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INTRODUZIONE
Il lavoro della tesi si concentra sulla Giustizia Minorile. Il motivo della scelta di
questo argomento è stato suscitato dallo svolgimento del tirocinio presso l’Ufficio di
Servizio Sociale per i Minorenni.
Questa breve, ma intensa esperienza, ha catturato sin da subito l’attenzione,
portando all’interesse della condizione del minore autore di reato, tematica, questa, ricca
di storia e problematiche, alcune risolte e altre ancora da risolvere. Di fatti, il nostro
sistema penale minorile ha avuto un lungo processo di maturazione, e si è voluto
ripercorrere la strada che la Giustizia Minorile ha intrapreso in Italia, proprio per
consentire di visualizzare come si presenta oggi il sistema sul piano normativo,
organizzativo e tecnico-operativo.
La tesi è composta da cinque capitoli, raggruppabili in due aree: la prima
dedicata all’aspetto normativo e ai relativi provvedimenti a cui è sottoposto il minore, la
seconda riguardante più l’aspetto organizzativo dei servizi della Giustizia Minorile e gli
operatori che ve ne fanno parte.
Il primo capitolo parte dall’istituzione nel nostro ordinamento del Tribunale per i
Minorenni, che rappresenta l’affermazione e il riconoscimento della difficile condizione
del minore. In questo primo paragrafo vengono sottolineate le competenze del
Tribunale, civile, amministrativa e penale, le funzioni che svolge e i relativi organi che
lo compongono. Successivamente si passa alle normative che hanno segnato questo
lungo percorso della Giustizia Minorile, il RDL n.1404 del ’34, che segnò una profonda
trasformazione nel sistema giudiziario, facendosi carico del settore minorile e in cui
prevaleva una logica di intervento pubblico autoritario ma anche rieducativo. Logica
che poi entra in crisi con l’entrata in vigore della Costituzione, che pone l’attenzione
verso la rieducazione e la personalità del minore, e introducendo altresì le figure
professionali, che andranno poi ad operare all’interno dei relativi servizi. Gli anni
sessanta e settanta, furono degli anni di grande agitazione attorno anche alla riforma
penitenziaria del 1975, che con il suo regolamento e le successive modifiche
disciplinano il trattamento penitenziario e le modalità di esecuzione delle misure
alternative alla pena, anche per i minori. Fino poi ad arrivare al 1988, anno di nascita
del nuovo codice di procedura penale per i minorenni. Il DPR 448 rafforza un
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atteggiamento prima di tutto culturale, oltre che di repressione alla criminalità, perché
esprime la necessità dei rapporti tra la giustizia penale e il minore. Però il passaggio più
significativo dall’entrata in vigore di questo nuovo codice è lo spostamento
dell’attenzione del minore da oggetto di protezione a persona, a soggetto titolare di
diritti. Con ciò si delinea anche un percorso nuovo per il minore dentro l’area penale,
entra in vigore un sistema differente da quello degli adulti, che si basa soprattutto sulla
personalità del ragazzo, sulla sue condizioni familiari e sociali, e che mira alla sua
rieducazione e al cambiamento.
Il secondo capitolo fa riferimento agli istituti giuridici messi in atto ai minori. Si
inizia con la spiegazione della misure cautelari non detentive, che hanno un ruolo
significativo all’interno dell’area penale, con lo scopo di non suscitare perplessità nel
minore in fase di crescita, mirando, dunque, alla rieducazione in modo da attivare il suo
reinserimento sociale.
Particolare attenzione va poi alla sospensione del processo con messa alla prova
e alla mediazione, che esprimono un grande significato educativo, con lo scopo di
responsabilizzare il minore. Di fatti, l’obiettivo principale è quello di recuperare il
ragazzo, che prevale sulla pretesa di processare e punire (art.28 DPR448/88). Recupero
che può avvenire nel suo ambiente di vita, perché altrimenti la detenzione lo potrebbe
isolare dal suo contesto familiare e sociale.
