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incluse nel museo come il marketing relazionale, il marketing esperienziale
e infine l’heritage marketing. Il Museo aziendale è solo uno degli strumenti
che l’azienda può utilizzare per comunicarsi e nel secondo capitolo ho
voluto creare una panaromica dei modi in cui l’azienda può comunicare se
stessa. Esistono principalmente quattro tipi di comunicazione aziendale:
interna, esterna, istituzionale e commerciale. Nell’ambito della
comunicazione commerciale ho focalizzato la mia attenzione su alcuni
strumenti che mi sembravano maggiormente collegati al museo: le
sponsorizzazioni, la distribuzione commerciale ed il visual merchandising, il
design dei prodotti, il packaging e la grafica. Nel terzo capitolo, mi sono
concentrata sull’argomento principale della tesi, descrivendo brevemente le
funzioni del museo aziendale, facendo una panoramica su quest’esperienza e
su quella italiana in particolare. Tra i molti esempi riportati, l’azienda presa
come case history nello strutturare tutta la mia tesi è stata la Perugina, in
quanto emblema di tutto il mio discorso e in quanto il suo museo, il Museo
Storico Perugina, svolge attivamente una comunicazione interna ed esterna a
pieno ritmo soprattutto nell’ambito del radicamento e della promozione
territoriale e didattica. Ho quindi visitato il museo e contattato la curatrice
per avere con lei un interessante colloquio che ha dato una risposta concreta
alle mie domande e curiosità permettendomi l’importante, utile e
significativo confronto con un a caso reale e perfettamente riuscito di
comunicazione aziendale attraverso lo strumento museo.
3
1. Il concetto di marca
1.1. Il mondo della marca
Costrutto essenzialmente immateriale, la marca non esiste se non
attraverso le modalità d’espressione che le assicurano visibilità: forme,
colori, e tutte quelle che possono essere identificate come manifestazioni
comunicative. Questa forza simbolica, questa capacità di evocare
immaginari e costruire mondi possibili, fanno della marca un vero soggetto
narrativo, un dispositivo capace di attivare molteplici discorsi e comunicare
con pubblici differenti
3
. A lungo considerata come un fatto esclusivamente
economico e commerciale, la marca è ormai un fenomeno di comunicazione
complesso, che oltrepassa il contesto dei mercati, per investire discorsi
concernenti vari ambiti del sociale come l’arte, l’educazione, la cultura, ecc.
Ogni marca crea un discorso proprio in base ai suoi prodotti, alla sua
storia, ai suoi progetti. Si tratta di un discorso autonomo che si configura in
un mondo totalmente immateriale ma che si propone di essere veramente
intrigante e seducente per il consumatore, per il quale invece rappresenta
una realtà ben precisa. Non può essere dunque considerato come un
«simulacro», inteso secondo l’accezione datane da J. Baudrillard
4
, ma
qualcosa di estremamente concreto perché dotato di grande ricchezza e
densità comunicativa e che stabilisce un rapporto continuativo con il
3
M. Lombardi, Il dolce tuono, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 49.
4
Nel 1977 J. Baudrillard scrive un libro intitolato Dimenticare Foucault. Tocca un punto
essenziale, quello della dimensione simbolica e rituale del potere, quando afferma che
«Foucault smaschera tutte le illusioni finali o causali riguardo al potere, ma non ci dice
nulla sul simulacro del potere stesso». La questione del simulacro, inteso come copia che si
sostituisce all’originale, diveniva centrale nell’analisi del potere cinico dei media.
Quest’ultimo produce infatti una simulazione talmente credibile della realtà da essere più
reale del realtà materiale, un iperrealtà che si pone ormai come l’unico orizzonte di senso
rigenerante il tessuto sociale. Le società postmoderne sono società di simulazione, nelle
quali ad essere determinante non è più il possesso dei beni di produzione quanto
l’appropriazione parodistica di codici identitari nell’iperrealtà del mondo cibernetico e della
pubblicità: questo è il nucleo della riflessione di Baudrillard a partire dal suo lavoro forse
più influente, Simulacri e simulazioni (1981).
4
consumatore che ne è complice nella costruzione. La marca è emersa come
uno strumento aziendale fondamentale durante l’epoca d’oro della
pubblicità moderna, ovvero gli anni ‘80, quando si è compreso che non era
più sufficiente valorizzare un prodotto ma diventava necessario associare a
questo un potente soggetto simbolico, la marca appunto, dotato di una ben
definita identità. Proprio la crescente importanza che ha assunto, ha fatto sì
che essa abbia progressivamente ampliato le sue connessioni con il mercato
e con il sociale.
Siamo dunque sempre più di fronte ad una Marca Network, il cui scopo
primario è essere costantemente in relazione con ciò che si trova al suo
esterno, con gli individui, le istituzioni, gli stakeholder, ecc. che la
circondano
5
. Da questo dipende la sopravvivenza dell’azienda, che in un
mercato competitivo come quello attuale, nel quale il ciclo di vita dei
prodotti è sempre più breve e la capacità innovativa ha orizzonti sempre più
vicini, deve saper cogliere il più possibile gli input che provengono dal suo
network di riferimento, così da poter anticipare le richieste del mercato e
rimanere al passo con i bisogni dei consumatori. Tutte le marche svolgono
oggi un ruolo sociale rilevante che va oltre il campo economico e le funzioni
tradizionali (tra cui quelle di identificazione, orientamento, garanzia, ecc.),
ma possono essere considerate attori chiave dei principali processi di
trasformazione sociale: non sono soltanto in grado di influenzare il nostro
modo di vivere, bensì tendono a plasmare la struttura della società.
