3
INTRODUZIONE
“L’architettura abbraccia l’intero ambiente della vita
e rappresenta l’insieme delle trasformazioni operate
sulla superficie terrestre in vista delle necessità umane”
William Morris
Lo scorrere del tempo genera dei cambiamenti: la società evolve, mutando di
volta in volta i propri valori, i propri bisogni. Inevitabilmente cambiano anche le
espressioni e i “segni” con cui questa società si esprime e si manifesta.
Naturalmente anche il campo dell’estetica e dell’arte, in particolare quella
architettonica, vengono investiti da una serie di trasformazioni che rispecchiano il
bisogno di soddisfare le necessità umane, attraverso interventi operati sulla
superficie terrestre che tendono a migliorare la realtà. L’architettura, dunque, è
l’espressione visibile dei cambiamenti sociali: da sempre l’uomo è intervenuto sul
territorio per modificarlo in base alle proprie esigenze, così da permetterne anche
una migliore fruizione, tramite costruzioni e soluzioni che hanno continuamente
trasformato l’aspetto delle nostre città e del nostro paesaggio, generando così una
serie di stratificazioni che non sono altro che la prova evidente dei vari
cambiamenti sociali generati dal passare del tempo. Questo richiama direttamente
il tema attorno al quale si svilupperà questo lavoro, ossia il problema del rapporto
tra antico e moderno: da sempre si discute sulla difficoltà di far convivere sullo
stesso territorio una testimonianza passata con la rappresentazione del
contemporaneo e a prima vista questo sembrerebbe un binomio inconciliabile. Il
timore è che la funzione e i valori della città storica possano essere eclissati da
esigenze moderne che in nessun modo corrispondono a quelle passate, facendo
così nascere quelle contraddizioni visive che ci propongono un contrasto
apparentemente insanabile tra le due città
1
. I punti di vista attraverso cui si può
1
Mario Manieri Elia, “Il nuovo nell’esistente, un innesto possibile”, in Manutenzione e recupero nella città
storica. L’inserzione del vecchio nel nuovo a trent’anni da Cesare Brandi, ARCO (Associazione per il recupero
del costruito) a cura di Alessandra Centroni, Roma Gangemi, 2004, pag. 10
4
analizzare la questione sono due: l’uno vede un necessario predominio di ciò che è
precedente sul nuovo, in quanto la grandezza di un’opera passata non può essere
ostacolata da considerazioni e avvenimenti moderni che potrebbero risultare
“incongrue protesi”
2
; l’altro punta invece a esaltare l’importanza della continuità
della storia, delle espressioni che si rinnovano e si migliorano scorgendo le
soluzioni che rappresentino l’evoluzione senza lasciare nell’ombra le
testimonianze di un tempo passato. La soluzione ideale sta nella capacità del
“nuovo” di creare una giusta integrazione tra valori e funzioni, che dia vita a un
intervento urbano di sicura qualità, che rispetti le relazioni tra il territorio e la
società e non alteri la storia del luogo, il tutto integrato al bisogno di creare un
linguaggio nuovo che possa essere la manifestazione delle opportunità, delle
necessità e dei desideri di una collettività in continuo cambiamento.
In questo lavoro si cercherà di analizzare la questione della convivenza tra le
memorie dell’antico e le espressioni del moderno prendendo in esame uno degli
ultimi interventi architettonici e urbanistici messi in atto nel centro storico della
città di Roma: la costruzione del nuovo museo dell’Ara Pacis realizzato da Richard
Meier e il progetto per la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, un sito ricco
di storia e di stratificazioni dovuti ai vari interventi effettuati nel corso dei secoli.
Riusciranno passato, presente e futuro a coesistere armonicamente in un unico
luogo?
