3 
 
Introduzione 
 
Negli anni ’80, due studiosi che lavoravano per Goldman Sachs stavano cercando 
di elaborare un modello di gestione del portafoglio che potesse essere utilizzato 
nella pratica dai gestori per comporre un portafoglio ottimale. 
Il modello in auge fino a quegli anni, il modello media-varianza, soffriva infatti di 
difetti che ne impedivano il suo utilizzo ai fini gestionali. Il principale difetto era 
la forte sensibilità del modello alla correlazione tra i titoli, che portava alla com-
posizione di un portafoglio cosiddetto “estremo”, cioè con forti posizioni lunghe e 
forti posizioni corte. La ripercussione sul lato pratico stava molte volte nell’impos-
sibilità di portare a termine date operazioni richieste dal modello. Questo problema 
fu però smorzato da un cambiamento negli input utilizzati. Nei primi anni di vita 
del modello media-varianza, gli input erano costituiti dai rendimenti dei singoli 
titoli. Successivamente, con l’introduzione del CAPM, si sono utilizzati come in-
put i rendimenti elaborati da quest’ultimo. Questo ha portato ad avere portafogli 
ben bilanciati. 
Dove si introduce quindi il lavoro di Black e Litterman? In una gestione del porta-
foglio di tipo pratico, il gestore può avere delle proprie idee su come andrà il mer-
cato nel breve periodo, nel caso questo non vada verso il punto di equilibrio di 
lungo termine. Prima dell’avvento del modello di Black e Litterman, il problema 
veniva affrontato con la modifica dei rendimenti del CAPM, con il fine di far si 
che i rendimenti attesi rispecchiassero le aspettative dei gestori. Questo procedi-
mento portava modifiche anche nella covarianza tra i vari titoli e si arrivava nuo-
vamente alla composizione di un portafoglio estremo. Inoltre le aspettative non 
rispecchiavano completamente il grado di incertezza degli operatori. 
In questo contesto, nel 1990, Fisher Black e Robert Litterman arrivano all’elabo-
razione di un modello che porta ad importanti soluzioni alle problematiche citate 
sopra. 
Il fulcro del loro lavoro consiste nell’elaborazione di un modello che produca un 
vettore dei rendimenti attesi ed una matrice delle covarianze che rispecchino il
4 
 
punto di equilibrio del mercato, le aspettative di breve termine dei gestori e le loro 
incertezze su quest’ultime. 
Per far ciò hanno utilizzato una metodologia di fusione di due sorgenti d’informa-
zione per comporne una sola. Da una parte c’è la sorgente d’informazione prove-
niente dal mercato, che nel lavoro qui trattato è il CAPM, dalla quale proviene lo 
studio sull’equilibrio di lungo periodo. È importante specificare che non è obbli-
gatorio usare il CAPM e che possono essere utilizzate altre metodologie, come la 
derivazione dei rendimenti di equilibrio da un portafoglio benchmark. Da questa 
sorgente si estrae anche la matrice delle covarianze del mercato. 
L’altra sorgente d’informazione è costruita dai rendimenti attesi dal gestore nel 
breve termine, ove queste differiscano da quelli di equilibrio. In questa forma è 
possibile anche specificare l’incertezza nelle aspettative. 
Una volta studiate le due sorgenti d’informazione, queste vengono fuse attraverso 
l’utilizzo del teorema di Bayes o del metodo di stima mista di Theil. Il risultato 
sarà un vettore dei rendimenti ed una matrice delle covarianze da utilizzare come 
input del modello media-varianza, che a questo punto dovrebbe portare alla co-
struzione di un portafoglio ben bilanciato che rispecchi anche le aspettative di 
breve periodo dei gestori e le loro incertezze.
5 
 
