5
materia, quanto piuttosto una ricerca sul campo: si è pensato infatti che
l’aspetto più interessante degli ecomusei sia proprio la loro originalità e la
capacità di adattarsi a diversi contesti. Lo studio è stato fatto in quella che è la
regione capofila per il riconoscimento degli ecomusei: il Piemonte, dove dal
1995 esiste una legge in materia. Poiché si tratta di un’analisi sul campo di tre
realtà molto diverse fra loro, sarà difficile trarre delle conclusioni generali sul
movimento ecomuseale, ma sarà invece più interessante vedere come nella
pratica questi musei si muovono. Il lavoro lascia molto spazio a possibili
sviluppi futuri, sia nell’analisi di casi simili con lo stesso metodo, sia nella
prosecuzione del monitoraggio dei tre ecomusei qui presi in esame. Come si
vedrà, infatti, l’azione ecomuseale può essere meglio apprezzata sul lungo
periodo e con la partecipazione attiva agli eventi che porta avanti. Tenendo
presente queste affermazioni si potrà comunque arrivare ad una conclusione
che non sarà la proposta di un modello, ma la constatazione di quello che si è
potuto osservare.
La relazione si divide in tre parti:
Il primo capitolo analizza l’elemento ecomuseo soprattutto per quanto
riguarda la sua parte storica e teorica. Nonostante esso sia nato solo intorno agli
anni ’70, bisognerà tenere in considerazione altre tipologie di musei dal quale
l’ecomuseo ha preso ispirazione. La parte teorica sarà inoltre organizzata
intorno ai tre concetti chiave che ritorneranno spesso durante l’analisi. Si vedrà
così il significato e l’evoluzione che i concetti di territorio, comunità e
patrimonio hanno subito nel tempo. La questione definitoria sarà quella che
lascerà più dubbi in sospeso, perché molti tentativi sono stati fatti, ma ad oggi
nessuno di questi è riconosciuto ufficialmente come definizione. Per finire si
presenterà la situazione italiana per focalizzare poi l’attenzione soprattutto su
quella piemontese, che sarà la sede della successiva analisi di caso. Questo
capitolo permetterà di chiarire le idee su un concetto così ampio e variegato
come quello dell’ecomuseo e consentirà anche di analizzare i tre casi
successivi più compiutamente.
Il secondo capitolo è quello dedicato alle analisi di tre casi concreti: tre
ecomusei scelti fra quelli finanziati dalla Regione Piemonte, che hanno pochi
punti di contatto fra loro se non quello di far parte della stessa realtà. Il capitolo
sarà soprattutto un racconto della storia e delle attività ed eventi caratterizzanti
6
per ogni ecomuseo; questo permetterà di avere un’immagine più precisa di che
cos’è un’ecomuseo e dei suoi scopi. Le analisi sono basate su interviste ed
esperienze dirette fatte nel corso di circa 3 mesi, per questo motivo il loro
limite principale è di fornire un’immagine di un momento ben preciso.
Tenendo presente questo aspetto tuttavia sarà possibile ricavare da queste
analisi informazioni utili per la comprensione del metodo di lavoro degli
ecomusei in generale.
Il terzo capitolo infine, presenterà la conclusione del lavoro. Qui si
cercherà un punto di incontro fra la teoria e la pratica. Mettendo in primo piano
le esperienze dirette si andranno ad analizzare i tre concetti chiave esposti nel
primo capitolo per vedere come essi sono intesi dai tre ecomusei. Essendo tre
casi molto diversi fra loro, ci si attende lo stesso per le idee che ne
scaturiranno, ma non si escludono che alcuni aspetti ritornino. Per concludere,
si focalizzerà l’attenzione soprattutto sugli aspetti ricorrenti per cercare alcuni
punti chiave dell’ecomuseo. Come già detto, il lavoro vuole lasciare spazio per
un possibile confronto con altre realtà e non si pone come obiettivo quello di
produrre modelli di condotta. Lo scopo principale di questo lavoro è di offrire
un’istantanea ragionata di una situazione che si è potuto verificare, con la
speranza che essa possa essere di aiuto per un futuro studio e per un giudizio
più consapevole dell’attuale situazione.