2
Ruggero Martines, “Presentazione”, in Ivi, pag. 7
5
Primo capitolo
IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI
21 aprile 2006. Tutte le massime autorità di Roma sono riunite tra via di
Ripetta e il Lungotevere in Augusta per poter finalmente riaprire, alla vista di
tutti, il monumento simbolo della Roma Imperiale: è il Natale della città che
compie 2759 anni e sta per essere inaugurato, dopo dieci anni di lavori, il
contestatissimo museo dell’Ara Pacis, progettato dall’architetto americano Richard
Meier. Dopo un lunghissimo periodo in cui l’altare, innalzato per celebrare le
vittorie di Augusto, è stato oscurato da cantieri e protezioni, tutto il popolo tornerà
ad ammirarlo e contemplarlo all’interno del suo nuovo museo. L’altare
rappresenta una delle più importanti testimonianze della Roma antica
3
: un’opera
di grande raffinatezza, fatta costruire dal senato per celebrare il rientro vittorioso
di Augusto dalle province occidentali. Un altare, dunque, non commissionato
dall’Imperatore, ma costruito per decreto senatorio. L’opera fu inaugurata il 30
Gennaio del 9 A.C., giorno del compleanno di Livia, moglie di Augusto. Queste
informazioni sono state tramandate dallo stesso Imperatore che in un passo delle
Res Gestae scrisse: “[…]il senato decretò che dovesse essere consacrato l’altare della pace
Augusta vicino al Campo Marzio e ordinò che su di esso i magistrati, i sacerdoti e le
vergini vestali facessero ogni anno un sacrificio
4
”.
L’Ara Pacis è un vero e proprio manifesto della politica augustea: celebrazione
della stirpe romana, ritorno ai valori delle origini, rinnovamento morale e
religioso. Tutto questo garantiva l’inizio di una nuova era, un’età aurea che
3
Il monumento consiste in un altare rettangolare in marmo, con due ante aggettanti, e ornato da sponde.
L’altare è posto su un basamento a gradini che si innalza a sua volta su un podio, lungo il perimetro del
quale si eleva un alto recinto composto di lastre marmoree. Il materiale usato come rivestimento e per la
struttura del recinto è marmo di Carrara proveniente dalle cave del territorio di Luni.
4
[Cum ex Hispania Galliaque, rebus in iis provincis prospere gestis, Romam redi, Ti. Nerone P. Quintilio
consulibus, aram Pacis Augustae senatus pro reditu meo consacrandam censuit ad campum Martium, in
qua magistratus et sacerdotes virginisque Vestales anniversarium sacrificium facere iussit]. Cesare
Ottaviano Augusto, Res Gestae. Testo oggi riportato in una parete del museo dell’Ara Pacis di Richard
Meier.
Fig. 1
6
riscattava la decadenza del precedente periodo delle guerre civili, resa
riconoscibile dallo splendore delle opere pubbliche. È il biglietto da visita della
Roma del primo Impero, la più gloriosa e affascinante: il monumento rappresenta
Augusto come un uomo designato dagli dei e dal cosmo per far sì che Roma
fiorisse nel suo secolo aureo
5
.
Tutti riflettori sono dunque puntati sul taglio del nastro del nuovo edificio,
oggetto di una serie infinita di polemiche e attacchi dovuti al suo mancato innesto
con il paesaggio e soprattutto con la piazza antistante: il neo-museo è stato
giudicato un’invasione, un’aggressione nei confronti di uno scenario dominato
dalla maestosità del Mausoleo cui si affianca il razionalismo novecentesco delle
costruzioni morpurghiane e la tendenza barocca delle due chiese presenti nella
piazza. Una stratificazione storico-architettonica che ha aperto la strada a giudizi
negativi nei confronti di un’architettura contemporanea, condannata ancor prima
di avere il tempo di potersi inserire nel contesto e di entrare nel gioco di relazioni
che domina il paesaggio: una struttura di nuova inserzione deve avere il tempo di
confrontarsi e di adeguarsi con ciò che esiste già, così da consentire la
preparazione dello sguardo a una visione omogenea, dal momento che un
consenso immediato nei confronti di simili situazioni è impossibile.
