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INTRODUZIONE
Questa tesi nasce dal desiderio di dare voce alle lotte di persone che si
sono impegnate attivamente e fisicamente nella battaglia per il cambiamento
culturale e legislativo della società italiana dell’ultimo secolo. La
transessualità è un fenomeno autentico, presente da sempre in natura e
riscontrabile in moltissime specie animali anche in fasi avanzate della vita e
talvolta senza un motivo apparentemente legato alla procreazione. Tuttavia,
nel caso dell’uomo, il paradigma sociale della presunta corrispondenza tra
corpo, sesso e genere ha fatto sì che la transessualità e il transgenderismo
fossero tacciati di perversione e artificialità.
Ogni società ha affrontato il manifestarsi di questo fenomeno secondo
i propri parametri culturali e i propri riferimenti storici; nella mitologia
greca si parla di androginia ed ermafroditismo, ma miti sulla transessualità
si ritrovano anche in altre culture, diverse per coordinate spaziotemporali.
Indipendentemente dalla presenza, nella tradizione, di un mito positivo o
negativo, il trattamento riservato ad esseri umani nati con tratti sessuali
incerti è stato, nella maggior parte dei casi, quello dell’eliminazione alla
nascita o della condanna a morte in età adulta. Arrivare a conoscere e
concepire il fenomeno della transessualità per come lo intendiamo oggi è
stato un percorso lungo un secolo, che è partito dai primi decenni del ‘900,
in cui le persone trans hanno iniziato a manifestarsi alla società italiana
oltrepassando il fatto di non avere riferimenti specifici a cui accomunarsi.
Nel primo capitolo, dopo un breve excursus sullo sviluppo del
concetto di transessualità fino alla fine del XIX secolo, sono esposti i
riferimenti della tradizione culturale e gli strumenti scientifici che si
avevano a disposizione per interpretare la condizione di transessualità, la
quale veniva resa visibile agli occhi della società intera per la prima volta in
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quella stagione storica, grazie anche alle nuove tecniche di diffusione di
informazioni e immagini. Così il mito comincia a scontrarsi con la realtà
sociale italiana nei primi anni del ‘900, escludendo il caso napoletano dei
“femminielli” la cui tradizionale presenza nell’immaginario popolare non
causa alcuna scossa particolarmente turbolenta conseguentemente alla
ritrovata visibilità delle persone trans.
L’approccio che più di tutti va a influenzare l’idea della transessualità
è quello medico-scientifico, che patologizzando l’esperienza studiata le
fornisce da un lato una legittimazione (anche giuridica) e dall’altro ne
favorisce l’associazione mentale ad una condizione di malattia e debolezza
(quindi inferiorità) oltre che di “errore naturale” a cui porre rimedio non
solo psicologicamente ma anche chirurgicamente.
Se è vero che laddove manca la conoscenza di un fenomeno può
esserci comunque una sua concezione, sicuramente questa non è influenzata
tanto dalla sostanza dell’oggetto concepito quanto da ipotesi e speculazioni
di chi lo elabora mentalmente. Nel momento in cui si comincia a conoscere
e poi a studiare una materia, invece, gli orizzonti si allargano ed emergono
nuovi punti di vista. Tuttavia, anche in questo caso è possibile che l’idea che
si ottiene di quel tema sia falsata, poiché ancora proviene da un’analisi
esterna. Nel caso specifico della transessualità, questo è l’errore che è stato
fatto nel campo medico, cioè di procedere a un’analisi che seppur condotta
secondo varie prospettive, non prende ancora in considerazione le persone
transessuali in quanto soggetti, ma continua a considerarli mero oggetto di
studio.