1. I problemi affrontati da Black e Litterman 
 
1.1 Il modello di Markowitz 
 
Nel 1952 Harry Markowitz presentò, in un articolo sul The Journal of Finance
1
, il 
modello media-varianza, per la creazione di un portafoglio titoli ottimale. Il mo-
dello era innovativo per quel tempo e consisteva nell’utilizzare dati come input al 
fine di trovare il portafoglio ottimale per quel dato soggetto. 
Prima di spiegare il modello, Markowitz fa delle assunzioni con lo scopo di rendere 
più agevole lo sviluppo del modello, queste sono la durata uniperiodale degli in-
vestimenti, l’avversione al rischio degli investitori, l’assenza dei costi di transa-
zione e la perfetta competitività dei mercati finanziari. 
Dato un insieme di titoli inseribili nel portafoglio, si va ad analizzare per ogni titolo 
i il rendimento atteso (µ
 ), la varianza (  2
) e la covarianza ( 
) rispetto a ciascun 
titolo i≠j, infine si creano dei portafogli di tutte le possibili combinazioni di titoli. 
Per far questo, si ricava dai dati la serie storica di ogni titolo i (  ), dopodiché si 
desume dalla serie storica la varianza del titolo i e la covarianza con gli altri titoli, 
quest’ultimo processo lo si fa per tutti i titoli. Infine mettiamo tutti i dati sulle 
varianze e sulle covarianze in un'unica matrice Σ, la quale sarà composta dai valori 
delle varianze nella diagonale e dalle covarianze negli altri spazi, così come da 
esempio: 
 
 = [
 1
2
 1,2
 1,3
 2,1
 2
2
 2,3
 3,1
 3,2
 3
2
] 
 
Σ avrà la forma  ×  , dove N è il numero dei titoli presi in considerazione. 
I valori   andranno invece a comporre il vettore  , il quale è un vettore 1 ×  . 
                                            
1
 Markowitz [1952]
6 
 
Per adesso supponiamo che tutti i titoli presi in considerazione siano rischiosi. Co-
struendo con questi dati tutte le combinazioni dei portafogli possibile e analiz-
zando il rendimento atteso di ogni singolo portafoglio (µ
 ) e la varianza (  2
), date 
dalle caratteristiche dei titoli che li compongono, e disponendoli su un piano car-
tesiano con µp sull’asse delle ordinate e σp sull’asse delle ascisse, si può notare che 
questi vanno a formare l’insieme di tutti i possibili portafogli. 
 
 
Figura 1.1 – Insieme di tutti i possibili portafogli 
 
Il cerchio descrive l’insieme di tutti i possibili portafogli che posso creare utiliz-
zando i titoli a mia disposizione. La delimitazione del cerchio rappresenta la fron-
tiera dei portafogli possibili, non è infatti ammissibile costruire un portafoglio con 
caratteristiche che lo posizionino fuori da questo cerchio.
7 
 
Adesso che si conoscono tutte le combinazioni di titoli, è possibile selezionare 
quelle efficienti, cioè quei portafogli per i quali non è possibile avere un rendi-
mento atteso maggiore a parità di rischio o un rischio minore a parità di rendimento 
atteso, rappresentati dal segmento che va da A a B in Figura 1.1. 
Tra questi portafogli efficienti, l’investitore sceglierà quello più adatto al proprio 
profilo di rischio incrociando la propria funzione di utilità con la frontiera effi-
ciente. Data la forma convessa della funzione di utilità del soggetto avverso al ri-
schio, il portafoglio scelto sarà quello che la massimizza e sarà solo uno. In Mar-
kowitz, il profilo di rischio viene espresso attraverso l’uso di coefficiente,  , il 
quale rispecchia l’avversione al rischio dell’investitore. 
Unendo gli elementi appresi finora si arriva alla composizione del portafoglio di 
Markowitz, derivante dalla seguente relazione
2
: 
 
(1)  = (  )
−1
 
 
Dove w è il vettore  × 1 contenente i valori delle quote dei titoli nel portafoglio. 
Una volta appresa questa veloce visione d’insieme del modello di Markowitz si 
può discorrere su alcune parti che riguardano la sua costruzione e che in questa tesi 
servono per capire meglio le basi del modello di gestione dei portafogli di Black e 
Litterman. 
Benché Markowitz nel suo articolo del 1952 non parli di input del modello ma dice 
che tale tecnica dovrà essere approfondita più avanti, la prassi prevede di desumere 
la media dei rendimenti di un titolo e la sua varianza dalla sua serie storica, utiliz-
zando metodi propri delle discipline econometriche, come la tecnica dei minimi 
quadrati, o OLS, o la tecnica dei GLS. Tralasciando i problemi che si incontrano 
affrontando serie storiche riguardanti il mondo finanziario, questo metodo porta a 
selezionare portafogli cosiddetti “estremi”, cioè con dei valori assurdi rispetto ai 
pesi dei titoli che li compongono, come ad esempio acquistare un titolo per il 110% 
del portafoglio e venderne un altro allo scoperto per il 50%. 
 