Si cominci dall’inizio: nel 1996 la giunta capitolina con a capo il primo
cittadino Francesco Rutelli, spinto da una serie di richieste ricevute direttamente
dall’allora sovraintendente ai Beni Culturali del comune di Roma Eugenio La
Rocca che premeva per la sostituzione della vecchia teca realizzata nel 1938 da
Morpurgo, poiché non più adatta a conservare l’altare ormai ridotto in pessime
condizioni, decise di intervenire nella piazza abbattendo l’edificio precedente e
affidando la realizzazione di una nuova protezione, che poi risulterà essere un
vero e proprio museo, all’architetto americano Richard Meier. Duraturo e incerto è
stato il percorso intrapreso dalla commissione, che al termine ha condotto alla
5
Orietta Rossini, responsabile ufficio Ara Pacis, comune di Roma, in Federico Del Prete, Ara Pacis, edizioni
Punctum, 2006
7
realizzazione di un museo moderno in grado di avvicinarsi agli standard seguiti
oggi per costruzioni simili, soddisfacendo le richieste di un pubblico sempre più
attento alle dinamiche territoriali ed esigente di luoghi e spazi interattivi dove
potersi muovere in libertà consentendo sia la riflessione sia la visione rapida, più
consona a una società scandita da ritmi frenetici. Dunque dopo la scelta di Meier,
la presentazione e l’approvazione del progetto seguiti a una serie di modifiche
dovute alle richieste piuttosto vincolanti della committenza
6
, nel settembre del
2000 il programma prende il via con l’inizio dei lavori nel cantiere, con la messa in
sicurezza dell’Ara Pacis e con la demolizione del vecchio padiglione. Primo
spunto di critiche: i più ritenevano infatti che l’abbattimento non fosse necessario,
poiché era sufficiente, anzi essenziale, restaurare la precedente teca, testimonianza
del grandioso disegno fascista che aveva fatto della piazza e dell’altare un
emblema del potere. In realtà il precedente contenitore, che era stato dichiarato
provvisorio fin dalla sua veloce costruzione, aveva arrecato non pochi
danneggiamenti all’altare a causa del mancato isolamento acustico e atmosferico,
necessari per garantire una sicura protezione. La struttura del monumento era
dunque molto fatiscente e questo è stato uno dei motivi che non ha permesso la
ricollocazione dell’altare nel luogo originario del ritrovamento, ossia le
fondamenta di palazzo Faiano, di poco distante dall’attuale sistemazione, in
corrispondenza di piazza San Lorenzo in Lucina. Le suddette problematiche sono
state movente e pretesto per dar vita a questo nuovo intervento, che non nasconde
il bisogno, da parte del sindaco Rutelli, di lasciare un’impronta forte e duratura
della propria politica sul territorio della capitale. Nel 2001 però i lavori subiscono
la prima interruzione, dal momento che fu necessario coordinare un’operazione di
scavi richiesta dalla soprintendenza archeologica, allo scopo di verificare la
presenza o meno di dati importanti, che riguardassero in particolare il vecchio
porto di Ripetta. Dopo circa un anno di questa pausa forzata i lavori ripartono e,
6
All’architetto Richard Meier viene imposto: di conservare in muro delle Res Gestae; di inserire uno spazio
espositivo, un auditorium, e una piazza con fontana nella parte antistante; di realizzare un contenitore
adeguato alla conservazione; di rendere visibile l’altare dall’esterno.
8
nonostante un breve arresto nel 2004, quando si ha una revisione del progetto per
la richiesta di una terrazza panoramica sulla copertura dell’auditorium, nel 2006 il
museo dell’Ara Pacis, liberata nel frattempo dall’imballaggio di protezione, apre le
porte a visitatori impazienti di poter di nuovo ammirare il maestoso monumento.
