rimandando al primo capitolo per una rassegna più esaustiva.
L’originalità del percorso storico di questo paese lo pone al centro
dell’interesse per lo studioso delle società del Medio Oriente, poiché in esso
possiamo rintracciare elementi di continuità con la cultura e la tradizione araba, e
momenti di profonda rottura.
A partire da un interesse generale per questo paese, e per la specificità del
suo tentativo di apertura democratica, abbiamo ritagliato un ambito di studio che
riteniamo possa contribuire a delineare i tratti della società civile, e a rendere conto
di una delle forze che dal basso spinge per la democrazia e la modernizzazione
Una cittadinanza di seconda classe
In molte società islamiche contemporanee le relazioni di genere patriarcali
sono mantenute attraverso forme precapitalistiche di economia e un ordinamento
della società basato sul potere del padre; la proprietà, la residenza e discendenza
procede lungo la linea maschile; il principale compito della donna è il matrimonio e
la cura dei figli; l’uomo più anziano ha l’autorità su tutti i membri della famiglia,
incluso il maschio più giovane, e le donne sono soggette a specifiche forme di
controllo e subordinazione. Questo tipo di ordinamento patriarcale è evidenziato
dalla precoce età di matrimonio, l’alta fertilità e l’importanza della verginità e delle
virtù della donna per l’onore della famiglia
3
.
Le forme di economia più diffuse nel mondo arabo limitano l’accesso delle
donne al lavoro: l’economia petrolifera, il settore più importante per il prodotto
interno di molti paesi arabi, aveva scoraggiato il lavoro femminile, sia dalle parte
della domanda che dell’offerta
4
: l’ideale di uomo breadwinner e donna homemaker
rimane prevalente nelle società musulmane: se ne trova espressione nelle leggi sulla
famiglia, nei contratti matrimoniali e nella cultura, e esso limita le scelte delle
3
vedi Charrad, M., States and Women’s Rights. The making of Postcolonial Tunisia, Algeria and
Morocco, Berkley, The University of California Press, 2001; Knauss Peter R., The persistence of
Patriarchy: Class, Gender and Ideology in Twentieth Century Algeria, Boulder, Colo, Westview
press, 1987;Moghadam, V. M.,”Introduction and overview: Gender Dynamics of Nationalism,
Revolution and Islamization”, in Moghadam, V. M. (Editor), Gender and National Identity:
Women politics in Muslim societies, London: ZED Books and Karachi: Oxford University Press,
1994
4
Moghadam, V. M, 1998, Op.cit.
2
donne, le opportunità e la partecipazione, incluso l’accesso al lavoro.
Le leggi sulla famiglia riflettono e rinforzano lo stato delle relazioni di genere
e specialmente lo status delle donne; in Algeria il diritto di famiglia è basato sulle
interpretazioni della Sharia, che rispecchiano le attitudini patriarcali e codificano la
subordinazione della donna.
Un fattore che complica e confonde la cittadinanza delle donne è la
discrepanza tra la Costituzione, che garantisce pari diritti per gli uomini e le donne,
e il Codice della famiglia che deriva dalla Sharia e che mina questa promessa.
Contrariamente alle garanzie costituzionali di un’eguale cittadinanza, il codice della
famiglia delinea differenti diritti e obblighi per donne e uomini, le leggi religiose
sono elevate allo status di leggi civili e il credo religioso è una condizione per la
cittadinanza.
Il nostro oggetto di studio: i movimenti sociali
L’oggetto osservato in questo lavoro è il movimento femminile; l’abbiamo
identificato a partire della definizione che propongono Dalla Porta e Diani:
Il concetto di movimento sociale si riferisce a reti di relazioni
prevalentemente informali, basate su credenze condivise e solidarietà, che si
mobilitano su tematiche conflittuali attraverso un uso frequente di varie forme di
protesta
5
.
