5
pensiero, ma soprattutto dopo la svolta, ha avuto come obiettivo, il ripensare alla questione
dell’essere. Nel ripensare a questo obliato problema, il concetto di soggetto viene superato.
Si tratta, allora, di comprendere e di rendere problematico un ulteriore aspetto di questo
confronto, che verrà esplicitato nel corso di questo scritto.
6
Capitolo 1
La libertà e il nulla in Essere e tempo.
Con Essere e tempo si ha “l’esplicita formulazione del problema fondamentale che
travaglia tutto il pensiero di Heidegger, dalle origini sino alla fine, vale a dire la questione
dell’essere”
1
, che fin dai greci, è stata dimenticata. Le difficoltà che incontra la metafisica
tradizionale, che dai greci ha preso avvio, dipendono dal fatto “che il senso del concetto di
essere è sempre identificato con la nozione di presenza”
2
. Lo stesso Heidegger, nelle prime
righe del primo capitolo, scrive: “Benché la rinascita della “metafisica” sia un vanto del nostro
tempo, il problema dell’essere è oggi dimenticato”
3
. Riprendere il problema dell’essere
significa quindi: “incominciare con l’elaborare in modo adeguato l’impostazione stessa del
problema”
4
. Ripensare la questione dell’essere va di pari passo con il ripensare il problema del
tempo in modo originario, non solo come presenza.
L’esserci, cioè l’uomo, risulta essere l’interrogato dell’indagine heideggeriana sulla
dimenticata questione dell’essere. L’uomo è quell’ente che “non può non esperire e mettere in
questione il suo essere stesso”
5
. È questo ente che pone la domanda relativa all’essere, che la
può porre poiché è essenzialmente familiare con il domandare e con l’essere. L’esser-ci si
muove già da sempre nella comprensione media dell’essere, “che alla fine appartiene alla
costituzione essenziale dell’Esserci”
6
. L’essere verso cui l’esserci “può comportarsi in un
modo o nell’altro e verso cui sempre in qualche modo si comporta, (...) lo chiamiamo
esistenza”
7
. La comprensione dell’essere dell’esserci comporta un rapporto preliminare tra
quest’ultimo ed il mondo.
1
F. Volpi, Vita e opere, in AA.VV., Guida ad Heidegger, a cura di Franco Volpi, Laterza, 1997, p. 23.
2
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Bari, 1980, p. 18.
3
M. Heidegger, Sein und Zeit (1927), Niemeyer,Tübgen, 1927, tr. It. di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi,
Milano, 1971, p. 17 (D’ora in poi quest’opera sarà indicata direttamente nel testo con la sigla SuZ).
4
Ivi, p. 19.
5
L. Amoroso, Lichtung, Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino, 1993, p. 71.
6
SuZ, p. 23.
7
Ivi, p. 28.
7
1. L’analitica esistenziale.
L'uomo si rapporta sempre al proprio essere, cioè alla propria esistenza; per questo,
dell'essere dell'esser-ci, Heidegger scrive che "è sempre mio"
8
. Rispetto all'esistenza, l’esserci
è rimesso al proprio aver-da-essere, “nel senso che l’esserci deve sempre e comunque
rapportarsi al proprio essere, deve deciderne possibilità e realizzazioni, anche quando il
rapportarsi al proprio essere è attuato nella modalità del sottrarsi all’“aver-da-essere””
9
.
L'essere dell'esserci, la sua esistenza, rappresenta la possibilità più propria per l'uomo. Il poter
essere è, infatti, il concetto stesso di esistenza. Pensare che “l’uomo è quell’ente che è in
quanto si rapporta al proprio essere come alla propria possibilità, cioè che è solo in quanto può
essere”
10
, significa pensare che l’essenza dell’uomo è l’esistenza. Proprio perché l'esserci è
essenzialmente la sua possibilità, “questo ente può, nel suo essere, o "scegliersi", conquistarsi,
oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo "apparentemente"”
11
. L’esserci,
infatti, ha da essere se stesso “nella modalità dell’appropriazione a se stesso o
dell’espropriazione da se stesso”
12
, ossia nell’autenticità o nell’inautenticità. L'uomo, cioè,
proprio perché esiste, essendo l'esistenza la sua possibilità più propria, può realizzare se stesso
e quindi vivere autenticamente, oppure può perdersi, vivendo inautenticamente, in quella che
Heidegger definisce “medietà”
13
, cioè indifferenza, “fuga dinanzi a se stesso”
14
. A questi
caratteri d'essere dell'esserci, Heidegger, nel corso dell'analitica esistenziale, attribuisce il
nome di esistenziali, in quanto ottenuti in riferimento alla struttura esistenziale dell'esserci.
