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poeti della generazione del ’45) ad una di influenza anglosassone (l’asse Eliot
– Pound, per capirci). Prosegue, parallelamente, la ricerca di riferimenti o
autorizzazioni nella tradizione italiana pre-ermetica e pre-rondista.
Naturalmente, non tutti i poeti della generazione del ’56 sono situabili
in un medesimo intreccio di interessi e suggestioni. Essi disegnano anzi
traiettorie spesso isolate se non addirittura divergenti: alcuni mostrando una
precisa fedeltà a impulsi tematici e formali tipici di precedenti periodi, altri
anticipando (come la maggior parte dei nati nella seconda metà del decennio)
modi che saranno propri della generazione del ’68.
A questa situazione non si sottrae, se non dal punto di vista anagrafico,
Alda Merini, il cui lavoro appare particolarmente e suggestivamente isolato,
sia nel tempo che – se così si può dire – nello spazio, e offre semmai qualche
possibile parentela con autori della generazione precedente come Margherita
Guidacci e Enzo Fabiani.
Per quanto riguarda, poi, le comunanze con la letteratura straniera
contemporanea, la concentrazione lirica dei testi della Merini - fatta di
potenza immaginativa e di intonazione musicale, come meglio si specificherà
in seguito – ha qualcosa di impressionante, che fa pensare più che al Rilke e al
George indicati a suo tempo, all’opera di un poeta tanto grande quanto poco
presente nella nostra cultura, come Gerald Manley Hopkins.
8
La forza visionaria – e, di conseguenza sperimentale – del linguaggio
della nostra artista, è tale da investire, trasfigurare e sublimare con intensa
energia straniante i contenuti a cui si applica.
Seguire un percorso lineare, nella disquisizione di una così vasta e varia
mole poetica, non è stato semplice. Per questo sono state trattate e
approfondite, con il supporto dei testi lirici, la maggior parte delle figure
tematiche e poetiche meriniane.
Si susseguono nelle pagine, argomenti più noti e abituali – come, nel
caso della Merini, il dolore e la follia - a temi più inediti (che riguardano la
sua ultima produzione), come la carnalità e la spiritualità.
Infine, in appendice a questa tesi, è inserita un’ intervista alla poetessa
dei Navigli. Ho avuto la fortuna - rara in questi tempi nei quali la salute della
poetessa si fa sempre più cagionevole - di poter incontrare la Merini nella sua
abitazione milanese, e di poterla intervistare. Ciò che ne è derivato è, a parer
mio, uno splendido lascito di pensiero e vita, che non può non collocarsi a
supporto di questo studio e andare ad arricchirlo.
A domande più “impegnative”si alternano piccoli scorci di esistenza
quotidiana che contribuiscono a farci inquadrare l’universo nel quale vive la
Merini, e dal quale tanta parte della sua poesia ha preso spunto.
9
CAPITOLO I
Vita e poesia di Alda Merini
Alda Merini nasce a Milano, “il ventuno a primavera”, nel marzo del
1931. Recita una delle sue poesie più famose:
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
Vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera
Forse è la sua preghiera
2
.
Il padre della poetessa fa l’assicuratore, la madre è casalinga; ha un
fratello minore e una sorella maggiore, figure ricorrenti all’interno della sua
poesia. Di sua sorella, in particolare, ricorda sovente l’infinito bene che le
volle, benché fosse stata per lei fonte di grande sofferenza.
Frequenta l’istituto professionale Laura Solera Mantegazza
3
, dove
viene sorprendentemente respinta in Italiano (caso non isolato, in verità, nella
letteratura italiana). Nel frattempo si dedica con autentica passione agli studi
2
MERINI A., Vuoto d’amore, Einaudi, Torino 1991, p. 17.
3
Successivamente, come afferma nell’intervista, farà la domanda di ammissione al Liceo Classico.
10
musicali, in particolare a quelli del pianoforte. Comincia presto a scrivere,
nella prima adolescenza, attorno ai quindici anni. Le letture assidue si
accompagnano alle prime prove letterarie, nelle quali si ravvisano, fin d’ora,
alcuni fra gli elementi che saranno poi fondamentali, per lo sviluppo della sua
opera poetica.
I genitori si mostrano scettici nei confronti di quest’interesse, ma nulla
possono davvero contro una passione che prende il sopravvento su tutto il
resto. La poesia, già da questi anni, viene sentita come destino ineluttabile,
come tensione estrema e timore di sopraffazione. È una supplica, quasi, quella
che la Merini ci fa leggere in queste parole:
O poesia, non venirmi addosso,
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
poesia, non schiacciarmi,
l’insetto è alacre e insonne,
scalpita dentro la rete,
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.
4
4
MERINI A., Vuoto d’amore, Einaudi, Torino 1991, p. 34.
