Introduzione La genesi del concetto di flexicurity non è da ricercare all'interno dei trattati comunitari o da
imputare al legislatore europeo: l'origine del neologismo pare possa essere attribuito ad Al Melkert,
il ministro per gli affari sociali e per l'occupazione dei Paesi Bassi in carica nel 1995. Ai tempi
l'Olanda stava discutendo un importante pacchetto di riforme inerente al mercato del lavoro, nei
confronti del quale il ministro si espresse suggerendo una serie di misure che attuassero
contemporaneamente un incremento nella flessibilità della forza lavoro ed un aumento della
sicurezza dei lavoratori all'interno del mercato del lavoro. L'idea di combinare sicurezza
occupazionale, reddituale e sociale con diversi livelli di flessibilità richiesti dal mercato del lavoro
non costituiva, tuttavia, una novità: fu in Danimarca che vide la sua fioritura, in particolar modo
dall'inizio degli anni '90 sotto la presidenza Poul Nyrup Rasmussen [Rogowski 2009]. Durante
quella stessa decade il concetto rimase abbastanza circoscritto all'interno di queste due entità
nazionali, mentre fu con l'anno 2000 che si iniziò ad osservare una crescente attenzione nei suoi
confronti. Fu infatti grazie alla spinta fornita dalla Strategia di Lisbona (il programma di riforme
economiche approvato a Lisbona dai Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea tra il 23 ed il
24 marzo 2000) che si passò alle prime elaborazioni di modelli sulla flexicurity e se ne diffuse
l'idea. Le decisioni prese a Lisbona coprivano l'intera decade degli anni duemila e, riservandosi la
possibilità di aggiornamenti periodici, stabilivano impegni, da parte dei paesi membri, nel
raggiungere determinati traguardi. L'ambizioso obiettivo di fondo dell'Unione era quello di divenire
“ l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, in grado di realizzare
una crescita economica sostenibile e caratterizzata da nuovi e migliori posti di lavoro e da una
maggiore coesione sociale” [Consiglio europeo 2000]. Una particolarità della Strategia consisteva
nella serie di strumenti messi a disposizione dalla comunità agli Stati membri, perché potessero
raggiungere gli obiettivi stabiliti 1
, che ruotavano fondamentalmente attorno ad un approccio soft
law : a livello comunitario venivano fornite linee-guida di carattere generale, non vincolanti, che
dovevano essere implementate, secondo le modalità considerate più efficaci dai governi, da tutti i
paesi membri dell'Unione europea. Si tendeva così a creare una cornice di regole senza incontrare
grosse difficoltà in fase di approvazione, anche se si trattava di un percorso, quello relativo alle
1 Ai paesi membri veniva chiesto di pervenire, entro il 2010, al 70% del tasso d'occupazione totale degli occupati, al
60% del tasso d'occupazione femminile ed al 50% del tasso d'occupazione dei lavoratori anziani.
7
politiche sociali, abbastanza delicato 2
.
Nel 2005 gli obiettivi di Lisbona furono oggetto di revisione, in un'ottica di rilancio della
Strategia. La rinnovata Strategia di Lisbona prevedeva un programma d'azione fondato su tre
priorità, suddivise in un totale di dieci campi d'azione:
1) rendere l'Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro ▪ ampliare e rafforzare il mercato interno;
▪ migliorare la normativa comunitaria e nazionale;
▪ garantire mercati aperti e competitivi all'interno e all'esterno dell'Unione europea;
▪ ampliare e migliorare le infrastrutture europee 2) porre la conoscenza e l'innovazione al servizio della crescita ▪ aumentare e migliorare gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo;
▪ promuovere l'innovazione, l'adozione di nuove tecnologie dell'informazione e della
comunicazione, nonché l'uso sostenibile delle risorse;
▪ contribuire alla creazione di una solida base industriale europea.
