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INTRODUZIONE
Il lavoro è sicuramente uno degli ambiti piø importanti dell’esistenza,
non soltanto per la quantità di tempo che gli viene dedicato, ma anche
perchØ, spesso, quello che succede durante l’orario lavorativo condiziona
anche il resto della nostra vita psico-sociale.
Negli ultimi tempi si è assistito a un aumento di interesse nei confronti
del benessere organizzativo, e di conseguenza dunque, anche dei
comportamenti negativi messi in atto sul luogo di lavoro, proprio per
questo motivo: ci si è, infatti, resi conto di quanto la qualità del tempo
vissuto negli ambienti lavorativi, e quindi le gratificazioni oppure le
insoddisfazioni che vi si sperimentano, possano influenzare le nostre gioie,
così come, al contrario, incrementare la frustrazione (Favretto, Lo stress
nelle organizzazioni, 1994). Le conseguenze per il lavoratore vanno, infatti,
dal danno biologico a quello morale (Mikkelsen e Einarsen, Relationship
between exposure to bullying at work and psychological and
psychosomatic health complaints: The role of state negative affectivity and
generalized self-efficacy. Scandinavian Journal of Psychology, 43 (5), 397-
405, 2002), fino ai problemi nella vita familiare. Anche l’azienda e la
collettività non sono immuni da danni sia a livello economico che
sull’ambiente lavorativo/sociale (Vartia, The sources of Bullying:
psychological work environment and organizational climate. European
Journal of Work and Organizational Psychology, 5 (2), 203-214, 1996;
Leymann, 1996).
Si inseriscono in questo discorso tutti i recenti studi psicologici che,
anche a seguito di un crescente focus su determinati episodi da parte dei
media, hanno cercato di indagare le motivazioni, la tipologia, le
Introduzione
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conseguenze e la prevenzione dei maltrattamenti e delle vessazioni verso i
lavoratori.
Nello studio di questi fenomeni, fu Leymann agli inizi degli anni ’80 il
primo a utilizzare la parola “mobbing” in relazione a comportamenti
aggressivi sul posto di lavoro (Leymann e Gustavsson, Psycholological
violence at work places. Two esplorative studies, 1984). Egli la mutuò
dall’etologia, dove era già stata riadattata da Lorenz (L’aggressività,
1963/1986) per identificare il comportamento di alcuni uccelli nel
difendere il proprio nido. Lorenz aveva, infatti, coniato a sua volta il
termine declinando il verbo inglese “to mob” (assalire con violenza), per
descrivere una manifestazione comportamentale dalle determinanti simili, e
però distinte, rispetto al quadro già esaminato dai precedenti studi sul
bullismo. Dopo aver attraversato varie concettualizzazioni, la definizione
piø precisa di mobbing, condivisa dai piø insigni studiosi, resta però a
tutt’oggi quella riportata nel lavoro di Einarsen e colleghi (Einarsen, Hoel,
Zapf e Cooper, The concept of bullying at work: The European tradition, in
Einarsen, Hoel, Zapf e Cooper, Bullying and emotional abuse in the
workplace. International perspectives in research and practice, 2003); in
esso si dichiara infatti che <<Il mobbing può essere definito come
un’aggressione psicologica, una forma di offesa morale, volta a spingere
una persona alla sua esclusione dal contesto lavorativo o danneggiare
alcuni aspetti del ruolo lavorativo e della mansione. Per etichettare come
mobbing determinate attività e processi, i comportamenti di vessazione
devono essere esercitati ripetutamente e regolarmente (per esempio una
volta alla settimana) e per un certo periodo di tempo (per esempio per
almeno 6 mesi). Il mobbing è un processo di intensificazione di un conflitto
(escalation) nel corso del quale una persona si trova in una posizione di
inferiorità ed è vittima di sistematiche azioni negative da parte di uno o piø
Introduzione
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aggressori. Il mobbing non si riferisce ad un conflitto scaturito da un
incidente o da evento isolato nØ ad un conflitto in cui tra aggressore e
vittima intercorre la stessa relazione di potere>>.