7
1. Ecomusei: contesto e definizioni
Oggetto principale di questa analisi è l’ecomuseo, un particolare tipo di
istituzione culturale nata negli anni ’70 in risposta ad un desiderio di
innovazione sentito da molti museologi. Prima di tutto, sarà necessario
contestualizzare il concetto, concentrandosi sulle tre parole chiave che
caratterizzano la filosofia ecomuseale: territorio, patrimonio e comunità. Per
ognuna di queste verrà rintracciato il significato, la sua evoluzione nel tempo e
soprattutto l’importanza che riveste per l’ecomuseo. Nel corso dei primi tre
paragrafi dedicati all’analisi dei concetti chiave, ci sarà spazio anche per la
spiegazione del nome ecomuseo: termine che ha avuto molto successo, ma che
spesso rischia di trarre in inganno in non esperti in materia. Inoltre si vedrà
come lo stesso concetto di museo è cambiato nel tempo, dando vita a numerosi
esperimenti innovativi.
Dopo aver spiegato i concetti chiave, l’attenzione sarà concentrata
maggiormente sull’ecomuseo: se ne ripercorreranno le tappe storiche, a partire
da quelli che sono considerati i suoi precursori fino ad arrivare alla sua
evoluzione più recente. La questione definitoria occuperà molto spazio, perché
particolarmente intricata: se ne fornirà una panoramica per evidenziare i
tentativi meglio riusciti. Si vedrà che al momento attuale, la questione rimane
irrisolta, ma non ha più un posto centrale nelle discussioni degli studiosi, che
preferiscono concentrare i loro studi su altri problemi.
L’ultima parte di questo capitolo si concentrerà sull’esperienza italiana
partendo inevitabilmente dalla Regione Piemonte, che è stata la prima a dotarsi
di un impianto legislativo in materia già nel 1995, e che è tuttora la più attiva
sul territorio nazionale. Il suo impegno è stato preso come esempio da molte
altre amministrazioni regionali che, da qualche anno più o meno ufficialmente,
stanno cominciando a valorizzare e sostenere progetti simili a quello
piemontese. Qui si farà solo una breve panoramica delle leggi che sono state
approvate dalle altre regioni, soprattutto per documentare il crescente interesse
che gli ecomusei stanno attirando ultimamente. Il capitolo si concluderà con la
presentazione del Laboratorio Ecomusei, il gruppo di studio istituito dalla
Regione Piemonte a sostegno degli ecomusei operativi sul suo territorio.
Questo per due motivi: primo, per sottolineare l’importanza che le reti hanno
8
per questo tipo di progetti; e secondo, per introdurre il prossimo capitolo, in cui
verranno analizzati tre casi specifici, facenti parte proprio di questa rete.
1.1. Territorio, ambiente e musei
Il termine ecomuseo deve parte della sua fortuna alla parola ecologia che
costituisce la prima parte del termine. In questo paragrafo si esaminerà la prima
parola chiave: il territorio. Ci si potrà così rendere conto di tutti i significati che
questo termine ha via via assunto, di cosa oggi significhi e del perché è tanto
importante per gli ecomusei. Nella seconda parte si affronterà un altro concetto
chiave, quello che in letteratura anglosassone è chiamato sense of place e che si
riferisce all’attaccamento delle persone al loro territorio.
1.1.1. Origine del termine
Il suffisso del termine ecomuseo può trarre in inganno e spesso disorienta
chi si avvicina per la prima volta alla materia. Esso deriva infatti dalla parola
greca οίχος (oikos) che significa casa, ambiente, habitat, e che costituisce la
radice di numerose parole con significati molto diversi. Nel caso
dell’ecomuseo, “eco” sta per ecologia, ma questo non è sufficiente per fugare
ogni dubbio. Nell’uso comune infatti, ecologia rimanda spesso ad
ambientalismo e a tutto quello che è correlato, in un modo o nell’altro,
all’ambiente naturale. È innegabile che l’ambiente abbia un ruolo importante
nelle dinamiche ecomuseali ma è necessario capire di che ambiente si tratti.
Il termine ecomusée è stato proposto durante un incontro informale tra
Hugues de Varine e Georges-Henri Rivière, rispettivamente l’allora direttore e
consigliere permanente dell’ICOM
1
, e considerati unanimemente come i padri
fondatori degli ecomusei. Era il 1971 e i due museologi riflettevano
sull’importanza che i musei fossero in più stretta relazione con l’ambiente che
li circonda. L’idea di inventare un nuovo termine era provocatoria, ma allo
1
International Council Of Museum: è l’organizzazione internazionale dei musei e dei
professionisti museali impegnata a preservare, ad assicurare la continuità e a comunicare il
valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale
(sito web ICOM Italia)
9
stesso tempo rispecchiava la necessità, sentita da una parte degli addetti ai
lavori, di innovazione. Il termine ecomuseo (dall’unione di ecologia e museo)
fu considerato particolarmente adatto all’idea che si voleva comunicare e fu
utilizzato per la prima volta ufficialmente da Robert Poujade, l’allora ministro
francese dell’ambiente, nel corso di un dibattito internazionale tra museologi
2
.