3) creare nuovi e migliori posti di lavoro ▪ attrarre un maggior numero di persone nel mondo del lavoro e modernizzare i
sistemi di protezione sociale;
▪ accrescere la capacità di adeguamento dei lavoratori e delle imprese e la flessibilità
dei mercati del lavoro;
▪ aumentare gli investimenti in capitale umano migliorando l'istruzione e le qualifiche.
La terza priorità sarà quella su cui verrà posta maggiore attenzione nel corso dell'elaborato, in
quanto all'interno di questi tre campi d'azione si va ad inserire l'operato del modello di flexicurity.
L'elaborato verrà sviluppato in quattro capitoli. Nel primo si tenterà di dare una definizione di
flexicurity sulla base della letteratura che riguarda questa particolare configurazione del mercato del
lavoro, andando ad esaminare le due dimensioni (flessibilità e sicurezza) separatamente, tramite il
ricorso ad una serie di indicatori che le collegano alle performance del mercato del lavoro.
Successivamente si renderà conto dell'evoluzione che il concetto ha subito nel corso dell'ultima
decade da parte delle istituzioni europee.
Nel secondo capitolo verranno presentati i diversi modelli di flexicurity attualmente operanti tra
quattro paesi membri dell'Unione europea, che vengono definiti dalla letteratura e dalla Comunità
2 Si rammenti l' opting out – ovvero la mancata adesione ad un provvedimento che lo rende vincolante solo per gli Stati sottoscrittori – della Gran Bretagna in materia di politica sociale europea nel corso delle negoziazioni per
il Trattato di Maastricht.
con l'appellativo di flexicurity countries , nonché utilizzati come parametro con cui confrontarsi o da
cui prendere esempio. In particolare si scoprirà come sia la Danimarca il paese che più di tutti
rappresenta l'idea di coniugare flessibilità e sicurezza. Gli altri tre Stati presi in considerazione
saranno Olanda, Belgio e Svezia, i quali presentano tutti alcune caratteristiche riconducibili alla
flessicurezza, seppur con diverse intensità e con obiettivi differenti. Il capitolo proseguirà con
un'analisi statistica di un'insieme di variabili caratterizzanti le dimensioni della flessibilità e della
sicurezza, dalla quale emergerà una prima relazione tra le due dimensioni, oltre che ad una
suddivisione per gruppi di Stati che presentano configurazioni di mercato del lavoro simili. Il
capitolo si concluderà con una disamina del ruolo delle parti sociali all'interno dei diversi gruppi
determinati in precedenza, e di come il loro comportamento influenzi le due dimensioni oggetto
dell'analisi.
Il terzo capitolo costituisce il nucleo centrale dell'elaborato, in quanto tratta il nesso tra la
flessibilità e la sicurezza. Inizialmente si indagherà l'impatto dei regimi di protezione dell'impiego
sul mercato del lavoro, specialmente per quanto concerne le performance occupazionali. Si tenterà
di far luce sui diversi effetti che provocano i regimi di protezione dell'impiego a seconda se vengano
considerati come trasferimenti dalle imprese nei confronti dei lavoratori oppure come tasse a carico
delle imprese. Si continuerà poi con la disamina dell'impatto dei sussidi di disoccupazione e delle
strategie di attivazione sul mercato del lavoro, con particolare attenzione alla relazione tra la
sicurezza percepita dai lavoratori e la spesa in politiche di welfare. La quarta sezione del terzo
capitolo affronterà la configurazione ottimale di flessibilità e sicurezza ipotizzabile in un modello di
flexicurity; nel modello economico presentato interagiscono per la prima volta
contemporaneamente le due dimensioni.
