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1.1. Una digressione storica degli studi psicologici sulla mafia
Una visione complessa della fenomenologia mafiosa pone la
necessità di elaborare un modello analitico composito,
interdisciplinare o transdisciplinare in grado di trascendere le
monoculture accademiche chiuse e spesso insufficienti a
comprenderne la realtà (Santino, 2000). L‘esigenza di far convergere
dissimili contributi teorici provenienti da ambiti di studio quali la
sociologia, l‘antropologia, la psicologia sociale, l‘economia, la
giurisprudenza, ha approfondito la tematica del fenomeno mafioso
complessificandola, comprendendone la proteiformità e la tortuosità
della sua essenza nonché il bisogno di accedere a diversi saperi per
accostarvisi costruttivamente.
Certamente, lo scandaglio delle fenomenologia mafiosa non può
dispiegarsi attingendo a poche sezioni della ricerca scientifica, ma
assume connotati più esaustivi oltreché più efficaci, anche nel
contrasto al fenomeno, quando raduna una molteplicità disciplinare
ed epistemica. L‘approfondimento del pensiero mafioso necessita
dunque, del concerto tra discipline diverse che s‘arroghino la
scottante impresa di disturbarne gli equilibri, contemplandone
l‘irriducibile specificità, per costruire strumenti efficaci di
opposizione sul piano legislativo, giudiziario, educativo, culturale,
sociale ed economico (Natoli, 1998).
La ricerca scientifica sulla mafia ha avuto un pernicioso ritardo
rispetto all‘ingente contributo della letteratura (Sciascia, 1979)
nell‘indagare l‘antropo-psichismo dell‘organizzazione criminale
mafiosa; tale dilazione diviene palese dall‘esiguità del numero dei
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lavori pubblicati in materia e dalla disattenzione degli uomini di
scienza. Soltanto a partire dagli anni Ottanta con una certa continuità
sono stati avviati studi sulla psicologia mafiosa, ed oggi, sotto
molteplici aspetti, il panorama editoriale di questi approfondimenti è
favorevolmente mutato (Lo Coco, 1998). L‘interesse scientifico ha
concepito una proliferazione costruttiva di indagini sul fenomeno
mafioso, i quali forse, necessitavano di tempi più convenienti o
maturi per venire alla luce e coagulare l‘interesse di studiosi ed
editori.
La ― preistoria‖ degli studi psicologici sulla mafia si ammanta di
indagini che traggono linfa dai paradigmi individualistici. È
soprattutto la psicoanalisi il modello di riferimento a cui si attinge,
nel tentativo di acuminare la conoscenza e la comprensione del
fenomeno criminale, scandagliandone principalmente la dimensione
dell‘immaginario (Di Lorenzo, 1996).
Nel 1982 F. Di Forti nel testo Per una psicoanalisi della mafia
teorizza le sue riflessioni dal taglio psicoanalitico sulla
fenomenologia mafiosa, maturando alcune idee riportate anni prima
in un‘ altro scritto Le radici profonde della mafia (1971). L‘autore
ritiene il modello psicoanalitico un valido metodo interpretativo per
approssimarsi alla comprensione della psiche mafiosa,
― disoccultandone la dimensione immaginaria e inconscia, esponendo
le modalità in cui la distruttività è manipolata dalle cosche mafiose‖
(ibid., p.9). Il clan mafioso, secondo Di Forti, riproduce una
― comunità fraterna‖ che sorge dalla negazione dell‘autorità del padre,
costituitosi in opposizione ad una società ufficiale e come atto
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difensivo verso ansie persecutorie provenienti dal mondo esterno (Lo
Coco, 1998).
L‘indissolubile legame statuito con il giuramento al gruppo-
famiglia criminoso, espressione di una fantasmatica ―fissazione
simbiotica‖ al corpo materno, muove le spinte pulsionali distruttive
verso l‘esterno, originando un alto grado di ―masochismo sociale‖,
tant‘è che l‘uomo d‘onore deve essere disposto a morire per la
famiglia (Di Forti, 1982). Questa disposizione masochistica viene
connessa alla realtà storica che ha visto le masse siciliane impotenti
verso le forme di dominio che hanno nei secoli aggiogato lo spirito
degli isolani, stratificandone un sentimento di oppressione e di
passività che, come tentativo compensatorio, erompe violentemente
nella brutalità degli atti del gruppo mafioso.