I movimenti sono quindi composti da reticoli dispersi e debolmente connessi
di individui che si sentono parte di un medesimo sforzo collettivo. Sebbene
esistano organizzazioni che fanno riferimento ai movimenti, essi non coincidono
con le organizzazioni. I movimenti si caratterizzano infatti per non avere membri,
ma aderenti, simpatizzanti, e vi si può quindi partecipare senza far parte di
nessuna organizzazione in particolare. Queste reti di relazioni assolvono alla
funzione di permettere la circolazione della risorse necessarie per l’azione, e
l’elaborazione di interpretazioni condivise della realtà. Credenze condivise e
solidarietà sono d’altra parte un elemento imprescindibile, in assenza della quali
avremmo solo individui interconnessi, senza alcun fine particolare. L’elaborazione
di visioni del mondo e sistemi di valori alternativi a quelli dominanti è infatti una
5
Della Porta, D., Diani, M., I movimenti sociali, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997, Cap 1
3
delle caratteristiche che rende i movimenti sociali protagonisti del mutamento
sociale, attraverso la proposta di innovazioni che si pongono in rottura con lo
status quo precedente. Questi attori sono quindi impegnati in conflitti, culturali e/o
politici per promuovere od ostacolare il mutamento.
L’ultimo elemento della definizione è il ricorso alla protesta, che distingue i
movimenti da forme più strutturate di accesso alla politica.
Movimenti sociali e mondo arabo
Abbiamo quindi individuato il nostro oggetto di studio a partire da un
insieme di concetti che sono stati elaborati per definire un movimento sociale
all’interno di una cultura occidentale, in un contesto politico democratico. Tutta la
teoria della protesta nasce in effetti per spiegare fenomeni collettivi di rottura che
si sono prodotti, e che continuano a mostrare la loro salienza, all’interno delle
democrazie occidentali. Tuttavia la loro applicazione ad altri contesti, quali
l’America latina
6
e l’Oriente si è dimostrata fruttuosa. Al contrario l’applicazione
dei modelli forniti dalla teoria della protesta ha fatto comparsa solo recentemente
nello studio dei movimenti sociali nel Medio Oriente e nel Magreb
7
. Questa
carenza è sottolineata da Bennani-Charaïbi e Fillieule, che sostengono la necessità
di abbandonare “l’idea di una differenza ontologica tra società democratiche e non
democratiche; il mito di una specificità culturale e religiosa irriducibile di queste
società; la focalizzazione sull’integralismo islamico a detrimento di tutte le altre
modalità di protesta”
8
.
Il nostro lavoro si colloca dunque nel tentativo di applicare degli strumenti
della teoria della protesta al movimento femminile nel Magreb, allo scopo di
6
citiamo soprattutto la letteratura sul movimeento femminile, che noi abbiamo preso maggirmente
in considerazione; Jaquette, J. S.(editor), The Women’s Movement in Latin America: Participation
and Democracy, Boulder, Westview Press, 1994; Huiskamp, Gerald, “Identity politics and
transition in Latin America: (Re)organizing women’s strategic interests through community
activism”, Theory and Society, vol.29, n.3, 2000, pp.385-424; Ray, Raka, Fields of Protest,
Minneapolis, Minn; London, University of Minnesota Press, 1999
7
Bennani-Charaïbi, M, Fillieule, O. (sous la direction de), Ré sistances et protestations dans les
sociétés musulmanes, Paris, Presses de Sciences Po, 2003; Lust-Okkar, Ellen, Restructuring
conflict in the arab world. Incombents, opponenents and istitutions, Cambridge, Cambridge
University Press, 2005
8
Bennani-Charaïbi, M, Fillieule, O. (sous la direction de), Ré sistances et protestations dans les
sociétés musulmanes, Paris, Presses de Sciences Po, 2003, pag.23
4
testarne la validità per uscire da una visione puramente descrittiva
9
Movimento, Movimenti
All’interno di quello che abbiamo definito in maniera generale movimento
femminile, dobbiamo distinguere analiticamente tre tipi di mobilitazione.
I gruppi femministi che nascono in seno a partiti politici marxisti e in
generale di estrema sinistra sono le mobilitazioni più vicine alle esperienze del
femminismo occidentale; frustrate dall’apatia della loro controparte maschile, un
numero di donne militanti forma riflessioni indipendenti sulle donne e gruppi di
azione, cercando di combinare un’analisi femminista con un ampio cambiamento
sociale.