Inoltre la nuova normativa prevede anche l’introduzione di due nuove sanzioni
sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata, utili a non interrompere i
processi educativi del minore, consentendo la continuazione dei rapporti sociali e delle
attività di studio e di lavoro. Accanto a queste, la normativa ne prevede altre, che sono
le misure alternative alla detenzione, previste dall’Ordinamento Penitenziario, ma che
trovano il suo campo di applicazione anche nei casi dei minori. Si tratta
dell’affidamento in prova al servizio sociale, della semilibertà e della detenzione
domiciliare. Infine il capitolo descrive anche le misure di sicurezza, che si tratta di
quelle misure che limitano la libertà personale, che hanno lo scopo di risocializzare il
soggetto e di evitare che commetta reati in futuro.
Conclusasi la prima parte, riguardante la storia, le normative che si sono
susseguite e le misure previste dal nuovo codice, si passa alla seconda area del testo, che
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fa riferimento all’organizzazione e alle attività svolte dai servizi della Giustizia
Minorile.
Questa parte inizia con la descrizione dell’Ufficio per la Giustizia Minorile,
organo che svolge la propria attività in collegamento con il Ministro di Grazia e
Giustizia e fa parte dei quattro Dipartimenti del Ministero. Nel capitolo terzo sono
evidenziate i cinque reparti a cui fa capo, con le proprie competenze e responsabilità, e
i relativi progetti e sperimentazioni che vengono sottoposti in collaborazione con gli
altri enti e i servizi territoriali. Infatti, una delle attività dell’Ufficio è quella di
razionalizzare e ottimizzare le risorse esistenti nel territorio, allo scopo di migliorare le
funzioni e le attività dei servizi. Ma compito fondamentale è la gestione,
l’organizzazione e la funzione autonoma della propria struttura nel settore minorile.
Seguono poi, nel capitolo seguente, tutti i servizi facente parte dalla Giustizia
Minorile, che corrispondono al decentramento dell’Ufficio per la Giustizia Minorile. Il
primo organo al di sotto dell’Ufficio è il Centro per la Giustizia Minorile, di
competenza regionale, destinato alla rieducazione dei minorenni, al trattamento e alla
devianza minorile. Le sue competenze di suddividono in tre aree e le sue funzioni sono
soprattutto di indirizzare e coordinare le politiche territoriali comuni e condivise negli
interventi, nelle metodologie e nelle procedure per combattere la devianza minorile; di
programmare le attività, i bisogni e le risorse disponibile al fine di migliorare i servizi; e
valutare e controllare i risultati ottenuti con gli interventi effettuati. Dal Centro poi
dipendono tutti gli altri servizi che costituiscono, per così dire, la base, la struttura
portante della Giustizia Minorile. Si tratta di tutti questi servizi che entrano in stretto
contatto con il minore, che lo accolgono e che lo seguono per tutto il suo cammino
nell’area penale. Dall’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, cui merita una
descrizione e valutazione più intensa, che attua interventi per il minore in caso di arresto
o di fermo, con il progetto educativo in misura cautelare non detentiva, con la gestione
della sospensione del processo e messa alla prova. Viene considerato il “nodo di rete”
del sistema giustizia, perché attua una collaborazione con gli altri operatori dei servizi
della giustizia e degli Enti Locali e perché è da qui che il minore inizia il suo percorso
penale, affiancato da assistenti sociali competenti che lo sostengono e lo inducono al
cambiamento. Si passa poi all’Istituto Penale per i Minorenni con una sua
riorganizzazione funzionale verso l’azione rieducativa sempre più integrata con i servizi
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della Giustizia Minorile e del territorio, ma che resta sempre e comunque lo strumento
centrale del sistema penale; al Centro di Prima Accoglienza, che rappresenta una nuova
realtà dei servizi storici all’interno di questo sistema e costituisce la concreata
realizzazione del principio della residualità del carcere, ospitando tutti quei minori
arrestati o fermati per un massimo di 96 ore in attesa dell’udienza di convalida. Lo si
considera un servizio veloce che evita al minore l’impatto con il carcere dove gli
operatori lo accolgono, lo informano e lo sostengono.