Le determinazioni d'essere suddette devono essere intese alla luce di quella costituzione
d'essere che Heidegger indica col nome di “essere-nel-mondo”
15
. Che cosa intende Heidegger
per l'in-essere, cioè con l’essere costitutivamente nel mondo dell’esserci? L’In-der-Welt-sein,
cioè l’essere-nel-mondo, “designa la determinazione ‘materiale’ fondamentale
dell’esistenzialità, ossia della costituzione ontologica (…) dell’esserci”
16
. Esso non definisce
8
Ivi, p. 64.
9
F. Volpi, Vita e opere, in AA.VV., Guida ad Heidegger, cit., p. 27.
10
Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 20.
11
SuZ, p. 65.
12
C. Esposito, Il periodo di Marburgo (1923-1928) ed Essere e tempo: dalla fenomenologia all’ontologia
fondamentale, in AA.VV., Guida ad Heidegger, a cura di Franco Volpi, Laterza, 1997, p. 131.
13
SuZ, p. 66.
14
Ivi, p. 67.
15
Ivi, p. 76.
16
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, dalla Überwindung der Metaphysik alla
Daseinanalyse, Argalia, Urbino, 1976, p. 302.
8
lo stare dentro di una cosa presente in un’altra cosa presente. Al contrario, l’essere-nel-mondo
indica “l’essere intimo con qualcosa, l’attendervi, il prendersene cura; indica l’esser-presso,
l’abitare, il trattenersi presso”
17
. Quando Heidegger attribuisce all'esserci il carattere dell'in-
essere, dunque, non intende dire che l'uomo è dentro il mondo, come l'acqua è dentro il
bicchiere, ciò significherebbe trattare l'uomo come un ente semplicemente presente. Al
contrario, all'uomo, attraverso l’in-essere, “è svelato qualcosa come un mondo in base al quale
l'ente possa rivelarglisi al tocco e renderglisi così accessibile nel suo esser-semplicemente-
presente"
18
. L’essere-nel-mondo “ha il carattere di “apertura” (Erschlossenheit), è
originariamente un esporsi al mondo, al mondo-ambiente (Umwelt), al mondo degli altri
(Mitwelt) e al mondo del sé (Selbstwelt)”
19
. L'esserci, per la sua costituzione esistenziale, ha
primariamente accesso al mondo e può quindi incontrare gli oggetti ed intrattenere con essi
relazioni. L’apertura dell’essere-nel-mondo “è primariamente diretta al mondo-ambiente della
vita quotidiana”
20
, nel quale l’esserci si muove, innanzitutto e per lo più, in un atteggiamento
di tipo pratico-poietico che Heidegger definisce come “prendersi cura”
21
. Questo
atteggiamento permette all’esserci di incontrare le cose come utilizzabili, come strumenti. Il
loro essere “è radicalmente e costitutivamente in rapporto all’essere progettante
dell’esserci”
22
. Le cose-utilizzabili rinviano tutte al proprio a-che, l’uomo. Le cose sono
innanzitutto strumenti che non si presentano mai come isolati, ma sono sempre strumenti-per.
Ciò significa che lo strumento, per essere tale, esige “che sia data una totalità di strumenti
entro cui esso si definisce”
23
. In questo il senso, il mondo non è la somma delle singole cose,
bensì “la condizione perché le singole cose appaiano, perché siano”
24
. L’uomo incontra gli
enti come mezzi, in base cioè alla loro utilizzabilità. La visione, connessa a un processo del
genere, viene definita da Heidegger “la visione ambientale preveggente”
25
. L’esserci, in
quanto esiste, è già sempre rinviato ad un mondo che gli viene incontro come una totalità di
rimandi che hanno come fine l’esserci stesso. L’esserci è cioè “il termine ultimo cui si
17
Ivi, p. 303.
18
SuZ, p. 79.
19
F. Volpi, Vita e opere, in AA.VV., Guida ad Heidegger, cit., p. 28.
20
Ibidem.
21
SuZ, p. 81.
22
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 25.
23
Ibidem.
24
Ibidem.
25
SuZ, p. 95.
9
connette la totalità di rimandi e delle appagatività”
26
. La totalità di strumenti, che costituisce il
mondo, rimanda tutti all’esserci, grazie al suo costitutivo essere-nel-mondo. Quest’ultimo
significherà, allora, “non tanto avere già sempre rapporto con una totalità di cose-strumenti,
ma avere già sempre familiarità con una totalità di significati”
27
. Le cose, infatti, non si
presentano “come pure sensazioni che si creano nella coscienza, cui si aggiungerebbero i
significati”
28
. L’uomo che incontra le cose nel mondo, le comprende già da subito come aventi
un significato.
