6
un assetto dei mercati che privilegi l’eguaglianza delle opportunità ed un’altra
che tuteli invece prioritariamente la remunerazione delle attività imprenditoriali.
Non a caso, nella sua ispirazione originaria, la legge antitrust voleva
rappresentare una misura a doppio taglio per garantire l’equilibrio (e
l’efficienza) dell’economia e della democrazia: il suo obiettivo era la dispersione
del potere nel mercato come nelle istituzioni, la lotta all’accumulazione del
potere sia economico che politico, in ossequio al modello jeffersoniano della
democrazia dei piccoli produttori e delle piccole comunità
4
.
Ma la disciplina antitrust si è dimostrata uno strumento multifunzionale,
adoperato con modalità e finalità diverse a seconda delle stagioni e dei luoghi:
un vero “camaleonte”
5
, di cui bisogna seguire i travestimenti con diffidenza
critica.
L’antitrust europeo ha un’altra origine ed un’altra storia: le politiche
nazionali antitrust presentano caratteristiche variabili, ma promanano da un
ruolo più accentuato dello Stato e risentono più sensibilmente di un approccio al
mercato filtrato anche da esigenze di politica industriale, regionale, sociale
6
. In
particolare, il diritto comunitario della concorrenza è una vera e propria
“servostruttura” del processo di integrazione del mercato comune; mentre quello
italiano si afferma piuttosto come punto di svolta di un’organizzazione
economica nazionale di tipo “colbertista”, cioè fortemente modellata
sull’iniziativa pubblica (peraltro con una caratteristica, paradossale
combinazione di eccessi di “statalismo” e di carenze di “statalità”
7
).
Naturalmente non bisogna cedere alla tentazione (e alla comodità) di una
semplificazione eccessiva. Anche perché è noto come e quanto sia disseminato
4
ibidem, p.98.
5
Così G.ROSSI, Antitrust e teoria della giustizia, “Rivista delle società” 1995, p.13.
6
G.AMATO, cit., p.122. Non a caso diversi risultano gli atteggiamenti dalle autorità europee verso le varie
tipologie comprese della legislazione antitrust: esse si mostrano più severe di quelle statunitensi in materia di
abusi della posizione dominante, più generose in materia di intese restrittive, grosso modo allineate agli
orientamenti americani sulle operazioni di concentrazione (pp.101-102).
7
Cfr. S.CASSESE, Lo Stato introvabile, Roma 1998.
7
di insidie un approccio comparatista
8
che si proponga di applicare paradigmi
uniformi di analisi a realtà connotate da una irriducibile “diffrazione” socio-
politica e spazio-temporale, come nel caso degli Stati Uniti e dell’Italia, dove,
per restare al tema generale della nostra indagine, lo sviluppo delle
amministrazioni indipendenti rappresenta rispettivamente il motore del processo
espansivo dello Stato amministrativo ovvero la spia del suo processo di
contrazione.
E tuttavia, nonostante la radicale alterità genetica ed evolutiva dei sistemi
istituzionali di common law e di quelli costruiti sul diritto amministrativo,
l’approccio comparatista rivela la sua attualità proprio in riferimento alle grandi
trasformazioni che investono gli ordinamenti nazionali, per effetto
dell’intersecarsi di due processi critici: l’uno riguardante l’unità e la
compattezza degli apparati pubblici, sempre più inclini alla diversificazione
pluralistica ed all’espansione di poteri indipendenti al proprio interno; l’altro
concernente l’erosione della sovranità soprattutto economica degli Stati, che
consegue alla caduta delle barriere nazionali ed all’apertura dei mercati e che
conduce alla costituzione di ordini ultranazionali, costituiti in reti piuttosto che
in gerarchie
9
.
Da questo punto di vista si rendono visibili parallelismi significativi, se
non proprio convergenze progressive, che si realizzano appunto attraverso
l’assorbimento e il contemperamento in ciascun ordinamento di regole comuni e
speciali, di rimedi giurisdizionali e di garanzie amministrative, di procedimenti
preliminari alle decisioni e di funzioni neutrali sottratte al potere esecutivo
10
: in
altre parole, di modelli di amministrazione non inquadrabili nella classica
tripartizione dei poteri su cui è sorto e si è sviluppato il costituzionalismo
moderno.
8
Cfr. tra gli altri B.G.PETERS, La necessità e la difficoltà della comparazione nel campo dell’amministrazione
pubblica, “Problemi di amministrazione pubblica” XVI, 1991, 2.