È stato abbattuto un tabù: la prima costruzione nel centro storico di Roma
dalla seconda guerra mondiale è stata proprio il museo dell’Ara Pacis, motivo in
più per alimentare la serie di polemiche che ha accompagnato la realizzazione in
tutte le sue fasi. Le critiche attaccano in primis la scelta di affidare un progetto di
tale portata a Richard Meier, un americano che deve intervenire nel cuore di una
città come Roma, legata a un passato e a una tradizione viste come testimonianza
della grandezza che questa città ha sempre saputo ostentare. L’accusa fa leva
proprio su ciò: c’è bisogno di un architetto che conosca Roma e la sua storia così
da riuscire a creare un’opera che sia logica continuità di una tradizione stratificata
e ben visibile a tutti i livelli, e Meier, per i più, non è adatto. Federico Zeri ritiene
che l’americano conosca Roma tanto quanto lui conosce il Tibet, che non ha mai
visitato
7
, per questo assolutamente non idoneo a ricevere tale incarico che
presuppone un’esperienza e una conoscenza del territorio non appartenenti a un
architetto abituato a progettare in America. In molti ritengono che il prestigio di
Meier sia stato solo un mezzo attraverso il quale un progetto debole e poco
interessante ha acquistato valore e visibilità, così da consentire al primo cittadino
di lasciare un segno ben visibile e riconoscibile del suo “passaggio” a Roma: la
decisione di conferire nuova vita a una zona come quella dell’Augusteo è una
scelta ben ponderata in quanto è un sito poco amato dai cittadini romani, che
dunque riceve la massima attenzione nel momento in cui lo si vuole rivalutare con
l’inserimento di un’architettura di sicura qualità poiché progettata da un nome
altisonante; in più dalla caduta del fascismo non si era più intervenuti nell’area
interna alle mura aureliane e dunque il discorso architettonico riparte proprio da
dove era stato interrotto con Mussolini. “Non è certo quella di Meier la personalità più
7
Conti Paolo, Via la teca dell’Ara Pacis, in “Corriere della sera”, 1 maggio 2008
9
adatta a suggerire a cuor leggero soluzioni per un luogo tanto ricco di storia e così
connotato sul piano architettonico, chè la sua conclamata <<leggerezza>> assai male si
sposa….con le ragioni profonde dei luoghi e della loro stratificazione di significati
storici…
8
”: è di questo avviso Giorgio Muratore che ribadisce il suo punto di vista
anche in una dichiarazione al Messaggero, dove afferma che “non abbiamo bisogno
di un americano per salvare piazza Augusto Imperatore…Rutelli e i suoi collaboratori
hanno mai sentito parlare di pubblici concorsi attraverso i quali selezionare le idee e i
progetti migliori, oppure conoscono solo l’uso del telefono per chiamare amici vicini e
lontani?
9
”. Assegnare l’incarico a Meier è stata sicuramente una scelta azzardata e
molto audace, proprio perché si rischiava, ed è poi accaduto, di essere additati per
non aver considerato la necessità di conoscere storicamente il luogo e le dinamiche
che in esso si sono susseguite, condizione necessaria per dare vita ad interventi di
architettura contemporanea all’interno di centri storici ben radicati, come può
esserlo quello di Roma. Ed è stato ancora più azzardato consegnare la soluzione
nelle mani di Meier senza alcun tipo di concorso, ma per assegnazione diretta. A
questo punto è come gettare benzina sul fuoco: quale miglior pretesto per
incrementare nuovamente tutte le polemiche che sono nate attorno a questo
progetto il cui dibattito si è ormai spostato sul piano politico, oscurando il valore
culturale del programma? Con l’assenza di un concorso pubblico si è venuti meno
alla prerogativa democratica della trasparenza
10
, essenziale per sottrarsi a