Una seconda classe di mobilitazione comprende donne precedentemente
inattive che raggiunsero le strade durante il periodo del terrorismo, per protestare
contro l’assassinio o la scomparsa dei loro familiari. Le somiglianze sono evidenti
con le Madres de la plaza de Mayo in Argentina, per le quali Jaquette afferma
“Queste donne non sono femministe, al contrario, la loro solidarietà e le loro
strategie politiche sono un’estensione dei loro tradizionali compiti familiari.”
10
L’ultimo modello di azione politica femminile include un’ampia varietà di
gruppi di mutuo aiuto formatisi per fornire sostegno materiale e psicologico, luoghi
di riunione, biblioteche; anche queste associazioni non si rifanno ad un’identità
femminista, ma si propongono di migliorare le condizioni delle donne nella loro
identità di madri e di mogli., nel loro ruolo di custodi della famiglia e della
comunità.
Il contromovimento: il movimento delle donne islamiche radicali
Vale la pena accennare ad un altro movimento ancora costituito da donne.
Esso tuttavia non sarà considerato in questo lavoro poiché, se i tre movimenti che
abbiamo distinto sopra possono essere comunque considerati in maniera unitaria in
9
La letteratura che possediamo sul movimento femminile algerino è in effetti pe rlo più
descrittiva.
10
Jaquette, cit in Huiskamp, G., “Identity politics and transition in Latin America: (Re)organizing
women’s strategic interests through community activism”, Theory and Society, vol.29, n.3, 2000,
pag 389-390
5
quanto legati da una comune matrice laica e dalla frequente condivisione delle
attiviste, quest’ultimo si configura piuttosto come un contromovimento, legato ai
fondamentalisti islamici, che nasce esplicitamente con lo scopo di contrastare i
movimento femminista nascente.
Il 21 dicembre 1989, di diverse migliaia di donne musulmane manifestarono,
con un servizio d’ordine dei “barbuti”, con slogan contro la mixité e le aggressioni
culturali “Not East, Not West! Islam is the Best!”
11
Le donne integraliste difendono il diritto all’istruzione e al lavoro, ma
all’interno dei limiti delle professioni tradizionalmente femminili, come quella
medicale e l’insegnamento
12
.
Riconoscono la possibilità di divorziare per le donne, “poiché l’islam
riconosce questo diritto”, e insistono sulla necessità per le donne divorziate di
poter mantenere l’alloggio, poiché anche questo è specificato nel Corano
13
.
Non rimettono in causa l’obbligazione del tutore per le nozze e il dovere di
obbedienza al marito, né il principio della dote e dell’eredità differente
14
e
denunciano le associazioni femministe favorevoli all’abrogazione del codice come
contrarie alla Sharia e quindi a Dio.
L’impegno integralista appare come un mezzo di emancipazione per le
donne, il portare il velo è legato alla conquista di uno statuto nuovo per la donna e
la sua emancipazione nei confronti della famiglia. La donna è presentata come
attore dell’islamizzazione della società in rapporto agli uomini del movimento
integralista e le donne sono le più esigenti in termini di morale islamica
15
.
Il ruolo della donna come attore nello spazio pubblico è chiaramente
rivendicato da questo movimento che, attraverso la militanza per l’edificazione di
una società islamica, spinge per una certa emancipazione femminile. Le donne del
movimento non solo entrano nello spazio pubblico partecipando a manifestazioni
che si svolgono in strada, ma pubblicano articoli sui giornali, partecipano a dibattiti
televisivi. Ciò che differenzia questo movimento da quello che noi considereremo
11
“Le defi des féministes algèriennes”, Cahiers du feminisme n.53, été 1990, in Dossier
d’information sur la situation en Algérie. Résistance de femme et solidarieté internationale,
WLUM, n.1, Mars 1995, pap274-277
12
Ibidem
13
Ibidem
14
il Corano stabilisce che la donna debba ricevere la metà dell’eredità che le spetterebbe se fosse
un uomo.