9
S.CASSESE, Poteri indipendenti, Stati, relazioni ultrastatali, “Il Foro Italiano” 1996, p.8 ss..
10
Si rinvia alla lucida ricostruzione di M.D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato. Trasformazioni dei
sistemi amministrativi in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Bologna 1992.
8
Si tratta, a ben vedere, di fenomeni comuni a tutte le realtà occidentali,
che enfatizzano il sempre più frequente ricorso alla funzione della expertise
tecnica, ma che nel contempo scuotono le basi stesse della legittimazione degli
ordinamenti nazionali, ponendo in risalto la questione della accountability delle
nuove istituzioni: sia di quelle interne a forte connotazione di indipendenza,
posto che riesce difficile definire a chi e di che cosa esse rispondono per il loro
operato; sia di quelle sovranazionali, dalle quali scaturisce una fittissima
produzione di direttive, di regolamenti e di negoziazioni, affidata ad organismi i
cui caratteri di rappresentatività appaiono assai labili
11
.
Non sfuggono a nessuno la rilevanza e la delicatezza di tali processi di
innovazione istituzionale che ridisegnano il profilo dei rapporti tra il potere
pubblico e le attività economiche. E’ difatti nel campo della regolazione
amministrativa del mercato che si coglie una più intensa circolazione di modelli,
di veri e propri “trapianti” disciplinari
12
, la cui più o meno diffusa assimilazione
è da ricondurre da un lato alle dimensioni sempre più integrate a livello
sovranazionale dei mercati, dall’altro lato alla sempre più netta e diffusa crisi
dello Stato interventista e ad una sempre più coerente assunzione delle funzioni
regolatorie come compiti preminenti e prevalenti dello Stato contemporaneo
13
.
Il profilo che assume nei vari Paesi quello che chiamiamo lo “Stato
regolatore” (funzioni, tecniche, soggetti) e lo sviluppo delle relazioni, delle
contaminazioni e delle affinità tra i sistemi amministrativi, con riguardo
particolare alle politiche di regulation, è oggetto privilegiato di analisi
interdisciplinari
14
, dalle quali emerge il progressivo atteggiarsi dello Stato come
11
Cfr. M.SHAPIRO, Agenzie indipendenti: Stati Uniti ed Unione Europea, “Diritto Pubblico” 1996, 3, che
sottolinea, tra le altre cose, l’evidente “deficit democratico” del cosiddetto “sistema dei comitati” che anima
l’articolazione amministrativa comunitaria.
12
Come li chiama (citando Alan Watson) R.PARDOLESI, Quale antitrust?, in Banca d’Italia, Per un diritto
della concorrenza, Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale, Roma 1996, p.233.
13
Nell’ambito della vasta letteratura sull’argomento, si vedano G.MAJONE-A.LA SPINA, Lo stato regolatore,
“Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione” 1991, 3; ID., “Deregulation” e privatizzazione:
differenze e convergenze, “Stato e mercato” 1992, 35; G.MAJONE, La crescita dei poteri regolativi nella
Comunità Europea, “Rivista Italiana di Scienza Politica” 1995, 3; H.DUMEZ-A.JEUNMAITRE, Lo Stato e il
mercato europeo: verso uno Stato di diritto economico?, “Problemi di Amministrazione Pubblica” 1993.
14
Si vedano i diversi contributi al Seminario internazionale del FORMEZ, Divergenze e convergenze nei sistemi
9
“Stato limitato”, che non significa Stato astensionista, ma che circoscrive il
raggio delle risposte che organizza da sé e che invece rispetta sempre di più le
logiche d’azione dei sistemi regolati dei quali tende a farsi garante.
Il principale di questi sistemi, in cui il vivere sociale si articola mediante
l’organizzazione normativa, come ci insegna la più matura esplicitazione della
lettura weberiana e kelseniana, è appunto il mercato
15
, che sarebbe sbagliato
considerare un locus naturalis.
Economia di mercato e libera concorrenza non si trovano in natura: esse
designano sistemi di relazioni costruiti e governati dal diritto
16
. Anzi, più che di
mercato, è giusto parlare di tanti mercati quanti sono i nuclei di norme relativi
allo scambio di determinati beni, come del resto è adusa a ritenere la
giurisprudenza comunitaria e, in generale, la dottrina della concorrenza
17
.
