Premessa
La tesi ha per oggetto il Museo Storico Archeologico di Nola che sorge nel
cuore del centro storico della città su un antico complesso monastico
cinquecentesco fondato presso la chiesa di S. Maria la Nova.
L’apertura del museo risale al luglio del 2000, quando venne presentato ai
visitatori il primo nucleo di reperti che occupava il piano terra dell’edificio. In
seguito, grazie ai numerosi arricchimenti che il territorio costantemente
restituiva, si rese necessario un ampliamento dello spazio espositivo che, dopo un
lungo periodo di chiusura, permise l’allestimento anche ai piani superiori del
museo, riaperto al pubblico nel dicembre del 2009.
La scelta di questo tema è legata alla volontà di incentrare l’attenzione sul
significato che ha avuto l’apertura- o meglio la riapertura- dell’istituto per la
popolazione locale, e le potenzialità di cui il Museo Storico Archeologico di Nola
si fa portatore nel processo di identificazione culturale del singolo cittadino e
nelle iniziative volte a riqualificare e valorizzare questo territorio, ancora
profondamente provato dalle più recenti vicissitudini.
Il lavoro risulta quindi innovativo per vari aspetti: per la specificità del Museo
Storico Archeologico di Nola, che nella sua stessa essenza è votato ad una
multiforme pluralità di ruoli e funzioni; perché, grazie alla cortesia ed alla
disponibilità del personale nonché del direttore della struttura, ho avuto la
possibilità di svolgere un lavoro “sul campo”, a diretto contatto con le persone
che in prima linea hanno partecipato alla realizzazione del museo e che
costantemente si impegnano per la sua valorizzazione; perché, dopo un accurato
lavoro volto alla conoscenza dei reperti e della loro storia, la mia ricerca si è
incentrata sui criteri di musealizzazione adottati (al fine di ottimizzare la
percezione delle opere presentate) e le attività di promozione e valorizzazione
organizzate dall’istituto (indispensabili per comunicare al meglio i messaggi di
cui un museo è portatore).
I costanti convegni, le delibere, ed i Piani Integrati, dimostrano, in particolare,
l’attualità di quest’ultimo argomento, per la cui stesura mi sono avvalsa dei dati
raccolti tramite un Questionario di valutazione da me preparato e posto
all’attenzione dei fruitori del museo.
Tale forma di monitoraggio si è rivelata di grande utilità per meglio conoscere le
categorie di fruitori che abitualmente visitano il museo e soprattutto la loro
percezione del contesto museale.
Il mio lavoro di tesi risulta dunque molto elaborato, ed è per questo che, in primo
luogo, i miei più sentiti ringraziamenti vanno a chi, con tanta cura e dovizia, mi
ha seguita durante la sua redazione: il Prof. Federico Rausa, per i suoi preziosi
consigli che mi hanno indirizzata verso le scelte più opportune, ed il Prof. Arturo
Fittipaldi, per avermi saputo guidare ed incoraggiare in ogni momento del mio
lavoro, aiutandomi a trasformare ogni difficoltà in opportunità.
Per la sua infinita collaborazione e disponibilità vorrei ringraziare il Dott.
Giuseppe Vecchio (responsabile del museo) e tutto il personale che, con grande
pazienza, ha risposto alle mie incessanti domande e perplessità, in modo
particolare il Sig. Antonio Esposito (assistente tecnico) e la Sig. ra Rosa Lodi
(operatore amministrativo e consegnataria), ed in generale tutto lo staff museale,
per la sua cortesia e gentilezza.
Un ringraziamento particolare và al Dott. Esposito Francesco, per la preziosa
collaborazione e consulenza offertami durante la redazione di questo lavoro, ma
soprattutto per la costante attenzione e disponibilità dimostratami durante questi
anni di studio.
Ai miei genitori, per i quali io sono la figlia che non smette mai di studiare,
dedico ancora una volta questo mio lavoro, sperando che magari un giorno, nel
leggerlo, possano meglio comprendere il senso dei loro sacrifici.
