4
si diffuse a macchia d’olio in tutto il territorio cinese e poi, in modi e in
periodi diversi, nelle regioni circostanti, in modo particolare in Vietnam,
Giappone e Corea. Da questa espansione è nato quello che oggi viene definito
il “ Polo confuciano ”, ossia quella parte dell’Asia orientale che coincide con
la “ civiltà sinica ” che ha il suo collante nella cultura confuciana e nella
scrittura ideografica, entrambe di origine cinese; questo polo è oggi la regione
economica più dinamica del mondo e rappresenta uno dei tre vertici del
triangolo economico mondiale, in competizione con quello nordamericano e
quello europeo.
La particolarità e l’originalità di questa civiltà deriva dall’isolamento
geografico della madrepatria culturale, la Cina: a nord del suo territorio ci
sono steppe e grandi deserti freddi e inospitali; a sud monti selvaggi e
giungle; a est il Pacifico; ad ovest, infine, c’è la catena montuosa
dell’Himalaya, il “ tetto del mondo ”, che rappresenta un ostacolo quasi
insormontabile. Questo isolamento, unito alla vastità dell’impero cinese e alla
consapevolezza di essere il punto di riferimento costante per tutti i popoli
vicini, ha dato vita a una cultura profondamente universalistica: i Cinesi non
hanno mai considerato il loro Paese come uno tra i tanti, ma da sempre lo
chiamano “ Zhongguo ”, letteralmente “ Paese di mezzo ”, perché fino a
qualche secolo fa lo ritenevano il centro dell’universo, sia in senso geografico
sia in senso culturale. Era il luogo protetto e lontano dalla barbarie del mondo
5
circostante, ed il punto da cui si irradiavano valori e principi assoluti e
universali
1
.
Questo grande e misterioso impero ha sempre esercitato un’attrazione
irresistibile anche sugli Occidentali. Le prime notizie sulla Cina arrivarono
già ai tempi dell’Impero romano, attraverso i racconti dei mercanti che
percorrevano la Via della seta per comprare le pregiate stoffe e i famosi
gioielli orientali. Resoconti più dettagliati furono fatti, in seguito, dai
missionari portoghesi e spagnoli e da esploratori e viaggiatori, ma il primo a
far conoscere più da vicino questo mondo fu il mercante veneziano Marco
Polo che, dopo aver vissuto in Cina per ventitré anni, raccontò le sue
straordinarie avventure nel libro “ Il Milione ”. Già all’inizio del XIV secolo
Polo narrava di un mondo fantastico, il Catai, situato ai confini della terra;
descriveva una cultura splendida e raffinata, donne incantevoli, città di rara
bellezza, paesaggi affascinanti, cibi esotici; a chi gli chiedeva se le avventure
narrate fossero reali o inventate il viaggiatore rispondeva: “ Non ho
raccontato che metà di quello che ho visto ”, suscitando lo stupore e
l’incredulità generale, e la convinzione quelle storie fossero solo
fantasticherie nate dalla fervida immaginazione dell’uomo.
Come potevano esistere all’altro capo del mondo prospere città di milioni di
abitanti quando Venezia, a quel tempo la più grande e ricca città d’Europa, ne
aveva solo centocinquantamila? E come poteva un popolo tanto lontano
1
Il simbolo più evidente di questo senso di centralità è la Grande Muraglia, che rappresenta il senso di
vulnerabilità e la volontà di proteggere il territorio dal caos esterno.
6
condurre un’esistenza così affascinante, civilizzata e avanzata? Agli occhi
degli Occidentali tutto ciò sembrava impossibile, e solo con il tempo quei
racconti sarebbero stati rivalutati e avrebbero influenzato l’andamento delle
relazioni tra Est e Ovest.
Infatti, la successiva constatazione della veridicità delle cronache di Marco
Polo da parte di studiosi, mercanti e viaggiatori
2
, e la scoperta di una realtà
diversa, non biblica, ancora più antica e più evoluta di quella occidentale,
misero in crisi intellettuali e pensatori fino ad allora convinti dell’assoluta
superiorità e universalità del loro modus vivendi, e segnarono l’inizio di una
vera e propria storiografia e di infiniti dibattiti su questo affascinante mondo.