L’elaborazione di un tale fenomeno non è immediata e alle volte il
processo di accettazione si ferma al riconoscimento dell’occorrere di una
possibilità: sebbene sia possibile che esistano delle persone transessuali,
riconoscere loro pari dignità non è sempre istantaneo, soprattutto laddove il
riconoscimento di nuovi soggetti sociali può portare a considerarli degli
antagonisti non solo su piani concreti come quello del lavoro e della salute
ma anche su un piano etico ed in ultimo esistenziale, sulla base di un’idea
della transessualità come scelta e non come condizione autentica. Il diritto,
che risente (seppur a volte con tempi molto lunghi) dei cambiamenti sociali,
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ha dovuto esprimersi e cercare di regolarizzare la condizione transessuale
legiferando in merito.
Dopo aver approfondito qual è stata la posizione giuridica delle
persone trans negli ultimi decenni vengono citati e commentati alcuni
esempi dell’atteggiamento che ha avuto la stampa della seconda metà ‘900
di fronte a questo fenomeno, atteggiamento che si dimostra essere ancora
oggi assolutamente superficiale. A questo proposito, un paragrafo è dedicato
all’onomastica del fenomeno trans visto non solo dall’esterno ma anche
dall’interno. In altre parole sono approfondite alcune modalità di definire le
persone trans, verso le quali si auspica una maggiore cura dialettica al fine
di evitare errori e offese, sebbene i riferimenti linguistici siano tutt’altro che
stabili e anzi soggetti a una fortissima emotività sia da parte del parlante che
da parte dell’ascoltatore.
Il secondo capitolo verte sulla storia del M.I.T., il Movimento di
Identità Transessuale con sede a Bologna. A partire dai primi anni in cui
l’allora “Movimento Italiano Transessuali” cavalcò l’onda delle grandi
rivendicazioni sociali di fine anni ’70, si procede ad analizzare quali
possano essere stati i fattori di forza che hanno permesso all’esperienza
bolognese di diventare l’unico esempio in Italia di associazione trans attiva
senza interruzioni dal 1988.
Si parla delle iniziative che il M.I.T. di Bologna ha portato avanti
cercando di approfondirne gli obiettivi e le modalità di attuazione, per
comprendere come l’associazione sia arrivata oggi ad essere riconosciuta e
premiata a livello internazionale. Tracciare la storia del M.I.T. diventa utile
anche per capire quali dinamiche di relazione, sia politiche che private,
siano state rilevanti per permettere ad esso di ottenere una sede dal Comune
di Bologna e stabilire una serie di convenzioni e collaborazioni con diversi
enti e istituzioni tra cui ospedali, sindacati e cinema.
Si evince che ciò che ha caratterizzato la storia dell’associazione e le
ha permesso di resistere al tempo e alla stanchezza delle continue battaglie è
stato un profondo senso di missione, unito a una congiuntura di relazioni
trasversali e contesti favorevoli alla realizzazione di progetti concreti, quali
gli interventi di riduzione del danno per le prostitute, il primo consultorio
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per transessuali e transgender gestito da persone trans, l’apertura di sportelli
di ascolto e informazione sui diritti del lavoro e della salute delle persone
trans. La rete con le altre associazioni e un programmatico miglioramento
continuo relativo sia alla formazione interna che a quella esterna, sono stati
invece i fattori che gli hanno permesso di resistere alla disgregazione.
Le lotte del M.I.T. ispirano a un impegno profondo da parte di tutti,
anche in virtù del disimpegno politico da parte delle masse e
dell’indifferenza della classe dirigente. Ciò che il M.I.T. suggerisce è che è
possibile, lavorando costantemente sul piano del dialogo (sia formativo che
mirato a tessere relazioni significative), non soccombere alla disperazione
ed aprire nuove strade laddove prima non ce n’erano. Un impegno su più
fronti che ha dato conoscenza, speranza e dignità a moltissime persone che
vivono quotidianamente le problematiche della transessualità, e che ha
contribuito e sta contribuendo a cambiare la mentalità generale e a portare il
cammino dell’approfondimento fino in fondo, fino quindi al riconoscimento
totale e scevro da timori dell’esperienza transessuale anche da parte di chi
non vive questa condizione. Anche se la strada è ancora tutta in salita,
considerare la transessualità come fenomeno autentico e non come devianza
è la base per l’ottenimento di un più ampio riconoscimento giuridico e
sociale.