Essere-nel-mondo significa, quindi, essere, già da sempre, aperto alla comprensione del
proprio mondo, grazie all’originario rapporto che l’uomo intrattiene con il proprio essere;
fenomeno quest’ultimo che Heidegger definisce con il termine fatticità. L’esserci comprende
se stesso a partire dall’ente e dalle relazioni con questo, che esso non è. Il conoscere si fonda
pertanto “in quell’esser-già-presso-il-mondo che costituisce come tale l’essere dell’Esserci”.
29
L’esplicazione dell’in-essere porta inevitabilmente il discorso sul Chi, che, insieme al
mondo, costituisce l’altro elemento di questa struttura. Il Chi dell’esserci e il che cosa del
mondo, si coappartengono. Il Chi, “l’identità quotidiana dell’esserci”
30
, emerge a partire
dall’analisi della quotidianità media, che è quella condizione in cui l’esserci è innanzi tutto e
per lo più, immedesimato presso gli enti intramondani e con gli altri uomini. Nella quotidianità
media, l’esserci si dà come un neutro, “in quella medietà collettiva che risponde al nome di
“pubblicità””
31
Ci sono altre due strutture dell’esser-ci che sono cooriginarie all’essere-nel-mondo: “il con-
essere e il con-Esserci”
32
. Per con-essere, Hiedegger intende che gli altri uomini sono quelli
dai quali non ci si distingue e fra i quali si è già da sempre. Gli altri uomini sono altrettanto già
da sempre in un mondo e, proprio per questo, già da sempre in relazione preliminare gli uni
con gli altri. Il fatto che la nozione di con-essere venga introdotta assieme a quella di mondo
significa “che gli altri vengono innanzitutto incontrati, nel mondo, a partire dal rapporto che
26
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 315.
27
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 27.
28
C. Di Martino, Significato e linguaggio nel primo Heidegger, AA.VV., Semiotica ed Ermeneutica, a cura di
Carlo Sini, Quaderni di Acme, Milano, 2003, p. 125.
29
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 86.
30
C. Esposito, Il periodo di Marburgo (1923-1928) ed Essere e tempo: dalla fenomenologia all’ontologia
fondamentale, in AA.VV., Guida ad Heidegger, cit., p. 134.
31
Ibidem.
32
SuZ, p. 148.
10
l’esserci intrattiene costitutivamente con gli enti intramondani o, meglio, a partire dalla rete di
significati “pragmatici” che costituiscono appunto la mondità del mondo”
33
. L’essere-nel-
mondo significa condividerlo con gli altri. Il mondo “dell’Esserci è con-mondo. L’in-essere è
un con-essere con gli altri”
34
.
Dato che il con-esser-ci è esistenzialmente costitutivo dell’essere-nel-mondo, deve essere
interpretato alla luce del fenomeno della cura. L’altro esserci “non è incontrato nel quadro del
prendersi cura ma dell’aver cura”
35
.
1.1. La comprensione dell’esserci come progetto.
Dal precedente paragrafo, abbiamo concluso che, per l’esserci, “l’essere-nel-mondo
equivale essere originariamente intimo con una totalità di significati”
36
. L’esserci è, infatti, nel
mondo, oltre che come affettività, di cui parleremo tra poco, anche come comprensione. Il
mondo non è anzitutto dato all’uomo come un insieme di oggetti, con i quali, solo in un
secondo momento, si mette in rapporto, attribuendo loro significati. Le cose che l’esserci
incontra nel mondo, hanno già da subito un significato che l’esserci coglie, poiché
caratterizzato dall’essere-nel-mondo. L’esser-ci “è il suo Ci”
37
, cioè la sua apertura, il suo
essere-nel-mondo.
I modi cooriginariamente costitutivi in cui l’esser-ci ha da essere il suo Ci, sono, come
detto prima, la “situazione emotiva e la comprensione (...) cooriginariamente determinate dal
discorso”
38
. L’esser-ci è sempre emotivamente situato, aperto al mondo, per questo riesce a
provare sentimenti. Le cose “non solo sono già sempre fornite di significato in senso
“teorico”, ma anche di una valenza emotiva”
39
. La situazione emotiva “apre l’Esserci nel suo
esser-gettato e, innanzi tutto e per lo più, nella forma della diversione evasiva”
40
, dalla quale
sovente l’esser-ci fugge, apre l’esser-ci al suo “esser-gettato”
41
. Lo stato d’animo assume un
peso ontologico, poiché “manifesta una più profonda caratteristica dell’apertura
33
L. Amoroso, Lichtung, Leggere Heidegger, cit., 1993, p. 199.
34
SuZ, p. 154.