Più recentemente S. Di Lorenzo nel testo La grande madre mafia.
Psicoanalisi del potere mafioso, sosterrà la tesi dell‘immaturità e
della depauperizzazione della realtà psichica a cui è ricondotto
l‘individuo di mentalità mafiosa. La cavernosa identificazione
(Di Lorenzo, p.35) dell‘affiliato con il gruppo di appartenenza, lo
accompagna all‘isolamento dalla società e all‘insicurezza di sé,
corroborandone il bisogno di protezione familiare. L‘organizzazione
criminale viene concepita come la fucina della psiche
desoggettivizzata (Galimberti, 1999) dell‘uomo d‘onore, e la simbiosi
distruttiva con la Grande Madre — che defrauda ogni autonomia —
il suo più deleterio principio.
L‘autrice in particolare riesce ad interpretare chiaramente gli
aspetti simbolici e psichici dell‘immaginario mafioso, ponendo al
centro della sua riflessione la questione del potere materno,
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sostenendo che ― la psicologia mafiosa non ha niente a che fare con il
mondo del padre e con la sua legge, oggettiva e uguale per tutti, ma è
incentrata nel mondo materno, soggettivo e simbiotico, della
relazione duale‖ (ibid., p.48). Le qualità maschili e paterne degli
uomini d‘onore sarebbero funzionali al potere materno ed al servizio
della Madre Dea (Lo Coco, 1998).
La psicoanalisi sebbene appaia affascinante e suggestiva,
nell‘approfondimento degli aspetti più profondi ed inconsci della
mafia, tuttavia come rilevato dagli studi successivi, si mostra efebica
e carente sennonché inadeguata a scandagliare un fenomeno così
complesso e sovraindividuale come quello mafioso, in cui si
raccordano fatti individuali, familiari e collettivi (Oliverio, 1994). Ne
deriva una disattenzione per tutto ciò che è transpersonale (Lo Verso,
1989) all‘essere umano, in altre parole sull‘ambiente psichico, sulla
rete-matrice preesistente all‘organizzazione della mente (Fiore,
1998).
Nella seconda metà degli anni Ottanta, approcci d‘estrazione
differente, hanno apportato significativi contributi alla ricerca sul
fenomeno mafioso. Diversi gruppi di ricerca, infatti, attraverso un
modello di ricerca-azione di tradizione lewiniana, hanno indagato
principalmente nelle scuole, il tema della coscienza antimafiosa,
promuovendo tra l‘altro, processi formativi antimafia (Di Vita, 1986;
Lo Cascio, 1986; Miragliotta e Perricone, 1990; Marchetta 1996).
Il lavoro Alle radici di un’immagine della mafia di A.M. Di Vita
(1986) è divenuto un punto di riferimento per gli studi in questo
campo, soprattutto per la metodologia utilizzata, consistente nella
presentazione di due immagini-stimolo ai soggetti, ai quali veniva
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chiesto di scrivere un breve racconto che descrivesse una storia tratta
dalla figura osservata. Secondo le modalità proiettive dei test, i
racconti possono fornire un‘immagine del tipo di risposte emotive
elicitate dagli stimoli, quali identificazioni e con quali personaggi
sono promosse e che tipo di storie vengono costruite.
Lo studio ha approfondito la percezione dei ragazzi del fenomeno
della mafia e della criminalità in genere, il modo in cui nella nostra
realtà, cadenzata da una catena di delitti, vivono tali accadimenti,
nonché le incidenze del mondo mediatico sulla loro conoscenza e
sulla loro rappresentazione. Questa ricerca a partire dalla conoscenza
intorno alla rappresentazione dei fenomeni mafiosi, propone inoltre
un itinerario educativo finalizzato alla formazione di una coscienza
civile in età evolutiva (Di Vita, 1986).
Sempre nell‘ambito dell‘istituzione scolastica va citato il volume
L’Isola e il cambiamento. Valori giovanili e prevenzione della
mentalità mafiosa curato da G.Lavanco, il quale fornisce una
puntualizzazione sui problemi teorici concernenti il tema del sentire
mafioso e indica un insieme di possibili strategie di intervento nel
mondo istituzionale, soprattutto in quello scolastico (Lo Coco, 1998).