L’incontro vero e proprio tra la civiltà occidentale e quella cinese avvenne a
partire dalla metà del XVI secolo, grazie ai missionari gesuiti che con estrema
meraviglia scoprirono un mondo antichissimo, sviluppatosi, incredibilmente,
al di fuori di quello biblico: un impero potente e prospero governato da
sovrani saggi che fondavano la propria legittimità sulla gestione etica del
potere, assistiti da un corpo di funzionari selezionati secondo criteri
meritocratici; una società dinamica ed avanzata, particolarmente produttiva e
ricca di conoscenze e invenzioni sconosciute al resto del mondo. Gli scritti dei
gesuiti ebbero un’influenza particolare in Europa, e rappresentarono il più
grande veicolo di contatto tra le due civiltà; in particolare contribuirono a
questo grande incontro e alla scoperta reciproca le opere del missionario
2
Lo stesso Colombo, due secoli più tardi, partirà proprio con la speranza di raggiungere quel mondo
fantastico descritto nel Milione.
7
Matteo Ricci, oramai riconosciuto come il padre della sinologia occidentale, e
del sacerdote Matteo Ripa che, tra l’altro, nel 1732 fondò a Napoli il Collegio
dei Cinesi, oggi Università degli Studi di Napoli “ L’Orientale ”, che
inaugurò lo studio del mondo orientale in Occidente.
Poi, il primo Paese ad interessarsi in modo sistematico alla Cina fu la
Francia, nel corso del Settecento e dell’Ottocento: con l’espansione coloniale
in Asia, infatti, si inaugurò lo studio sistematico del Paese, che diede luogo ai
primi saggi e alle prime indagini scientifiche, filosofiche e storiche, e che
segnò l’inizio di varie tendenze sinofile e sinofobe all’interno degli ambienti
colti e intellettuali europei. In particolare gli illuministi, consapevoli dell’alto
grado di civiltà della Cina, la indicavano come modello da imitare: è il caso di
Voltaire, che definiva la Cina “ il Paese più saggio e civilizzato di tutto
l’universo ”
3
. Coloro che erano più vicini alla religione e alla morale
cristiana, invece, descrivevano il Paese come una sorta di “ Occidente
primitivo ”, immorale, decadente, idolatra e chiuso in se stesso
4
. Poi fu la
volta della Gran Bretagna, che a partire dalla metà del XIX secolo, in seguito
alle tensioni e alle guerre con l’impero cinese, avvertì la necessità di studiare
e conoscere più da vicino il nemico.
La storiografia occidentale sulla Cina, dunque, ha origini antiche, ma è nel
Novecento che si sono intensificati gli studi ed è cresciuto l’interesse verso
3
Voltaire, Essai sur les moeurs, 1756.
4
È il caso di Matteo Ricci, che sosteneva la necessità di correggere i “ pessimi costumi ” pagani dei Cinesi
attraverso l’insegnamento della religione cristiana, e che contribuì a diffondere in Occidente il mito della
Cina immobile e pietrificata nella sua arretratezza.
8
questo mondo: già all’inizio del secolo la volontà di evangelizzare i popoli
dell’Asia, sia da parte cattolica che da parte protestante, accentuò l’attenzione
degli Europei e degli Americani per i Paesi asiatici; a ciò si aggiunse
l’interesse economico degli Stati Uniti, sempre più attivi nell’investire capitali
sul grande continente, in particolare dopo la seconda guerra mondiale. In
questo contesto gli studi e le ricerche si consolidarono con la nascita
dell’orientalistica e della sinologia, ma furono compromessi e ostacolati negli
anni della guerra fredda dalle persecuzioni maccartiste, che tra l’altro ne
offuscarono l’obiettività e l’imparzialità.
Infine, a partire dall’inizio degli anni Novanta a oggi, gli scritti sulla Cina
hanno raggiunto un numero incalcolabile: l’interesse dell’Occidente si è
spostato sul sistema politico e sociale, e più generalmente sullo sviluppo
economico di un Paese che fino a qualche decennio fa apparteneva al Terzo
mondo e che nel Duemila sembra deciso a sfidare le più grandi potenze
mondiali. Più in generale, la preoccupazione dei leaders politici e il dilemma
degli studiosi occidentali è rivolta verso tutto il Polo confuciano: nell’ultimo
decennio, infatti, i Paesi del Sudest asiatico hanno assunto un’ importanza
sempre maggiore nel mercato globale, sostenendo il loro sviluppo e facendo
convergere le proprie economie verso un sistema perfettamente integrato di
relazioni economiche, politiche e diplomatiche. Il risultato sorprendente è che
le loro strategie hanno dato luogo a una “ regione economica ” sempre più
dinamica e centrale nel contesto mondiale, diventando un contrappeso forte e
9
temibile per l’egemonia americana: luoghi come la “ Grande Cina ” con Hong
Kong e Taiwan, il Giappone, la Corea, le Filippine, la Malaysia, l’Indonesia e
la Thailandia, rappresentano le zone a più alta intensità di crescita del pianeta
e il baricentro di quest’area è proprio la Cina, da cui partono e in cui
convergono quasi tutte le attività economiche di questa parte del mondo.