Il quarto ed ultimo capitolo affronterà le criticità emerse negli studi sull'implementazione dei
modelli teorici di flexicurity. In particolare si farà riferimento agli ostacoli che possono impedire la
feasibility di politiche di flessicurezza (mancanza di fiducia reciproca tra istituzioni e società,
mancanza di virtù civiche da parte degli agenti che caratterizzano il mercato). In secondo luogo
verrà presentata una proposta alternativa ai modelli di flexicurity, che nasce proprio in relazione alle
difficoltà riscontrate in fase di implementazione; si tratta del modello cosiddetto di flexinsurance,
simile a quello di flessicurezza ma che tende a scaricare i costi della flessibilità sugli agenti che più
ne beneficiano, ovverosia le imprese. Il capitolo, e l'elaborato, si concluderanno con una rapida
disamina del mercato del lavoro italiano e dell'eventualità di riforme ispirate ai modelli di
flexicurity.
Capitolo I
1.1 Origine del concetto di flexicurity Il termine flexicurity è d'origine relativamente recente. Per questo, e per tutta una serie di
motivazioni che saranno esposte in questo primo capitolo interamente dedicato alla trattazione del
concetto di flexicurity, risulta difficile fornire una definizione univoca ed esaustiva. Esiste
innanzitutto una prima divisione nella ricerca di una collocazione nello spazio e nel tempo per il
termine. Alcuni studiosi ritengono che il vocabolo flexicurity (o flexsecurity , si noti una dualità
anche nella dicitura) tragga origine dal concetto politico promosso in Danimarca dall'inizio degli
anni '90 e fiorito sotto la presidenza di Poul Nyrup Rasmussen, dal 1992 al 2001 [Rogowski 2009].
Secondo altri la nascita del termine è da ricercare in Olanda nel periodo che intercorre tra la metà
degli anni '90 e la fine della decade. A quel tempo i Paesi Bassi si trovavano impegnati in un
processo di riforma del mercato del lavoro, il quale terminò nel 1999 con la firma del Dutch
flexibility and security act (Legge sulla flessibilità e la previdenza nei Paesi Bassi) [Bredgaard,
Larsen, Madsen 2005]. Nonostante la divergenza su chi per primo abbia introdotto il concetto, si
possono desumere alcuni punti fermi: il periodo di sviluppo dell'idea di flexicurity è individuabile
negli anni '90 e i primi paesi ad introdurla presentano delle similarità nei loro mercati del lavoro
(medio-bassa rigidità del regime di protezione all'impiego, alti sostegni economici nei periodi di
disoccupazione, alta percentuale del PIL spesa in politiche attive e passive del mercato del lavoro
sono solo alcuni esempi).
Tuttavia, la flexicurity non è un concetto che descrive esclusivamente la situazione del mercato
del lavoro danese ed olandese. Dal 2000 in poi si è osservata, in seno alle istituzioni comunitarie,
un'attenzione crescente sul tema, adottato dalla Commissione Europea come concetto politico
chiave per promuovere la modernizzazione delle politiche di welfare tra i paesi membri. Durante il
vertice di primavera, tenutosi nel 2006 a Bruxelles, il Consiglio Europeo propone una definizione di
flexicurity, indicandola come una misura per accrescere le opportunità di impiego delle categorie
con diritto a trattamento preferenziale, promettendo inoltre l'istituzione di una serie di principi
comuni. Nelle conclusioni della Presidenza gli Stati membri vengono invitati a portare avanti, in
accordo con le rispettive situazioni del mercato del lavoro, le riforme nel mercato e nelle politiche
sociali in base ad un approccio integrato di flexicurity , adeguatamente adattato agli specifici contesti
istituzionali, in quanto si afferma il fatto che l'Europa debba sfruttare le interdipendenze positive tra
11
competitività, occupazione e sicurezza sociale [Rogowski 2009].