15
Boucaille, Laetitia, “L’engagement islamiste des femmes en Algérie”, Maghreb-Machrek, n.144,
1994, p 111
6
non è dunque il desiderio dell’emancipazione femminile, ma come questa debba
essere ottenuta e cosa significhi.
“Femminista” e “Femminile”
Nel corso di questo lavoro useremo sia i termini femminile che femminista,
riferendoci al movimento, generando forse confusione . La prima ragione di questa
apparente contraddizione è da ricollegarsi a quanto affermato sopra: analiticamente
dobbiamo distinguere tre tipi di movimento, tra questi solo uno è maggiormente
ricollegabile alla definizione di “femminista” come lo intendiamo in occidente. Nel
corso del lavoro tuttavia questa distinzione tra i diversi movimenti, seppure
corretta dal punto di vista teorico, è apparsa a tratti sfocata nella pratica. Questi
movimenti, come vi abbiamo accennato prima, condividono attiviste, repertori e
spesso le identità si rimodellano in risposta a specifici stimoli ambientali.
Usciremo quindi da una distinzione rigida tra i due termini, utilizzando uno o
l’altro a seconda dell’identità prevalente in quel contesto.
La distinzione di Molynaux
16
degli “interessi di genere” in “pratici” e
“strategici” può essere un utile strumento per dare un senso ai concetti di
“femminile” e “femminismo”
17
, tuttavia adottando questo modello assumiamo
implicitamente che l’identità sia definita dal tipo di interessi che spingono
all’azione. Secondo la teoria dell’autrice francese, gli “interessi pratici”
scaturiscono dalla divisione sessuale del lavoro e sono derivati induttivamente;
quelli “strategici” invece nascono dalle esperienze vissute, sono derivati
deduttivamente e sopraggiungono solo quando i primi sono stati presi in
considerazione.
Nel modello di Molyneux gli interessi sono predeterminati, anche se
assumono priorità differenti in differenti momenti. Con Ray
18
assumeremo una
prospettiva che invece di partire dal criterio oggettivo attraverso il quale
l’oppressione delle donne è giudicata - i loro interessi -, muove da un criterio più
16
Molineaux, cit in Ray,R., Korteweg A.C., “Women’s Movements in the Third World: Identity,
Mobilization and Autonomy”, Annual Review of Sociology, Vol 25, 1999, pp. 47-71
17
Alvarez, cit. in ibidem
18
Ray,R., Korteweg A.C., Ibidem
7
soggettivo, le loro identità.
Organizzazione della tesi
Le tematiche che abbiamo brevemente esposte costituiscono il punto di
partenza del nostro lavoro, organizzato in sei capitoli.
Il primo capitolo mira ad offrire una visione di insieme del movimento
femminile algerino, inserita nel contesto socio-politico. Le ragioni alla base della
creazione di un lungo capitolo che si configura in qualche modo come introduttivo ,
sono molteplici. In primo luogo siamo consapevoli di occuparci di un paese
altrimenti poco conosciuto, in ogni caso diverso da quello di chi scrive e
presumibilmente da quello di chi leggerà. Le nostre ipotesi e analisi rischierebbero
così di rimanere eccessivamente vaghe e lontane, senza un accenno al contesto in
cui sono inserite. Questo è infondo un corollario di una postulata salienza delle
caratteristiche dell’ambiente per comprendere i meccanismi che si originano in seno
al movimento.
La seconda ragione è l’esigenza di un luogo in cui mettere ordine al succedersi
degli avvenimenti, che costituisca un riferimento costante. Il terzo motivo, ma non
il meno importante trova fondamento proprio nel modo in cui ci siamo avvicinati
allo studio del movimento femminile in Algeria: perché riteniamo che sia una delle
forze più importanti che spingono per la democrazia e la modernità. Sarà quindi di
estrema importanza entrare nei meccanismo storico-politici del paese per
comprendere come esso entra nel discorso politico, e quale portata abbiano le
rivendicazioni che porta avanti.