Da allora fu tradotto in molte lingue e il suo successo è testimoniato dal fatto
che ogni anno nascono nuovi istituti che, in modo più o meno legittimo, si
fregiano di tale nome. Tuttavia, lo stesso termine ecologia può far nascere dei
dubbi: essa infatti, sta ad indicare qualcosa di più ampio del solo ambiente
naturale. Lo stesso de Varine spiega
3
di far con esso riferimento all’ecologia
umana e quindi all’ambiente in termini più ampi, che comprende anche lo
spazio antropizzato. L’ecologia è qui intesa nel suo significato etimologico di
«scienza che studia le relazioni fra gli organismi viventi e l’ambiente»
4
. È
importante sottolineare questo punto, perché spesso il nome ecomuseo,
soprattutto fra il grande pubblico, è percepito in modo ambiguo.
1.1.2. Il territorio come patrimonio
Nonostante da moltissimi anni esistano musei di scienze naturali e
ambientali dove l’uomo conserva e studia reperti naturali, è solo a partire dalla
fine degli anni ’60 che nascono i primi musei che si interessano dell’ambiente
in maniera più globale e che valorizzano il territorio che accoglie il museo
5
.
Questi, con operazioni considerate rivoluzionarie all’epoca, invece di portare
all’interno del museo le collezioni, portano il museo all’esterno, direttamente
sul territorio. Sono gli open-air museum, che in Gran Bretagna e nei paesi
scandinavi raggiungono rapidamente un grande successo. Le loro peculiarità
verranno esaminate più avanti, per ora basti sapere che sono un tipo di museo
che mette in scena un ambiente ricostruendolo, a grandezza naturale e più
fedelmente possibile. Si tratta di esempi che spiegano perfettamente la frase di
2
Avvenimento raccontato da Hugues de Varine in 2005. Le radici del futuro. Il patrimonio
culturale al servizio dello sviluppo locale. Bologna: CLUEB.
3
Sempre in H. de Varine 2005. Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello
sviluppo locale. Bologna: CLUEB. «Il prefisso “eco” fa riferimento al concetto di ecologia
umana e ai rapporti dinamici che l’essere umano e la società stabiliscono con la propria
tradizione, il proprio ambiente e i processi di trasformazione di questi elementi quando hanno
raggiunto un certo stadio di consapevolezza della propria responsabilità di creatori» (p.250).
4
De Mauro, Dizionario della Lingua Italiana. Milano: Paravia.
5
P. Davis 2001. “Dal centro per visitatori all’ecomuseo. I musei all’aperto”.
10
Alberto Magnaghi, docente di Pianificazione Territoriale all’Università di
Firenze, secondo cui il territorio sarebbe un’opera d’arte
6
. Ed è infatti questa
l’idea su cui si trovano concordi oggi studiosi di diverse materie: considerare
globalmente il territorio come un oggetto da valorizzare e conservare al pari di
un quadro o un’opera architettonica. A prima vista, questo può sembrare
piuttosto semplice: basterebbe ricavare dall’esperienza di conservazione dei
beni culturali un modello di condotta valido anche per il territorio. Tuttavia, il
territorio è qualcosa di molto complesso e applicare ad esso i vincoli e le regole
di una qualsiasi opera d’arte sarebbe difficile e controproducente: il territorio si
trasformerebbe in un parco naturale difficilmente vivibile dalla sua comunità.
De Varine è molto chiaro al riguardo: non crede nelle espropriazioni o nei
vincoli patrimoniali, piuttosto ritiene che sia la stessa comunità che dovrebbe
farsi carico del proprio patrimonio, senza imposizioni dall’alto
7
.
Ma per chiarire meglio questa idea è necessario approfondire il concetto di
territorio. Esso è lo spazio sul quale la comunità si evolve, ma sarebbe
limitante considerarlo solo come una superficie sulla quale avvengono le azioni
dell’uomo, esso va invece preso in considerazione in modo olistico,
studiandone le relazioni che si instaurano su di esso e la sua evoluzione nel
corso del tempo
8
. È necessario individuare anche quelle tracce del passato che
il territorio conserva su di sé e che sono fondamentali nella costruzione del
sentimento di appartenenza della comunità. Riassumendo questi punti si può
quindi definire il territorio come un’entità culturale portatrice di valori e
significati stratificati nel tempo
9
.