Nel presente lavoro si cercherà di fornire una panoramica il piø
esaustiva possibile sul fenomeno del mobbing, inquadrando il problema
specialmente dal lato della Pubblica Amministrazione. Gli studi sulla
cultura aziendale e i rapporti interpersonali che si vengono a creare al suo
interno, evidenziano come il clima dentro un’organizzazione abbia una
chiara connessione con la presenza di azioni mobbizzanti (Depolo,
Mobbing: quando la prevenzione è intervento, 2003). Appunto nella
Pubblica Amministrazione, si registrano molte peculiarità riguardanti
l’organizzazione del lavoro che debbono essere individuate e analizzate, in
quanto potenziali sorgenti di forme di mobbing. Ege (I numeri del
Mobbing. La prima ricerca italiana, 1998), ad esempio, ha identificato un
numero elevato di vittime di mobbing nella PA dovuto alla presenza di
favoritismi (politici e non) e quindi alla conseguente tendenza a voler
danneggiare chi fa parte di una minoranza. Anche gli aspetti monotoni,
ripetitivi, noiosi (e che quindi richiedono poca attenzione/attivazione
psicosociale) del lavoro, uniti alla bassa tensione per il risultato, sembrano
essere una caratteristica facilitante l’emergere di comportamenti
mobbizzanti (Agervold, Bullying at work: A discussion of definitions and
prevalence, based on an empirical study. Scandinavian Journal of
Psychology, 48:161–172, 2007). Agervold sostiene inoltre che anche la
staticità nell’organizzazione del lavoro e la paura di una ristrutturazione
profonda siano altri due fattori facilitanti fondamentali. Proprio queste a
ben vedere rispecchiano spesso le caratteristiche distintive di molti
impieghi all’interno delle istituzioni pubbliche: il lavoro è quotidianamente
sempre lo stesso per anni, non difficile da portare a termine e con ritmi
Introduzione
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mentali sempre uguali; il seme del mobbing germoglia quindi qui con piø
semplicità e con forme che molto spesso si differenziano assumendo
connotati specifici.
La tesi è organizzata strutturalmente in due parti: inizialmente nei primi
due capitoli si esporrà una presentazione teorica generale sullo stato
dell’arte riguardo al mobbing, e quindi del suo inquadramento all’interno
della psicologia del lavoro, l’excursus storico degli studi riguardanti il
fenomeno, cause e conseguenze legate a esso e le sue caratteristiche
determinanti. Partendo dalla definizione del problema data dai precedenti
studi, si cercherà di stabilire quali sono le varie tipologie e forme di
violenza sul lavoro finora prese in esame dalla letteratura. Dopo una
cronostoria del fenomeno mobbing contestualizzato all’interno dello studio
dell’organizzazione del lavoro, seguirà un’analisi di quali sono i principali
attori di queste vessazioni (e le tecniche da loro usate): oltre alla vittima e
al mobber è, infatti, importante parlare anche degli spettatori dell’azione
mobbizzante.
Il secondo capitolo tratta invece di cause e conseguenze legate al
mobbing (ordinate per livello, dall’individuale, all’organizzativo, fino al
sociale), e di quali siano le strategie mobbizzanti piø comuni. Si cita inoltre
il lato giuridico della questione, perchØ inevitabilmente il mobbing lascia
dietro di sØ anche degli strascichi giudiziari; c’è da analizzare in particolare
quali siano le leggi italiane e straniere a tutela del lavoratore.
La seconda parte, riguardante gli ultimi due capitoli, verterà invece su
aspetti maggiormente pratici o specifici dei comportamenti negativi sul
luogo di lavoro quali le particolarità del fenomeno all’interno del pubblico
impiego, la misurazione dello stesso, la prevenzione o la gestione di
situazioni a rischio mobbing.
Introduzione
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In particolare, il terzo capitolo prende in esame la rilevazione dei casi,
come si esegue l’accertamento/misurazione del mobbing in ambito
lavorativo, e la descrizione di alcuni modelli di prevenzione e altri
interventi di recupero (si cercherà anche di fornire alcuni esempi pratici di
spunti operativi per chiunque, quale che sia il proprio ruolo, si debba
confrontare con tali problematiche). Verranno citati alcuni dati statistici,
inseriti per mostrare la rilevanza di questa piaga sociale. Alla fine del
capitolo verranno prese in considerazione le particolarità del fenomeno
mobbing nella Pubblica Amministrazione, spiegando soprattutto i motivi
per i quali in questo contesto esso assume una specifica fenomenologia.
Nel quarto capitolo infine si mostreranno i dati raccolti realizzando
un’indagine esplorativa sulla diffusione del mobbing all’interno di una
Unità Sanitaria Locale. Dopo la descrizione della suddetta Usl e dei
questionari utilizzati come strumenti per l’indagine, si passeranno in
rassegna i risultati emersi, e a partire da questi si stileranno alcune
considerazioni finali, utilizzabili anche come spunto per successive
ricerche.
Parte prima – Fenomenologia del mobbing
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CAPITOLO I – PRESENTAZIONE TEORICA
L’approccio allo studio del mobbing è complesso, anche perchØ si tratta
di indagare un fenomeno che può essere visto da diverse prospettive. Per
poter ben comprendere tutti gli aspetti del caso ci si deve basare su diverse
competenze che fanno riferimento al campo psicologico, medico, giuridico,
sociologico ed economico.
Nella prospettiva sociologica ed economica lo studio del mobbing in
Italia comincia dagli anni Novanta, con l’analisi, in primis, delle cause
(globalizzazione, competitività tra le imprese, surmenage lavorativo
1
,
precarietà del lavoro) e di come si possano manifestare le vessazioni sul
luogo di lavoro, e in seguito di come queste siano cambiate col passare
degli anni e il mutamento dei processi lavorativi.
Gli studi in ambito economico ne hanno poi messa in luce l’incidenza
sul processo produttivo, cercando di definire l’impatto del mobbing
(sottoforma di assenteismo dal lavoro, mancanza di collaborazione,
aumento di conflitto interpersonale, e anche spese dovute a cause legali) in
termini piø strettamente monetari.
