7
sia degli aspetti "intellettuali" come ad esempio i riti, i
miti o le osservazioni scientifiche.
Il periodo storico considerato, va dal resoconto del
missionario italiano Francesco Giuseppe Bressani, che
tratta del suo soggiorno in nord america dal 1642 al 1644,
fino al viaggio sul brigantino "Beagle", compiuto da
Charles Darwin dal 1831 al 1836. Le fonti sono costituite
per lo più da resoconti di esploratori e viaggiatori. Si
pone il problema, per altro insormontabile, della loro
maggiore o minore obbiettività, soprattutto per quanto
riguarda le testimonianze che si riferiscono agli Indigeni;
sia perché questi ultimi non hanno ovviamente lasciato
nessun documento scritto, sia perché chi invece ha scritto,
non essendo, dati i tempi, antropologo di professione, può
facilmente essersi lasciato andare ad una sorta di
etnocentrismo, e a vari pregiudizi o condizionamenti di
ordine religioso, morale, politico e razziale. Si ha quindi
la consapevolezza che non essendo possibile trattare di
come gli Indigeni consideravano gli animali, si tratterà,
più propriamente, di come gli Europei reputavano che gli
Indigeni considerassero gli animali; confidando che non
sempre gli autori dei resoconti in questione, abbiano, più
o meno consapevolmente, alterato la realtà dei fatti.
8
I OFTEN wonder where lie hidden
the bounderies of recognition
betweewn man and the beast whose
heart knows no spoken language.
Through what primal paradise in a
remote morning of creation ran the
simple path by which their hearts
visited each other.
Those marks of of their constant
tread have not been effaced tough
their kinship has been long
forgotten.
Yet suddenly in some wordless
music the dim memory wakes up and the
beast gazes into the man's face with
a tender trust, and the man looks
down into its eyes with amused
affection.
It seems that the two friends meet
masked, and vagnely know each other
through the disguise.
R. Tagore
(Spesso mi chiedo ove siano nascosti/ i confini del
riconoscimento/ fra l'uomo e la bestia, il cui cuore/ non
ha il dono della parola./ In quale paradiso primevo,/ in un
remoto mattino di creazione,/ correva il semplice sentiero/
che legava i loro cuori?/ Le tracce dei loro passi/ non
sono mai state cancellate,/ sebbene la loro parentela/ sia
da molto tempo scordata./ Ma all'improvviso l'oscura
memoria/ si desta in una musica senza parole,/ e la bestia
guarda in viso l'uomo/ con una tenera fiducia,/ e l'uomo la
guarda negli occhi/ con divertito affetto./ Sembra quasi
che i due amici/ s'incontrino mascherati,/ e attraverso il
travestimento/ vagamente si riconoscano.)
9
I.
LA CACCIA
Di tutti i rapporti dell'uomo con gli animali, la caccia
è forse il più antico e senz'altro uno fra i più intensi,
diffusi ed emotivamente coinvolgenti. Se ne ha una conferma
immediata, ancorché empirica, semplicemente constatando che
la maggior parte dei racconti sugli animali nei continenti
extra-europei, tramandatici dagli autori considerati nel
presente lavoro, si riferisce per l'appunto a tale
argomento.
EUROPEI
Per gli Europei appartenenti alle classi meno
privilegiate, la caccia in quelle terre nuove, vergini e
rigogliose deve rappresentare qualcosa di più che un
semplice appagamento dell'istinto di sopravvivenza. Essa è
anche una sorta di liberazione, giacché l'uccisione dei
grossi animali selvatici nei loro paesi d'origine, viene in
un certo senso considerata una prerogativa
dell'aristocrazia. Difatti una delle più propagandate
10
accuse presenti nei registri degli Stati Generali, al
principio della Rivoluzione Francese, concerne gli abusi
dovuti al fatto che praticare la caccia sia un privilegio
riservato soltanto ai ceti egemonici ed ai proprietari
terrieri. Perciò, fermo restando che ogni essere vivente se
non proprio amato vada almeno rispettato, non ci si deve
meravigliare oltre misura dei massacri di animali, assai
spesso drammaticamente non giustificati dal bisogno,
consumati dai nostri progenitori, una volta raggiunte le
terre "da civilizzare"; d'altronde molte stragi perpetrate
ai danni dei "selvaggi" non furono meno inutili ed atroci.