È proprio per questo motivo che oggi, agli occhi degli Occidentali, la Cina
rappresenta un “ caso anomalo ”: pur essendo governata da un opprimente e
oscurantista partito comunista, e pur andando contro tutte le logiche
tradizionali europee ed americane, è una delle regioni a capitalismo più
avanzato. È il Paese più grande del mondo, con un territorio che equivale a
trenta volte l’Italia; ha una popolazione di 1 miliardo e 300 milioni di
individui, escludendo il numero incalcolabile dei Cinesi della diaspora sparsi
in tutto il mondo
5
; è il maggior consumatore e il primo importatore di
materie prime, piazzandosi davanti agli Stati Uniti e intrattenendo rapporti
commerciali soprattutto con Medio Oriente, Africa, America Latina ed
Europa.
Nel 2004 il suo Prodotto interno lordo (PIL) è cresciuto dell’8,5 per cento e
si calcola che nel 2006 sarà ancora maggiore: mai nel mondo contemporaneo
un Paese emergente è cresciuto così rapidamente, ad una velocità inaudita,
trasformando se stesso e i rapporti di forza economici, politici e militari a
livello internazionale.
5
Solo la dimensione demografica ufficiale equivale a quella dell’Europa e degli Stati Uniti sommata e
moltiplicata per due.
10
I Cinesi detengono il record assoluto anche per l’uso di telefoni cellulari
(420 milioni di utenti) e computers; possiedono i grattacieli più alti e le città
più grandi del mondo
6
. La trasformazione del Paese in una superpotenza
industriale ha inoltre creato nuove forme di dipendenza e nuovi legami con il
resto del mondo, e di conseguenza il bisogno di garantire la stabilità e la
sicurezza in aree distanti ha spinto Pechino a dotarsi di armamenti
tecnologicamente avanzati e di un’industria militare che non ha nulla da
invidiare a quella americana. Per quanto riguarda le esportazioni, poi, è
passata in soli venti anni dall’assenza quasi totale del commercio estero ad
essere al terzo posto tra le grandi potenze esportatrici, collocandosi dopo Usa
e Germania e prima del Giappone.
Negli ultimi tempi, infatti, in Europa e in America sta crescendo una sorta di
ossessione per il “ made in China ” : i Cinesi esportano di tutto, dalle
cosiddette “ cineserie ”, le merci a basso costo e di scarsa qualità come borse,
scarpe e giocattoli, ai prodotti più sofisticati ed elaborati, come telefoni
cellulari, computers, automobili e altre novità altamente tecnologiche. Per un
Paese che produce tutto ciò che si trova anche in Occidente ma con il 50/70
per cento di sconto, il successo è assicurato e la sua concorrenza aggressiva è
una realtà che non si può ignorare a lungo.
La Cina del XXI secolo è sempre più aperta e internazionalizzata, e a partire
dall’11 dicembre 2001, con l’entrata nell’Organizzazione Mondiale del
6
Chongqing, la città più grande e più inquinata del pianeta, conta ben trentacinque milioni di abitanti.
11
Commercio (WTO), si è integrata definitivamente negli scambi
internazionali: gli accordi negoziati hanno costretto i Paesi membri a
smantellare le barriere che limitavano l’acquisto dei prodotti made in China,
eliminando gli ultimi ostacoli alla concorrenza. Si è trattato di un evento
storico che l’Occidente ha fermamente voluto ma di cui ha sottovalutato la
portata, poiché l’ingresso della Repubblica Popolare Cinese nella sfera
economica mondiale ha sconvolto a tal punto gli equilibri da scatenare
tensioni e paure, e tentativi di porre rimedi protezionistici e revisioni degli
accordi.
Tra l’altro, dopo la tragedia dello Tsunami che si è abbattuto sull’Asia
meridionale il 26 dicembre 2004 il governo di Pechino ha potuto donare 60
milioni di dollari in aiuti umanitari diventando, per la prima volta nella sua
storia, un Paese donatore e non più beneficiario degli aiuti internazionali per
lo sviluppo del Terzo Mondo. E non è tutto. I Cinesi hanno osato addirittura
profanare la Corea del Nord, ultima nazione del mondo pietrificata in un “
comunismo di guerra ”: il governo pechinese ha ottenuto dal dittatore militare
nordcoreano Kim Jong-il il permesso di aprire fabbriche e imprese in alcune “
zone speciali ” che si stanno avviando verso un’apertura, seppur minima,
all’economia di mercato. Anche qui spuntano sempre più numerose le “
maquiladoras ”
7
, che sono rigorosamente di proprietà di imprenditori cinesi
perché solo a loro è concesso il privilegio di svolgere attività commerciali in
7
Così vengono chiamate in Messico le fabbriche delle multinazionali Usa che delocalizzano la produzione
per sfruttare la manodopera a basso costo e poi riesportano i prodotti nei Paesi ricchi.