35
Ivi, p. 157.
36
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 28.
37
SuZ, p. 170
38
Ivi, p. 171.
39
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 33.
40
SuZ, p. 174
41
Ivi, p. 173
11
dell’esserci”
42
, l’essere consegnato al mondo. L’esserci è cioè già da sempre consegnato ad
una situazione, che egli comprende emotivamente, perché gli è aperta attraverso il suo Ci,
l’essere-nel-mondo, che egli ha da essere. Senza la tonalità emotiva l’uomo non potrebbe
incontrare esperienze vissute, o dirigersi verso qualcosa, anche se, di questo, l’uomo è molte
volte inconsapevole. Senza la preliminare apertura emotiva dell’esserci, sarebbe impossibile
incontrare ciò che procura affezioni.
L’esserci, in quanto aperto all’essere grazie al suo Ci, si comprende come possibilità.
L’esserci è prima di tutto “un esser-possibile”
43
, cioè il modo di essere dell’esser-ci è il poter
essere. L’esserci “è nel mondo nella forma del progetto”
44
. L’esser consegnato all’essere
dell’esserci, compreso emotivamente, insedia quest’ultimo in determinate possibilità e lo
esclude dal realizzarne altre. La situazione affettiva rivela che il progetto che è l’esserci, è
sempre un progetto gettato, “cioè mette in luce la finitezza dell’esserci”
45
. Nella situazione
affettiva, l’esserci si trova ad essere senza potersene dare ragione. Queste le parole di
Heidegger:
“La possibilità come esistenziale non significa un poter-essere indeterminato del genere della
“libertà di indifferenza” (libertas indifferentiae). L’Esserci, in quanto emotivamente situato nel suo
essere stesso, è già sempre insediato in determinate possibilità e, in quanto è quel poter-essere che è, ne
ha già sempre lasciate perdere alcune”
46
.
L’esserci non è totalmente libero, bensì vincolato, nelle sue possibilità, alla situazione in
cui è gettato. L’esserci rinuncia costantemente ad alcune possibilità, alcune le coglie ed altre le
fallisce; ciò significa che l’esserci è “un esser-possibile consegnato a se stesso, una possibilità
gettata da cima a fondo”
47
. L'uomo è possibilità concreta, “ossia effettivo poter-essere, perché
iscritto in una situazione (In-Sein) che implica sempre determinate possibilità fra le quali egli
esistendo, non può fare a meno di scegliere”
48
. L’esserci deve, con la sua libertà, cercare di
42
C. Esposito, Il periodo di Marburgo (1923-1928) ed Essere e tempo: dalla fenomenologia all’ontologia
fondamentale, in AA.VV., Guida ad Heidegger, cit., p. 135.
43
SuZ, p. 183.
44
Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 29.
45
Ivi, p. 35.
46
SuZ, p. 183.
47
Ivi, p. 184.
48
G. Masi, La libertà in Heidegger, Ricerche sulla sua filosofia, Zanichelli, Bologna, 1961, p. 26.
12
realizzare le possibilità a cui è già da sempre consegnato grazie alla sua apertura, portare a
compimento il suo esser-possibile più proprio. L’esserci può riuscire o fallire nella
realizzazione di se stesso, in quanto comprende, cioè sa come stanno le cose a proposito di se
stesso. L’esserci è “nel modo dell’aver o non aver saputo comprendere il proprio aver-da-
essere”
49
. La comprensione, perciò, ha la struttura esistenziale del progetto, che può essere di
vita autentica oppure di vita inautentica. La comprensione, come progettare, “è il modo di
essere dell’Esserci in cui esso è le sue possibilità in quanto possibilità”
50
. Questo lo pone di
fronte alla necessità della “scelta, da compiersi in senso dell'appropriazione del sé (...), a
partire dal “sé” inautentico: è da quest'ultimo, infatti, che parte la proposta, o progetto
(Entwurf) dell'autorealizzazione; l'uomo che vi acconsente non fa che realizzare una possibilità
già data”
51
. L’esserci si comprende sempre in base a possibilità, che, però, come tali, non sono
tematicamente conosciute. Un conoscere del genere sottrarrebbe all’esser-ci il carattere di
progettante. L’apertura dell’esserci alle sue possibilità è sempre emotivamente tonalizzata. La
comprensione porta con sé la possibilità, per l’uomo, dell’interpretazione, cioè
dell’appropriazione del compreso. Quest’ultimo viene già da sempre articolato nel discorso,
che è esistenzialmente cooriginario alla situazione emotiva ed alla comprensione.