Si deve inoltre tener presente l'effetto psicologico che
può scaturire dall'impatto con una natura multiforme,
esuberante e piena di novità al contempo affascinanti e
temute. Di certo questo incontro produce qualche
conseguenza su uomini abituati alla timidezza e alla grigia
monotonia che sovente caratterizza la natura dell'Europa
settentrionale, imbiancata dalla neve per buona parte
dell'anno. A tal proposito Adalbert Von Chamisso
2
così
scrive:
2
Poeta e naturalista tedesco di origine francese (1781 castello di
Boncourt, Champagne - 1838 Berlino), fu naturalista di bordo nella
spedizione russa Rurik comandata dal capitano Von Kotzebue, dalla
quale derivò un'opera letteraria (vedi nota 2) ed una scientifica:
"Osservazioni e considerazioni durante un viaggio di scoperta guidato
da Kotzebue").
11
"Ci si può immaginare che il contrasto immediato tra una
vegetazione di tipo nordico ed un ambiente del sud provochi
subito un'eccitazione straordinaria nei viaggiatori di
punto in bianco trapiantati da uno all'altro."
3
Tuttavia sarebbe sbagliato credere che le più efferate
stragi di animali si siano consumate esclusivamente nei
climi tropicali; vere e proprie carneficine avvengono anche
alle basse latitudini. Basti pensare a quanto accade nelle
cosiddette "isole dei trichechi", al secolo San Giorgio e
San Paolo (situate nel Mare di Bering), dalla loro
scoperta, avvenuta ad opera del capitano russo Gerasin
Pribiloff alla fine del '700, fino alla seconda metà del
secolo successivo. A causa di una forte domanda di pelli e
di grasso sterminati branchi di otarie e trichechi sono
massacrati senza ritegno.
4
Con essi periscono altre specie,
colpevoli, come racconta Adalbert von Chamisso, soltanto di
trovarsi ad abitare le medesime isole:
"I nidi degli uccelli marini che vengono a covare tra
queste rocce sono regolarmente saccheggiati: gli uomini
fanno affari con foche ed uccelli, come se questi esseri
fossero passati alle loro dipendenze"
5
.
3
Da "Viaggio intorno al mondo", Napoli, 1985, p. 39.
4
LAFFONT Robert, "L'uomo e l'animale", Milano, 1964, trad. E. Spagnol
Vaccari, p. 226.
5
VON CHAMISSO A., op. cit., p. 159.
12
La caccia come diletto
Non sempre gli Europei uccidono per lucro o per
necessità, assai spesso per loro la caccia rappresenta uno
spasso straordinariamente appagante, tanto che per
soddisfarlo non esitano, a volte, ad affrontare situazioni
assai spiacevoli. Ad esempio Giovanni Francesco Gemelli
Careri
6
conclude in questo modo una delle sue entusiastiche
e alquanto frequenti vicende di caccia avvenute
nell'America centrale :
"(...) però il diletto della caccia fu contrappesato dal
tornar la sera a casa carico di «arrapate»."
7
Le
«arrapate», come ci spiega lo stesso autore (a conclusione
di un racconto in cui un suo aiutante mulatto rimane
infortunato ad un braccio a causa dell'assalto di un
cinghiale che avevano poc'anzi ferito) sono "animaletti
silvestri, come piattole, che dalle piante s'attaccano agli
abiti dei viandanti, e penetrano fino alle carni; talché
abbisogna gran forza, e diligenza a trarsele di dosso."
8
Anche in questa occasione egli se ne tornerà a casa ripieno
dei suddetti parassiti.
6
Viaggiò intorno al mondo fra il 1693 e il 1698.
7
Da "Giro del Mondo del dottor Gio: Francesco Gemelli Careri",
Venezia, 1719, tomo VI, p. 171.
8
GEMELLI CARERI G. F., op. cit., Tomo VI, p. 168.
13
Nelle pagine del suo diario traspare una concezione
dell'atto venatorio come diletto sopraffino. Del resto
nella sua condizione di viaggiatore privilegiato, ospite
delle personalità più importanti delle colonie spagnole,
sarebbe comunque insensato attribuire al suo desiderio di
uccidere animali un significato legato al bisogno o alla
sopravvivenza.
La caccia è per il Gemelli Careri, ma così deve essere
per la maggior parte dei suoi contemporanei, e in fondo
anche per alcuni dei nostri, un'attività naturale
dell'uomo, a cui sarebbe inconcepibile sottrarsi: anzi, ci
sarebbe di che meravigliarsi se qualcuno s'intromettesse
per impedirla. Difatti, parlando a proposito del Romitorio
dei Padri Carmelitani Scalzi, dove sono tenuti come in
libertà nel loro ambiente naturale, quasi sia un
antesignano dei moderni zoo-safari, varie specie di animali
selvatici, così scrive:
"Avendo io ucciso un cervo, dispiacque grandemente a'
Padri; per essere, non si sa perché, vietato in quel luogo
uccidere la cacciagione."
9
Sempre Gemelli Careri riferisce di un divieto di caccia
imposto per motivi di igiene pubblica dai "neo-europei" di
Vera Crux. Egli ci spiega che "i Supplitotes sono grandi
9
GEMELLI CARERI G. F., op. cit., Tomo VI, p. 97.