                                            
2
 Per la derivazione della formula vedere Walters [2011] pag. 4,5,6.
8 
 
Tabella 1.1 - Optimal Portfolio Based on Historical Average Approach 
             Germany France Japan UK USA Canada Australia 
Currency Exposure -78,7 46,5 15,5 28,6  65 -5,2 
Bonds  30,4 -40,7 40,4 -1,4 54,5 -95,7 -52,5 
Equities  4,4 -4,4 15,5 13,3 44 -44,2 9 
Fonte: Black, Litterman [1992] 
 
Questo è l’esempio di un portafoglio creato, con il metodo suddetto, usando serie 
storiche di rendimenti mensili
3
 dei mercati dei obbligazionari e azionari di sette 
Paesi
4
, la moneta di riferimento è il dollaro americano ed il rischio è fissato ad un 
livello del 10,7% ( = 10,7%) . 
Come ci si aspettava il portafoglio è situato sulla frontiera efficiente ma è estrema-
mente sbilanciato, con pesanti posizioni in attivo su alcuni titoli e pesanti vendite 
allo scoperto su altri, quindi non può essergli data attuazione pratica. 
Questo fenomeno è dato soprattutto dalla costruzione della matrice delle cova-
rianze, cioè quella matrice che è composta da tutte le covarianze tra i titoli e dalle 
loro varianze. Questa rende il modello particolarmente sensibile alle relazioni tra i 
titoli, così porta ad una costruzione di un portafoglio composto da pochi titoli cor-
relati negativamente tra loro, con il fine di abbassare il rischio. Se da un punto di 
vista teorico l’idea è valida, da un punto di vista pratico ciò rende il modello inu-
tilizzabile, prendiamo ad esempio un manager di un fondo d’investimento che ge-
stisce anche decine di milioni di euro, per lui acquistare il 110% in una società 
potrebbe voler dire acquistarne metà, essere obbligato a lanciare un’opa o nel peg-
giore dei casi la società potrebbe addirittura non capitalizzare tale somma. Questo 
è un altro dei punti focali del modello di Markowitz, per i titoli che sono scelti tra 
i papabili per la costruzione del portafoglio, il modello non tiene minimamente 
conto della loro capitalizzazione di mercato o del loro flottante ma solo ed esclu-
sivamente del loro rendimento. La soluzione per ovviare a questo inconveniente 
c’è ed è quella di inserire delle restrizioni nel modello come l’impossibilità per un 
titolo, o per alcuni di essi, di superare un certo peso all’interno del portafoglio. 
                                            
3
 Le serie storiche in questione riguardano il periodo che va dal gennaio 1975 all’agosto 1991. 
4
 Ci si riferisce a determinati indici che non sono esplicitamente indicati nell’articolo.
9 
 
Questa soluzione è però un palliativo e snatura in parte il modello, che non giunge 
alla costruzione di un portafoglio efficiente. 
Una possibile soluzione a questi problemi è costituito da quello che chiameremo 
equilibrium approach, questo metodo va a cambiare l’input del modello. In questo 
caso i rendimenti che formeranno l’input del modello saranno calcolati sulla base 
di un modello, il CAPM, il quale dirà quale è il rendimento atteso di equilibrio per 
il titolo i, sulla base della sua rischiosità e della rischiosità del mercato. Una volta 
ottenuti i rendimenti di equilibrio per tutti i titoli, questi verranno usati come input 
nel modello a media-varianza e verrà calcolato il portafoglio efficiente. 
 
1.2 Il CAPM 
 
Il CAPM è un modello presentato da William Sharpe in un articolo del 1964 nel 
quale egli descrive una nuova metodologia per calcolare i rendimenti di equilibrio 
dei titoli. Sharpe arriva alla conclusione che i rendimenti di equilibrio di una data 
attività siano uguali al rendimento del titolo privo di rischio più un premio per il 
rischio, il rendimento del portafoglio di mercato meno il rendimento risk free, mol-
tiplicato per un fattore β, che rispecchia la rischiosità del titolo rispetto al mercato 
e la sua correlazione con esso. 
 