Le indicazioni comunitarie puntano sul fattore di interdipendenza tra occupazione, sicurezza e
competitività, esortando ad elaborare strategie che favoriscano un'interconnessione positiva,
specialmente tra i primi due fattori. Per questo può essere individuata una prima definizione di
flexicurity, ancora circostanziata, nella determinazione di una strategia di politica economica che
cerchi di conciliare le richieste di flessibilità provenienti dal lato delle imprese con un'elevata
protezione dei lavoratori, da realizzarsi attraverso un rafforzamento dell'apparato degli
ammortizzatori sociali e l'attuazione di politiche attive che supportino le transizioni sul mercato del
lavoro [Pisano, Raitano 2007]. In questo primo tentativo di definizione risuonano le affermazioni
esposte da Hans Adriaansen e Ad Melkert, rispettivamente membro del comitato scientifico
olandese di politica economica e ministro degli Affari sociali dei Paesi Bassi (dal 1994 al 1998), che
negli anni '90 descrissero la flexicurity come il passaggio da una filosofia di pensiero basata sulla
sicurezza del posto di lavoro ( job protection ) ad una maggiormente incentrata sul concetto di
occupabilità ( employment protection ), da realizzarsi mediante una compensazione della minore
sicurezza e continuità della carriera lavorativa con migliori opportunità e maggiore copertura
previdenziale per i lavoratori a tempo determinato ed atipici [Pisano, Raitano 2007].
Prima di procedere nella ricerca di una definizione maggiormente approfondita, è opportuno
soffermarsi sulla diversità di approcci che può essere incontrata nella trattazione del tema della
flexicurity. Da un lato si può individuare un approccio di tipo economico, il quale tende a prendere
in considerazione unicamente le conseguenze positive della flessibilità per il mercato del lavoro, per
le imprese e per i lavoratori, relegando gli schemi previdenziali e la sicurezza dell'impiego a livello
di impedimenti alla competitività e alla crescita economica. Dall'altro lato si trova un approccio
declinato secondo gli schemi della sociologia e della scienza politica, che si focalizza maggiormente
sulle conseguenze positive in termini di distribuzione del welfare, ma raramente prende in
considerazione gli effetti di flessibilità per mercati ed imprese [Bredgaard, Larsen, Madsen 2005].
Detto ciò, è necessario presentare la flexicurity non solamente come una teoria economica o
sociologica, ma anche come una policy strategy , come piano d'azione concreto e realizzabile, che
richiede una definizione allargata.
Il primo passo verso una definizione generale avviene con una presa d'atto: ovvero che i concetti
di flessibilità e di sicurezza non siano contraddittori, ma si sostengano reciprocamente [Bredgaard,
Larsen, Madsen 2005]. Sono sorte critiche a riguardo, che hanno preso di mira la flexicurity
definendola come nulla più che la parafrasi del tradizionale antagonismo tra imprenditori e salariati,
con i primi che chiedono maggiore flessibilità e i secondi maggiore sicurezza [Ozaki 1999] ma,
come si vedrà in seguito, la situazione si presenta diversamente dal classico scontro capitale-lavoro.
12
L'idea che sta dietro all'approccio di flexicurity è che la flessibilità non sia l'esito del monopolio
delle imprese, così come la sicurezza non sia l'esito del monopolio dei lavoratori [Bredgaard,
Larsen, Madsen 2005]. In una situazione di mercato del lavoro “moderno”, molti imprenditori
intuiscono di poter trarre maggiori benefici intrattenendo stabili relazioni con i propri dipendenti,
almeno con coloro che si dimostrano leali e bene qualificati. D'altra parte, molti lavoratori
percepiscono la necessità di orientare la loro vita lavorativa secondo le proprie preferenze
individuali, dimostrandosi interessati all'opzione di una maggiore flessibilità organizzativa, ad
esempio per poter bilanciare attività di lavoro e di famiglia. [Wilthagen, Tros 2004] Tuttavia, questo
scenario non può essere totalmente declinato verso la componente di flessibilità, in quanto, è stato
affermato prima, essa deve accompagnarsi ad una cornice di tutele per i lavoratori; questa appare
essere una precondizione essenziale per il buon funzionamento di un mercato del lavoro flessibile 3
[Bredgaard, Larsen, Madsen 2005].