14
come corvi (che quivi non mangiano cadaveri come in Europa)
e di due spezie l'una ha la cresta di carne in testa,
l'altra di penne: ed essi in vece di corvi, consumano tutti
i cadaveri putridi, ed altre immondizie della Città, e
della campagna. Nella Vera Crux è vietato uccider tutti
questi uccelli, per lo beneficio, che se ne riceve: ed è
permesso uccider le colombe, dentro le case e fuori."
10
Divieti di caccia, benché non tassativi, incontrerà pure
James Cook
11
nell'isola di Ulietea:
"Alcuni de' nostri (...) uccisero diversi uccelli, fra i
quali un tordo marino: il che fu oggetto di grave angoscia
alla figlia di Oreo;" (il Re) "e alle damigelle di corte
partecipi al suo dolore. Il padre si limitò a pregarci,
onde per l'avvenire sì fatti augelli venissero da noi
rispettati , come pure gli aironi. Mi resta ancora a sapere
il motivo di tale specie di venerazione."
12
Ma deve essersi imbattuto anche in altri divieti poiché
una volta giunto in Nuova Caledonia si compiace di trovare
questa terra popolata da molte specie nuove di uccelli e
10
GEMELLI CARERI G. F., op. cit., tomo VI, p. 123.
11
Navigatore inglese (1728 Marton - 1779 Kealakekva, Hawai). Compì tre
importanti spedizioni: la prima tra il 1768 e il 1771; la seconda dal
1772 al 1775; la terza, nella quale trovò la morte per mano degli
Hawaiani, iniziò nel 1776 e si concluse senza di lui nel 1780.
12
COOK James, Secondo viaggio, "Navigazioni di Cook", Milano 1816,
tomo V, p. 135.
15
nessun rito superstizioso che ne renda sgradita la caccia
agli occhi degli autoctoni.
Non esita, il Gemelli Careri, pur di appagare la sua
brama di diletto, ad usare i mezzi più subdoli:
"«Gamita» chiamano gli Spagnuoli, un suono simile alla
voce, che fanno i piccioli cervi; per mezzo del quale
vengono le amorose madri sino alla punta dello scoppietto,
a farsi uccidere. Si tirarono molti colpi in tutto il dì ma
non morì che una cerva.(...)"
13
Né per lui è importante la sfida con un animale che sia
pericoloso o, comunque, che gli tenga testa, poiché sembra
trovare soddisfazione anche nell'attaccare i galli d'India
silvestri, facili prede in tempo di luna nuova "sopra gli
alberi secchi dove vanno a pernottare; poiché cadendone uno
a terra, non vi è pericolo, che gli altri se ne vadano a
volo, per lo strepito dell'archibugiata."
14
Durante il primo viaggio di James Cook (1768-71), per la
prima volta, in Australia, un occidentale si trovò a tu per
tu con un canguro, e come è facile immaginare, primo di una
lunga serie, un canguro restò ucciso da un colpo d'arma da
fuoco. Ma, piuttosto che a puro divertimento, la sua morte
sembra potersi addebitare a curiosità o forse ad interesse
13
GEMELLI CARERI G. F., op. cit., Tomo VI, p. 116.
14
GEMELLI CARERI G. F., op. cit., Tomo VI, p 122.
16
scientifico, come farebbe supporre la dettagliata
descrizione del cadavere:
"Mentre era fuori in campagna il signor Gore uccise uno
degli animali sopra menzionati, un esemplare piccolo che
pesava solo ventotto libbre senza enteriora. La testa, il
collo e le spalle della bestia erano molto piccoli in
proporzione alle altre parti; la coda era lunga quasi
quanto il corpo, spessa vicino alle natiche e più sottile
verso l'estremità, (...)".
15
E' doveroso inoltre aggiungere che il cadavere non
finisce sprecato in quanto il celebre capitano britannico,
dichiara di aver trovato la sua carne di gusto eccellente.
Comunque sia, non è sempre facile stabilire se, e in quale
misura, la curiosità per il nuovo (anche un cibo nuovo) e
l'interesse per l'anatomia animale, costituiscano anche un
divertimento.
Di sicuro la caccia da bordo, quando la quantità delle
riserve alimentari non desta preoccupazione, rappresenta
uno svago, durante le lunghe giornate di navigazione. E'
detto in modo più o meno esplicito in vari resoconti di
navigatori. Fra gli altri, Cook, nel suo secondo viaggio
15
COOK James, GIORNALI DI BORDO NEI VIAGGI DI ESPLORAZIONE, "Il
viaggio dell'Endeavour", Milano, 1971, trad. F. Ivrea e Flavia
Marenco, p. 306.