Il secondo capitolo espone i principali modelli della letteratura che abbiamo
utilizzato nel corso del lavoro. Esso non esaurisce naturalmente tutto l’apparato
teorico di cui ci siamo serviti, ma vuole costruire una prima struttura, dalla quale
emergono ipotesi e suggerimenti per la loro verifica.
Il terzo, è un capitolo metodologico: per convalidare le nostre ipotesi
abbiamo fatto ricorso ad un’analisi qualitativa, e in piccola parte quantitativa, di un
variegato materiale empirico: volantini, dichiarazioni, articoli di giornale; i dati da
noi raccolti sono stati poi affiancati dalla rielaborazione di una letteratura
descrittiva ad hoc che è riuscita a confermare ipotesi laddove i dati erano troppo
8
esigui . Mostreremo dunque in che modo abbiamo operato, e quali sono i limiti e le
virtù di uno studio così concepito.
I capitoli quarto, quinto e sesto analizzano distintamente tre ambiti di
interesse sui quali abbiamo focalizzato la nostra attenzione: la nascita del
movimento, la latenza durante il terrorismo, le controversie e le coalizioni. Questi
capitoli costituiscono la parte centrale di questo lavoro, in essi saranno esposte le
nostre ipotesi e i risultati dell’analisi dei dati e della letteratura, nel tentativo di
offrire un contributo originale.
9
Capitolo 1
Inquadramento storico
La storia dell’Algeria presenta molti aspetti di interesse, noi tenteremo di
coglierne gli aspetti rilevanti per la formazione di una questione di genere e per
l’emergere di un movimento come quello femminile che si richiama ai principi
dell’uguaglianza e della democrazia.
L’intento di questo capitolo non è di illustrare la storia dell’Algeria, pertanto
i salti saranno spesso vistosi, e tralasciati o appena accennati momenti storici
fondamentali come quella che ha preso il nome di “Era Boumedienne”; il suo scopo
è invece quello di costruire un percorso descrittivo che sia al tempo stesso una
sorgente di interrogativi e un riferimento storico entro cui leggere le analisi e le
teorie che svilupperemo nel corso del lavoro.
Nella narrazione si intrecceranno quindi una macro storia, quella della
nazione, dalla sua recente nascita ad oggi, e una micro storia, quella del movimento
femminile.
1. La nascita dell’Algeria indipendente
1.1. Una colonia di popolamento
Il 5 luglio 1830 il dey di Algeri Hussein si arrese alle truppe inviate da Carlo
X. Dal quel momento iniziò la storia coloniale del Algeria. Al momento della
conquista francese l’Algeria nominalmente faceva parte dell’impero Ottomano, ma
10
in realtà il controllo turco si estendeva unicamente su Algeri e i suoi dintorni
1
, la
maggior parte della popolazione si trovava in uno stato di autonomia tribale. Fu
anche per questo motivo che i francesi furono occupati nella conquista per molti
decenni e per cui la dialettica tra colonizzazione e resistenza della nazione arabo-
algerina non venne mai meno
2
.
L’idea centrale, che ispirò la politica coloniale francese fu quella
dell’assimilazione; essa si basava sul duplice presupposto di una mancanza di
individualità storico-culturale del territorio e dell’universalità della cultura francese.
L’assimilazione assunse caratteri particolarmente intensi anche perché le
condizioni ambientali favorevoli e la vicinanza con la Francia ne fecero una colonia
di popolamento. Tra il 1948 e il 1950 sbarcarono in algeria 20 mila coloni, dando
via ad un sistematico spossessamento delle terre migliori con conseguente
espulsione degli indigeni
3
. Il sistema economico-sociale algerino si basava sulla terra
e il regime della terra si articolava sulla proprietà e il lavoro della cerchia tribale; i
coloni francesi delimitarono ed espropriarono i douar
4
, e tutte quelle terre di cui i
nativi non potevano dimostrare la proprietà. La terra fu inoltre confiscata a coloro
che dimostravano ostilità nei confronti del governo francese, come avvenne in
seguito alla rivolta delle tribù Cabile nel 1871. In questo modo il governo coloniale
si assicurò terra e braccia per le attività produttive e le opere pubbliche, ma in
questo modo si procedette alla distruzione del organizzazione politica indigena,
largamente basata sulla tribù
5
. Il risultato delle politiche agricole fu che nel 1954 il
92% delle terre coltivate erano possedute da coloni europei, i quali
rappresentavano il 15% della popolazione
6
.