(2)  [  ] =   +   ( [  ]−   ) 
 
Dove: 
 [  ] è il rendimento atteso di equilibrio per il titolo i; 
  è il rendimento del titolo privo di rischio, assunto costante; 
 [  ] è il rendimento di equilibrio del portafoglio di mercato; 
  è il coefficiente che sintetizza la rischiosità del titolo i rispetto al 
portafogli odi mercato; 
  ( [  ]−   ) è il premio per il rischio per aver investito nel titolo i.
10 
 
Con questa equazione Sharpe è riuscito a spiegare quale fosse il rendimento di 
equilibrio di una data attività, quando la domanda è uguale all’offerta, tenendo 
quindi conto della capitalizzazione di mercato. Se un’attività fosse troppo richie-
sta, poiché il suo rendimento risultasse troppo alto rispetto alla sua rischiosità, ve-
drebbe salire il proprio prezzo per la pressione della domanda e, di conseguenza, 
scendere il proprio rendimento fino a che questo non diventi talmente basso da non 
attrarre più nuovi investitori, raggiungendo il rendimento di equilibrio.  
Nella pratica, per utilizzare il modello e ricavarne la serie storica dei rendimenti di 
equilibrio, che utilizzeremo successivamente nel modello media-varianza, è neces-
sario utilizzare dei metodi di stima econometrici. 
Definiamo: 
 
(3)  
=  
−  [  ] 
 
(4)  
=  
−  [  ] 
 
uit e umt sono definiti come errori, cioè sono la differenza tra il rendimento realiz-
zato della variabile ( 
 o  
)  nel momento t ed il suo valore atteso, verso il quale 
il rendimento tende a convergere per le motivazioni suddette. 
Sostituendo le equazioni (3) e (4) nella (2), possiamo riscriverla nel seguente 
modo: 
 
(5)  
−   =   [ 
−   ]+   
 
con εt=u it-βiumt. 
Come risultato si avrà una serie storica composta da ( 
−   ) , che rappresenta 
l’eccesso di rendimento del titolo i rispetto al tasso risk free al tempo t. Questa 
serie storica è inevitabilmente legata al portafoglio benchmark (m) scelto, in que-
sto caso il portafoglio di mercato. Inserendo questi input in questo modo nel mo-
dello media-varianza si otterrà esattamente il portafoglio di mercato.
11 
 
Tabella 1.2 - Equilibrium Optimal Portfolio – Basato sulle serie storiche ricavate con il CAPM 
  
           Germany France Japan UK USA Canada Australia 
Currency Exposure 1,1 0,9 5,9 2  0,6 0,3 
Bonds  2,9 1,9 6 1,8 16,3 1,4 0,3 
Equities  2,6 2,4 23,7 8,3 29,7 1,6 1,1 
Fonte: Black, Litterman [1992] 
 
Come si vede dalla tabella 1.2, il portafoglio creato con le serie storiche trattate nel 
modo suddetto, e successivamente inserite nel modello a media-varianza, è ben 
bilanciato e i suoi pesi replicano il portafoglio di mercato. 
Utilizzando serie storiche così strutturate si ottengono infatti portafogli meglio bi-
lanciati. Tuttavia la matrice delle correlazioni è ancora creata utilizzando le serie 
storiche e questo porterà problemi se l’investitore ha proprie aspettative (o views), 
da qui si svilupperà il modello di Black e Litterman. 
Un manager di portafogli può voler non seguire il modello a media-varianza così 
scrupolosamente poiché può avere aspettative diverse da quelle date dal CAPM, 
in questo caso si parla di inserimento di views, che possono essere date dagli studi 
degli economisti su particolari settori o dalle intuizioni dei manager.  
In questa fase l’inserimento delle views nel modello avviene modificando l’intera 
serie storica in modo da farla coincidere con le aspettative personali. Una volta 
effettuato questo procedimento si reinseriscono le serie storiche nel modello me-
dia-varianza, che calcolerà prima la matrice delle covarianze e poi il portafoglio 
ottimale. Adesso l’attenzione ricade sulla troppa sensibilità del modello ai muta-
menti nelle serie storiche, con ripercussioni sulla matrice delle covarianze e, di 
conseguenza, sulla composizione del portafoglio. Proprio grazie all’effetto della 
matrice, il portafoglio torna ad essere sbilanciato e inattuabile. La troppa sensibilità 
del modello a media-varianza cambia radicalmente le relazioni tra i titoli, così da 
produrre pesanti posizioni in attivo e in passivo con il fine di minimizzare il rischio.