Sono grata ai miei compagni di corso, sempre gentili e cortesi, con i quali ho
condiviso questa intensa esperienza, e sono grata a tutti coloro che, in un modo o
nell’altro, hanno contribuito al conseguimento di tale risultato, conducendomi qui
dove sono oggi.
Infine, un ultimo grande ringraziamento vorrei farlo a chi leggerà, ma soprattutto
a chi ha già letto la mia tesi, perché so per certo che lo ha fatto con il cuore.
A voi, principalmente, grazie...
1
Il Museo Storico-Archeologico di Nola:
analisi e valorizzazione
di una istituzione
1. Il Museo ed il Territorio
1.1. L’Ager Nolanus: evoluzione storica e testimonianze
archeologiche
“Appoggiata ai colli e ai monti dell’Irpinia, allo sbocco delle due lunghe fauci
che il Sannio apre sulla Campania (la gola di Baiano e la gola di Lauro), e alla
confluenza delle due vie del commercio marittimo che risalivano l’una da Napoli,
l’altra dal porto fluviale di Pompei, signora di tutta la terra alle spalle del
Vesuvio, posta lungo la grande via carovaniera tra il nord e il sud della penisola,
è forse la città che ha raccolto e maturato il più travagliato destino della
Campania. Della lotta fra Etruschi e Greci si giova per immettere nelle case e nei
sepolcri il fiorire delle ceramiche attiche, per affinare la rudezza della sua gente
italica alla gran luce di quella eroica alba d’Italia; sannitica, fronteggia
arditamente Roma; vinta e piegata, offre a Marcello la possibilità di battere
Annibale innanzi alle sue porte; ribelle e più duramente domata, rinasce dal suo
lavacro di sangue con la sola inesausta forza della sua terra e, dopo aver offerto
al poeta delle Georgiche lo spettacolo dei suoi campi rigogliosi di messi, di
vigneti, di frutteti, accoglie nella pace dell’impero Augusto morente e ne vede, tra
le sue mura, la più alta consacrazione: la casa fatta tempio.”
1
1
MAIURI 1957, p. 259
2
Territorialmente, l’Agro Nolano viene a delinearsi come quel tratto della Piana
Campana compreso tra il Vesuvio e l’Appennino. Tale zona si distingue per una
precisa individualità derivata da un complesso di fattori fisici ed umani che,
agendo sul territorio sin dai tempi antichi, hanno determinato il conformarsi di
particolari caratteristiche socio-ambientali.
La zona compresa nell’Agro Nolano non ha sempre avuto univoca identificazione
nel corso della storia: definita genericamente come “Campagna Nolana” o
“Territorio Nolano”, veniva riconosciuta generalmente come la parte centrale del
territorio gravitante intorno a Nola, compresa tra i Monti d’Avella, Il Vesuvio, il
Pantano di Acerra ed il Vallo di Lauro.
Tuttavia vi erano numerose discordanze circa tale identificazione. Ambrogio
Leone
2
ed il Remondini
3
consideravano il Territorio Nolano limitato dal Monte
Avella a nord, dalle colline di Cicala e Visciano ad est, dal Vesuvio a sud e dal
fiume Clanio (confluito nel sistema dei Regi Lagni) a ovest.
Successivamente invece, il Galanti ed il Giustiniani
4
tendono ad allargare i confini
di quello che ormai comincia ad essere definito Agro Nolano, includendovi tutta
la zona compresa tra l’Appennino ed il Vesuvio.
Come osserva giustamente il D’Arcangelo
5
, tali riferimenti non possono essere
accettati senza qualche riserva in quanto includerebbero all’interno della zona
anche l’Agro Acerrano e la fascia vesuviana che, indubbiamente, presentano
diverse connotazioni storico-geografiche.
Queste considerazioni preliminari ci aiutano a comprendere come, nel corso dei
secoli, gli eventi storici abbiano influito nel determinare la caratterizzazione e
l’estensione della Campagna Nolana
6
.