Nel 1870 la colonia fu dichiarata ufficialmente parte della Francia, e come
tale era direttamente amministrata da Parigi, attraverso funzionari francesi a tutti i
livelli; anche quando nel 1900 si procedette ad un decentramento che concesse
all’Algeria personalità morale e giuridica, non venne meno l’idea di assimilazione
poiché la politica e la cultura della Francia erano portate sul suolo coloniale
1
Charrad, M., States and Women’s Rights. The making of Postcolonial Tunisia, Algeria and
Morocco, The University of California Press, 2001
2
Calchi Novati, G., Storia dell’Algeria indipendente, Bompiani, Milano, 1998, pag 17
3
Ibidem
4
sezione di territorio occupata da una tribù
5
Ibidem, pp. 11-37
6
Marshall, S. E., Stokes, R. G., “Tradition and the Veil: Female Status in Tunisia and Algeria”,
The Journal of Modern African Studies,Vol 19, n.4, Dec 1981, pp 625-646.
11
attraverso la mediazione dei coloni francesi, a vantaggio dei quali dovevano
intendersi tutte le concessioni
7
.
La leadership politica indigena fu dunque completamente estromessa dalla
politica e dall’amministrazione. A rafforzare un esclusione di fatto, il Code de
l’indigénat sanciva giuridicamente la privazione di molti diritti civili e giuridici;
esso fu imposto nel 1887 dalla Francia a tutte le sue colonie, allo scopo di
mantenere “il buon ordine coloniale”, e comprendeva una serie di divieti speciali,
dall’abbandono del paese senza permesso, alle riunioni senza autorizzazione, che
non ledevano la legge francese, e come tali venivano applicati ai soli indigeni.
8
La politica di coercitiva assimilazione pose una particolare enfasi nel
rompere le tradizioni culturali e religiose; se da una parte la fede islamica veniva
sottolineata a scapito della nazionalità (per non definire gli indigeni “algerini”, essi
erano chiamati musulmani), dall’altra veniva disprezzata e denigrata come un
impedimento alla promozione personale: attraverso la fede musulmana passava
uno dei più sicuri canali dell’identità algerina, tanto che i francesi imposero come
condizione per l’acquisizione della nazionalità francese e quindi dei diritti civili
l’abbandono dello “statuto coranico”. Tuttavia tra il 1866 e il 1934 furono
soltanto 2500 gli algerini naturalizzati.
9
In questo modo, la dialettica colonizzatori-colonizzati produsse nella
popolazione algerina un’identità nazionale sconosciuta prima dell’arrivo dei
francesi; essa nacque in negativo, come risposta all’assalto dell’identità etnica della
popolazione nativa: l’Algeria per meglio affermare la sua singolarità opponeva la
propria differenza, “che passava essenzialmente per la religione”
10
; le campagne
francesi contro le leggi islamiche e le tradizioni che governavano la famiglia, ebbero
come risultato quello di assurgere questi valori a vessilli, tanto che molte donne
iniziarono a portare il velo come segno di resistenza all’occupazione francese.
I caratteri della colonizzazione sono il primo elemento che distingue l’Algeria
dagli altri paesi del Magreb: pur essendo anch’essi colonie francesi non furono mai
considerati parte del territorio della Francia e di conseguenza poterono mantenere
una maggiore autonomia. Se per i secondi il processo di decolonizzazione avvenne
7
Calchi Novati, G., Op. cit.
8
Leclerc, J.. « Le Code de l’indigénat » in L’aménagement linguistique dans le monde, Québec,
TLFQ, Université Laval
9
Calchi Novati, G., Storia dell’Algeria indipendente, Bompiani, Milano, 1998, pp31-32
10
Bruno Etienne, cit. in Calchi Novati, G., Op. cit.