Il territorio è un organismo vivente particolarmente complesso che trae
linfa vitale anche dal benessere della comunità che lo abita: è un circolo
virtuoso, dalla prosperità dell’uno deriva la ricchezza dell’altro. Interrompere
questa relazione sarebbe come mettere in pericolo entrambi, per questo fra gli
ideali dell’ecomuseo c’è la convinzione che sia compito della comunità che
abita un territorio prendersene cura, come d’altronde è sempre accaduto in ogni
6
A. Magnaghi., 2000. Il progetto locale. Torino: Bollati Boringhieri
7
H. de Varine, “Condividere il patrimonio. Come? Perché?” in M. Maggi (a cura di), 2005.
Musei e Cittadinanza. Condividere il patrimonio culturale per promuovere la partecipazione e
la formazione civica. Quaderni di ricerca IRES n°108. Torino: IRES.
8
Corsane e Hollemann, 1993 citati in P. Davis 1999 Ecomuseums. A Sense of Place. London:
Leicester University Press. «The total environment can be said to embrace both natural and
human aspects within a very intricate and interconnected system» (p.4)
9
Dansero E., Governa, F., 2003. “Patrimoni industriali e sviluppo locale”.
11
comunità preindustriale. Diversi autori
10
hanno sottolineato come uno dei
problemi delle società contemporanee in relazione allo spazio, è che le persone
hanno smarrito il legame col loro territorio e di conseguenza il territorio ha
perso il suo significato. Spesso gli abitanti di un territorio sono estranei nei loro
stessi luoghi e non hanno quindi né l’interesse né la capacità di conservarli.
Uno dei progetti che gli ecomusei si prefiggono è che la conoscenza del
territorio che la comunità ancora possiede venga conservata per produrre uno
sviluppo che sia sostenibile e che garantisca una qualità della vita più elevata.
Questa si può e anzi si deve raggiungere con metodi diversi a seconda del
contesto, per questo è importante che si inneschi un dialogo con gli abitanti del
territorio per riattivare la conoscenza locale. Con una celebre metafora, Rivière
definì l’ecomuseo «uno specchio in cui la popolazione locale si guarda per
scoprire la sua stessa immagine»
11
. Grazie a questo specchio, la comunità
dovrebbe prendere coscienza ed essere in grado di prediligere quelle azioni che
mantengano in equilibrio lo sviluppo economico con la salvaguardia di natura e
cultura locali.
1.1.3. Sense of place
Anche se non è sempre così, è più probabile che un ecomuseo si sviluppi in
una comunità piccola, spesso rurale e al di fuori dei circuiti del turismo
tradizionale. Davis
12
sostiene che la dimensione piccola è la più adatta al
mantenimento delle relazioni fra la comunità e il paesaggio, che sono alla base
di quello che lui chiama sense of place. Questa è un’idea difficilmente
concettualizzabile, perché è qualcosa che comprende molti diversi aspetti, tra
cui topografia ed apparenza, funzioni economiche ed attività sociali, pur
essendo più che una semplice somma di questi elementi
13
. Questo sense of
10
Tra cui: F. La Cecla., 1988. Perdersi. L’uomo senza ambiente. Roma: Laterza e M. Arefi,
1999. “Non-place and placelessness as narratives of loss: Rethinking the notion of place”.
11
H. Rivière, 1985 citata in P. Davis, 1999 Ecomuseums. A Sense of Place. London: Leicester
University Press. e riportata integralmente nel capitolo 1.4.3 Un tentativo di definizione
12
Davis, P.,1999. Ecomuseums. A Sense of Place. London: Leicester University Press, sostiene
che: «Phisically small and self-contained places, those where money is scarce, those places on
the margins geographically and economically, can often demonstrate the richest local
character. It is here that the connection between people and place is gretatest.» (p. 19-20).
13
Relph, 1976 in Davis 1999. Ecomuseums. A Sense of Place. London: Leicester University
Press. «Obviously the spirit of place involves topography and apperaence, economic functions
12
place, che si avvicina a quello che i latini chiamavano genius loci, è presente in
ogni cultura, ma rimane più visibile dove il legame col territorio è ancora
attivo e si è conservata una forte cultura dell’abitare. Ogni comunità stabilisce
una relazione particolare ed unica col proprio territorio, e questa le permette di
instaurare pratiche di abitabilità particolarmente efficaci.