Il testo compendia saggi, ricerche e contributi, elaborati a partire da
un convegno promosso dal Dipartimento di Psicologia dell‘Università
di Palermo e dall‘Arci Sicilia, i quali rappresentano un risultato
significativo dello sforzo di un nutrito gruppo di studiosi e di
ricercatori nell'approntare strumenti idonei all'analisi di eventi
psichici ma anche nel progettare interventi di prevenzione e di
recupero (Lo Coco, 1998).
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Un momento di elaborazione specifico sul piano psicologico,
dinamico e sociale compare alla fine degli anni Ottanta con il classico
lavoro di Di Maria, Di Nuovo, Di Vita, Dolce, Pepi, Il sentire
mafioso. Percezione e valutazione di eventi criminosi nella
preadolescenza (1989). Il testo appare significativo perché, è da esso
che, dipartono le successive esplorazioni del pensiero mafioso, con
particolari approfondimenti degli stili educativi, del clima familiare e
dei giudizi morali con conseguente affinamento delle tecniche
di indagine, nonché per la comparsa di una prima sistematizzazione
del tema del sentire mafioso per mano di Di Maria, attingendo al
modello gruppoanalitico come approccio psico-socio-antropologico
(Lo Verso, 1994).
È stato possibile partorire uno studio sul sentire mafioso
solamente quando, sono state abbandonate teoretiche e dottrine
individualistiche, nel tentativo di accedere alla realtà psichica della
mafia in maniera unitaria e composita, concepibile come un tipo di
pensiero individuale e collettivo costituitosi all‘interno di una
tipologia familiare, sociale e culturale particolare come quella
siciliana (Lo Verso, Lo Coco, 1999). La specificità dei codici
culturali e comportamentali di Cosa Nostra non obbedisce alle analisi
mosse da modelli teorici globalizzanti, i quali non considerando la
specificità del contesto e del campo mentale nel quale si producono,
palesano l‘inadeguatezza delle loro chiavi di lettura.
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1.2. La complessità della nuova visione psicodinamica della
mafia: il sentire ed il pensare mafioso
A partire dagli anni Novanta studiosi e ricercatori hanno
indagato, per la prima volta da un punto di vista psicologico-clinico,
ed in maniera scientifica il fenomeno mafioso siciliano, attraverso la
raccolta di dati di prima mano ottenuti da ricerche sul territorio, da
workshop formativi sul tema, dall‘analisi dei verbali processuali e di
perizie, dall‘approfondimento del problema con giudici e avvocati
che hanno lavorato con membri di Cosa Nostra, dallo studio di casi
clinici con figli e mogli di mafiosi in psicoterapia, da interviste a
mogli e figli di soggetti appartenenti all'organizzazione criminale
mafiosa e a collaboratori di giustizia. Questo intenso lavoro di
ricerca, inoltre, ha prodotto numerosi articoli e volumi di carattere
scientifico e ha suscitato notevole interesse nella stampa e nella
televisione nazionale ed internazionale.
Dai risultati delle analisi psicodinamiche si può evidenziare che
l‘organizzazione Cosa Nostra non si configura come una semplice
organizzazione criminale, con le sue regole organizzative, modalità di
fare profitti, creare relazioni con l‘ambiente esterno, ma costituisce
anche un particolare codice culturale e psichico che garantisce
l‘identità dei singoli individui e delle famiglie di appartenenza, essa
appare un fenomeno specifico ed irripetibile e non solo per le sue
capacità militari, di creare alleanze, di controllo e gestione del
territorio e dell‘economia, ma anche per la sua storia. Essa ha fatto sì
che si creasse un sistema antropo-psichico che è riuscito a far
coincidere cultura, comunità, famiglia, individui (Lo Verso, 1998).
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Il limite nella penetrazione psicoanalitica e più ampiamente
psicodinamica dei fenomeni psichici dato dall‘inadeguatezza dei
modelli teorico-interpretativi a comprendere in un modello
concettuale unitario la dimensione antropologica, quella familiare e
quella intrapsichica, è stato superato quando si è sviluppata una
nuova tradizione che concepisce la mente come irriducibilmente
― essere in relazione con‖, per la quale l‘identità dell‘uomo si
caratterizza fin dalle sue origini per la sua culturalità, per
l‘insediamento cioè di segmenti relazionali dell‘ambiente che
comunque riguardano l‘individuo che in quell‘ambiente nasce e si va
esprimendo (Falgares, 2004).