12
per concessione della Francia, e si attuò in maniera relativamente pacifica, l’Algeria
conquistò la sua indipendenza come risulatato di lunghi anni di lotta.
1.2.Le forze anticoloniali
I primi movimenti politici algerini avevano come obiettivo l’acquisizione di
una completa cittadinanza all’interno dell’Algeria francese. Il più importante di
essi, quello della Jeunesse Algeriénne collocava la sua polemica su un piano
generale, predicando la solidarietà musulmana e chiedendo la soppressione
dell’indigenato, un ampliamento della rappresentanza araba negli organi elettivi,
l’accesso agli uffici pubblici e la diffusione dell’istruzione
11
.
Il primo gruppo introdurre la questione dell’indipendenza nazionale fu
l’Etoile nord-africaine (ENA). Il Partito nacque a Parigi nel 1926 come un gruppo
di solidarietà legato al Partito Comunista Francese con lo scopo di difendere gli
interessi “materiali, morali e sociali” dei lavoratori nordafricani
12
. Ahmed Messali
Hadj ne divenne rapidamente il segretario generale, e introdusse la questione
dell’indipendenza dell’Algeria. L’Etoile chiedeva libertà di stampa e
d’associazionismo, il suffragio universale, la confisca dei territori su cui si erano
insediati i francesi e l’istituzione di scuole arabe.
I temi dell’assimilazione vennero ripresi invece dalla Federazione degli eletti,
con lo scopo di far evolvere le condizioni politiche dell’Algeria “nell’ambito delle
leggi francesi”.
Il 5 maggio 1931 nasce l’Associazione degli Ulema, con essa nasce il
nazionalismo vero e proprio; essi furono in grado di coprire l’Algeria con una fitta
rete di scuole religiose(medrassas-scuole libere), luoghi di culto e circoli culturali.
Attraverso il revivalismo islamico in chiave riformista
13
, l’Associazione introdusse
un senso comunitario fra tutti gli algerini contro la minaccia della Francia e della sua
cultura; sebbene l’obiettivo iniziale non fosse rompere con il governo coloniale, ma
resistere alle sue pressioni assimilazionistiche. Le medrassas costituirono un vero
11
Algeria: country studies-federal research division, library of congress
12
Ibidem
13
“riformista” perchè in polemica con le forme arretrate o contaminate di islamismo popolare,
come ad esempio il maraboutismo.
13
e proprio sistema scolastico parallelo alle scuole laiche francesi, in esse si
insegnava la lingua e la letteratura araba, ma anche il francese, la storia, la geografia
e la matematica. Queste scuole ebbero un ruolo fondamentale perchè è in queste
che si formano le élites amministrative ed economiche di quello che diverrà il nuovo
stato
14
.
La Federazione degli eletti e l’Associazione degli Ulema rappresentano i due
tronconi della classe media e coltivata, apparentemente antitetici poiché l’uno era
laico e riformista, l’altro immerso nella cultura araba e nella religione islamica,
tuttavia erano accomunati dall’incapacità di sottrarsi all’orbita francese.
Queste diverse posizioni mostrano come le élites possedessero lealtà divise:
gli “assimilazionisti” rappresentavano il ceto medio istruito, Messali Hadj invece,
ritornato in patria dopo la messa la bando del suo partito fondò il Parti du Peuple
Algérien allo scopo di mobilitare la classe lavoratrice. La seconda guerra mondiale e
la nascita della lega araba nel marzo 1945 portarono ad una rapida evoluzione degli
ideali nazionalisti e indipendentisti. Fu in questo clima che l'8 maggio 1945
scoppiò il primo tentativo insurrezionale delle masse organizzato dal PPA a Setif,
nell'Algeria orientale. La risposta dell'esercito occupante francese fu un massacro:
45.000 morti. Tutti i dirigenti nazionalisti furono arrestati: l’illusione di un dialogo
pacifico con la francia aveva subito un duro colpo. Il PPA venne messo fuorilegge,
ma continuò ad esistere sotto una nuova sigla: Mouvement pour le Trionphe des
Libertès Democratiques (MTLD), che si dotò di un apparato militare denominato
O.S. (Organisation Secrète). Alle elezioni legislative del 1946, il MTLD si affermò
come primo partito algerino, ma rifiutò di partecipare alla discussione sulla
costituzione dell'Algeria.