E qui segnaliamo un’altra forte distanza storico-culturale, dato che proprio
la cultura giuridica italiana ha faticato più di ogni altra a misurarsi con il
mercato, tendendo piuttosto a considerarlo come altro da sé, come un dato
confezionato dalla scienza economica
18
. E, per conseguenza, i valori del mercato
concorrenziale sono rimasti storicamente ignorati dalla dottrina e sprovvisti di
un riconoscimento e di una tutela diretta da parte della legge
19
.
amministrativi europei, come, ad es., quello di V.WRIGHT, The administrative system and market regulation in
Western Europe: continuities, exceptionalism and convergences, pubblicato sulla “Rivista Trimestrale di Diritto
Pubblico” 1992, 4 (con commento di M.Ferrera). Sul concetto di regulation cfr. in particolare R.B.HORWITZ,
The Irony of Regulatory Reform: the Deregulation of American Telecommunications, New York 1989;
B.M.MITNICK, The Political Economy of Regulation, New York 1980; P.SELZNICK, Focusing
Organizational Research on Regulation, in Regulatory Policy and the Social Science, a c. di R.G.Noll, Los
Angeles 1985. Per ogni ulteriore approfondimento si rinvia all’ampia bibliografia riportata in calce ai citati saggi
di G.Majone e A.La Spina.
15
Non è possibile in questa sede approfondire il concetto di mercato, che è notoriamente un concetto
“polisemico”. Un’ampia e stimolante disamina del tema è fornita da M.R.FERRARESE, Diritto e mercato. Il
caso degli Stati Uniti, Torino 1992, p.17 ss. Sul concetto di mercato come istituzione e sulla modesta ed esitante
elaborazione dottrinale italiana sull’argomento, v. C.MOTTI, Il mercato come organizzazione, “Banca Impresa
Società”, X, 1991, 3, p.455 ss.
16
Si vedano in proposito le acutissime annotazioni contenute nel recentissimo libro di N.IRTI, L’ordine
giuridico del mercato, Roma-Bari 1998 (specialmente a p.5, 26, 67). Ma si ricordi anche R.FRANCESCHELLI,
Il mercato in senso giuridico, “Giurisprudenza commerciale” 1979, I, p.501 ss., che definisce il mercato come
“una situazione giuridica generale, giuridicamente garantita e protetta” (p.513).
17
N.IRTI, cit., p.39.
18
Cfr. le osservazioni di A.ZITO, Mercato, regolazione del mercato e legislazione antitrust: profili
costituzionali, “Jus” 1989, p.219 ss..
19
F.D’ALESSANDRO, La concorrenza nel pensiero giuridico italiano, in Per un diritto della concorrenza, cit.,
10
In questo senso non può destare meraviglia alcuna il fatto che l’ambiente
giuridico nostrano non si sia mostrato particolarmente recettivo delle
stimolazioni provenienti dall’analisi economica del diritto
20
, manifestando uno
spiccato disagio a sovrapporre “algebra e pandette”
21
ed a sviluppare quel
fecondo confronto disciplinare tra diritto ed economia, che l’adozione e
l’implementazione dell’antitrust ha reso ineludibile in tutto il mondo (e che, in
verità, comincia a manifestarsi anche da noi nel concreto esplicitarsi dell’attività
e della produzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).
Parlare di antitrust significa appunto sicuramente “ibridare” diritto ed
economia, considerare cioè la valenza economica della istituzione-concorrenza
come un quadro entro il quale deve condursi la valutazione dei diritti degli
operatori sul mercato, in un doppio ambito di tutela, l’uno di tipo pubblicistico
(di fronte ad autorità che provvedono alla tutela dell’interesse pubblico) e l’altro
di tipo privatistico (diretto al risarcimento del danno patito da coloro che
agiscono sul mercato e rimesso ad una valutazione di tipo giurisdizionale)
22
.
Parlare di antitrust significa anche ridefinire sul piano economico e su
quello giuridico i rapporti tra mercato e concorrenza, che non sono sinonimi,
perché l’uno è propedeutico all’altro: dove c’è la concorrenza c’è il mercato, ma
non viceversa.
Allo stesso modo tutela della concorrenza e tutela del mercato non vanno
concettualmente identificate, anche se di fatto finiscono spesso per essere
intrecciate nelle normative antitrust. Con la tutela della concorrenza il
legislatore si propone di fornire una protezione diretta degli interessi individuali
dei concorrenti al mantenimento di quel determinato assetto di mercato, sia che
essi svolgano funzioni di acquirenti che di venditori. La tutela del mercato mira
p.36.