Il feng shui, antichissima pratica cinese di geomanzia legata all’abitare, ne
è un esempio. Grazie alla profonda conoscenza del territorio, associata ad una
visione astrologica del mondo, i maestri cinesi decidevano come ogni
costruzione andava fatta, specificando ogni minimo particolare
14
. Questo
esempio, però, non deve far pensare che solo antiche civiltà distanti da noi
applicassero questo sapere, che altro non è che una profonda conoscenza del
territorio. Franco La Cecla, antropologo e architetto nel suo libro Perdersi
racconta l’interessante esempio dei contadini di Fabrizia, paese in Calabria
distrutto dall’alluvione del 1973: «I contadini non furono mai d’accordo sul
sito prescelto dai “tecnici” da Catanzaro per la ricostruzione. E mi portarono, in
quanto anch’io tecnico, ma della loro cooperativa di ricostruzione, sul loro sito.
E mi spiegarono: un terreno pianeggiante, ma un po’ più in alto del resto
intorno, che si trova in linea con quella gola laggiù, da dove arrivano i venti
dello Ionio lontano. Questo era il posto più “felice” della contrada. Lo
sapevano tutti e da sempre, secondo solo al sito del paese distrutto perché
tradito dall’erosione di un fiume sconvolto dall’abbandono delle campagne.
Nel caso di Fabrizia, nonostante la lunga resistenza degli abitanti, ha vinto la
burocrazia dei tecnici ed è stata scelta una “spianata” per farvi lavorare le
ruspe, e lì è stato costruito uno squallido agglomerato di baracche e case
popolari, poche, venute dopo anni e in un sito che si rivelava ben presto come
troppo umido e troppo poco stabile geologicamente»
15
. Questo esempio
permette di riflettere su due aspetti importanti: in primo luogo il motivo per cui
l’alluvione è avvenuta e in secondo luogo il principio per cui è stato scelto lo
spazio della ricostruzione. Per quanto riguarda le cause dell’alluvione è un
esempio come purtroppo se ne riscontrano molti: l’abbandono delle campagne
è la causa dell’incuria del territorio, che a sua volta non è in più grado di
and social activities, and particular significance deriving from past and present situations- but it
differs from the simple summation of these…» (p.20)
14
La Cecla, F., 1988. Perdersi. L’uomo senza ambiente. Roma: Laterza.
15
La Cecla, F., 1988. Perdersi. L’uomo senza ambiente. Roma: Laterza. (p.57).
13
garantire alla comunità che lo abita uno spazio salubre. Questo sta a dimostrare
che la prima cosa da salvaguardare dovrebbe essere la relazione tra il territorio
e la comunità. Per quanto concerne la soluzione adottata invece, si tratta di un
esempio in cui la conoscenza del territorio è stata messa da parte per favorire
altri interessi. La conclusione dimostra che il vantaggio a breve termine non
giustifica il grande svantaggio per tutta la comunità sul lungo termine. Inoltre è
un esempio concreto di come forse un modello decisionale più democratico e
pensato localmente, avrebbe potuto creare condizioni migliori. Questi esempi
sono stati portati per dimostrare praticamente come il legame col territorio,
oltre ad essere qualcosa di personale che ricade nella sfera dell’emotività, ha
anche conseguenze profondamente pratiche e richiede un’analisi più
dettagliata.
In questo paragrafo si è affrontato uno dei termini chiave per studiare gli
ecomusei: il territorio. Quest’analisi ha permesso di mettere in luce i legami
con gli altri concetti chiave che saranno esaminati in seguito: comunità e
patrimonio. Un territorio è infatti un organismo complesso in stretta relazione
con la comunità che su di esso vive: è importante che questa relazione si
mantenga forte per garantire una qualità di vita elevata. Un territorio è
ultimamente stato riconosciuto anche come un’opera d’arte e come tale va
preservato. Esso ha però peculiarità che non ne permettono la conservazione
statica, perché questo significherebbe la morte della comunità che lo abita. È
quindi necessario mantenere questo delicato equilibrio affinché non si
verifichino eventi catastrofici. L’ecomuseo, come ricorda la stessa parole si
interessa dell’ambiente in senso ampio e di tutte le relazioni che si instaurano
con la comunità.