2
Cfr. LEONE 1514, p. 6
3
Cfr. REMONDINI 1747-57, p. 1 e p. 123
4
Cfr. G. M. GALANTI, Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie, Napoli 1786-1790,
tomo IV, p. 151; L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Napoli
1797-1816, tomo VII, p. 56
5
Cfr. D'ARCANGELO 1967, pp. 5-9
6
Un più preciso assetto amministrativo della zona si avrà, infatti, solo con la conquista romana,
quando, in seguito allo sviluppo delle vie di comunicazione e alle divisioni centuriali, si verrà a
delineare una certa uniformità territoriale che estenderà il concetto di Agro dalla pianura
circostante Nola fino alle valli di Baiano e di Lauro ad oriente, e fino alla soglia di Pomigliano e
Marigliano ad occidente.
3
Figura 1- L’Agro Nolano (Da AVELLA 1997, 1)
Durante il corso dei secoli Nola ha costituito il fulcro di questa pianura, svolgendo
una funzione di guida e di richiamo rispetto ai centri limitrofi. Tali caratteristiche
sono rilevabili sin dall’antichità, ed hanno conferito alla regione una certa
coesione ed una propria individualità con peculiarità precise.
Tra queste, una fondamentale è il rilievo che nella storia del territorio ha assunto
l’attività vulcanica del Somma-Vesuvio, annessa a quella dei torrenti provenienti
dai rilievi montuosi. L’Agro Nolano, infatti, a causa della sua posizione di tramite
tra il sistema vulcanico ed i rilievi appenninici, durante il corso della sua storia ha
4
fortemente risentito dei fenomeni geologici
7
, responsabili della stessa formazione
del territorio. A tali eventi bisogna infatti attribuire la grande fertilità del suolo
agrario (tipica dei terreni vesuviani), che rappresenta una delle principali
peculiarità dell’area.
Situata in una zona tra le più fertili della Campania, le ragioni della passata
ricchezza di Nola sono dunque molteplici. In primo luogo esse sono imputabili
alle caratteristiche propriamente fisiche del territorio, quali la già evidenziata
fertilità del suolo e forse, come rilevato dal La Rocca
8
, alla stessa presenza del
Clanis
9
che, prima dell’impaludamento che iniziò già in età romana, dové
costituire una fonte idrica ed una probabile via di traffico commerciale
10
.
Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che, per la sua collocazione geografica, Nola
veniva a trovarsi al centro della fertile Pianura Campana che, estendendosi a nord-
est del Vesuvio, costituiva l’imbocco delle valli che conducono al Sannio,
all’Irpinia e alla Piana del Sarno. Vediamo dunque come la città venne ad
assumere una posizione strategica, crocevia di importanti direttive commerciali
verso l’entroterra campano. I successivi legami che Nola instaurerà con Neapolis
e con Pompei
11
, la presenza di ceramica daunia rintracciabile sin dal VII sec. a.C.,
nonché la realizzazione nel II sec. a.C. della via Popilia
12
, dimostrano
l’importantissimo ruolo svolto da Nola come nodo di collegamento tra la zona
tirrenica e l’entroterra campano.
Tutte queste condizioni favorirono, sin dai tempi più remoti, lo stanziarsi nel
territorio di Nola di molteplici popolazioni che si sono susseguite attraverso i
secoli, e che vennero a costituire il fondamento dell’identità culturale di questa
importantissima area.
7
Eruzioni, trasporto, accumulo, alluvioni
8
Cfr. ANGELILLO- LA ROCCA 1971, pp. 13-15
9
Proveniente dalle alture a nord di Avella
10
È comunque da sottolineare che, come riferisce Livio (23,44,7), il fiume, pur essendo nelle
vicinanze della città, non la attraversava
11
Identificato da Strabone epineion di Nocera e di Nola (Strabo, 5, 247)
12
È probabile che la strada, come molte altre viae romane, ricalcasse un antico tracciato di epoca
precedente (Cfr. ANGELILLO- LA ROCCA 1971, pp. 65-66)
5
1.1.1. I primi abitanti e le origini di Nola
Delineare una storia delle origini della città di Nola risulta alquanto ostico, in
quanto frammentarie e contraddittorie appaiono le fonti relative ai primi secoli di
occupazione del territorio.