20
Cfr. infra, cap.II, 6.
21
La metafora è di R.PARDOLESI, Analisi economica della legislazione antitrust italiana, “Il Foro Italiano”
1993, V, p.1.
22
E’ stata la dottrina tedesca (in primis L.RAISER, Die Aufgabe des Privatrecht, Kronenberg 1977) a cogliere il
duplice rilievo della concorrenza sotto il profilo giuridico: della concorrenza come assetto normativo e della
concorrenza come diritto soggettivo dell’operatore economico.
11
a proteggere interessi molteplici (e non solo quelli dei concorrenti), come ad
esempio quelli dei consumatori
23
.
La politica antitrust è una delle funzioni eminenti dello Stato regolatore.
Ma antitrust e regulation non si devono confondere, perché quest’ultima non è
altro che una limitazione mirata della concorrenza, talora una vera e propria
alternativa alla disciplina antitrust
24
. La regulation si sostituisce al processo
competitivo per raggiungere direttamente gli obiettivi dell’efficienza, mentre la
legge antitrust mira a promuovere la concorrenza che indirettamente poi potrà
portare all’efficienza.
Distinguere concetti, che nella pratica poi vengono spesso interconnessi,
non è esercizio ermeneutico fine a se stesso. Serve nel nostro caso a
comprendere che compito di un’autorità antitrust è quello di fare funzionare il
processo competitivo e non quello di ottenere direttamente i risultati che
potrebbero derivare da un processo competitivo ben funzionante. Del resto,
come è stato acutamente osservato, l’efficienza dei risultati di tale processo non
è il fine di nessuno degli operatori: è, semmai, una scoperta ex post degli
economisti
25
.
L’antitrust è entrato oggi nella sua dimensione planetaria. Oggi la legge
antitrust non tutela più i piccoli produttori, tollera sempre più spesso i cartelli in
ossequio al principio dell’efficienza d’impresa, tende a sottovalutare gli accordi
verticali, non applica più divieti automatici. In compenso utilizza una
strumentazione analitica più sofisticata, che tuttavia si rivela impotente dinanzi
alle forme nuove e più sfuggenti della concentrazione economica, quali sono i
mercati oligopolistici (modelli di equilibrio stabilizzato, formalmente
23
Cfr. F.GOBBO, Il mercato e la tutela della concorrenza, Bologna 1997, p.24 ss.. La concorrenza è in
definitiva una specie di gigantesco “dilemma del prigioniero”, esteso ad un indeterminato numero di persone, in
cui l’efficienza del meccanismo dipende dall’asimmetria delle informazioni e delle convenienze dei venditori e
degli acquirenti. Cfr. G.O’DRISCOL, Competition as a Process: a Law and Economics Perspective, in
Economic as a process, a c. di R.Langlois, London 1986, p.158.
24
S.BREYER, Regulation and its reform, Cambridge Mass. 1982, p.161.
25
F.ROMANI, Commento al saggio di M.Polo, F.Ghezzi e D.Preite, in Promozione della concorrenza e
politiche antitrust, a c. di A.Del Monte, Bologna 1997, p.164.
12
democratici e competitivi, in realtà formidabili rinforzi delle posizioni dominanti
acquisite)
26
.
E’ stato scritto che nella sua storia il diritto antitrust ha avuto molte anime
(e non tutte candide)
27
. E’ presumibile che queste anime siano destinate ad
accompagnare la sua vicenda anche per l’avvenire, per lo meno sino a quando si
continuerà a discutere e a decidere se è meglio ritardare l’intervento pubblico
alla fine, lasciando al mercato di provvedere possibilmente da sé a governare le
sue dinamiche ed i suoi equilibri, ovvero se è più utile prevenire i rischi e le
turbolenze più pericolose del mercato, cercando di influenzare il suo sviluppo ed
il suo assetto.
Sino ad allora continuerà a vivere quel dilemma cruciale della democrazia
liberale, di cui si parlava all’inizio, la scelta tra lo stabilire il confine del potere
pubblico accettando il rischio del potere privato e l’esorcizzare innanzitutto
quest’ultimo rischio accettando di più l’opposto pericolo di una forte intrusione
della mano pubblica
28
.