Da non tralasciare sono anche gli altri istituti che il nuovo codice prevede, ossia
le comunità e i centri diurni, che sono servizi polifunzionali, di supporto all’area penale
esterna, con lo scopo di ospitare i ragazzi in attesa di giudizio o in esecuzione di pena.
Rappresentano una stretta connessione tra il sistema della giustizia e la comunità
esterna, con lo scopo anche di restituire al minore il proprio contesto sociale attraverso
attività ricreative e di formazione.
Infine, il quinto e ultimo capitolo della tesi attiene alle figure professionali che
interagiscono all’interno dei servizi. Si fa una distinzione tra operatori interni ai servizi
e quelli che prestano la propria attività in modo esterno. L’attenzione va soprattutto agli
assistenti sociali, agli educatori e a tutte le altre figure che interagiscono e collaborano
con essi, quali psicologi, giudici e polizia giudiziaria, alle loro funzioni, ai loro rapporti
interprofessionali, al loro essere risorsa. Svolgono un ruolo importante, nella loro
multidisciplinarità, nel loro lavoro svolto in équipe, nelle loro riunioni, nel riflettere sul
proprio ruolo e su quello degli altri operatori. Si realizza così, una strategia di rete, in
cui una pluralità di soggetti vengono chiamati per realizzare progetti d’intervento per
produrre un cambiamento al minore in difficoltà.
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LA NUOVA GIUSTIZIA MINORILE
L’ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE DEI MINORENNI
L’istituzione di un sistema autonomo di diritto penale per i minori rappresenta il
riconoscimento dell’attenzione alla condizione minorile, basandosi su un percorso di
maturità biologica, psicologica e sociale che si acquisisce attraverso un processo di
crescita condizionato da fattori esterni, quali l’educazione e l’ambiente economico e
sociale.
Nel nostro paese sono stati senza dubbio i principi affermati della Costituzione
ad orientare la nuova legislazione penale e processuale minorile. In effetti, dalla lettura
della Carta Costituzionale si rivela la tutela del minore da parte dello Stato, con
l’impegno a rimuovere le discriminazioni di soggetti deboli e gli ostacoli che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana, nel dovere di proteggere l’infanzia
e la gioventù attraverso gli istituti necessari a tale scopo, nel diritto al lavoro,
all’istruzione, alla salute e nell’interesse verso la pena come strumento di rieducazione.
Il sistema penale minorile rappresenta il risultato di un lungo processo di
maturazione della coscienza civile, che, nel tempo, è andata riconoscendo la specificità
della condizione minorile. Di conseguenza, la politica penale ha cercato di costruire un
sistema differenziato di diritto penale che tuteli i diritti dei minori, primo fra tutti il
diritto all'educazione.
La devianza giovanile, in particolare non viene attribuita ad una socializzazione
incompleta, ma piuttosto ad una interiorizzazione di valori familiari e culturali diversi
rispetto a quelli della società in cui occorre vivere, mutevole e innovativa; da qui la
necessità di un intervento assistenziale e soprattutto educativo e scolastico, per favorire
l’integrazione almeno dei bambini nella cultura generale. Il controllo sociale, in questo
caso, coinciderebbe con la trasmissione dei valori della cultura generale, e quindi con la
socializzazione dei minori.