In quest’ottica assume particolare importanza l’apporto delle documentazioni
archeologiche, allo scopo di poter individuare un percorso cronologico che,
partendo dalle prime testimonianze, vede il susseguirsi di popolazioni differenti le
quali, pur sovrapponendosi sul territorio, tendono ad assorbire parte delle
caratteristiche del precedente substrato; particolarità, questa, che costituisce da
sempre una delle principali ragion d’essere della spiccata individualità della
regione nolana.
Le prime tracce di vita lasciate dall’uomo nel territorio di Nola risalgono al
Paleolitico Superiore (35.000-10.000 anni fa). Si tratta di due stazioni scoperte
presso il territorio di Roccarainola ed indagate tra gli anni ’60-’70 del secolo
scorso
13
.
La prima stazione, il c.d. Riparo di Fellino, distrutto nel 1975, era una grotticella
sita alle pendici del Monte Fellino, ad un’altitudine di m. 130 s.l.m. posta a circa
Km 4,5 da Cicciano. La cavità conteneva frammenti ossei, gusci di gasteropodi
14
e selci lavorate, alcune delle quali, in seguito ad uno studio più accurato, furono
attribuite anche ad un’industria più tipicamente mesolitica.
L’altra stazione, la Grotta di Roccarainola, venne utilizzata dalle popolazioni
preistoriche per un periodo di tempo molto più lungo. Dato interessante è il
ritrovamento di grossi nuclei silicei recanti tracce di lavorazione. La presenza di
questa pietra, non attestata nel territorio di Nola, lascia presumere l’esistenza di
forme di commercio delle materie prime, seguito da una lavorazione locale
15
.
13
Cfr. CAPOLONGO 1976-1977, pp. 13-26; IETTO- SGROSSO 1963
14
La notevole abbondanza dei gusci di questi molluschi, unita al fatto che questi appartenessero
tutti ad individui adulti, ha portato gli studiosi a ritenere che essi fossero stati utilizzati come pasti
dagli abitatori della Riparo
15
Cfr. CAPOLONGO 1976-1977, p. 20. Ietto e Sgrosso aggiungono che il luogo principale di
rifornimento della materia prima doveva essere nel vicino Avellinese, anche se la presenza di
materiali come la selce bionda lasciano ipotizzare zone di approvvigionamento anche piuttosto
lontane
6
Il Paleolitico Superiore è un periodo di grandi mutamenti climatici ed evolutivi. È
durante questa fase che l’Homo Sapiens fa la sua comparsa in Europa e sviluppa
le proprie capacità tecniche tramite l’industria su lama. I reperti rinvenuti nelle
stazioni sono riconducibili per lo più ad Industrie Gravettiane, e questo consente
di fissare a 28.000-20.000 anni fa circa le prime presenze umane nel territorio
16
.
Questi nuclei familiari dominavano dalle loro stazioni collinari l’intera Pianura
Nolana, ed è probabile che altri nuclei come questi vivessero in condizioni
analoghe.
A partire dal Paleolitico Superiore, dunque, il territorio nolano comincia ad essere
sede di una serie di insediamenti, nei quali si assiste ad un lento ma costante
aumento della popolazione.
Il Riparo di Fellino e la Grotta di Roccarainola continuarono la loro funzione di
ricovero anche nel Neolitico (6200 a.C.- 3700 a.C.) e nell’Età del Rame (3700
a.C.- 2300 a.C.), come dimostrano i ritrovamenti di un vaso d’impasto nella zona
di Roccarainola (presso la collina di Cereòle)
17
e di un frammento di ossidiana in
località Vallone d’Arci (tra Roccarainola ed Avella).