Nel campo della medicina è stato ormai ampiamente dimostrato, sulle
orme del lavoro di Leymann (1990), che il mobbing ha effetti molto
rilevanti sulla salute neuro-psichica delle vittime. Gli approfondimenti sono
cominciati però dal 1998 quando Renato Gilioli, presso l’Istituto di
Medicina del Lavoro Devoto dell’Università di Milano, ha cominciato a
prestare attenzione al fenomeno e alle sue caratteristiche; da lì in poi gli
studi si sono indirizzati su aree d’intervento, quadri sindromici,
sintomatologia, messa a punto di strumenti diagnostici, e ultimamente
anche sull’incidenza del fenomeno.
1
La pressione a produrre sempre di piø in minor tempo e con minori costi.
Presentazione teorica
15
Il punto di vista giuridico si è invece incentrato sui fatti che
caratterizzano il mobbing, così da inquadrarli nelle adeguate categorie
giuridiche. Della rilevanza giuridica del problema dal punto di vista anche
penale si parlerà approfonditamente all’interno del secondo capitolo.
Gli studi sul mobbing a livello psicologico partono invece con Brodsky
che già nel 1976 distingueva tra aggressione soggettiva (subjective
harassment), quando il punto di vista da cui partire era quello della vittima,
e aggressione oggettiva (objective harassment) se le molestie erano,
appunto, riscontrabili oggettivamente. E’ chiaro come tra stress e mobbing
sussista una continuità logica e temporale (Favretto, 2005); ma anche se la
tensione e lo stress possono essere vissuti dalla vittima come sintomo di
mobbing, senza una via di valutazione oggettiva non esiste possibilità di
dimostrare l’effettiva esistenza delle molestie. Spesso si può anche notare,
infatti, una differenza tra la percezione di mobbing della vittima e del
vessatore (Einarsen et al., 1994), e dato anche che questo può esercitare una
certa influenza sul fatto che la vittima sviluppi ancora di piø vissuti
percettivi legati al mobbing (Depolo, 2003), per la gestione legale del
fenomeno è sicuramente indispensabile una concettualizzazione oggettiva
dei confini del fenomeno per quel che riguarda l’aspetto psicologico
(Lengnick-Hall, 1995).
1.1 Definizione del problema
La prima criticità che emerge nello studio del mobbing consiste nella
ricerca di una sua precisa e condivisa definizione (Rayner, Sheehan e
Barker, 1999; Coyne et al., 2000). Nello studio di questi fenomeni, fu
Leymann agli inizi degli anni ’80 il primo a utilizzare la parola “mobbing”
Parte prima - - - - Capitolo I
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a proposito di comportamenti aggressivi sul posto di lavoro (Leymann e
Gustavsson, Psycholological violence at work places. Two esplorative
studies, 1984). Egli la mutuò dall’etologia, dove era già stata riadattata da
Lorenz per identificare il comportamento di alcuni uccelli nel difendere il
proprio nido.
2
Lorenz aveva, infatti, coniato a sua volta il termine
declinando il verbo inglese “to mob” (assalire con violenza), per descrivere
una manifestazione comportamentale dalle caratteristiche simili, e però
distinte, rispetto al quadro già esaminato dai precedenti studi sul bullismo.
Dopo aver attraversato varie concettualizzazioni, la definizione piø precisa
di mobbing, condivisa dai piø insigni studiosi, resta a tutt’oggi però quella
riportata nel lavoro di Einarsen e colleghi (Einarsen, Hoel, Zapf e Cooper,
The concept of bullying at work: The European tradition, in Einarsen,
Hoel, Zapf e Cooper, Bullying and emotional abuse in the workplace.
International perspectives in research and practice, 2003); in esso si
dichiara, infatti, che “Il mobbing può essere definito come un’aggressione
psicologica, una forma di offesa morale, volta a spingere una persona alla
sua esclusione dal contesto lavorativo o danneggiare alcuni aspetti del
ruolo lavorativo e della mansione. Per etichettare come mobbing
determinate attività e processi, i comportamenti di vessazione devono
essere esercitati ripetutamente e regolarmente (per esempio una volta la
settimana) e per un certo periodo di tempo (per esempio per almeno 6
mesi). Il mobbing è un processo d’intensificazione di un conflitto
(escalation) nel corso del quale una persona si trova in una posizione
d’inferiorità ed è vittima di sistematiche azioni negative da parte di uno o
piø aggressori. Il mobbing non si riferisce a un conflitto scaturito da un
incidente o da evento isolato nØ a un conflitto in cui tra aggressore e
vittima intercorre la stessa relazione di potere”.
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K. LORENZ, Evolution and Modification of Behaviour, Harvard University Press, London 1961 (trad.
it.: L’evoluzione e modificazione del comportamento, Bollati-Boringhieri, Torino, 1971); K. LORENZ,
L’aggressività, Il Saggiatore, Milano, 1983.