I dilemmi di ieri si prolungano nei dilemmi di domani. La politica
antitrust continua a danzare sull’incerto confine che divide il “troppo” potere
pubblico rispetto al “troppo” potere privato e, dunque, sul filo della scelta
dirimente se operare per mantenere aperti i mercati ovvero intervenire solo una
volta che questi siano quasi definitivamente chiusi. Solo che essa comincia a
vivere la frustrazione e l’impotenza di operare entro le frontiere nazionali,
mentre i mercati ormai non le riconoscono più.
E’ l’approdo paradossale del diritto antitrust. Sorto per combattere la
chiusura monopolistica dei mercati e per promuoverne la più libera accessibilità,
esso oggi scopre la sua inadeguatezza politico-giuridica dinanzi all’apertura
massima delle relazioni e degli scambi, alla “deterritorializzazione” delle attività
economiche, alla rottura del rapporto tra territorio e Stato, tra “geografia” e
26
G.AMATO, cit., p.98.
27
F.DENOZZA, Antitrust, Bologna 1988, p.9.
28
G.AMATO, cit., p.112.
13
“diritto”, tra “luoghi” e “norme”, tra Ortung e Ordnung (per adoperare il lessico
di Carl Schmitt).
Insomma è la forza travolgente, ma al tempo stesso unificatrice, del
mercato globale a sospingere la legislazione antitrust verso un ulteriore
ripensamento sia dei suoi strumenti di analisi sia dei suoi profili istituzionali. Ad
un mercato ormai sovranazionale non può non corrispondere un antitrust
sovranazionale
29
. Ed è ragionevole ritenere che a questo approdo, certamente
non facile per tante ragioni, ci si possa approssimare o con una estensione extra
moenia unilaterale di ogni giurisdizione nazionale (come si ritiene negli Stati
Uniti, secondo esperienze già praticate in diversi Paesi, ivi compresa l’Italia); o
con accordi bilaterali tra le giurisdizioni esistenti (come accade tra gli Stati Uniti
e l’Unione Europea); ovvero con la costruzione di un codice antitrust ripartito in
un contesto multinazionale e applicato da agencies multinazionali (come
gradirebbe di più l’Unione Europea)
30
.
Come si può vedere, la storia del diritto della concorrenza promette nuovi
e imprevedibili sviluppi. Quelli che sostanziano il presente lavoro sono soltanto
alcuni capitoli di questa storia, che tuttavia si rilevano più istruttivi di quanto si
possa sospettare ai fini di una ricostruzione non convenzionale dei complicati
percorsi attraverso i quali, al di qua e al di là dell’Atlantico, il diritto delle
amministrazioni si è tra tante contraddizioni cimentato con il governo delle
dinamiche economiche, promuovendo tuttavia lo sviluppo al tempo stesso di un
mercato sempre più possibilmente ordinato da regole e di un’amministrazione
sempre più funzionalmente market-oriented.
29
Si consideri che il recente World Investment Report delle Nazioni Unite (1994) ha individuato ben 37 mila
Transnational Corporations, che a loro volta controllano oltre 200 mila “affiliate” sparse in tutto il mondo, e che
le prime 100 tra esse orientano circa un terzo dell’intero ammontare degli investimenti diretti dall’estero,
potendo contare da sole su un patrimonio valutabile in 5 milioni di miliardi di lire. Si aggiunga che il fatturato
delle prime 10 corporations globali (tutte attestate intorno ai 100 miliardi di dollari) è superiore al P.I.L. di più di
120 dei 185 Stati riconosciuti dall’ONU. Sulla crisi mondiale delle istituzioni statali dinanzi al fenomeno della
globalizzazione economica si vedano, tra gli altri, K.OHMAE, La fine dello Stato-nazione, Milano 1996, e
S.SASSEN, Losing control? Sovereignty in an Age of Globalization, New York 1995.
30
G.AMATO, cit., p.127 ss.. Della necessità di una legge mondiale sulla concorrenza si discute da anni
nell’ambito della Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Sul tema di un’Autorità antitrust europea v. i
contributi pubblicati su “Contratto e Impresa/Europa”, 1997, 2 (tra i quali quelli di G.Tizzano, G.Amato,
D.Wolf, E.Moavero Milanesi).
14
I
I POTERI INDIPENDENTI DI REGOLAZIONE
AMMINISTRATIVA NEGLI STATI UNITI.