1.2. Il Si come quotidianità media e le sue possibilità.
Queste considerazioni preliminari servono per procedere alla chiarificazione del fenomeno
del Si. Esso si verifica quando l’essere-assieme agli altri dissolve l’esserci singolo nel modo di
essere degli altri, cosicché gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità. In questo
stato, “l’esserci ha la tendenza a comprendere il mondo secondo l’opinione comune, a pensare
quello che si pensa, a progettarsi cioè in base all’anonimo si della medietà pubblica”
52
. In
questo stato di irrilevanza e di “indistinzione il Si esercita la sua tipica dittatura”
53
.
Nell’inautentico “con-esserci questi generici “altri” dominano il Dasein in maniera così
radicale, che tale dominio è del tutto inavvertito”
54
. Il Si, che non è il singolo esserci, ma tutti,
49
SuZ, p. 184.
50
Ibidem.
51
G. Masi, La libertà in Heidegger, cit., p. 28.
52
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 39.
53
SuZ, p. 163.
54
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 339.
13
“decreta il modo di essere della quotidianità”
55
. Il Si si mantiene nella medietà, cioè in ciò che
si conviene ed in cui ogni primato ed eccezione sono silenziosamente livellati. Il Si sgrava,
nella sua “pubblicità”, il singolo esserci del proprio essere, perché lo porta a prendere tutte le
cose alle leggera e facilmente. Proprio perché alleggerisce l’esserci della propria responsabilità,
il Si è molto ben accetto a ogni singolo esserci e pertanto riesce a mantenere il proprio dominio.
Nel fenomeno del Si, infatti, “Ognuno è gli altri, nessuno è se stesso”
56
. In questi modi di
essere, “l’Esserci non ha ancora trovato, o ha perduto, il proprio Esserci e l’”autenticità” degli
altri.”
57
. Il Si è la possibilità dell’inautenticità, ma in quanto possibilità, appartiene alla
costituzione esistenziale dell’esserci. Proprio in quanto include originariamente in sè la
possibilità dell'autentico, che non è quindi qualcosa di aggiunto dal di fuori o di sovrapposto,
“l'inautenticità non appare di per sè di alcun grado inferiore o meno positiva: essa costituisce al
pari dell'autenticità, una struttura necessaria dell'essere del singolo io, ossia dell'esistenza”
58
.
Il se-Stesso dell’Esserci quotidiano è “il Si-stesso, che va nettamente distinto dal se-Stesso
autentico, cioè posseduto in modo appropriato”
59
. Colui che è disperso nel Si deve prima
trovare se-stesso, in quanto sempre anzitutto gettata nel mondo del Si, l’esistenza è “sempre
originariamente inautentica”
60
. L’essere-gettato dell’esserci viene definito da Heidegger come
deiezione. Nella pubblicità del Si, “l’esserci è deietto”
61
.
Le possibilità che sono proprie della pubblicità del Si, nella quale l’esser-ci è innanzi tutto
gettato, rivelano la tendenza d’essere essenziale della quotidianità, che deve essere
propedeutica allo svelamento del modo di essere originario dell’esser-ci, cioè il suo esser-
gettato. In questa situazione è offerta all'io una duplice possibilità: “quella di poter essere o
non-essere (cioè divenire) autenticamente se stesso”
62
. Questa interpretazione ha, per
Heidegger, “un intento puramente ontologico, ed è del tutto estranea a ogni critica moralizzante
dell’Esserci quotidiano e lontana dalle aspirazioni della “filosofia della cultura””
63
.
Una delle possibilità inautentiche del Si, è la chiacchiera, che designa un modo di essere
della comprensione e dell’interpretazione dell’esserci nella quotidianità che non ha, per
55
SuZ, p. 163.
56
SuZ, p. 164.
57
Ivi, p. 165.
58
G. Masi, La libertà in Heidegger, cit., p. 29.
59
SuZ, p. 166.
60
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 39.
61
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 342.
62
G. Masi, La libertà in Heidegger, cit, p. 31.
63
SuZ, p. 211.
14
Heidegger, un significato spregiativo. Nella chiacchiera l’oggetto della comprensione diviene
il discorso; ciò su cui si sta discorrendo ha un’importanza marginale; ciò che conta è che si
discorra. Il discorso “ha perso, o non ha mai raggiunto, il rapporto originario con l’ente di cui
si discorre, ciò che esso partecipa non è l’appropriazione originaria di questo ente, ma la
diffusione e la ripetizione del discorso”
64
. La comprensione media non sentirà nemmeno il
bisogno di chiedersi se ciò su cui si sta discorrendo, sia conquistato con consapevolezza
oppure se sia frutto di semplice ripetizione. La comprensione che si accompagna alla
chiacchiera, oltre ad essere inautentica, è “una comprensione indifferenziata, per la quale non
esiste più nulla di incerto”.