Nello stesso capitolo viene mostrato quanto la transfobia, sia subìta
che introiettata, influisce sulle scelte di vita delle persone trans, ed è
evidenziata la necessità di implementare strumenti di formazione mirati e
specifici sia tra i soggetti trans (i quali possono non riconoscersi nell’intento
programmatico del M.I.T. pur usufruendo dei suoi servizi) e gli operatori
del movimento (nell’ottica di un miglioramento continuo), sia all’interno
della popolazione generale, affinché siano estirpate le radici della paura
dell’altro e si consegua una società armonica e collaborativa nel rispetto
delle differenze.
Nel terzo capitolo, infine, presento alcune biografie di personaggi
transessuali legati alla storia del M.I.T., come Marcella Di Folco, storica
leader alla guida dell’associazione per 22 anni (fino alla morte avvenuta nel
2010), la cui storia di vita è stata registrata seguendo la narrazione del
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regista Simone Cangelosi, amico personale della Di Folco e attualmente in
procinto di pubblicare un film documentario sulla vita di lei. Le altre due
interviste sono di tipo autobiografico, con Laurella Arietti a raccontare il
suo recente ingresso nell’universo e nel movimento trans di Verona,
ponendo l’accento sul sostegno ricevuto dal M.I.T. di Bologna, e Regina
Satariano a riportare la sua storia personale e politica nel territorio toscano e
in particolare nella zona di Viareggio.
La scelta di raccontare delle storie di vita, oltre a voler colmare una
lacuna documentaria, è motivata dal riconoscimento che il moltiplicarsi
delle voci nel corso degli ultimi due-tre decenni ha permesso che
l’imperialismo culturale del binarismo di sesso e genere fosse infine messo
in discussione, e che la discriminazione che esso crea fosse pertanto resa
ingiustificata, sebbene ancora oggi questo processo sia stato affrontato
soltanto da una piccola parte dell’opinione pubblica. Lo hanno affrontato
tuttavia molti studiosi: secondo Martine Rothblatt e Diana Nardacchione,
teoriche e scrittrici transgender,
il maschile e il femminile sarebbero stereotipi culturali ai quali nella
storia sarebbe stato attribuito erroneamente il rango di identità
biologiche. Il considerare gli stereotipi sessuali come fenomeni
congenito/biologici attribuisce loro apparentemente le caratteristiche
di immutabilità e di impermeabilità ad ogni tentativo di manipolazione
esterna. Questo finisce con l’essere “politicamente corretto”, vale a
dire coerente e sinergico con l’organizzazione della società che
prevede ruoli e status differenti per uomini e donne.
1
Le due scrittrici arrivano ad ipotizzare la fine dell’era del binarismo, e
la libertà di ognuno di “essere o non essere o di come essere “uomo” o
“donna””
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riportando sia l’identità di genere che l’orientamento sessuale a
una dimensione irrilevante per quanto concerne l’assegnazione dei diritti
sociali. La realizzazione di tale ipotesi deve però passare necessariamente
attraverso delle iniziative concrete che contribuiscano non solo
deduttivamente a un cambio di rotta nell’attuale sistema di cultura etero
patriarcale; e qui sta l’importanza delle associazioni come il M.I.T.
1
“Cosa vogliono dai nostri corpi?” http://anarcoqueer.wordpress.com, 2011, p. 4.
2
ivi, p. 5.
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all’interno della vita personale. Tuttavia bisogna sempre tenere a mente che
la condizione trans è anzitutto una condizione naturale e privata, pur
portando con sé un peso pubblico e politico notevole dal momento che viene
manifestata in una società dove il binarismo di genere e sesso e
l’eteropatriarcato sono ancora valori molto forti. A questo proposito si
esprime così lo scrittore Zachary Nataf:
Non ho scelto di essere transessuale, né ho mutato i ruoli di genere in
segno di protesta contro l’oppressivo sistema di genere della società.