12
questo Paese, in cambio della garanzia di protezione e assistenza da parte di
Pechino.
I Cinesi hanno dunque ottenuto una libertà totale di investimento in una
nazione che fino a pochi anni fa sembrava decisa a rimanere serrata in se
stessa e che ancora oggi fa paura all’Occidente per il suo austero regime
militarista: non è poco, anzi, pare che la Cina, rafforzando i suoi rapporti
diplomatici e garantendosi la partnership economica di tutte le regioni che la
circondano, voglia porsi come guida e garante della stabilità in tutta l’Asia
orientale.
I primi ad essere preoccupati per questa vertiginosa ascesa economica, oltre
che politico-diplomatica, sono gli Stati Uniti: nell’estate del 2004 il
quotidiano “ The New York Times ” ha pubblicato un dossier del noto
giornalista e scrittore Ted C. Fishman intitolato “ The Chinese Century ”, “ Il
secolo cinese ”
8
. La tesi di questa inchiesta è che il XXI secolo sarà dominato
dalla Cina allo stesso modo in cui il XX lo è stato dall’America. Nel 2005 il
portale americano “ China Online ” ha divulgato un articolo in cui si diceva
che “ la Cina è destinata a diventare una superpotenza militare con una
proiezione planetaria, per le stesse ragioni per cui lo diventarono la Gran
Bretagna nel XIX e gli Stati Uniti nel XX secolo: per assicurarsi, cioè,
l’accesso alle vie di approvvigionamento delle materie prime, di cui sta
8
Ted C. Fishman, “ The Chinese Century ”, in The New York Times,4 luglio 2004, p. 24.
13
diventando la prima consumatrice del mondo ”
9
. La CIA, poi, sostiene che la
Cina possiede gli stessi requisiti che cent’anni fa permisero agli Stati Uniti di
superare l’Inghilterra: dimensioni geografiche e demografiche, un alto livello
di istruzione, un mercato interno forte e in espansione, l’accesso alle materie
prime, una tecnologia avanzata e una moneta sottovalutata
10
. Così, il suo più
grande rivale strategico è il primo ad ammettere che il “ Dragone rosso ” sarà
il futuro centro economico del mondo.
Anche in Europa sta ritornando la paura del “ pericolo giallo ”
11
: negli
ultimi due anni le importazioni di prodotti cinesi sono aumentate del 540 per
cento e il 10 giugno 2005 l’Unione Europea si è vista costretta a raggiungere
un accordo commerciale con Pechino, valido fino al 2008, che prevede la
riduzione di circa il 10 per cento delle importazioni di prodotti tessili e di
abbigliamento cinesi. In più, il 23 marzo 2006 il Parlamento Europeo ha
deciso l’imposizione di dazi doganali, entrati in vigore dal 7 aprile,
sull’importazione di scarpe dal Vietnam e dalla Cina, suscitando un grande
disappunto nel Paese. Questo dimostra che l’ascesa della nuova potenza sta
cambiando talmente tanto la scena mondiale che si rischia di tornare indietro
ripristinando forme di protezionismo abolite proprio sotto la spinta
dell’Occidente.
9
www.chinaonline.com.
10
“ CIA World Factbook 2005 ”, in www.cia.gov.
11
Edmond Théry, Le péril jaune, Paris 1901. Già alla fine del XIX secolo il pericolo era rappresentato dal
numero massiccio di immigrati cinesi che invadevano le fabbriche francesi e americane, lavorando per salari
miseri e quindi “ rubando ” posti di lavoro.
14
L’Italia, in particolare, sembra essere il Paese meno preparato a questo
impatto: l’invasione del made in China ha già causato il fallimento e la
chiusura di molte fabbriche e la perdita di migliaia di posti di lavoro. I settori
più penalizzati sono stati proprio quelli più avanzati e redditizi, ossia il tessile,
l’elettronico, l’informatico, il calzaturiero e l’automobilistico, che si sono visti
improvvisamente “ aggrediti ” dalla schiacciante competizione dei prodotti
cinesi a basso costo. I leaders europei, da parte loro, parlano sempre più
spesso della necessità di rilanciare le grandi industrie nazionali e di frenare
ulteriormente l’avanzata dell’economia cinese in Occidente, che si sta
rivelando inaspettatamente disastrosa.
