica, ed il proseguimento. Ogni domanda internazionale è
oggetto di una ricerca internazionale effettuata da un ufficio brevetti incaricato, che la svolge per
conto dell’OMPI; nel caso dell’Italia l’ufficio competente è l’Ufficio Europeo dei brevetti. Il risultato
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dalla Convenzione sulla Concessione dei Brevetti Europei stipulata a Monaco il 5
ottobre 1973 e da quella sul Brevetto Europeo per il Mercato Comune (mai entrata in
vigore) firmata a Lussemburgo il 15 dicembre 1975. Orbene, nel momento stesso in
cui l’Italia dava piena ed intera esecuzione alle richiamate Convenzioni, si è fatto
luogo ad una profonda revisione della legislazione nazionale mediante il D.P.R. 22
giugno 1979, n. 338, emanato sulla base della L. n. 260/78.
A partire da tale data gli interventi legislativi si sono susseguiti con intensità
crescente:
• per quanto concerne le novità vegetali importanti novità sono state introdotte
con la L. 14 ottobre 1985, n. 620;
• per quanto concerne la materia dei modelli la riforma organica è venuta con
la L. 14 febbraio 1987, n. 60;
• per quanto concerne la materia dei marchi una radicale riforma è venuta con
il D.L. 4 dicembre 1992, n. 480, in attuazione della Direttiva 89/104/CEE del
21 dicembre 1988 e tenendo conto del Regolamento CEE sul marchio
comunitario;
• il D.L. 19 marzo 1996, n. 198, ha modificato la disciplina vigente sia per
quanto riguarda i marchi, che le invenzioni e i modelli, per adeguarla
all’Accordo TRIPs;
• il D.L. 8 ottobre 1999, n. 447, ha ulteriormente modificato la disciplina dei
marchi per adeguarla al Protocollo di Madrid concernente le registrazioni
internazionali dei marchi;
• il D.L. 3 novembre 1998, n. 455, ha rinnovato la disciplina delle novità
vegetali in attuazione della revisione della Convenzione Internazionale per la
protezione delle novità vegetali avvenuta nel 1991;
della ricerca è pubblicato in un rapporto di ricerca internazionale che riporta la lista dei documenti che
potrebbero attaccare la brevettabilità del contenuto della domanda. La procedura PCT offre anche la
possibilità di richiedere un esame internazionale preliminare da parte dell’autorità incaricata,
ottenendone un parere sulla brevettabilità dell’oggetto delle rivendicazioni. Tale parere può dare
maggiori informazioni sull’opportunità di continuare la procedura con buone possibilità di successo,
ma esso non è vincolante per gli uffici nazionali che, indipendentemente, dovranno decidere sul
rilascio del brevetto. Dal 2004 è stata introdotta la cosiddetta ISO (International Search Opinion) cioè
rapporto di ricerca ed opinione sulla brevettabilità della domanda internazionale.
(www.wikipedia.org)
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• il D.L. 2 febbraio 2001, n. 95, emanato in attuazione della Direttiva n.
98/71/CE relativa alla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, ha
nuovamente modificato per mezzo di interpolazioni la precedente legge sui
modelli ed il relativo Regolamento;
• la L. 18 gennaio 2001, n. 383, ha poi modificato la disciplina delle invenzioni
dei dipendenti aggiungendo l’art. 24 bis l.i. dedicato alle invenzioni realizzate
nell’ambito di un rapporto di lavoro intercorrente con un’università o con una
pubblica amministrazione avente fra i suoi scopi istituzionali finalità di
ricerca.
A questa alluvione di norme occorre aggiungere i provvedimenti che hanno istituito
nuovi titoli di proprietà industriale come:
• L. 21 febbraio 1989, n. 70, sulle topografie dei prodotti a semiconduttori e
relativo Regolamento D.M. 11 gennaio 1991, n. 122;
• L. 19 ottobre 1991, n. 349, che, aggiungendo l’art. 4 bis alla legge invenzioni,
ha istituito il certificato complementare di protezione delle invenzioni
farmaceutiche con effetto fino all’entrata in vigore del Certificato
Complementare Europeo di cui al Regolamento n. 1768/1992 Cee.
In una situazione come quella risultante dal susseguirsi di tutte le menzionate leggi e
di altre di minore importanza, la necessità di un riordino si poneva come
improrogabile non tanto per facilitare l’opera dell’interprete esonerandolo dal
compito di ricostruire il percorso talvolta assai complesso del dettato normativo,
quanto per restituire coerenza ed organicità ad una disciplina che necessariamente
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risente della frammentarietà della sua progressiva espansione ed integrazione.
Il significato del codice
Con il d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, in attuazione della delega prevista dall’art. 15
della 1. 12 dicembre 2002, n. 273, è stato istituito il Codice della proprietà
industriale.
Il codice sostituisce con un testo unitario, composto da 246 articoli, un’ampia serie di
leggi speciali anteriori (l’art. 246, intitolato “abrogazioni”, enumera ben 39 testi
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Il riordino della proprietà industriale, Giorgio Floridia, il diritto industriale, n. 1/2003, pg. 22 ss.
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