Sommario: 1.La separazione dei poteri e la fourth branch. 2.Una organizzazione
amministrativa multiforme. 3.Le agenzie di regolazione amministrativa. 4.La regulation come
progetto di governo. 5.New regulation, deregulation e riforma amministrativa. 6.La
legittimazione dei regulatory powers indipendenti. 7.Amministrazioni indipendenti e controllo
giurisdizionale.
15
1. La separazione dei poteri e la fourth branch.
E’ stato osservato che la Costituzione degli Stati Uniti del 1787 è la carta
costituzionale più antica tra quelle vigenti e che questa sua straordinaria
longevità è insieme causa ed effetto di un sentimento generale di rispetto, se non
di vera e propria venerazione, da parte della sterminata comunità statunitense
31
.
Il segreto di questo “miracolo” costituzionale viene comunemente
individuato in una peculiare caratteristica della Costituzione americana, nel suo
essere rigida ed elastica ad un tempo: rigida, in relazione alla particolare
gravosità dei procedimenti di revisione; elastica, per la sua spiccata adattività
storica rimessa alla “creatività” dell’interpretazione.
Per ciò che concerne il primo aspetto, l’articolo 5 della Costituzione,
puntando evidentemente a preservare la primazia del potere costituente rispetto a
quello legislativo, prevede che una proposta di modifica del testo costituzionale
esiga il voto favorevole di due terzi di ciascuna Camera del Congresso e la
ratifica da parte degli organi legislativi di tre quarti degli Stati
32
.
Con riferimento alla sua evidente elasticità, è sufficiente sottolineare che
la Costituzione degli Stati Uniti si fonda su prescrizioni fondamentali alquanto
circoscritte, non si preoccupa di abbracciare e disciplinare ogni aspetto della vita
pubblica, fa ricorso a formule di tipo generale, interpretabili ed interpretate in
senso evolutivo dalla Corte Suprema.
31
P.G.LUCIFREDI, Appunti di diritto costituzionale comparato. Il sistema statunitense, Milano 1993, p.17. Per
una edizione del testo costituzionale, con adeguato corredo critico, cfr. G.SACERDOTI MARIANI -
A.REPOSO - M.PATRONO, Guida alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Duecento anni di storia,
lingua e diritto, Firenze 1991 che ricostruisce anche l’evoluzione della interpretazione e delle applicazioni della
Costituzione. Sull’argomento si veda, inoltre, E.S.CORWIN, La costituzione degli Stati Uniti nella realtà
odierna, Pisa 1958.
32
Questa evidente limitazione del potere legislativo, insieme alla forza particolare riconosciuta alla judge-man
law, intesa quest’ultima dalla tradizione della common law quale fattore di controbilanciamento del potere delle
assemblee elettive, riflettono l’influenza delle teorie antihobbesiane di Coke, di Locke e di Blackstone. Questa è,
perlomeno, l’interpretazione di B.H.SIEGAN, Economic Liberties and the Constitution, Chicago-London 1980,
p. 34 ss..
16
E’ questo il tratto distintivo di una concezione politico-istituzionale che
affonda le sue radici nelle tradizioni britanniche della common law
33
, che delinea
una democrazia rappresentativa accorta e diffidente
34
, che identifica nella
private property e nella freedom of contract i diritti e le libertà fondamentali che
delimitano lo spazio della salvaguardia statuale del pubblico interesse
35
. E’ nel
mix culturale prodotto dal contrattualismo lockeano (donde il primato del diritto
privato), dall’utilitarismo benthamiano (e dal suo postulato del perseguimento
dell’autorealizzazione individuale) e dal pragmatismo, che possono essere
individuati i filoni ispiratori fondamentali della cultura giuridica
nordamericana
36
. E difatti sono gli strumenti giuridici fondamentali delle
relazioni di diritto privato a rappresentare i valori preminenti riconosciuti dalla
Costituzione, che assurge a fonte suprema di garanzia di dette relazioni
surrogando a tutti gli effetti una codificazione civile e commerciale specifica
37
.
Sono i diritti individuali all’origine della sovranità dello Stato, e non viceversa.
La Declaration of Rights della Virginia (1776) definisce esplicitamente i diritti
individuali come “basis and foundation of Government” e l’Amendment IX della
Costituzione americana, contenuto nel Bill of Rights (1791), esprime il principio
che ogni enumerazione o interpretazione dei diritti nella Costituzione non può
menomare “others retained by the people”.