Volendo addentrarsi in un excursus delle possibili definizioni della flexicurity, oltre che al già
citato ministro dell'occupazione olandese, si può attribuire ad Hans Adriaansens, professore
all'Università di Utrecht, l'introduzione del termine, già utilizzato in alcuni discorsi ed interviste nel
1995 [Wilthagen, Tros 2004]. Lo studioso definiva la flexicurity come uno spostamento dalla
sicurezza del posto di lavoro ( job security) alla sicurezza dell'occupazione ( employment security );
suggeriva inoltre l'introduzione di una forma di compensazione, resa necessaria dalla perdita di
posizione del lavoratore in termini di sicurezza del posto del lavoro (meno ricorso a contratti a
tempo indeterminato e meno vincoli di licenziamento da parte delle imprese), tramite il
miglioramento delle possibilità di impiego e dei regimi di previdenza sociale. Basandosi su queste
considerazioni, venne elaborata una successiva definizione [Wilthagen, Rogowski 2002], fondata
sui presupposti dell'approccio olandese alla flexicurity, la quale definiva il concetto come una
strategia che tenta, in maniera sincronica e deliberata, di aumentare da un lato la flessibilità del
mercato del lavoro, della sua organizzazione e delle relazioni industriali, mentre dall'altro accresce
la sicurezza, sia sociale che di occupabilità, specialmente per i gruppi più deboli, all'interno e
all'esterno del mercato del lavoro . Verrà fornita successivamente una versione più approfondita di
questa definizione. Alcuni autori hanno contribuito definendo il concetto in maniera più generale,
ad esempio considerando la flexicurity come una forma di protezione sociale per una forza lavoro
flessibile, da intendersi in alternativa a politiche di flessibilizzazione e deregolamentazione pura
[Keller, Seifert 2004]. Volendo limitarsi a definire la flexicurity basandosi solo su dati statistici, essa
viene definita come il livello di occupazione e di sicurezza dei lavoratori impiegati con contratti
3 Claus Hjort Frederiksen, ministro del Lavoro danese dal 2001 al 2009, fornì il punto di vista del policy maker sulla
questione, affermando che “[...] tagli alle tasse non dovranno essere attuati abbassando i sussidi di disoccupazione.
Essi sono un importante fattore dietro la flessibilità del mercato del lavoro danese”.
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atipici, o a tempo determinato o part-time . Un'ulteriore definizione [Eamets, Paas 2007] descrive la
flexicurity come una crescente mobilità del mercato del lavoro (flussi di entrata e uscita dal lavoro,
cambi di lavoro, mobilità funzionale ed occupazionale, mobilità geografica, organizzazione
flessibile delle ore lavorative) che favorisce la possibilità di trovare sempre un nuovo lavoro,
dunque di non subire ripercussioni in termini di guadagno dall'eventuale maggiore fragilità dei
rapporti di lavoro . Queste due ultime caratteristiche prevederebbero la necessità di un sufficiente
livello di formazione per coloro che si trovano momentaneamente disoccupati, nonché il supporto di
politiche attive del mercato del lavoro, per poter assicurare rapidamente un nuovo lavoro. I sussidi
di disoccupazione dovrebbero essere sufficienti per poter coprire la maggior parte della perdita di
reddito durante il periodo di ricerca di un nuovo lavoro. Inoltre, la durata dell'erogazione del
sussidio dovrebbe essere relativamente breve, in modo da non scoraggiare il processo di ricerca.