1.2. I musei, l’identità culturale e la comunità
Dopo aver analizzato come si è modificato nel tempo il concetto di
territorio, è necessario procedere ugualmente per il concetto di comunità ed
identità culturale, perché anche questi sono basilari per comprendere la
filosofia degli ecomusei. Anche in questo ambito si riscontra un cambiamento a
partire dalla fine degli anni ’60, quando la museologia internazionale comincia
a ritenere importanti e degni di essere esposti anche i reperti di tutte quelle
14
culture ed identità fino ad allora considerati marginali e di interesse solo
etnografico. Si comincia inoltre a sottolineare l’importanza che un museo può e
dovrebbe avere per la comunità che lo ospita. Se fino a quel momento i musei
si rivolgevano ad un pubblico coltivato e soprattutto proveniente dall’esterno,
la Nuova Museologia porta l’attenzione su tutta la popolazione e specialmente
su quella che accoglie il museo nel suo territorio. I musei rivestono un ruolo
centrale nella costruzione dell’identità ed è quindi di grande importanza il fatto
che essi si interessino di quelle comunità alla cui identità non è sempre stato
riconosciuto il giusto valore.
1.2.1. Identità culturale
La definizione che L’UNESCO dà di identità culturale è la seguente: «la
corrispondenza fra una comunità (nazionale, etnica, linguistica…) e la sua vita
culturale, così come il diritto di ogni comunità alla propria cultura»
16
. Si tratta
di una definizione necessariamente vaga e che, tra le altre cose, non chiarisce
come ci si debba regolare coi reperti artistici che non si trovano più, per diversi
motivi, nel luogo dove sono stati creati. L’identità culturale è infatti un
concetto vago, facilmente confondibile con identità tout court o con comunità.
Tralasciando tutti i problemi sul rimpatrio degli oggetti saccheggiati durante le
guerre, o venduti, o ancora sottratti e scambiati sul mercato nero, quello che qui
si intende sottolineare è l’importanza per un’identità culturale di vedersi
rappresentata in un museo. Un brevissimo excursus storico chiarirà questo
punto.
È a partire dal XVII secolo che i musei acquisiscono la concezione
moderna di raccogliere reperti con la funzione sociale e simbolica di
magnificare una cultura. Da sempre però, quello che si raccontava era l’identità
dei conquistatori, europei e colonialisti, e tra questi solamente le elite vi erano
rappresentate. È anche per questo, che fino a non molto tempo fa, si
possedevano moltissime informazioni sulla vita dell’aristocrazia e dei vincitori,
mentre per tutto il resto si è dovuto fare uno studio a ritroso, visto che
pochissimo è stato conservato dai musei. D’altronde il pubblico al quale i
musei si rivolgevano era estremamente scelto e colto se paragonato a quello di
16
citata in
16
Davis, P.,1999. Ecomuseums. A Sense of Place. London: Leicester University
Press (p. 25)
15
oggi. Tuttavia, a cominciare dal secondo dopoguerra, un nuovo pubblico si
affacciava per la prima volta alle porte dei musei più famosi, dando il via ad un
cambiamento epocale di questi istituti: da spazio della più alta cultura essi si
trasformano in fenomeno di massa
17
. Negli anni ‘60, anche i museologi
cominciano a fare i conti con una nuova realtà ponendosi anche domande su
quello che era raccontato nei musei. Queste domande fanno riferimento
soprattutto ad un nuovo ruolo per le identità fino a quel momento messe da
parte: paesi ai margini del mondo, le donne, i popoli e le etnie “altre”, le
comunità rurali… La Nuova Museologia porta un vero e proprio cambiamento
di attitudine, cercando di allargare sia il proprio pubblico, che i temi presi in
considerazione.
Gli ecomusei hanno sicuramente un ruolo centrale in questo senso,
privilegiando soprattutto realtà piccole e rurali. Ovviamente questa non è una
regola, visto che esistono molti esempi di ecomusei cittadini
18
, ma Peter Davis
ritiene che la scala geografica sia importante e la scala piccola sia la più adatta
alla nascita di ecomusei. In parte perché qui l’appartenenza al territorio è più
sentita e in parte perché è più facile che si siano mantenute relazioni dirette fra
gli abitanti
19
. Gli ecomusei inoltre, si prefiggono come scopo che sia la stessa
comunità prima a studiare e poi a comunicare le sue peculiarità.