E’ appunto questa attenzione alla salvaguardia dei diritti degli individui e
questa diffidenza verso la dimensione pubblica che sottendono l’insistenza
dogmatica sul principio della divisione dei poteri, la ricerca incessante di checks
and balances, l’attivazione ad ampio raggio di strumenti di garanzia dei privati,
33
M.D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato, cit., evidenzia tuttavia la presenza di una doppia anima
nella Costituzione statunitense, la convivenza della tradizione inglese con l’influenza del diritto francese (p. 93
ss.).
34
Cfr. LUCIFREDI, cit., p.21 n.
35
Secondo R.POUND, Lo spirito della “Common Law”, Milano 1970, pp.36-37, è l’insistenza
“ultraindividualistica” sulla salvaguardia degli interessi degli individui il punto focale del diritto americano.
36
M.R.FERRARESE, Il diritto americano e l’imprenditorialità dei privati, “Politica del diritto” XXVI, 1995, 1
37
Questa particolarità della codificazione costituzionale statunitense è sottolineata da G.TARELLO, Storia della
cultura giuridica moderna, Bologna 1976, I, pp. 22-28. Sul complesso processo di applicazione della
Costituzione alla tutela delle libertà e dei diritti economici cfr. M.R. FERRARESE, Diritto e mercato. Il caso
degli Stati Uniti, cit., p.127 ss. e 173 ss..
17
che costituiscono lo spirito ed il tessuto connettivo del sistema istituzionale ed
amministrativo americano
38
.
E ciò anche a costo di una accentuata frammentazione delle funzioni di
governo, di una particolare complessità dei processi decisionali, di una
impensabile ampiezza e diffusività dei poteri di veto, addirittura di un
prevedibile e calcolato “effetto-paralisi”: insomma, di ogni antidoto utile a
contenere un eccessivo attivismo del settore pubblico.
La stessa struttura costituzionale del federalismo alimenta questa
frammentazione delle funzioni di governo, tanto più che il federalismo
americano si è sviluppato in senso verticale, più che orizzontale (si è parlato di
una specie di “federalismo per settori”), dando vita a tutta una serie di
“sottogoverni” burocratici scarsamente coordinati tra di loro
39
.
Invero non si potrebbe intendere la logica del sistema amministrativo
americano se ci si dimenticasse che gli Stati Uniti sono nati appunto da una
ribellione contro un forte ed accentrato potere esecutivo e che, di conseguenza, il
sentimento originario e costitutivo di questa nazione è stato ed è rimasto un
sentimento antistatalista
40
.
Alla medesima volontà di porre vincoli ed argini alle prevaricazioni del
potere o dei poteri rispondono sia l’attenta fissazione di tempi prestabiliti e
delimitati per l’esercizio delle cariche pubbliche, sia la soluzione federale con
cui si era inteso scongiurare il modello francese della sovranità “totalitaria” e si
38
In questo senso B.G. PETERS, La riforma del governo americano: la burocrazia e oltre, in AA.VV.,
Riformare la Pubblica Amministrazione, Torino 1995, p.383.
39
V. ancora B.G. PETERS, cit., p.384 ss.. Sugli aspetti peculiari e sugli sviluppi del federalismo americano cfr.,
tra gli altri, H.AGAR, The price of Union, Boston 1966; e B.BAYLIN, The ideological origins of the American
Revolution, Cambridge Mass. 1967.
40
Sulla formazione e sull’ideologia della Costituzione americana esiste una bibliografia sterminata. Si vedano
comunque, tra gli altri studi,C.H.ILWAIN, La Rivoluzione americana: una interpretazione costituzionale,
Bologna 1965; La Rivoluzione americana, a c. di N.Matteucci, Bologna 1968; N.MATTEUCCI, La Rivoluzione
americana: una rivoluzione costituzionale, Bologna 1981 e La costituzione statunitense e il suo significato
odierno, a c. di T.Bonazzi, Bologna 1988. Si veda altresì la raccolta degli scritti di Hamilton, Madison e Jay,
riproposta nella recentissima traduzione italiana de Il Federalista, a c. di L.Levi, M.D’Addio e G.Negri, Bologna
1998.
18
era enfatizzata la dimensione locale-comunitaria della partecipazione e del
controllo
41
.
E’ questa la ragione per la quale l’edificio costituzionale degli Stati Uniti
visualizza sin dal principio la rappresentazione classica del potere tripartito:
l’articolo 1 illustra il potere legislativo del Congresso; l’articolo 2 è dedicato al
Presidente; nell’articolo 3 sono disciplinate le funzioni della Corte Suprema.