11
1.1 Esordio poetico
A riprova della sua precocità artistica, nel ’47 viene “raccomandata”a
Giacinto Spagnoletti da Silvana Rovelli, cugina di Ada Negri. Spagnoletti è
unanimemente considerato lo scopritore primo dell’artista. Pubblica, infatti,
due poesie della Merini nell’antologia della Poesia italiana contemporanea
1909 – 1949. I due testi Il gobbo e Luce
5
vennero poi pubblicati in Poetesse
del Novecento, e stampati da Scheiwiller nel 1951, su suggerimento di
Eugenio Montale. Rivelatrice è questa parte della lirica:
Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall’espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
…e nessuno m’aiuta (…).
6
È agevole, per chi conosca la poesia della Merini, scorgere il fitto della
malinconia che s’impossessa dell’anima della donna, fin da questa giovane
età. Il tessuto narrativo mostra elementi tipici della letteratura novecentesca,
come “il male di vivere”, ma anche tratti prettamente personali, quali
5
SPAGNOLETTI G., Poesia Italiana Contemporanea, Guanda 1950.
6
MERINI A., Il gobbo, in ID., Fiore di poesia, 1951-1997, Einaudi, Torino 1998, p. 5.
12
l’inconoscibilità della vita o il mistero della sua stessa persona, nonché una
non indifferente vena contemplativa. È una lirica scritta a diciassette anni,
forse ancora “acerba”nello stile, ma senz’altro già fortemente simbolica.
Allo stesso periodo risalgono molti altri testi, che costituiranno la sua
prima raccolta edita, e cioè La presenza di Orfeo
7
. In essa Alda Merini dedica
parecchi suoi componimenti agli amici e a coloro che l’avevano sostenuta a
quell’epoca; ad esempio, Luce è dedicata a Giacinto Spagnoletti.
Ciò che più colpisce, però, sono le due liriche dedicate a Giorgio
Manganelli, letterato, sostenitore e amore della poetessa, nella sua giovinezza.
Le liriche in questione sono La presenza di Orfeo e La notte. Nella prima, in
particolare, si può notare la ripetitività di termini quali “essenza”, “assenza”o
“presenza”, che vanno intrecciandosi al caos personale e dell’esistente, nella
mente della Merini. Un “rapito orfismo”
8
lascia incantati e stupiti, soprattutto
a motivo dell’età tanto giovane; inoltre l’eterno intrecciarsi di temi erotici e
motivi mistici, elemento di spicco in tutta la produzione meriniana, ha qui una
sua incipitaria collocazione.
Nel 1955, viene alla luce, edito da Scheiwiller, Paura di Dio. La
raccolta contiene liriche dal 1947 al 1953.
7
MERINI A., La presenza di Orfeo, Schwarz, Milano 1953.
8
Citazione del poeta Carlo Batocchi, riportata da Maria Corti nell’introduzione a Fiore di poesia.
13
Si legga in Queste folli pupille:
Queste folli pupille
troppo aderenti ai ciclo dell’Amore,
spegnile Tu, Signore,
e un colore uniforme
calami dopo, assolto ogni tremore.
Perché più non mi illuda
di ritorni e di aspetti
e mi renda sotterra
nuda di voglie, ferma la golosa
tentazione dei vivi!
9
La passione d’amore mistico e carnale trabocca da quella che è quasi
un’invocazione in forma poetica. Non è ancora poesia colta, questa, ma lo
stato in cui la poetessa compone, il rapimento di cui è “vittima partecipe”, la
tensione poetica volta all’estremo, sono elementi che ce la mostrano
sinceramente ispirata, pur nella violenza di certi passi. Autoritratto tragico e
bellissimo è, quello contenuto ne Il testamento:
Io non fui originata
ma balzai prepotente
dalle trame del buio
per allacciarmi ad ogni confusione (…)
10
Preghiere a Dio, confessioni di stanchezza e smarrimento, ribellioni
senza tregua e desiderio di sublimazione dell’ incombente carnalità
9
MERINI A., Paura di Dio, in ID., Fiore di Poesia, Einaudi, Torino 1998, p. 32.
10
ID., Paura di Dio, in ID., Fiore di Poesia, Einaudi, Torino 1998, p. 24.
14
nell’Assoluto: sono tutti elementi che fanno parte di questa raccolta. Si
incontrano nel libro momenti drammatici, e sono senz’altro quelli che
caratterizzano l’esistenza di Alda Merini, in questo periodo. Quasi
premonizioni di un futuro non roseo, di accadimenti tragici.
Intanto, il 1953 è l’anno del matrimonio della poetessa con il
“panettiere”Ettore Carniti. A chi le chieda, ancor oggi, le motivazioni di tale
scelta, la poetessa risponde vaga, quasi sfuggissero a lei stessa. Al marito
dedica Dies Irae, componimento nel quale si leggono un’ansia e uno
smarrimento profondi, nel quale si coglie una sensualità avvertita come
angosciosa e avvilente.
Nel 1955 esce, presso Schwarz la raccolta Nozze Romane
11
. Ciò che
maggiormente colpisce i critici già da questo periodo, pare essere il fatto che
Alda Merini risulti difficilmente racchiudibile in alcuna corrente poetica
moderna, né in una precisa scuola. Si avverte certamente l’influenza di Rilke
fin d’ora
12
, ma il pensiero pare originale e pressoché incontaminato.