1.2.2. Musei e comunità. Stimolo per il dialogo e per la coscienza
comunitaria
Dopo aver chiarito l’interesse per tutte le identità culturali, è necessario
concentrarsi sulla seconda parola chiave ricordata all’inizio: la comunità. Per
cominciare è utile dare una definizione, il museologo francese Hugues de
Varine distingue la communauté (la comunità appunto) dalla collectivité (che
in italiano potrebbe essere l’amministrazione pubblica) e definisce la prima
come: «una popolazione che abita un territorio e condivide un contesto
culturale, sociale ed economico, proprio della popolazione stessa e del suo
territorio»
20
. Si tratta quindi di un gruppo di persone molto diverse fra loro, che
17
V. Lattanti., 1999. “Per un’antropologia del museo contemporaneo”
18
Uno dei casi presi in esame nel prossimo capitolo è proprio di un ecomuseo urbano
19
F. La Cecla, 1988. Perdersi. L’uomo senza ambiente. Roma: Laterza.
20
H. de Varine 2005. Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo
locale. Bologna: CLUEB. (p. 282 nota 2).
16
però ha in comune una storia e un territorio e che si trova perciò unito nel
raggiungere gli stessi obiettivi. A causa dell’eterogeneità di ogni comunità è
difficile coglierne l’identità; lo studioso inglese, Peter Davis è scettico sulla
definizione dei musei di comunità, proprio perché convinto che una comunità
sia troppo dinamica perché un museo riesca a coglierne la complessità.
La dinamicità presente in ogni comunità e il suo essere composta da tanti
elementi con interessi diversi, a volte contrastanti, spiega perché spesso
l’obiettivo di salvaguardare il territorio viene messo da parte. Alcuni
privilegiano il guadagno immediato per non farsi carico di oneri che
garantirebbero, sul lungo periodo, uno sviluppo sostenibile per tutta la
comunità. L’ecomuseo si propone di ovviare a questo limite coinvolgendo la
maggior parte della popolazione e cercando di sviluppare in loro una coscienza
comunitaria
21
. Questa dovrebbe nascere dal confronto di tutti e da una
maggiore consapevolezza di limiti e potenzialità del proprio territorio; quando
l’ecomuseo riesce nel suo scopo, contribuisce ad uno sviluppo che è sostenibile
per il territorio e che porta ricchezza reale e durevole alla comunità. Il
ricercatore dell’IRES
22
e principale studioso italiano in materia, Maurizio
Maggi auspica che l’ecomuseo sia portatore, oltre che di una nuova concezione
di arte, anche di una nuova cittadinanza
23
più consapevole del proprio impatto
sull’ambiente e meno legata ai vincoli imposti dall’alto. Egli porta alla luce un
concetto spesso dimenticato dagli abitanti e cioè il valore di un territorio.
Questo si è costruito attraverso una lenta accumulazione ma può essere speso
in poco tempo sul mercato economico, in modo apparentemente remunerativo,
senza essere adeguatamente rimpiazzato da nuovi valori: tutto ciò può portare
ad un deserto culturale
24
. Per evitare che questo accada è di particolare
importanza che si abbandoni, almeno per quello che riguarda la tutela del
territorio, l’attuale approccio alla delega tipico di ogni democrazia, e che ci si
faccia carico collettivamente di aspetti, spesso immateriali, che sono di grande
importanza per il territorio.
21
H. de Varine 2005. Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo
locale. Bologna: CLUEB.
22
Istituto delle Ricerche Economiche e Sociali del Piemonte
23
M. Maggi (a cura di), 2005. Musei e Cittadinanza. Condividere il patrimonio culturale per
promuovere la partecipazione e la formazione civica. Quaderni di ricerca IRES n°108. Torino:
IRES.
24
M. Maggi (a cura di), 2005. Musei e Cittadinanza. Condividere il patrimonio culturale per
promuovere la partecipazione e la formazione civica. Quaderni di ricerca IRES n°108. Torino:
IRES.