Esula dagli intenti e dai confini di questo studio una disamina descrittiva
delle funzioni assegnate ai tre rami del sistema di governo degli Stati Uniti e
delle rispettive articolazioni operative
42
. Mette conto tuttavia di osservare come,
nel concreto esplicarsi di quelle funzioni autonome e bilanciate, si sia dato luogo
piuttosto a meccanismi di condizionamento e di interdipendenza, ad una sorta di
“parallelogramma di forze”
43
che restituisce una immagine di poteri variamente
condivisi, più che separati, ossia di un sistema di separated institutions sharing
power
44
.
E la formazione e l’evoluzione degli strumenti e dei processi
amministrativi ne forniscono la più eloquente dimostrazione.
La Costituzione americana non prevede espressamente le
amministrazioni, ma riserva al Congresso la facoltà di creare agenzie
amministrative attraverso leggi necessarie ed appropriate (“necessary and
proper clause”), che ne definiscano finalità e poteri, demandando al Presidente
di assicurarne l’indirizzo operativo ed il controllo, e alle corti di vigilare sulla
legalità dei loro atti
45
.
41
Sulla dinamica e sull’evoluzione della ripartizione dei poteri tra Federazione e Stati membri, cioè sulla
elasticità della distinzione tra enumerated powers e implied powers, P.G.LUCIFREDI, cit., p.24 ss..
42
Sul punto si veda P.G.LUCIFREDI, cit., e ancor più estesamente M.A.KRASNER-S.G.CHABERSKI, Il
sistema di governo negli Stati Uniti d’America, Torino 1994. Tra gli studi italiani si veda anche G.NEGRI, Il
sistema politico degli Stati Uniti d’America, Firenze 1969.
43
E’ la formula adoperata da D.TRUMAN, The Governmental Process, New York 1951.
44
La definizione è di R.NEUSTADT, Presidential Power, New York 1960, p.33.
45
All’articolo 2 si legge che il Presidente “may require the opinions in writing, of the principal officer of each of
the executive departments, upon any subject relating to the duties of their respective offices” e che “the
Congress may by law vest the appointment of such inferior officers as they think proper, in the President alone,
in the courts of law, or in the Heads of Departments”.
19
Nella logica della Costituzione del 1787 il concetto di “esecutivo”
comprendeva eminentemente il potere politico e di governo attribuito al
Presidente. Alle competenze propriamente amministrative attendevano uffici di
diverso genere, decentrati nelle varie strutture dei governi locali e generalmente
diretti a titolo onorario, nel quadro di un modello di gestione improntato al self-
government.
I principi ispiratori della vita pubblica americana sono, sia pure in una
forma più semplificata, i medesimi della tradizione britannica : la supremacy of
law, l’esclusione dell’arbitrio e la limitazione di ogni potere discrezionale; la
rule of law, il principio della unicità e ordinarietà della giurisdizione, l’idea
dell’unico diritto con un unico giudice per gli affari privati come per quelli
pubblici.
Prima del pieno affermarsi del diritto amministrativo, è la common law il
terreno sul quale si sviluppa la dialettica tra diritto privato e diritto pubblico, ed
è il protagonismo dei privati ad attivare il ruolo fondamentale delle Corti -
autentico motore del sistema giuridico- e a declinare la common law in quanto
judge-made law. Del resto la common law britannica era patrimonio della stessa
storia americana, dato che già nel 1606, con la prima Carta della Virginia, essa
era stata estesa alle colonie americane appunto a garanzia di “tutte le libertà,
franchigie e immunità proprie dei liberi cittadini e dei sudditi naturali del Re
d’Inghilterra”. La centralità della judge-made law altro non è, del resto, se non il
riflesso del riconoscimento della preminenza dei diritti individuali, per la cui
tutela la possibilità di adire le corti è praticamente illimitata
46
.
Soprattutto -è appena il caso di ricordarlo- la concezione del potere
pubblico, anch’essa di matrice anglosassone, è completamente diversa da quella
dei sistemi continentali europei, emblematicamente rappresentata dal modello
dello Stato francese post-rivoluzionario e napoleonico, secondo cui tutto il
potere pubblico, ossia l’insieme delle potestà di governo di una comunità
46
L.M.FRIEDMAN, The Republic of Choice, Cambridge Mass. 1990, p.21