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Il libertino dissoluto giocoso, sprezzante della morte e del pericolo e amante dei
travestimenti di cui si serve per sedurre le sue vittime nell’opera di Molière affina la sua arte
dialettica giungendo alla celebrazione dell’ipocrisia come carattere necessario per vivere nella
società del tempo, anche se fa la stessa fine del suo antecedente. Molière riprende il personaggio di
Tirso rendendolo più freddo e calcolatore: egli è ugualmente profondamente teatrale ma anche
finemente intellettuale, machiavellico nelle contorsioni mentali destinate al piacere personale e ai
danni degli altri; perde così in spontaneità e spensieratezza, e nel momento finale della discesa agli
inferi l’unica invocazione del servo Sganarello sarà quella della paga che ormai è rassegnato a non
ricevere.
L’opera all’epoca fu censurata perché conteneva una critica non troppo velata alla società
parigina del tempo, quindi non ottenne il successo sperato, ma ciò non impedisce al mito di essere
ripreso successivamente, fino a giungere all’immortale dramma giocoso mozartiano.
In Mozart, come si è detto, il mito Dongiovannesco tocca la punta del suo apice,
cominciando allo stesso tempo a mostrare le prime crepe in una società che si stava rapidamente
evolvendo. Il Don Giovanni di Mozart amalgama momenti comici e drammatici; il mito qui è
strettamente inserito nel presente, nel qui e ora, vive nell’azione ed è eternamente in fuga. Don
Giovanni seduce col suo desiderare più che con la sua fisicità, e questo desiderio costante,
insaziabile si riversa e travolge tutte le Donne di cui incrocia lo sguardo. Anche in questo caso la
parola è un’importante arma seduttiva, adulatrice e foriera di false promesse, che inserita nel
contesto musicale conferisce al personaggio quel carattere d’infinitezza e perfezione così peculiare
studiato dal filosofo Kierkegaard.
Da allora in poi alcuni dei suoi tratti distintivi subiranno delle notevoli variazioni: dopo
Mozart il personaggio di Don Giovanni mitiga i suoi tratti distintivi diventando più borghese ed in
un certo senso più “umano”. La sua crudele intelligenza si stempera nell’astuzia e riusciremo a
vedere dentro la sua anima; egli potrà soffrire come tutti gli altri e persino provare amore.
Così, se romantici come Hoffmann e Baudelaire ne rivendicano l’aura maledetta, facendone
il simbolo della ribellione della carne contro il conformismo del matrimonio, in Byron il seduttore
diventa sedotto: è un fanciullo imberbe che scopre la sensualità quasi per caso ed è costretto a
fuggire a causa delle oscure trame di adulti disincantati, un aristocratico che non conosce la
malvagità e proprio per questo attrae le Donne.
Questa purezza d’animo del personaggio nell’opera musicale di Strawinsky/Auden è
associata alla vita in campagna e ad una relazione amorosa stabile con Anna; la perdizione di questo
Don Giovanni bucolico e passivo sarà legata all’annuncio di un’eredità da parte di un uomo che si
rivelerà essere il Diavolo, e al viaggio in città, in seguito al quale Don Giovanni, burattino nelle
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mani del destino, perderà per sempre la sua innocenza. La sua dannazione non sarà più l’inferno
celeste ma quello terreno, rappresentato dalla follia.
Non c’è più traccia del libertino demoniaco e sacrilego creato da Tirso De Molina e che
rivive per l’ultima volta in Mozart. Da quel momento in poi il personaggio di Don Giovanni
acquista un’aura di umanità che si accompagna ad una complessità psicologica via via crescente, e
ciò va di pari passo con la graduale scomparsa della dannazione infernale finale, sostituita con una
ben più attuale dannazione terrena (come nel caso di Strawinsky sopra citato o nel Don Giovanni di
Frisch, condannato ad un’esistenza coniugale monogamica e al concepimento di un figlio) o con
un’inaspettata assoluzione come nell’opera di Saramago, oppure con la prosecuzione di un
nomadismo eterno come nel romanzo di Handke, in cui l’ospite Don Giovanni si dilegua così
com’era apparso, senza che si sappia dove andrà a finire.
Se in Saramago è un uomo ormai maturo che siede a tavolino tenendo lui stesso aggiornato
il catalogo delle sue conquiste e che troverà la salvezza finale nell’amore di Zerlina, scoprendo una
profonda, umana fragilità che mai gli avremmo attribuito, in Handke è più assimilabile ad una
presenza eterea, quasi fantasmatica, che appare per breve tempo nella vita del suo ospite e scompare
lasciando lui e noi nel dubbio che si sia trattato solo di un sogno.
E se durante l’”infanzia” di Don Giovanni la punizione divina era inevitabile, auspicata dai
benpensanti e allo stesso tempo carica di nostalgia, in epoca moderna il relativismo ha preso il posto
di quella onnipresente, a tratti opprimente religiosità, anche se il misticismo religioso sarà l’ultima
ancora di salvezza per il Don Juan di Mérimée e per quello di Lee Vernon, che raccomanda la sua
anima alla Vergine delle Sette Spade (anche se in ciò si può ravvisare, a mio parere, l’indiscutibile
riferimento all’identità femminile della Vergine nonché alle armi: amore e morte).