Abbiamo quindi una serie di valori “deboli” e stili di vita dettati dalle
marche, con Nike che rappresenta l’individualità nelle gare sportive e la
ricerca dei propri limiti per superarli, Barilla che “educa” le nuove
generazioni con i valori della famiglia e dell’ospitalità, Nutella a
rappresentare il valore dello stare insieme, solo per fare alcuni esempi.
Inoltre, per capire l’importanza della marca, non bisogna dimenticare che
5
M. Lombardi, op. cit., p. 69.
5
viviamo nel pieno della società del consumo, di cui le marche sono gli attori
decisivi. Basti pensare all’invasione in atto di molti luoghi tradizionalmente
estranei alla comunicazione pubblicitaria: alberghi, ristoranti, aeroporti,
luoghi per l’ascolto della musica, cinema, musei, sono ormai “tappezzati” di
cartelloni e messaggi pubblicitari e negozi, perché ogni occasione è buona
per acquistare e sentirsi parte di un mondo marca. Tali fenomeni, inoltre, si
sono intensificati negli ultimi anni in conseguenza del crescente
orientamento delle imprese verso il marketing relazionale ed esperienziale.
A causa della sempre maggiore saturazione dei mercati oggi le aziende, per
differenziarsi, devono saper dare un valore aggiunto (intangibile) che prima
di tutto sorprenda il consumatore proprio nei luoghi in cui non se lo aspetta,
luoghi in cui la soglia del livello percettivo è più alta, ovvero le persone
sono più attente agli stimoli esterni e non possono difendersi magari
cambiando canale come quando appare la pubblicità in tv. «L’obbiettivo
delle imprese non è più quello di vendere lo stesso prodotto al maggior
numero possibile di consumatori, ma di stabilire una relazione profonda e
duratura con questi ultimi, per poi offrire loro il maggior numero di prodotti
e servizi»
6
. La marca è costretta a comunicare in modo diverso, più
completo, con un misto di precisione e seduzione, proprio perché il cliente
con cui ha a che fare è un individuo che interagisce e decide per sé, un
individuo consapevole che trasferisce nell’atto dell’acquisto tutta la
ricchezza della propria personalità e della cultura alla quale appartiene.
Passiamo ora al concetto d’identità di marca, caratterizzato da una
maggior concretezza e precisione. Mi sembra importante, prima di tutto,
distinguere la nozione d’identità da quella d’immagine di marca, concetti
che potrebbero essere confusi. Mentre l’immagine ha a che fare con la
ricezione dei messaggi da parte dei consumatori, col modo in cui i segni di
marca sono decodificati, letti, interpretati, l’identità ha a che fare con
6
V. Codeluppi, Il potere della marca, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, pp. 11-13.
6
l’emissione di senso da parte della sfera di produzione della comunicazione
da parte dell’azienda
7
. Detto questo, rimane più semplice capire come
l’identità di marca sia il modo con il quale una marca si rende visibile e
concretamente presente nei discorsi che gli attori sociali si scambiano:
l’identità della marca consiste nella creazione, da parte dell’azienda, di un
mondo possibile, all’interno del quale si dispiegano i valori fondatori della
marca e tutti gli elementi che contribuiscono alla “collocazione” di tali
valori nella mente del consumatore. Tale mondo rimane virtuale fino al
momento in cui non è riconosciuto da un pubblico disponibile ad assumerlo
e comprenderlo, permettendo appunto la creazione dell’immagine che
l’azienda ha voluto indurre con la comunicazione della propria identità
8
.
«La marca è, in quanto vettore di senso, un principio astratto che prende
forma incarnandosi in supporti reali e sensibili. Tutti i sensi possono
incarnare l’identità di marca: il tatto, l’udito, l’odorato, la vista e il gusto. La
grana dei pellami Louis Vuitton è parte integrante della sua identità, come la
sonorità del motore BMW e la fragranza di Chanel n. 5 o il gusto di Golia»
9
.
Acquistando un prodotto i clienti non acquistano solo un logo, una
confezione, un nome di marca (elementi primari dell’identità), ma il
«fascino sensoriale ed affettivo»
10
che circonda il prodotto, creato ad
esempio dal design di un punto vendita e l’esperienza che questo offre.
Questa considerazione ha dato oggi vita ad una branca del marketing che è
stata definita marketing esperienziale.
7
G. Fabris e L. Minestroni, Valore e valori della marca: come costruire e gestire una
marca di successo, F.Angeli, Milano 2004, p. 183
8
L’immagine dell’azienda è un obbiettivo facilmente perseguibile attraverso il museo, il
quale può esaltare elementi determinanti: dalla tradizione alla competenza, dalla serietà
all’affidabilità, dalla qualità all’innovazione.
9
A. Semprini, La marca, Lupetti, Milano, 1996, p. 125.
10
M. Ferraresi, B. H. Schmitt, Marketing esperienziale, FrancoAngeli, Milano, 2006.