Per altro, i versi della Merini si direbbero assai poco pensati e molto più
composti di getto, d’istinto. In questo dimostra quanto profonda e tipicamente
moderna sia la sua voce.
11
MERINI A., Nozze Romane, Schwarz, Milano 1953.
12
La poetessa sottolinea anche nell’intervista l’amore per Rilke, più che per ogni altro autore contemporaneo.
15
L’oralità, nella scrittura, è infatti caratteristica saliente di una certa
corrente poetica moderna. In Alda Merini, nella sua forma di scrittura, tutto si
mostra così tipicamente personale e innato, che stupisce poco la sua mancanza
di collegamenti esterni.
In Quando L’angoscia, tratto da Nozze Romane
13
si legge:
Quando l’angoscia spande il suo colore
Dentro l’anima buia
Come una pennellata di vendetta,
sento il germoglio dell’antica fame
farsi timido e grigio
e morire la luce del domani (…).
Si noti l’impossibilità - che trapela dai versi - da parte della giovane
donna, di liberarsi dal peso dell’esistenza, che già incombe su di lei con tutta
la sua carica tragica. Sono probabilmente, i primi, tristi, segnali della follia
che attanaglierà la vita futura della Merini.
Insieme a ciò, evidente è un certo senso profetico che si attribuisce da
più parti ai versi di questa e di altre raccolte. Quelli che ci colpiscono di più
sono i rari momenti di stasi, di quiete, in cui la contemplazione genera,
appunto, la profezia e la delicatezza del verso:
(…)
Anche se addormentata nella strada
di un sogno, senza gemiti né voci;
anche se sola, paurosamente
13
MERINI A., Nozze Romane, in ID., Fiore di Poesia, Einaudi, Torino 1998, p. 50.
16
distorta dalla vera e principale
vena di pura verticalità,
anche se assente dentro il lievitato
pudore delle palpebre socchiuse,
non tradirò le ceneri di un mito
che mi fu solo e identico. (…)
14
È questo, inoltre, il periodo in cui Alda Merini è più vicina a colui che
considera il suo “maestro”, cioè Salvatore Quasimodo. In Una Maddalena, ci
viene presentato metaforicamente il rapporto con il Poeta. Le parole si
snodano attorno alla finzione poetica. Il tono - ora ossequioso, ora sfrontato -
è accorato negli interrogativi ai quali non sembra esserci possibilità di
risposta, nei quali la poetessa sembra non cercarla nemmeno una risposta (è la
retorica che si impone in tutta la sua forza):
Guarda, perché previeni il Tuo guardarmi
Con errata coscienza di pudore?
Guarda, senza sapere l’astinenza,
queste carni purgate dal piacere,
questi occhi sinceri nell’orgoglio,
questi capelli dal profumo intenso
di vita e di memorie…
Peccato questo vivere me stessa?
15
Nel 1961 esce, sempre edita da Scheiwiller, la raccolta Tu sei Pietro
16
.
Le viene suggerita dall’amica astrologa e letterata Violetta Bisesti. Si tratta di
una serie di liriche dedicate all’amore infelice per il medico Pietro De
14
Ivi, p. 43.
15
MERINI A., Una Maddalena, Nozze Romane, in ID., Fiore di poesia, Einaudi, Torino 1998, pp. 38-39.
16
ID., Tu sei Pietro, Schewiller, Milano 1961.
17
Paschale, che curava due fra le sue figlie. È una raccolta che si impone alla
memoria - fra le opere della Merini - per un elemento particolare: la passione
non corrisposta. Fino ad ora, infatti, ed anche in seguito, la poetessa canterà
sempre di amori reali, vicendevoli, o comunque di avventure felici. Questa è
una eccezione. L’amore infelice porta a toni di narrazione profondamente
diversi, a esiti creativi inediti:
(…) Amore mio
ho sognato di te come si sogna
della rosa e del vento,
sei purissimo, vivo, un equilibrio
astrale, ma io sono nella notte
e non posso ospitarti (…)
17
.
Le liriche paiono quasi paragonabili a quelle del filone mistico seguito
da scrittrici del passato cristiano. A tratti è possibile ravvisarvi, perfino, una
scrittura simile a quella della tragedia greca. La donna è persa tutta nella sua
passione, assente, solitaria, intoccabile. Le metafore biblico evangeliche sono
qui forti, simili a quelle de La Terra Santa - il capolavoro della poetessa -
nella loro sovrapposizione con eventi terreni drammatici.
Nella Prima parte dell’opera sono forti i rinvii evangelici, mentre nella
Seconda e nella Terza parte si impone con la sua tragica fatalità, la
disperazione del reale.
17
MERINI A., Tu sei Pietro, in ID., Fiore di Poesia, Einaudi, Torino 1998, p. 56.
18
Anche qui, si può notare il continuo ossimoro narrativo fra religiosità
ed erotismo, fra misticismo e carnalità.
(Ché cristiana son io ma non ricordo
dove e quando finì dentro il mio cuore
tutto quel paganesimo che vivo)
18
.
18
Ivi, p. 55.