La Cina sarà davvero la nuova America? Di certo rappresenta il più grande
sviluppo nella storia dell’umanità ed è già diventata la nuova frontiera del
capitalismo. Se negli anni Cinquanta Mao Zedong aspirava a farne la guida
dei Paesi del Terzo Mondo oggi Pechino pretende di più: vuole ritornare ad
essere il centro del mondo e riacquistare quel ruolo di supremazia che le fu
strappato dalle potenze occidentali a partire dal XVIII secolo, ponendosi
come alternativa agli Stati Uniti. Una società sempre più utilitarista e
materialista in cui la maggioranza della popolazione, che vive ancora in zone
rurali estremamente povere, ha appena intravisto il benessere, non è disposta a
15
fermarsi: “ l’atmosfera vibra di eccitazione; la Cina sa di essere al centro del
mondo e ha fiducia nel futuro ”
12
.
Ma a cosa è dovuto questo miracolo economico che sta cambiando le sorti
del mondo attuale? Se ancora qualche anno fa l’attenzione verso questa realtà
era ridotta, oggi gli studi e gli scritti sul “ miracolo cinese ” si moltiplicano
giorno per giorno. Minaccia o opportunità, nell’era della globalizzazione il
sistema internazionale è molto più stretto e interdipendente di quanto non
fosse qualche decennio fa, e chiunque si è accorto che non si può ignorarne
una fetta destinata a segnare irrimediabilmente questo secolo. Il recente boom
della storiografia sull’ascesa economica della Cina dimostra la volontà di
comprendere questo mondo ancora troppo misterioso e diverso da quello
occidentale, e nasconde timore e insicurezza di fronte a un “ gigante ” in
grado di stravolgere gli attuali equilibri globali e le attuali relazioni
internazionali.
Gli intellettuali europei ed americani sono sempre più attratti da questo caso
anomalo e inaspettato: nessuno aveva previsto un cambiamento così drastico
dell’economia globale
13
, anche se già alla fine degli anni Sessanta la Cina si
avviava verso la conquista del mercato mondiale. E infatti è proprio a partire
da questo periodo che è nata una sorta di querelle tra le diverse scuole di
12
Federico Rampini, Il secolo cinese, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005, pag. 5.
13
Nel 1966 il giornalista italiano Goffredo Parise scriveva che per raggiungere uno stile di vita simile a
quello degli Stati Uniti i Cinesi avrebbero dovuto aspettare “ il trascorrere di qualche era geologica ”.
Goffredo Parise, Cara Cina, Longanesi & C., Milano 1967, pag. 86.
16
pensiero che cercano di spiegare oggettivamente lo sviluppo economico della
Cina e il suo sistema capital-comunista.
I molti giudizi e le opinioni contrastanti che sinologi, orientalisti, politologi
ed economisti danno della modernizzazione di quest’area del mondo,
semplificando il dibattito, possono essere divise in due paradigmi
contrapposti. Il primo è di tipo “ neoclassico-istituzionalista ”, basato sulle
teorie economiche keynesiane e soprattutto smithiane. Gli studiosi che
sostengono questo approccio, infatti, privilegiano l’importanza dei fattori
strettamente economici ritenendo che alla base dello sviluppo vi sia la “ mano
invisibile ” del mercato che regola spontaneamente la produzione, gli scambi
e il consumo. Ritengono, dunque, che la modernizzazione della Cina sia
derivata da fattori esogeni, esterni, quali l’apertura agli investimenti esteri, lo
stimolo alla produttività, l’importazione di tecnologia, e l’ingresso, in breve,
nel sistema mondiale dell’economia capitalistica con l’adozione delle leggi e
delle norme del sistema liberista occidentale. Questi “ razionalisti ”, però,
avevano spiegato allo stesso modo anche il “ miracolo giapponese ” degli anni
Ottanta e Novanta ma non avevano previsto il crollo spaventoso delle borse
asiatiche dell’estate del 1997: da questa crisi molti Paesi asiatici, soprattutto
l’Indonesia e il Giappone, quest’ultimo fino ad allora uno dei Paesi leaders
dell’economia globale, ha cominciato ad entrare in crisi, rallentando la sua
crescita e lasciando spazio all’ascesa delle altre economie della regione.