Ho fatto solo in modo di raggiungere un’autenticità e un aspetto
esteriore che siano profondamente stabili per me stesso, in quanto
essere dotato di un genere. Nel corso della transizione sono diventato
pienamente e realmente me stesso, sospendendo quell’influenza
simbolica esercitata dalle norme sociali sul mio corpo allo scopo di
tenerlo per me. Quello che è innaturale è proprio la rigidità delle
norme.
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In questo obbligato percorso di emancipazione che vivono le persone
trans sta la valenza didattica dell’approfondire questa tematica.
L’identificarsi con un genere ed il rapporto tra questo, la sessualità e il
corpo stesso non sono questioni afferenti soltanto alla minoranza che vive
un disagio fisico, provocato peraltro non dalla propria natura ma dallo
scontro con le imposizioni culturali e sociali. Il desiderio di
autodeterminazione e il relativo processo di conoscenza del sé sono
tematiche in cui chiunque è coinvolto; ma chi vive in condizioni che
restano nei limiti delle norme stabilite non ha l’urgenza di diventare
“soggetto attivo di una pratica di liberazione”
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che interrompa
l’accettazione acritica degli obblighi morali della nostra cultura e della
nostra società. In questo senso l’esperienza trans arriva a definirsi
come “non movimento”, [bensì] piuttosto come “sentire fluido” in
espansione costante nei tessuti del sociale, proponendo un messaggio
fortemente libertario di interpretazione del sé che parte dalla verifica
della propria non adesione agli stereotipi e ai dettami del controllo
sociale sul corpo e le sue forme espressive. […] Transgender è quindi
3
in Fruggeri, L. et al., I transessuali nel discorso comune. Uno studio sulle
rappresentazioni sociali delle persone transessuali in un campione italiano, UNI.NOVA,
Parma 2007, p. 32.
4
http://anarcoqueer.wordpress.com, op. cit., p. 10.
10
la consapevolezza della rivoluzionarietà dell’autolegittimazione di
qualunque risultante, sia di pattern [rispetto all’identità di genere, al
sesso biologico e all’orientamento sessuale] che identitaria,
interpretata in chiave di critica situazionista e opposta ali dettami della
logica binaria.
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Osservandola secondo questa prospettiva, l’esperienza transessuale e
transgender acquisisce un grande potere armonizzante, poiché è intesa come
propagarsi di un “sentire fluido”, che va a scardinare l’intero gioco delle
opposizioni culturali, sia quelle del maschile opposto al femminile sia quelle
ancora più generali della devianza opposta alla norma stessa. Va da sé che
qualora l’intero paradigma normativo basato sull’antagonismo con la
devianza dovesse essere finalmente scardinato, a trarne giovamento non
sarebbe solo la minoranza trans ma ogni essere umano, a cui verrebbe
offerto non uno schema da seguire, ma un infinito ventaglio di possibilità da
ridiscutere continuamente.
Sebbene questa ipotesi potrebbe sembrare utopistica o irrealizzabile
poiché mette in crisi i cardini stessi dell’attuale ordine sociale e culturale,
essa è un ottimo spunto di riflessione per renderci più consapevoli di quanto
siano condizionanti gli schemi culturali e concettuali che abbiamo ricevuto
in eredità dall’inizio della nostra storia fino a oggi, rispetto al nostro
sviluppo in quanto esseri umani. Allo stesso tempo, approfondire
l’esperienza trans ci fornisce la speranza che questi schemi possano essere
rotti e che le tendenze possano essere invertite, passando così da un mondo
basato sull’opposizione come fondamento della definizione a un mondo
basato sull’inclusività e sulla libertà di vivere in accordo col proprio sentire.
5
Cfr. Helèna Velena in Zanini, A. e Fanini, U., Lessico postfordista. Dizionario di idee
della mutazione, Feltrinelli, Milano 2001.