provocazioni e richiami che mascherano stratagemmi di propaganda politica, che
come sempre puntano sterilmente solo a minimizzare l’antagonista. Le reazioni
sono durissime: Fabio Rampelli, capogruppo di Alleanza Nazionale, minaccia di
rivolgersi alla magistratura di fronte alle irregolarità sul conferimento dell’incarico
a Meier, su cui la stessa commissione europea ha chiesto chiarimenti al comune di
8
Giorgio Muratore, in “Casabella”, luglio 1996, cit. in Maria Grazia Turco, Sintesi dei principali interventi, in
<<Palladio>>, 17, 200/2005, 34, p.141
9
Giorgio Muratore, in “Il Messaggero”, 24 aprile 1995
10
Claudia Conforti, Richard Meier. Museo dell’Ara Pacis, Roma 2006, in “Abitare”, 446 (2006), pp. 214-218
10
Roma
11
; Paolo Portoghesi, accusa l’amministrazione capitolina di aver conferito
l’incarico senza spiegargli niente, e si vede
12
, dal momento che a parer suo il
progetto non collabora affatto all’unità del contesto ed è totalmente fuori scala. Ma
l’architetto Portoghesi si fa anche portavoce di una protesta, a parer mio più
opportuna e produttiva, che vede manifestare in prima linea i giovani architetti
italiani, indignati dall’omissione delle loro voci, ignorate e addirittura neppure
richieste dalla committenza: non si può rinunciare alla risorsa culturale locale
nello sviluppo dell’architettura in Italia, è un paradosso! Gli architetti stranieri, nei
loro paesi, hanno avuto l’occasione di realizzare grandi opere di interesse sociale,
mettendosi in buona luce. In Italia invece si è accumulato un ritardo che ha privato
i nostri architetti di analoghe possibilità di lavoro, portandoli a una situazione
statica di occasioni che per di più, se ci sono, vengono appunto relegate ad
architetti di fama mondiale: il ciclo così non verrà mai interrotto! A mio avviso il
neo principale in tutta la vicenda della realizzazione del museo dell’Ara Pacis va
ricercato proprio nel mancato “utilizzo” di maestranze italiane, senza con questo
voler sottovalutare il lavoro di un grande architetto internazionale come Meier.
A questo punto un quesito sorge spontaneo: quali sono stati i motivi che
hanno spinto il sindaco Francesco Rutelli a scegliere personalmente Richard Meier,
piuttosto che bandire un concorso pubblico che, fra le altre cose, avrebbe generato
sicuramente meno polemiche? E inoltre a lavori compiuti, la scelta risulta
comunque coerente o le attese non sono state soddisfatte?
13
L’origine di questa scelta va cercata in varie ragioni: prima fra tutte la fama di
Meier, considerato uno dei massimi progettisti di musei al mondo. Quella dell’Ara
Pacis è stata solo l’ultima occasione in cui l’architetto statunitense si è confrontato
con una realtà museale da inserire in un ben radicato contesto storico. La carriera
di Meier può essere perfettamente suddivisa in due filoni: il primo vede
11
Garrone Lilli, Del progetto di Meier non si cambia una virgola, in “Corriere della Sera”, 25 ottobre 2001, p.
51
12
Colonnelli Lauretta, Con l’Ara Pacis il porto di Ripetta, in “Corriere della Sera”, 28 giugno 2001, p. 51
13
Vedi Appendice A p. 95
11
l’architetto dedicarsi alla progettazione di residenze private che ne hanno
garantito la notorietà a livello mondiale, e il secondo che invece si configura con
una fase rivolta a creare musei, luogo dove l’arte e l’architettura sono unite in
un’unica visione di continuità. “Non molto tempo fa qualcuno mi ha chiesto quale fosse
la tipologia edilizia che avrei preferito sviluppare per il resto della mia vita. Ho risposto: i
musei
14
”: sicuramente realizzare musei è una tappa importante nella carriera di un
architetto, poiché si progettano edifici destinati a conservare opere d’arte, dove il
pubblico ha la possibilità di entrare in relazione sia con l’artista sia con l’architetto.