65
Rifiutandosi di risalire al fondamento certo di ciò di cui si sta
parlando, la chiacchiera è sempre un procedimento di chiusura che cela all’esserci
l’inquietudine per l’infondatezza cui è votato. Nella chiacchiera “si esprime compiutamente lo
sradicamento dell’esserci, il suo non far presa sulle cose, l’assenza di peso del mondo in cui
vive”
66
.
Una seconda possibilità del Si è la curiosità. Questo fenomeno esprime una particolare
tendenza al vedere caratteristica dell’essere della quotidianità. La curiosità “non si prende cura
di vedere per comprendere ciò che vede (...) ma si prende cura solamente di vedere”
67
. La
mera curiosità “domina l’esserci deietto, il quale è sempre, in apparenza, alla ricerca del nuovo
e perciò mosso da perenne irrequietudine”
68
. E’ un’irrequietudine mossa solo dall’incapacità
di soffermarsi su ciò che è prossimo, che viene incontro. Heidegger sostiene che “la
chiacchiera fa da guida alla curiosità e dice ciò che bisogna aver letto e visto. L’essere-
ovunque-e-in-nessun-luogo della curiosità è affidato alla chiacchiera”
69
.
Un terzo fenomeno della pubblicità del Si, e quindi della quotidianità media, è l’equivoco.
In esso, tutto sembra già afferrato e compreso. L’equivoco “non riguarda soltanto la
disposizione e l’impiego dell’utilizzabile che si incontra nell’uso e nella fruizione, ma si è già
inserito saldamente anche nella comprensione come poter essere, nella disposizione del
progetto e nella predisposizione delle possibilità dell’Esserci”
70
. Nell’equivoco, le possibilità
dell’esserci sono vanificate fin dall’inizio, in quanto tutti sono sulla traccia di ciò che deve
64
SuZ, p. 213.
65
Ibidem
66
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 348.
67
SuZ, p. 217.
68
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 347.
69
SuZ, p. 218.
70
Ibidem.
15
accadere, ma per sentito dire. Lo stato interpretativo pubblico del Si, è caratterizzato
dall’equivocità che “accredita il parlare in luogo del fare e il presentimento curioso come vera
realtà”
71
. La comprensione dell’esserci nella pubblicità del Si si inganna riguardo alla proprie
possibilità poiché non sono autentiche.
La chiacchiera, la curiosità e l’equivoco caratterizzano il modo in cui l’esserci è
quotidianamente il Ci, la sua apertura. Si tratta cioè “di fenomeni quotidiani di dispersione del
sé”
72
, nei quali l’uomo è deietto. Nella deiezione, l’esserci vive inautenticamente. Per
inautenticità si intende l’esser totalmente immedesimato nel mondo e nel con-essere con-gli-
altri, “l’incapacità di arrivare a una vera apertura verso le cose, a una vera comprensione,
giacchè invece di incontrare la cosa stessa si mantiene nelle opinioni comuni”
73
. In questo
modo di vivere, l’esserci non realizza se stesso, egli è “già de-caduto da se stesso”
74
. L’essere-
nel-mondo deiettivo, caratteristico della quotidianità media, crea nell’esserci la presunzione e,
nello stesso tempo, un’indifferenza verso la comprensione emotiva autentica. La presunzione
del Si di condurre una vita autentica e piena, “crea nell’Esserci uno stato di tranquillità: tutto
va “nel modo migliore” e tutte le porte sono aperte. L’essere-nel-mondo deiettivo è tentatore e,
nel contempo, tranquillizzante”
75
. Nonostante sia tranquillizzante, l’essere-nel-mondo
deiettivo non porta l’esserci alla quiete; al contrario lo porta all’attività sfrenata. L’essere-nel-
mondo deiettivo, “in quanto tentatore e tranquillizzante, è nello stesso tempo estraniante”
76
.
Questo inautentico esser-deietto dell’esserci, “non lo condanna però ad essere un ente che egli
stesso non è, ma lo sospinge nella sua inautenticità, cioè in una possibilità di essere che gli è
propria.”
77
, lo porta cioè ad “imprigionarsi in se stesso”
78
.
La quotidianità media dell’esserci è così definita da Heidegger: “l’essere-nel-mondo
deiettivo-aperto e gettato-progettante, per il quale, nel suo esser-presso il “mondo” e nel con-
essere con gli altri, ne va del suo poter-essere più proprio”
79
.
71
SuZ, p. 219.