Durante questa fase gli insediamenti divengono sempre più stabili ed è
documentata la pratica della pastorizia. Interessante è anche l’identificazione sulla
collina Cicala, in località Torre-Montagnola (S. Paolo Belsito), di un sito dell’Età
Eneolitica, che ha restituito frammenti ceramici d’impasto (per lo più orli e pareti)
che presentano la tipica decorazione embricata a scaglie o a squame.
L’età del Bronzo Antico (2300-1650) è caratterizzata, in Campania, dalla facies
culturale di Palma Campania (così chiamata dalla località in cui avvennero i
primi ritrovamenti nel 1972), a cui pose fine l’eruzione c.d. delle Pomici di
Avellino
18
. L’evento eruttivo, datato tra il 1860 a.C. ed il 1680 a.C.
19
, ha sigillato
16
Tra gli oggetti si possono riconoscere alcune punte, lame e raschiatoi
17
Il vaso, di ceramica d’impasto e monoansato, risulta interessante secondo il Capolongo per la
forma a campana che lo caratterizza (Cfr. CAPOLONGO 1976-1977, p. 29)
18
Dall’area di dispersione dei prodotti piroclastici
19
La data dell’eruzione è stata indagata attraverso numerose misure di datazione radio-carbonica
con il metodo della spettrometria di massa ultrasensibile, su diversi reperti provenienti dagli scavi
(resti carbonizzati, paleosuoli, ossa di animali). L’età calibrata (1 σ) và posta tra il 1880 ed il 1680
a.C. (Cfr. ALBORE LIVADIE et al. 1998, p. 57)
7
tutti i siti presenti nell’area che si estendeva dal versante settentrionale del
Vesuvio fino all’entroterra irpino, consentendo in questo modo la loro perfetta
conservazione.
Il periodo di sviluppo di questa cultura coincise con una delle fasi climatiche più
aride dell’Olocene, caratterizzata da un clima più caldo e da un abbassamento del
livello delle acque. La vicinanza di fonti idriche divenne, quindi, un requisito
necessario per la sopravvivenza del villaggio; accompagnata dalla necessità di uno
spostamento delle mandrie verso pascoli d’altura durante la calura estiva ed
autunnale (per il reperimento dell’acqua), dai ripari a bassa quota che,
probabilmente, venivano invece occupati nei periodi freddi.
Le origini della facies di Palma Campania sarebbero da ricercare, secondo alcuni
studiosi, nelle precedenti civiltà dell’Età Eneolitica (in particolare nella facies di
Laterza), mentre, secondo altri, fondamentale importanza ebbe l’espandersi delle
culture egee nella zona tirrenica.
Per quanto riguarda le testimonianze archeologiche, vediamo che già durante l’Età
del Rame il grande progresso dell’allevamento e dell’agricoltura comportò un
aumento della popolazione e un consequenziale accrescimento degli insediamenti.
Nell’area nolana ne sono stati individuati circa 40 precedenti l’eruzione, tra loro
collegati da vere e proprie strade di terra battuta, con zone destinate all’agricoltura
specializzata (come dimostrano i rinvenimenti, ad es. in zone come Palma
Campania e Gricignano d’Aversa, di terreni recanti tracce di aratura).
I centri si sviluppavano sia sulle aree pianeggianti che su quelle collinari. A tal
proposito, è stata formulata l’ipotesi
20
che la disposizione di questi insediamenti
possa risultare indicativa di un sistema di gerarchizzazione dei siti. Secondo
quest’ottica i centri ubicati in pianura (Nola, Palma Campania, Saviano),
trovandosi in una posizione privilegiata in corrispondenza di corsi d’acqua e
lungo le vie della transumanza, avrebbero costituito i nodi principali di controllo
con una funzione preminente nello scambio delle merci. Interessante è anche
l’assenza negli insediamenti di opere di difesa artificiali, interpretata come indizio
di forme di equilibrio socio-politico tra queste comunità.
20
Cfr. CESARANO 2003 p. 22
8
Tra i vari siti che documentano la consistenza della cultura di Palma Campania
nella regione, possiamo individuarne qualcuno che presenta caratteristiche
particolarmente rilevanti.