La psicologia dinamica e sociale comincia ad esprimere un
pensiero organizzato sulla mafia nel momento in cui viene definito
l‘oggetto della propria indagine, differenziandosi principalmente
dagli studi di matrice sociologica. È così che viene generato lo studio
sul sentire mafioso (Di Maria, 1995), ― un pensiero inconscio
automatico, di tipo dogmatico, esonerato dal pensiero riflessivo […]
tale sentire si espande e si racchiude a causa del contesto, in un
dogmatismo patologico, in cui la visione del mondo è rigidamente
organizzata in sistemi distinti di credenze, positive e negative‖ (ibid.,
p.18) e più recentemente sul pensare mafioso (Fiore, 1997), ― un
modo di essere e di sentire diffuso in Sicilia, ereditato e trasmesso
transpersonalmente in famiglia. Frutto della storia peculiare
dell’isola, contiene una rappresentazione forte della famiglia e
debole dell’individuo e del sociale” (ibid., p.26).
L‘innovazione dell‘ottica psicodinamica proposta, consiste
nell‘organizzare quello che era poco più di un indefinito habitus
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comportamentale siciliano, individuato precedentemente dagli storici
e dagli studi antropologici, all‘interno di una struttura di pensiero che
sappia individuare il senso dell‘esperienza individuale di un processo
di costruzione delle strutture di personalità in una realtà culturale
specifica (Fiore, Lo Coco, 1999). La mafia, sia come organizzazione
criminale che come cultura è stata in grado di proporsi ed imporsi
come identità totalizzante, e per ottenere ciò ha proceduto ad un
sistematico sterminio della capacità di significazione ed alla chiusura
di ogni possibile orizzonte di riflessione, all‘interno di specifici
contesti sociali e climi ambientali (Di Maria, 1995).
Il sentire mafioso illustra quel particolare reticolo di miti
familiari, in cui si confermano i codici di attaccamento alla
―fa miglia‖, intesa come strumento di lettura del reale, che non
fornisce solo conoscenze ma anche modelli di produzione delle
conoscenze, tanto da essere pensato come una ― modalità di
costruzione della mentalità che appartiene all’orizzonte di
saturazione di un pensiero che non riesce ad accettare la diversità, a
valorizzare l’Altro, a vivere la “cultura di gruppo” come forma di
relazione e di organizzazione del proprio Sé‖ (ibid., p.10).
L‘attaccamento — che sostiene la sopravvivenza e lo sviluppo,
in una posizione di immaturità e bisogno — alla famiglia ha
soddisfatto il bisogno d‘accudimento e protezione del singolo, in
cambio di fedeltà ed obbedienza a codici di significato trasmessi. In
tal senso, la forza delle matrici familiari di pensiero hanno fatto sì che
il sentire mafioso si presentasse come un sentimento salvifico in un
sistema sociale dove lo Stato è percepito come incapace di rispondere
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ai bisogni e agli interessi dei cittadini (Di Maria, 1995, Lo Verso,
1998).
Come afferma D. Farrowell in Sicilia ― la mafia cresce non a
forza, ma in maniera naturale […] prospera in modo insidioso più
che in maniera rumorosa‖. Si ipotizza per comprendere questo
fenomeno la presenza di un atteggiamento di adorcismo della realtà
mafiosa, piuttosto che di esorcismo della stessa, intendendo fare
riferimento a quel pensare mafioso che si presenta come ―salvifico‖
in un sistema sociale dove gli apparati statali sono sentiti indisposti a
tutelare i cittadini ed in cui le leggi sono avvertite come
sostanzialmente ingiuste (Lo Verso, 1998). Questo sembrerebbe
generare quel diffuso sentimento di adesione ai comportamenti
illegali protratti dalla mafia anche da coloro che, invece, si declinano
antagonisti alla criminalità organizzata. In questo senso il sentire
mafioso dimostra l‘esistenza di una rete complessa di codici di
trasmissione, in cui i fatti soggettivi ed eventi collettivi fanno
riferimento, da un lato, al nucleo familiare con i suoi codici affettivi
e, dall‘altro, ad una società che affonda le sue radici nel familismo e
nella cultura del ―comparaggio‖ (Zambito, 1991; Di Maria, 1998).