17
(1772-75), afferma che "Nei giorni di bonaccia ci serviva
di passatempo la caccia degli uccelli marini (...)"
16
Un uomo per cui l'attività venatoria rappresenta un
momento significativo nei suoi viaggi in Africa australe,
effettuati fra il 1780 e il 1785 è Francois Le Vaillant. E'
lui, nel 1783, trovandosi nel paese dei Namaqua ad
abbattere una giraffa, le cui spoglie saranno inviate in
Europa ed esposte al Museo di storia naturale di Parigi.
Pur essendo studioso e a suo modo rispettoso ed amante
del regno animale, dai suoi racconti si percepisce che per
lui le belve feroci sono un nemico da abbattere. I
proiettili del suo fucile, come si vedrà, non esitano di
fronte a qualsivoglia specie, dalle più aggressive alle più
innocue, vuoi per acquistare prestigio agli occhi degli
Indigeni, vuoi per alimentare la sua monumentale collezione
di uccelli, raramente per necessità.
Ad esempio l'aver abbattuto una pantera, racconta con
orgoglio, è motivo di rispetto ed ammirazione da parte
degli ottentotti, "ed infatti v'era di che arrossire in
faccia ad uno straniero il quale, alle prese per la prima
fiata con una bestia feroce, l'aveva aspettata a piè fermo
ed aveva mostrato più intrepidezza di tutti loro, sebbene
nati ed allevati, per così dire, in mezzo ai mostri
d'Africa." E ancora: "Si camminava in trionfo, accompagnati
16
COOK James, Secondo viaggio, op. cit., Tomo V, p. 195.
18
da parecchi cani, i cui padroni erano stati i primi a
scappare: Non ci si accostavano però che a qualche
distanza, tenuti in freno dalla pelle della fiera; e quando
il mio ottentotto, per maggiormente spaventarli, volgevasi
a loro, se la davano a gambe, come se avessero la tigre
viva alle spalle, del che si fece le risa.
Girarono tosto le nuove dell'impresa; si parlava da per
tutto del mio valore,(...)"
17
Quando gli verrà nuovamente chiesto di eliminare
un'altra pantera, si tira indietro asserendo che il suo
scopo non è di estinguere la specie delle "tigri", ma si
direbbe una scusa per farsi pregare, ed in un certo senso,
come egli stesso sembra ammettere, per accrescere il suo
prestigio: "«Andate» risposi all'inviato «e dite a chi vi
manda, che non fu mio scopo, qui recandomi, di venire a
distruggere la razza delle tigri; né mi sento allettato a
prestare servigio a persone senza coraggio. Se l'accidente
mi esporrà a simili incontri saprò battermi anche da solo.
Ricuso ormai gli altrui soccorsi, ma non voglio più
prestare i miei ad alcuno». Tanto il buon esito aveva
gonfiato il mio orgoglio! Se non mi tradisce la memoria, io
mi credetti un nuovo Teseo."
18
17
LE VAILLANT Francois, "Primo viaggio di F. Le Vaillant", Milano,
1968, trad. F. Contarini, Vol. I, pp. 98-9.
18
LE VAILLANT F., op. cit., Vol. I, pp. 99-100.
19
Più avanti nella sua narrazione
19
Le Vaillant afferma
che "onde destare una vantaggiosa opinione nei "selvaggi" è
buona norma "non adoperare armi quando si viaggia tra di
loro, senonché per rendere loro dei servigi, o alla caccia
o aiutandoli a distruggere le bestie feroci nemiche delle
loro gregge." Sembrerebbe che l'uccisione degli animali sia
quasi un dovere per stabilire dei buoni rapporti con gli
autoctoni; ma visto e considerato con quanta disinvoltura
egli fa fuori qualsivoglia specie, non potrebbe trattarsi
di una sorta di alibi morale per giustificare la sua brama
di uccidere, del resto, abbastanza comune fra molti dei
suoi colleghi occidentali. Ad onor del vero, è bene
precisare che l'ammirazione dei "selvaggi" dovuta
all'abilità nel colpire gli animali, ha una valida
testimonianza anche in un'esploratore che non appare
affatto vanitoso. Giacomo Costantino Beltrami
20
scrive
infatti riferendosi ai pellerossa che lo accompagnano:
"(...) i miei eran quindi molto stupiti per l'abilità
con cui abbattevo, quasi ad ogni colpo la selvaggina: dal
canto mio cercavo di giustificare con ogni mezzo il nomeche
m'avean dato, per ispirare loro un'alta opinione sul mio
conto. Avrei voluto, come i primi Spagnoli, passare per un
19
LE VAILLANT F.II, p. 280.
20
(Bergamo 1779 - Ancona 1855) Scoprì nel 1823 le sorgenti del
Mississippi.