Come si può notare dalla varietà di definizioni coniate, risulta difficile cristallizzare il concetto in
un'unica enunciazione senza tralasciare alcuni aspetti, nonché trovarne una versione conclusiva e
generale. Ciononostante la definizione complessivamente “migliore” che sia stata finora fornita
sembra essere l'elaborazione dell'enunciato di Wilthagen e Rogowski esposto precedentemente. Si
tratta di un ampliamento dell'ottica di studio sulla flexicurity, adottato per poter descrivere un certo
stato o una certa condizione di un mercato del lavoro [Wilthagen, Tros 2004] e quindi allontanarsi
dal caso specifico, oggetto della loro analisi, della legislazione olandese. La definizione cosiddetta
“allargata” è la seguente: [Wilthagen, Tros 2004, p.5]
“ La flexicurity consiste in una certa combinazione tra livelli di lavoro, occupazione e reddito con
un certo livello di sicurezza, tale da: i) facilitare le carriere e le biografie lavorative per coloro che
si collocano in una posizione relativamente debole all'interno del mercato del lavoro; ii) permettere
un'alta qualità e una lunga durata nella partecipazione al mercato del lavoro, accompagnati da
adeguati schemi di sicurezza sociale. Allo stesso tempo è necessario fornire un certo grado di
flessibilità numerica (sia interna che esterna), funzionale e di salario, che permetta ai mercati del
lavoro (e alle singole imprese) aggiustamenti adeguati e tempestivi rispetto ai mutamenti delle
condizioni sussistenti, in modo da migliorare la competitività e la produttività ” Dopo aver enunciato una così ampia definizione, è obbligatorio procedere ad una specificazione
delle informazioni in essa contenute. Innanzitutto si può notare come il concetto di flexicurity sia
necessariamente multi-dimensionale, in primis per le numerose caratteristiche che devono essere
tenute in considerazione, in secundis perché gli stessi concetti espressi, specialmente quelli di
flessibilità e di sicurezza, possono essere declinati secondo molteplici dimensioni 4
[Pisano, Raitano
4 La numerosità delle dimensioni presenti è uno degli ostacoli per la costruzione di un indicatore sintetico di
flexicurity [Pisano, Raitano 2007].
14
2007]. Numerosi approfondimenti sono stati dedicati alle diverse dimensioni della flexicurity, la
quasi totalità dei quali è concorde nel classificare in cinque diverse categorie il concetto di
flessibilità [Wilthagen, Tros 2004; Bredgaard, Larsen, Madsen 2005; Tangian 2007; Philips, Eamet
2007; Raitano 2008]:
i) Flessibilità esterna ( external numerical flexibility o employment flexibility ); sussiste nella
capacità, da parte dell'imprenditore, di adattare il numero dei dipendenti in base alle
esigenze. In altre parole, si tratta della facilità di assunzione e di licenziamento dei lavoratori
(che si manifesta nella mobilità tra impieghi diversi) e nel grado di diffusione di contratti a
tempo determinato.
ii) Flessibilità interna ( internal numerical flexibility o work process flexibility ); sussiste nella
capacità, sempre da parte dell'imprenditore, di modificare il numero e la distribuzione delle
ore lavorative senza variare il numero di dipendenti. Questo tipo di flessibilità copre diverse
tipologie lavorative, come il lavoro a turni, il lavoro stagionale, il lavoro nel week-end, il
part-time, l'orario lavorativo variabile, gli straordinari.
iii) Flessibilità funzionale ( job function flexibility o internal qualitative flexibility ); è il grado di
libertà, per le imprese, di spostare i propri lavoratori da una mansione o da un'area ad
un'altra, o di modificare i contenuti del lavoro dei propri dipendenti. Questo tipo di
flessibilità si manifesta nel grado di mobilità dei lavoratori all'interno dell'impresa.
iv) Flessibilità salariale ( wage flexibility o variable pay ); permette alle imprese di cambiare i
salari in risposta ai cambiamenti del mercato del lavoro o per questioni di competitività.