Tra il 1934 e il 1947 nacquero anche tre associazioni femminili: la sezione
donne del Parti du Peuple Algérien, l’Union de femmes algériennes
(UFA)all’interno del Parti Comuniste Algérien e l’Association des femmes
musulmanes algériennes. Queste associazioni erano tuttavia solamente dei satelliti
dei partiti politici, i quali se ne servivano per creare proseliti all’interno dei circoli
14
Cheriet, B., “The Resilience of Algerian Populism”, Middle East Report, Jan-Feb 1992
14
femminili.
15
L'accesso all’arena politica avveniva attraverso i partiti e di questi
dovevano adottare i programmi. La questione della donna era subordinata, alla
liberazione del paese o alla lotta dei lavoratori
16
. Rivendicazioni di qualsiasi tipo
dunque erano assenti o ignorate dai partiti politici in virtù della preparazione dello
sforzo rivoluzionario.
Nel luglio 1954, il MTLD si divise tra messalisti e centralisti, i secondi, così
chiamati perché costituivano la maggioranza al comitato centrale del partito,
denunciavano il culto della personalità che circondava Messali. Per risolvere la
questione e lanciare l’azione, alcuni membri dell’OS crearono un Comité
Révolutionnaire d’Unité et d’Action. Il 10 ottobre 1954 i sei membri del CRUA
decidono la lotta, dando vita a due organismi, uno politico, il Front de Liberation
Nationale (FLN) e l’altro militare, l’ALN (Armée de libération nationale)
17
.
Scarse armi e manodopera erano state deviate dalla lotta per l’indipendenza,
nello sforzo di risolvere questo conflitto politico interno, e senza dubbio contribuì
alla lunghezza della guerra
18
. Alla fine il FLN riuscì a ridurre l’importanza del
MNA e ad ottenere una instabile leadership del movimento di liberazione, ma
anche all’apice del suo potere , esso non era altro che una libera coalizione di
fazioni , ognuna con il suo proprio leader, ognuno in competizione con l’altro
19
Il
Paese viene diviso in sei zone: la zona 1 sarà diretta da Mustafà Ben Boulaid, la 2
da Didouche Mourad, la 3 da Krim Belkacem, la 4 da Rabah Bitat, la 5 da Larbi
Ben M'Hidi, la 6 resta senza titolare e Boudiaf si incarica del coordinamento. Il 22
e 23 ottobre 1954, i sei procedono alla ripartizione delle responsabilità e fissano
due principi organizzativi. Quello della decentralizzazione, lasciando molta libertà
d'iniziativa ad ogni zona e quello della "priorità dell'interno rispetto, all'estero". Il
1° novembre 1954 inizia la guerra d'Algeria.
15
Chèrifati-Merabtine legge diversamente il ruolo di queste associazioni; secondo questa autrice
infatti, esse costituirebbero il primo passo per l’entrata delle donne nell’arena politica; vedi :
Chérifati Mérabtine, D., “Algeria at the crossroads: national liberation, Islamization and woman”,
in Moghadam,V.M. (Editor), Gender and national identity,Gender and national identity: Women
politics in Muslim societies, London: Zed Books and Karachi: Oxford University Press, 1994
16
Bouatta, C., Evolution of the Women’s Movement in Contemporary Algeria: Organization,
Objectives and Prospects,Working paper n.124 , UNU/WIDER, Helsinki,1997
17
Le Monde. Dossiers et Document, n.307, mars 2002.
18
Marshall, S. E., Stokes, R. G., “Tradition and the Veil: Female Status in Tunisia and
Algeria”, The Journal of Modern African Studies,Vol 19, n.4, Dec 1981, pp 625-646.
19
Ibidem
15