72
C. Esposito, Il periodo di Marburgo (1923-1928) ed Essere e tempo: dalla fenomenologia all’ontologia
fondamentale, in AA.VV., Guida ad Heidegger, cit., p. 137.
73
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 40.
74
SuZ, p. 221.
75
Ivi p. 223.
76
Ivi, p. 224.
77
Ibidem.
78
Ibidem.
79
Ivi, p. 228.
16
1.3. L’angoscia.
La possibilità del contatto con il proprio genuino se stesso avviene con uno stato emotivo
fondamentale per l’uomo: l’angoscia. Questa situazione emotiva è fondamentale anche perché
stabilisce una connessione originaria tra l’uomo, la libertà e il nulla. L’angoscia diventa
occasione, per l’uomo, secondo Heidegger, di essere autenticamente se stesso, perché
rappresenta quella situazione emotivamente comprendente, nella quale l’esserci è aperto a se
stesso in modo originario. Lo stato emotivo dell’angoscia offre “il terreno fenomenico per la
comprensione esplicita della totalità originaria dell’essere dell’Esserci. L’essere dell’Esserci si
rivela come Cura.”
80
.
Come mai l’angoscia rappresenta un’occasione così originaria, per l’uomo, di fare
esperienza della libertà e del nulla?
Il davanti-a-che, cioè il motivo per cui si prova angoscia, è “l’essere-nel-mondo come
tale”
81
. A differenza della paura, il motivo scatenante dell’angoscia, non è qualcosa di
determinato, bensì di indeterminato. Questa indeterminatezza non solo ci lascia indecisi
sull’ente da cui può venire la minaccia, “ma sta a significare che, in generale, l’ente
intramondano è “irrilevante””(...), il mondo assume il carattere della più completa
insignificabilità”
82
. Ciò che incombe, nell’angoscia, “non è questo o quell’ente – che anzi qui
si avverte proprio il nulla di ente -, ma è il nudo esser-gettato nel mondo, vale a dire l’apertura
originaria o il progetto del mondo in quanto mondo”
83
. E’ perciò impossibile capire, nello
stato emotivo dell’angoscia, da dove venga la possibile minaccia, infatti, “ciò che caratterizza
il “davanti-a-che” dell’angoscia è il fatto che il minaccioso non è in nessun luogo”
84
. Nel
davanti-a-che dell’angoscia si manifesta il nulla e l’in-nessun-luogo, poiché tutto l’ente perde
della sua significatività e quindi la minaccia non parte da nessun luogo. Questo significa che
“il davanti-a-che dell’angoscia è il mondo come tale”
85
. La completa insignificatività dell’ente
intramondano non implica un’assenza di mondo, ma, al contrario, che “la totalità degli enti, la
totalità dei rimandi e delle appagatività e dei significati, è divenuta “irrilevante””
86
; che ciò
80
SuZ, p. 229.
81
Ivi, p. 233.
82
Ivi, p. 234.
83
C. Esposito, Il periodo di Marburgo (1923-1928) ed Essere e tempo: dalla fenomenologia all’ontologia
fondamentale, in AA.VV., Guida ad Heidegger, cit., p. 138.
84
SuZ, p. 234.
85
Ibidem.
86
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 357.
17
che colpisce nello stato emotivo dell’angoscia è solo il mondo nella sua mondità. Ciò che ci
opprime, nell’angoscia è il mondo stesso. Quando l’angoscia se ne è andata, si suole dire, nel
discorso quotidiano, che essa non era nulla. Ciò che viene in chiaro, nell’angoscia, è il nulla di
utilizzabile che però si fonda “in “qualcosa” di assolutamente originario: nel mondo”
87
.
L’insignificanza dell’ontico (dell’intramondano), dunque, “manifesterebbe l’ontologico (il
mondo, la mondità) nella sua purezza, nella sua nuda presenza”
88
. Dato che nell’angoscia si
manifesta il nulla di significatività, cioè il mondo in quanto tale, e dato che l’essere dell’esser-
ci è l’essere-nel-mondo, allora bisogna concludere, sostiene Heidegger, che: “ciò dinanzi a cui
l’angoscia è tale, è l’essere-nel-mondo stesso”
89
. Il motivo dell’angoscia è la gettità. L’esserci
“si angoscia davanti al suo essere-gettato”
90
, che è il suo essere-possibile. L’esserci prova di
fronte alla sua gettatezza angoscia “poiché il possibile come puro possibile è nulla”
91
.
L’esserci si angoscia cioè per il suo Ci, per la sua apertura. Il poter-essere, “il progettare
umano, l’ek-sistere resta sospeso a sé medesimo”
92
, non ha base su cui poggiare, poiché la
possibilità che contiene tutto il possibile, non è uno stabile fondo, “è piuttosto un abisso”
93
. Lo
stacco che separa il poter-essere dall’essere-possibile rivela “un più profondo Nulla”
94
.