Falcone scriveva che‖ la doppiezza dell’anima siciliana, è un
retaggio della storia, dei tempi in cui la Sicilia doveva difendersi
dagli invasori […] i quali, alla fine sono andati via, lasciandoci in
eredità un temperamento […] fatto di apparente sottomissione e di
fedeltà alle tradizioni, unite ad un orgoglio delirante. Il risultato è
che i siciliani adottano ed assimilano qualsiasi novità ma in funzione
di criteri e di scelte utilitaristiche e del tutto personali‖ (Falcone,
Padovani, p.87).
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L‘attenzione al contesto in cui tale fenomeno è germinato tra
l‘altro, permette di porre in evidenza, in una matrice culturale stabile
nel tempo, la compresenza di valori differentemente praticati nelle
interazioni interpersonali dalla popolazione comune e dagli uomini
d‘onore. Mentre i siciliani attraverso i valori di omertà, famiglia,
religione e parola data intendono essere fedeli ad un sistema sociale-
normativo, gli uomini d‘onore sembrano adoperare questi valori in
modo negoziale, al fine di perseguire obiettivi distanti dal significato
che gli stessi trasmettono (Dondoni, Licari, Faccio, Pellicciotta,
2006).
Ovviamente il fatto di perseguire valori in maniera strumentale e
negoziale non esclude una partecipazione dell‘individuo al sistema
simbolico-normativo, implicito ed esplicito, sul quale si regge il
micro-gruppo di appartenenza. La confluenza della medesima radice
alleva la proliferazione di un fenomeno che continua ad asfissiare le
economie dell‘isola ed inquina le coscienza civili, e nel contempo
rende aspro estirparne gli innesti ed attraversarne i significati. È
parlando lo stesso linguaggio che la mafia crea consenso perché si
inserisce proprio nel medesimo universo simbolico della cultura
autoctona. Riconoscere la medesima estrazione culturale deve indurre
ad una particolare attenzione nel decifrare le spinte da cui si è agiti,
onde evitare il rischio di porsi non come agenti che legittimano il
cambiamento e la soggettivazione, ma al contrario come chi
promuove più o meno inconsapevolmente la conservazione e
l‘acquiescenza (Mistretta, 1999).
L‘altro importante programma di ricerca in ambito
gruppoanalitico che si è rivelato di pregevole consistenza euristica è
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quello riconducibile agli studi di I. Fiore, sistematizzati nel volume
Le radici inconsce dello psichismo mafioso (1997).
L‘autore propone una sistematizzazione concettuale di ciò che
definisce come pensare mafioso, cioè un modello di pensiero che
tenta di visualizzare qualitativamente continuità e differenze tra modo
di essere e di agire siciliano e mafioso. In Sicilia il pensare mafioso si
costituisce in un ambiente considerato come transpersonale, dove
accade la formazione della mente individuale e dove si istituiscono i
contenuti del suo pensiero. La mafia, allora diviene ― una esasperata
realizzazione del pensare mafioso, la manifestazione malata di un
modo di organizzare la realtà ed i rapporti con essa‖ (ibid., p.24).
In ambito psicodinamico nel pensare mafioso è possibile
rinvenire una ―patologia della relazione individuo -famiglia-società‖.
L‘uomo d‘onore costituisce la propria identità facendo proprio ciò
che gli è stato insegnato, messo dentro, con una forza tale che quel
pensiero di sé e del mondo non potrà essere pensato, riattraversato,
tradito. Questo pensare è ― frutto della storia peculiare dell’Isola e
contiene una rappresentazione forte della famiglia e debole
dell’individuo e del sociale, perpetua modi non complessi di ordinare
la realtà, di conoscerla, di darle senso, e anche di comunicare su di
essa‖ (ibid., p.22), nasconde un‘implicita costrizione alla violenza,
alla sopraffazione dell‘individuo e della sua soggettività e anche
l‘insicurezza, la paura di sbagliare, di compromettersi e di essere
estromessi dal rassicurante e protettivo contenitore familiare.
Il pensare mafioso delinea un maschile forte, privo di sentimenti
e un femminile debole e obbediente, custode dell‘onore familiare.
Descrivendo l‘individuo debole rende debole e condanna alla perenne