17
Anche in questo ambito l’ecomuseo tenta di dare una risposta proponendo
quella che è la sua peculiarità più interessante: la partecipazione della
comunità. Punto cardine della filosofia degli ecomusei è che siano gli attori
locali i principali artefici di tutte le attività ecomuseali. Pur non negando
contributi esterni è fondamentale che il lavoro di ricerca venga fatto da membri
della comunità perché siano loro ad effettuare le necessarie selezioni, così
come la didattica deve rivolgersi principalmente ad essi. Maggi propone un
modello nuovo per la protezione del patrimonio: «una mobilitazione di
creatività di base molto più vasta, nella quale ciascuno di noi, con una minima
formazione iniziale, possa essere “un esperto”»
25
. Si sottolinea quindi anche il
ruolo della formazione per la comunità, che va fatto con strumenti e linguaggi
adeguati ad essa. Si riprende il concetto secondo il quale ciascuno impara dal
territorio e mette da parte questa esperienza per tramandarla alle generazioni
future, ma lo si espande. L’ecomuseo, oltre a fare ricerca e formazione, si
propone anche di comunicare questi risultati all’esterno, sul resto della
popolazione poco coinvolta ma anche ai visitatori. È in quest’ottica che va
inquadrato il turismo per l’ecomuseo; questo non dovrebbe cercare il guadagno
immediato, facendo un’operazione di marketing territoriale, ma piuttosto si
propone di dare gli strumenti adeguati a quei turisti che vogliono scoprire
dall’interno il territorio
26
. Ovviamente non ci sono modelli da seguire, la forza
dell’ecomuseo sta anche nell’adattarsi alla situazione locale e a proporre nuove
soluzioni.
Gli ecomusei sono piccoli musei, spesso con poca visibilità al di fuori del
proprio territorio, non sono quindi gli istituti più adatti ad attirare turismo ed
investimenti nella zona. Questa loro scala piccola, potremmo dire “a misura
d’uomo”, ha però dei vantaggi che vanno tenuti in considerazione per essere
sfruttati al meglio. Essi possono, o meglio devono, instaurare con la comunità
che li accoglie un legame che non è possibile creare nelle grandi istituzioni
museali. Questo legame permette loro di comprendere più che l’identità
culturale, che abbiamo visto essere un concetto dinamico, il sense of place,
quell’intreccio di conoscenza fra le persone e l’ambiente, le persone e i loro
25
M. Maggi (a cura di), 2005. Musei e Cittadinanza. Condividere il patrimonio culturale per
promuovere la partecipazione e la formazione civica. Quaderni di ricerca IRES n°108. Torino:
IRES (p. 13)
26
P. Davis 2004. “Ecomuseums and the democratization of cultural tourism”. Tourism, Culture
& Communication,
18
vicini, le persone e la loro storia
27
. Ogni museo può tentare questa strada, ma
gli ecomusei presentano un vantaggio: essi sono fatti dalla stessa comunità alla
quale si rivolgono, hanno perciò delle conoscenze pregresse che permettono
loro di fare certe scelte. Nella pratica questo si riflette in molti esempi: dalla
comunità che traccia il proprio territorio creando nuove mappe (le mappe di
comunità), alla progettazione partecipata di attività imprenditoriali, alla
formazione dei giovani in loco e così via. Molte di queste attività sono
culturali, perché, non bisogna dimenticarlo, l’ecomuseo rimane votato alla
conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale. È arrivato allora il
momento di vedere ciò che un ecomuseo considera come patrimonio da
valorizzare.
1.3. Patrimonio culturale
La terza parola chiave che permette di inquadrare la filosofia degli
ecomusei è patrimonio. In questo paragrafo si ripercorrerà il cambiamento che
questo concetto ha subito nel corso del tempo soffermandosi in particolare
sulle linee di condotta proposte dalla Nuova Museologia. Si vedrà la
definizione di patrimonio globale che, insieme al concetto di ecomuseo,
comincia a farsi strada negli anni ’80. Alla fine si arriverà ad analizzare il
rapporto che, nella filosofia ecomuseale, il patrimonio intrattiene con il
territorio da una parte e la comunità dall’altra.
1.3.1. Evoluzione del concetto di patrimonio
Come gli altri concetti analizzati anche quello di patrimonio culturale ha
subito variazioni nel tempo. Questo cambiamento è in corso da tempo, almeno
dalla fine dell’800, ma è oggi particolarmente accelerato. Si può esaminare
questa evoluzione da due punti di vista, infatti, se da una parte è stata la
concezione estetica ad allargarsi fino ad accogliere nei musei differenti tipi di
arte che in passato avrebbero scandalizzato il pubblico borghese; dall’altra
27
P. Davis, 1999. Ecomuseums. A Sense of Place. London: Leicester University Press.
«Although physical surroundings are important (landscapes, habitats, buildings), place is mch
more: it is a web of understanding people and the environment, between people and their
history». (p.40).