Dato che l’ente intramondano, nell’angoscia, diventa insignificante e nulla nella sua
utilizzabilità, l’esserci viene privato della possibilità di comprendersi deiettivamente a partire
dal mondo e dallo stato interpretativo pubblico. Nell'angoscia “l'io sperimenta il senso del
mondo come quel nulla ond'è, per così dire, arrestato nella fuga dinnanzi a se stesso che
caratterizza il sè inautentico nello stato di dispersione e di dejezione, è indotto a fissare gli
occhi in se stesso e a considerare l'indeterminazione totale dell'essere in cui si fonda”
95
.
L’esserci non può più scappare da se stesso rifugiandosi nell’immedesimazione con l’ente,
perché esso, nell’angoscia, è nulla. Il mondo non può più offrire nulla nell’angoscia, e
nemmeno il con-esser-ci degli altri. L’angoscia isola l’esserci nel suo essere-nel-mondo più
proprio, apre cioè l’esserci “come esser-possibile e precisamente come tale che solo a partire
87
SuZ, p. 235.
88
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 358.
89
SuZ, p. 235.
90
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 360.
91
Ibidem.
92
V. Vitiello, Cristianesimo e Nichilismo, Dostoevskij- Heidegger, Morcelliana, Brescia, 2005, p. 62.
93
Ivi, p. 63.
94
Ibidem.
95
G. Masi, La libertà in Heidegger, cit., p. 34.
18
da se stesso può essere ciò che è: cioè come isolato e nell’isolamento”
96
. L’angoscia “è quel
momento catartico dell’esistenza, che fa piombare nel nulla la nullità mondana e lascia
emergere, nella solitudine della struttura esistenziale, il vero autentico essere del Dasein”
97
.
L’angoscia permette all’uomo di essere libero, di essere autentico, cioè di realizzare realmente
se stesso. L’esserci viene strappato, in questo stato emotivo originario, dalla sua
immedesimazione deiettiva con il mondo e viene lasciato solo di fronte al più proprio poter
essere, al proprio essere-nel-mondo, che, nell’angoscia, assume “il “modo” esistenziale del
non-sentirsi-a-casa-propria”
98
.
L’angoscia “richiama l’uomo all’autentico vivere perché fa piombare le cose e le distrazioni
nell’insignificanza: richiama l’uomo alla solitudine esistenziale ponendolo a tu per tu col mondo inteso
nella sua purezza aprioristica; gli fa sentire il bisogno di scavare oltre il mondo quotidiano e dato,
perché in questo non si sente nella terra sua e nella casa sua”
99
.
Proprio questo intende Heidegger, quando parla di spaesamento, cioè il venir meno della
tranquillità della quotidianità media, dell’ovvietà, del sentirsi-a-casa-propria. Nello
spaesamento, l’esserci viene posto di fronte al proprio essere una possibilità gettata e, perciò,
rimessa al proprio essere. Nel suo essere spesato, “l’uomo è unheimlich, spaesante, ed è anzi il
solo in cui si dispiega ciò che lo spaesamento svela: l’estraneità del proprio, l’inafferrabilità di
ciò che è più vicino”
100
. L’angoscia del nulla forse “non è altro che l’angoscia per l’essere e
per la possibilità”
101
. Il non-sentirsi-a-casa-propria, proprio dell’angoscia, deve essere
concepito come il fenomeno più originario, in quanto rivela all’esserci l’autenticità e
l’inautenticità come possibilità del suo essere, senza la distrazione dell’ente intramondano a
cui l’esser-ci, nella fuga deiettiva si aggrappa, per non pensare al proprio se stesso. L’angoscia
“sottrae l’esserci all’inautentico essere-nel-mondo, non all’essere-nel-mondo in quanto
tale”
102
.
96
SuZ, p. 236.
97
I. Mancini, Il Nichten heideggeriano e l’umanesimo ontologico, in AA.VV., Drammaturgia, Aprile-Maggio,
Morcelliana, Brescia, 1957, p. 383.
98
SuZ, p. 237.
99
I. Mancini, Il Nichten heideggeriano e l’umanesimo ontologico, in AA.VV., Drammaturgia,cit., p. 386.
100
G. Berto, Freud, Heidegger, lo spaesamento, Bompiani, Milano, 1999, p. 147.
101
A. Caputo, Pensiero ed affettività, Heidegger e le Stimmüngen (1889-1928), F. Angeli, Milano, p. 254.
102
V. Vitiello, Heidegger il nulla e la fondazione della storicità, cit., p. 362.