Il primo insediamento rinvenuto nel 1972 presso Palma Campania (loc. Tirone o
Balle)
21
, durante i lavori di costruzione dell’autostrada Caserta- Salerno, diede il
nome alla facies culturale del Bronzo Antico e aprì la via alle ricerche su tale
periodo. Le indagini portarono alla luce i resti di una capanna con un notevole
numero di vasi (circa 130) e tazze carenate (circa 80), rinvenuti per lo più gli uni
accanto agli altri o impilati.
In seguito ad un furto, i materiali furono trasferiti nel più sicuro Antiquarium di
Castellammare di Stabia, dove rimasero fino al 1976, quando furono esaminati
dalla Claude Albore Livadie
22
. Grazie alla collaborazione dei vulcanologi, la
studiosa riuscì ad eseguire uno studio preciso della stratigrafia del luogo di
rinvenimento, che presentava un’alternanza di paleosuoli, strati di cenere, pomici,
e colate di fango. Tali studi hanno concesso di identificare le diverse attività
eruttive del Somma-Vesuvio, e di confermare l’ipotesi di un’eruzione che ha
distrutto gli insediamenti preistorici del Bronzo Antico. La presenza di frammenti
d’intonaco recanti tracce di intelaiatura lignea, ha inoltre permesso
l’identificazione di un ambiente chiuso (una capanna appunto), che, a seguito
dell’evento eruttivo, doveva aver subito verosimilmente un incendio e la
conseguente distruzione di parte dei vasi. Questi ultimi, sepolti poi dalla
successiva pioggia di pomici, venendosi a trovare ad temperatura costantemente
molto elevata hanno subito un iniziale processo di fusione dell’argilla che ha
determinato forme di vetrificazione riscontrabili sulla superficie.
Tra le classi materiali più diffuse troviamo: la tazza carenata con ansa a nastro, il
sostegno a clessidra, i piatti con labbro a tesa, le olle biconiche, e i dolii cordonati.
La presenza in un’area limitata di una notevole quantità di vasi, rappresentativi di
pochi tipi; unita alla posizione di ritrovamento hanno portato a ritenere
inizialmente che l’insediamento potesse riferirsi ad uno scarico di fornace
23
. Dalle
21
Cfr. ALBORE LIVADIE - D'AMORE 1980, p. 59
22
Cfr. ALBORE LIVADIE - D'AMORE 1980, pp. 63-64
23
Cfr. ALBORE LIVADIE - D'AMORE 1980, p. 100
9
più recenti indagini, però, sembra che questo materiale sia piuttosto da attribuire
alla dispensa di una grande capanna.
Pochi anni dopo, nel 1976, un rinvenimento casuale nei pressi di Monte Fellino
(Roccarainola), portò alla luce un gruppo di vasi d’impasto (almeno 42)
24
. I
reperti, verosimilmente appartenenti ad una capanna collocata nei pressi dell’area
di ritrovo, presentavano grande affinità cronologico-culturale con quelli ritrovati a
Palma Campania
25
. Il rinvenimento risulta interessante in quanto conferma le
linee di transumanza di comunità pastorali lungo il Partenio.
Tra le forme più presenti troviamo numerose tazze, brocche, scodelle, ciotole, ma
anche coperchi di bollitoio. Il materiale risulta indicativo di una produzione
casearia, a cui dovevano accompagnarsi l’allevamento del bestiame e le attività
domestiche come la filatura (testimoniate dal ritrovamento di fusaiole discoidali).