Spesso le imprese preferiscono sistemi di remunerazione collegati alle performance, in
combinazione con (oppure al posto di) i consueti contratti collettivi (indipendenti rispetto
alle performance individuali) [Tangian 2006].
v) Flessibilità esterna funzionale ( external functional flexibility o externalisation flexibility ); si
tratta della capacità, da parte dell'impresa, di commissionare alcune mansioni a lavoratori
esterni senza dover ricorrere a contratti d'impiego, ma esclusivamente attraverso contratti
commerciali, come ad esempio il lavoro a distanza, il telelavoro, le organizzazioni virtuali, il
lavoro parasubordinato ( entreployee ) [Tangian 2006]. È anche conosciuta con il termine
outsourcing (in questo caso di alcune mansioni).
Allo stesso modo sono state individuate quattro dimensioni del concetto di sicurezza che risultano
rilevanti per il dibattito sulla flexicurity, mentre vengono tralasciate altre categorie più specifiche,
focalizzate sulla funzione compensatoria degli schemi di sicurezza, come in casi di malattia,
maternità, invalidità o simili [Vielle, Walthery 2003]. Le quattro dimensioni della sicurezza sono le
seguenti [Wilthagen, Tros 2004 e Tangian 2006]:
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i) Sicurezza del posto di lavoro ( job security ); consiste nella sicurezza di mantenere un
determinato impiego presso uno specifico datore di lavoro (tipico nei paesi che presentano
una rigida legislazione in materia di protezione dell'impiego).
ii) Sicurezza dell'occupazione ( employability security ); è garantita dalla sicurezza di rimanere
occupati, non necessariamente presso lo stesso datore di lavoro. Questo implica una
disponibilità di mansioni sia per i lavoratori in esubero sia per i disoccupati, conformemente
alle loro qualifiche e ai loro precedenti lavorativi. Il livello di occupabilità di coloro che
sono alla ricerca di un lavoro può essere migliorato da una formazione professionale
continuata ( lifelong vocational training ), che può essere fornita sia dall'impresa che dagli
schemi operativi in un contesto di politiche attive del mercato del lavoro [Tangian 2006].
iii) Sicurezza del reddito ( income security o social security ); si sviluppa nella protezione del
reddito, attraverso ammortizzatori sociali (politiche attive), nel caso in cui il rapporto di
lavoro venga meno. Si estrinseca nella presenza di un salario minimo, di misure
d'aggiustamento del salario in base all'inflazione ( wage indexation ), di un sistema di
previdenza sociale ampio, che includa prelievi fiscali progressivi in base al reddito
(progressive taxation ) e remunerazioni di vecchiaia ( provisions for old age ) [Tangian 2006].
iv) Combination security ; è la sicurezza di poter conciliare l'attività lavorativa con altre
responsabilità e doveri, sociali o privati (formazione, lavori di cura a figli o anziani).
Nella definizione “allargata” del concetto di flexicurity viene menzionata la necessità di trovare
una combinazione tra diversi “livelli” di flessibilità e sicurezza. Non c'è dubbio che una policy di
flexicurity debba essere concepita come un incremento nei cinque tipi di flessibilità compensato con
un miglioramento nei quattro tipi di sicurezza [Tangian 2006], ma questo si può verificare secondo
diverse combinazioni. Nel caso in cui vi sia una debole regolazione del mercato del lavoro
combinata a generosi schemi di previdenza sociale e a politiche di attivazione dell'impiego ci si
trova di fronte ad una flexicurity di tipo statico; un esempio di questo tipo è reperibile in
Danimarca. Laddove invece vi sia in atto un processo di flessibilizzazione (un passaggio da un
regime di protezione all'impiego rigido ad uno più flessibile, ad esempio) compensato da alcuni
vantaggi previdenziali e da politiche di attivazione si può parlare di flexicurity dinamica; l'Olanda
costituisce un esempio di quest'ultimo tipo.
Il successivo paragrafo presenterà una panoramica statistica della situazione nei vari Stati
membri dell'Unione Europea riguardo ai diversi componenti delle politiche di flexicurity enunciati
precedentemente, i quali verranno analizzati tenendo conto della loro afferenza alla dimensione
della flessibilità o a quella della sicurezza.
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