Il museo è un luogo che deve essere vissuto dal singolo e dalla collettività, in cui
l’armonia e l’equilibrio delle parti non prescindono affatto dall’interesse per
l’innovazione tecnica e dal rispetto per il precedente storico. Meier ha avuto
l’occasione di confrontarsi con tali problematiche in molte occasioni, come nella
realizzazione del Museo delle Arti Applicate di Francoforte: è la prima volta che
l’architetto è chiamato a progettare in Europa, per di più in un contesto già
stabilito che ha solo bisogno di un ampliamento e di una riqualificazione della
zona. L’idea è di conferire nuovo valore a tutta la riva del fiume Meno, che
fondamentalmente guida i percorsi visivi esterni. Inoltre l’intervento punta a
realizzare un ampliamento di villa Metzler risalente al 1803, che diventa il fulcro
dell’intero edificio trovandosi sulla famosa sponda dei Musei, una delle sedi
museali più significative della Germania. Il nuovo corpo di fabbrica si inserisce
perfettamente nell’intero contesto che sfocia nel paesaggio naturale con il quale si
fonde e si armonizza così da creare continuità nella visione d’insieme.
Ma è nel fantastico complesso del Getty Center che Meier manifesta la sua capacità
di realizzare un’architettura in completa sintonia con il luogo: l’incarico è affidato
al newyorkese nel 1984 e viene completato nel 1997. Non si tratta semplicemente
di un museo, ma di una vera cittadella che sorge sulle colline che dominano la
città di Los Angeles, le montagne di Santa Monica e l’oceano Pacifico. Il complesso
14
Richard Meier, “Royal Gold Medal Address”, in Claudia Conforti e Marzia Marandola, Richard Meier, a
cura di 24 Ore Motta Cultura, Milano 2009, p. 89
Fig. 2
Fig. 3
12
comprende una serie di edifici destinati alla conservazione delle opere, ma anche
biblioteche, archivi e aule per seminari. Sono i materiali in questo caso a fare la
differenza: l’uso abbondante del travertino richiama una tradizione ben radicata
che avvicina il complesso all’architettura italiana, soprattutto di Roma, donando
una luce intensa che accende lo sguardo sull’intero complesso ed esalta gli scorci e
la topografia. È questa la forza del Getty Center: la relazione tra i vari edifici e di
questi con il luogo che li ospita crea una surreale atmosfera che consente al
visitatore di respirare un’aria di calma e riflessione per potersi concentrare
sull’arte lontano dal frastuono della metropoli.
Oltre che Francoforte, Meier ha lasciato il segno anche in un’altra città europea
legata alla sua storia e tradizione: Barcellona, metropoli dove l’americano erige il
Museo di Arte Contemporanea (MACBA), ricavando nel vecchio quartiere dell’ex
convento della Casa de la Caritat una vera e propria piazza, con la demolizione di
una parte del tessuto urbano in forte degrado per poterne rivalutare l’intera zona.
È lo stesso architetto a scegliere il luogo tra quelli che ritiene più consoni
all’edificazione del suo progetto, che risale al 1987 e si inserisce nell’ambito del
programma di rinnovamento che investe la città prima delle Olimpiadi del 1992.
Come nel caso del Getty, è il sito a suggerire le direttrici entro cui muoversi,
creando l’innesto tra il tessuto urbano e la nuova costruzione che richiama
elementi medievali e gotici tipici della zona: il “paseo”, ad esempio, un passaggio
pedonale inserito al centro dell’edificio, è un chiaro rimando all’antica passeggiata
labirintica medievale e l’impianto del museo crea l’effetto di una grande cattedrale
gotica, che compare all’improvviso tra le maglie dell’intreccio urbano, circondato
da un’atmosfera di luce che penetra nelle grandi vetrate con giochi luminosi
sempre nuovi.
“Progettare un museo è una delle esperienze più liberatorie che un architetto
possa fare, un’esperienza che chiama in causa in modo unico lo spazio, la luce,
la struttura e la loro interrelazione […]il museo delle arti decorative di
Francoforte, dove la luce è un tema di attenzione costante esemplifica la nozione
Fig. 4