L’eruzione c.d. delle Pomici di Avellino, determinò effetti molto differenti sui
territori a seconda della posizione che questi rispetto al cratere. Interessanti a
questo proposito risultano le osservazioni della C. Albore Livadie
26
, la quale ha
vivamente sottolineato il differente impatto dovuto all’esclusiva caduta di pomici
(determinatosi nelle zone poste a N-E) rispetto al devastante passaggio dei surge
27
(aree poste a N-O). Mentre infatti le prime tendono a preservare le strutture
abbattute, i secondi determinano per lo più la conservazione delle tracce impresse
nel paleosuolo. Una significativa differenza si riscontra, inoltre, nei tempi di
ripopolamento: la caduta di fall
28
sembra infatti aver ritardato la ricostituzione
dell’humus e quindi i tempi di rioccupazione per le zone poste a nord-est. In
ultima analisi, non bisogna dimenticare le differenti modalità di decesso: ad una
morte più lenta, dovuta ad un seppellimento progressivo, subita dagli abitanti dei
villaggi posti ad est del Vesuvio, deve aver corrisposto la cessazione immediata di
24
Cfr. ALBORE LIVADIE 1987; CAPOLONGO 1976-1977, pp. 13-26
25
A differenze di quelli rinvenuti a Palma Campania, però, i vasi di Monte Fellino presentavano
maggiori tracce di utilizzo. Seppelliti anch’essi dall’eruzione c.d. delle Pomici di Avellino, si
profilano come strettamente coevi a quelli dell’altro insediamento. Ritroviamo, infatti, fatta
eccezione per alcune varianti, lo stesso repertorio vascolare, nel quale ricorrono alcuni elementi
caratteristici come le anse a nastro formanti gomito o le forme carenate, le stesse categorie di
contenitori, ecc.
26
Cfr. ALBORE LIVADIE et al. 1998, p. 57
27
Flussi di materiale piroclastico che si formano nel corso di alcune eruzioni esplosive nei quali la
fase gassosa è più abbondante di quella solida
28
Materiale piroclastico di ricaduta
10
ogni forma di vita ad ovest, dovuta all’alta velocità e l’elevata temperatura dei
surge.
Indicativo di questa differenza, risulta il rinvenimento del 1995 avvenuto a S.
Paolo Belsito (località “La Vigna”) di due scheletri di individui, un uomo ed una
donna, vittime dell’eruzione. I corpi sono stati ritrovati con le mani poste sul viso,
segno di un tentativo di proteggersi dalla pioggia di pomici e lapilli che, in poche
ore, ricoprì interamente il villaggio. È probabile che gli abitanti posti in zone più
distanti siano invece riusciti a scampare dalla catastrofe
29
.
Interessanti risultano le indagini compiute sui resti scheletrici degli individui che
hanno consentito di raccogliere preziose informazioni sulle caratteristiche fisiche
e sulle modalità di vita dei due “fuggiaschi”. L’esame sui resti umani ha infatti
fornito preziose informazioni sui due soggetti: la donna aveva un’età compresa tra
i 21-22 anni, era alta circa m. 1,50 e aveva avuto già tre o più parti; l’uomo
invece, tra i 40-45 anni, era alto circa m. 1,72 e abbastanza robusto. Le ossa di
quest’ultimo hanno mostrato segni di artrosi, mentre per entrambi sono state
rinvenute tracce di rachitismo e stress dovuto a carenze nutrizionali. Lo studio
degli arti ha inoltre dimostrato che entrambi gli individui avevano una postura
accovacciata.
Il rinvenimento dei due scheletri testimonia la presenza nell’area di un
insediamento abitativo (probabilmente sito sulla vicina collina di Montesano),
confermato dal ritrovamento di un cospicuo numero di frammenti di ceramica
d’impasto. La scelta del sito risponde a criteri già adottati per gli altri
insediamenti: facilità di accesso, agevoli collegamenti, posizione sopraelevata, e
rifornimento idrico.
Indagini simili, compiute sui resti umani, sono state eseguite anche sugli scheletri
degli inumati rinvenuti nella necropoli identificata sempre a S. Paolo Belsito, in
località Montesano (via Cimitero).
Qui, dopo numerose ricognizioni archeologiche, furono portati alla luce
frammenti ceramici seppelliti dall’eruzione e 13 sepolture a fossa facenti parte di
una più vasta necropoli che doveva occupare il rilievo di Monticello- La Starza.
29
Cfr. VECCHIONE 2003, pp. 536-537