Il Don Giovanni moderno, rassegnato alla sua stessa storia, è sballottato dal destino come
una barchetta in mezzo all’oceano; sembra quasi che lui non voglia davvero proseguire le sue
avventure, appare sempre più stanco e disilluso, ma continua ad esistere e a rinverdire il suo mito
negli anni, per non deludere le aspettative di un pubblico che non cessa di acclamarlo.
Ma perché tutto questo successo è arrivato fino a noi? Perché l’ideale del Don Giovanni
incarna quell’erotismo trasgressivo che tutti sognano ma a cui spesso si rinuncia per quieto vivere,
preferendo un’esistenza borghese alla pericolosa libertà del gaudente senza regole.
Egli concentra in sé tutti i maggiori pregi e difetti dell’umanità; in lui ognuno può vedere ciò
che vuole, spaziando attraverso un’ampia gamma di elementi: l’eros, il coraggio, la crudeltà,
l’autodistruzione, la libertà, la fuga, il desiderio di esistenze impossibili, la trasgressione, la sfida
continua alle autorità e alla morte, la negazione del soprannaturale nel nome di un’incontrovertibile
razionalità.
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È proprio la contrapposizione dei due elementi Amore/Morte, reiterati fino alla fine, a
rendere immortale questo mito, insieme agli altri cui si è accennato sopra. Amore e Morte come due
forze contrapposte ma estremamente vicine e correlate, come quando Don Giovanni non esita a
trafiggere con la spada padri, mariti, fratelli e altre identità maschili che cercano di ostacolare i suoi
intenti seduttivi nei confronti di Donne già perdute per il solo fatto di averlo incontrato. L’Amore
per lui è seduzione immediata e soddisfacimento di una pulsione inesauribile, e a questo tipo di
Amore non può che seguire la Morte: morte dell’anima e dell’onore delle fanciulle da lui sedotte e
Abbandonate (che talvolta muoiono sul serio, di dolore per la perdita subita) e morte reale destinata
a chiunque, maschio, si frapponga tra lui ed il suo istinto.
Inoltre, un ruolo importante nella continua rielaborazione del mito è giocato dalla sua
estrema versatilità da un punto di vista creativo: è un mito che trova la sua massima espressione
nella musica di Mozart, ma nasce a teatro e rivive nella musicalità della poesia e nella parola scritta
di racconti e romanzi, che appoggiandosi ad una solida tradizione riescono comunque a
tramandarne la più profonda essenza, pur non riuscendo a renderne l’immediatezza sensuale che si
può rintracciare solo nella presenza della musica. Proprio la musica infatti conferisce al personaggio
quelle caratteristiche di indeterminatezza e non finitezza che non possono essere fissate nei contorni
inevitabili delle altre arti.
Comunque c’è da augurarsi che, com’è stato per la trasposizione cinematografica di Losey o
per la rielaborazione del mito (sempre cinematografica) di Bergman con L’occhio del diavolo,
questo secolo dia un nuovo impulso, anche sull’onda dell’emergere di nuovi media, al personaggio
di Don Giovanni e alle sue avventure. Un mito profondamente mutato col passare degli anni, che
attualmente si troverebbe inserito in una società costellata di miriadi di falsi emulatori, in realtà solo
anime tormentate e dubbiose alla ricerca di un’identità sempre più difficile da individuare, che è
stato dato per spacciato innumerevoli volte ma che regge al trascorrere del tempo; un personaggio
che ha ormai Abbandonato le esasperazioni del passato per incarnare un Io sempre in movimento
alla ricerca di qualcosa. Che cosa sia questo qualcosa o che cosa lo spinga a questa ricerca
incessante non ci è dato saperlo, ma è il rapporto con il suo mondo interiore (ricco e contrastato)
che si scontra con quello esterno a renderlo ancora così interessante, ed attuale.
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Il Don Giovanni nella musica di Mozart
Come nasce un capolavoro
Il dramma giocoso in due atti Don Giovanni ossia il dissoluto punito di Mozart, su libretto di
Da Ponte scritto in italiano fu rappresentato per la prima volta a Praga il 29 ottobre del 1787 e
riscosse grandissimo successo, tanto da essere rappresentato l’anno seguente a Vienna su espressa
richiesta dell’Imperatore.
Il 1787 è un anno fondamentale nella pur breve esistenza del geniale compositore: è l’anno
della morte del padre – padrone Leopold ma anche l’anno della nascita di sua figlia Theresia. Dal
punto di vista professionale, in quell’anno gli viene affidato l’incarico di Kaiserlichen
Kammermusikus (che era stato di Gluck) con un compenso di 800 fiorini, dà lezioni a un Beethoven
diciassettenne e viene portato in scena per la prima volta il Don Giovanni.
In particolare la morte del padre significò un grande dolore nella vita del giovane Mozart,
dolore che influenzò decisamente la composizione dell’opera; è datata al 4 aprile 1787 la lettera
sulla morte che egli indirizzò al padre:
“Non occorre che le dica con quanta ansietà attendo da lei una notizia consolante. E vi spero come in
una cosa certa, benché ormai mi sia abituato a temere sempre il peggio in ogni circostanza. Poiché la
morte (a ben guardare) è l’ultimo, vero fine della nostra vita, da qualche anno sono entrato in tanta
familiarità con quest’amica sincera e carissima dell’uomo, che la sua immagine non solo non ha per
me più nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzante e consolante! E ringrazio
il mio Dio di avermi concesso la fortuna di avere l’opportunità (lei mi capisce) di riconoscere in essa
la chiave della nostra felicità. Non vado mai a letto senza pensare che (per quanto giovane io sia)
l’indomani forse non ci sarò più.”1
L’opera fu commissionata alla fortunata coppia Mozart/Da Ponte in ricordo del successo
riportato dalla prima opera italiana della Trilogia, Le nozze di Figaro, e prende la definizione di
“dramma giocoso” in quanto fonde armoniosamente in un’unica opera il linguaggio serio con quello
dell’opera buffa, dando vita a tutta una gamma di sentimenti e situazioni diversi e contrastanti.
Non si sa con certezza se fu Mozart o Da Ponte a scegliere il tema del Don Giovanni; non ci
sono accenni in merito alla questione nell’epistolario del compositore, mentre nelle Memorie di Da
1
WOLFGANG AMADEUS MOZART, Epistolario, Logos, Roma 1991, p.279.
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Ponte, scritte in occasione dell’ultimo soggiorno americano, compaiono due informazioni
contrastanti: egli scrive che fu lui a scegliere il soggetto per Mozart, ma da uno schizzo
autobiografico in inglese si deduce che potrebbe essere stato Mozart a suggerirlo a Da Ponte.
Anche se non si può stabilire con esattezza di chi fu l’idea iniziale si sa però che il musicista
riservò la composizione dell’Ouverture come ultima cosa, per meglio poter esprimere i momenti
salienti dell’opera. Ma c’è anche un’altra motivazione dietro questa scelta ben precisa: Da Ponte
impiegava troppo tempo per terminare il libretto e Mozart aveva problemi con l’orchestra e con
l’allestimento dello spettacolo, e oltretutto non poté contare sul prezioso apporto registico del poeta.
Fu per questi motivi che (pare) le partiture dell’Ouverture furono consegnate agli orchestrali ancora
fresche d’inchiostro e cosparse di sabbia per far sì che si asciugassero.
Sembra che il giovane Mozart abbia passato la sera della vigilia della prima insieme al
vecchio Giacomo Casanova, e che il musicista abbia composto l’Ouverture proprio in
quell’occasione, a lume di candela, presso la locanda praghese dei Tre Leoni, anche se la notizia
non si basa su fonti storiche certe ma è riconducibile ad una fantasiosa interpretazione di Louis
Fürner in Mozart e Casanova. Per quanto riguarda l’abate Da Ponte e Casanova, si sa che erano
amici di vecchia data, ma fu un caso che il seduttore per antonomasia si trovasse a Praga proprio la
sera della vigilia della messinscena del Don Giovanni. Senza dubbio è suggestivo immaginare il
terzetto composto dal genio sregolato di Mozart, dal librettista libertino Da Ponte e dal famoso
seduttore Casanova su cui aleggiava lo spirito del Don Giovanni.
Da Ponte, famoso abate, sosteneva di aver preso spunto dall’Inferno dantesco per la
composizione del libretto del Don Giovanni, e prova ne sono la molteplicità di registri sia linguistici
sia narrativi, ma senza dubbio aveva ben presente la creazione di Tirso De Molina, Pseudonimo del
frate Gabriel Téllez. E così un altro uomo di chiesa dà nuova vita ad un eroe del libero arbitrio,
incarnazione di una vita pulsante densa di passioni carnali che è costantemente “costretto” a
soddisfare, che seduce con l’inganno e può esistere solo nell’attimo presente e nell’infinitezza della
musica che prevarica le parole, in costante movimento verso qualcosa ed in fuga dal passato
recente; l’attimo non si è ancora esaurito che già egli è fuggito altrove, verso nuove mete e nuove
conquiste amorose. Da Ponte crea intorno al Don Giovanni una galleria di personaggi con un’ampia
gamma di caratteri che troveranno la massima espressione nella musica di Mozart.
L’Ouverture si apre con tre accordi sincopati in re minore che accompagnano la terribile
apparizione del convitato di pietra, momento cruciale dell’opera, composta in tutto da 26 parti, tra
arie e pezzi d’insieme, collegati tra loro da recitativi secchi o accompagnati dalla musica
dell’orchestra.