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Teoria della trasmissione culturale, Sutherland, Cressey, 1996
Capitolo 1 LA NUOVA GIUSTIZIA MINORILE
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Il decreto legge del 20/7/1934 n.1404 apre il lungo cammino della giustizia
minorile italiana. Nasce il Tribunale per i Minorenni (TM). In ogni distretto di Corte
d’Appello nasce così il primo organo specializzato che pone l’attenzione alla condizione
minorile. Infatti, il TM ha fatto riferimento a diversi modi di interpretare e valutare la
delinquenza minorile e al ruolo delle istituzioni, ponendo la sua attenzione alle
caratteristiche personali dei ragazzi e alle conseguenze della condanna e della pena
detentiva.
Il TM è composto da un Magistrato di Corte d’Appello che lo presiede, da un
magistrato di Tribunale e da due cittadini, due giudici non togati, “benemeriti”
dell’assistenza sociale scelti fra i cultori di diverse discipline quali la psicologia,
l’antropologia culturale, la pedagogia, la biologia, la psichiatria, ecc., che abbiano
compiuto il trentesimo anno di età. Sia i magistrati che i giudici onorari sono nominati
dal Consiglio Superiore della Magistratura; questi ultimi per la durata di tre anni, anche
se l’incarico è rinnovabile, infatti la gran parte dei giudici onorari resta in carico nove
anni, ossia tre trienni.
Sin dal decreto del ’34 si evidenzia e si sottolinea la necessità di individuare dei
criteri che tengano della personalità evolutiva del soggetto e quindi della inadeguatezza
di un trattamento uguale all’adulto. Il TM attuava degli interventi nei confronti dei
minori nell’ambito delle competenze penali, amministrative e civili e il ruolo dei servizi
preposti alla realizzazione degli interventi.
La legge del ’34 è stata poi successivamente modificata con il DPR 616/77,
trasferendo la competenza civile e amministrativa dai servizi della giustizia ai servizi
del territorio, e dal DPR 448/88, che ha ripresentato l’area penale.
La competenza penale attiene a tutti i procedimenti penali per i reati commessi
dai minori degli anni 18, che sono di competenza dell’autorità giudiziaria (art.3, comma
1, DPR 448/88).
La competenza amministrativa riguarda gli interventi e le misure applicabili ai
minori degli anni 18 che diano manifeste prove di irregolarità della condotta e del
carattere. Si attua con misure amministrative, definite anche rieducative, che hanno lo
scopo di prevenire la commissione di reati, in situazioni di evidente rischio e quindi
evitare che il minore possa in seguito incorrere nella giustizia penale. Il TM poi fa
Capitolo 1 LA NUOVA GIUSTIZIA MINORILE
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approfondite indagini sulla personalità del ragazzo e dispone con decreto una delle
seguenti misure:
affidamento al servizio sociale
collocamento in strutture residenziali
La competenza civile attiene agli interventi di protezione e tutela del minore,
complessivamente disciplinati dal codice civile, come ad esempio potestà, tutela,
adozione, ecc. Gli interventi sociali ad essa sono di competenze dei servizi territoriali.
Presso il TM è istituito l’ufficio del Pubblico Ministero, presieduto da un
magistrato avente grado di Procuratore della Repubblica, cui spetta il dovere di
promuovere ed esercitare l’azione penale nell’ambito del territorio di Corte d’Appello.
Per poter procedere nei confronti del minore occorre che questi sia imputabile. Il
concetto di imputabilità implica la capacità di intendere e di volere come presupposto
della colpevolezza. L’imputabilità, pertanto, significa la capacità del minore di essere
dichiarato responsabile di un reato e di essere sottoposto a una pena. Per il nostro
ordinamento, il minore infraquattordicenne non è mai imputabile. Attualmente, ai sensi
dell’art.9 della legge processuale minorile, gli elementi per accertare l’imputabilità
possono essere richiesti dal giudice, oltre che al servizio sociale della Giustizia, ad
esperti ed anche a persone che abbiano avuto rapporti significativi con il minore. Al
minore non imputabile che si è reso responsabile di un reato, possono essere applicate
sia misure amministrative e sia misure di sicurezza, qualora il ragazzo sia considerato
socialmente pericoloso. Queste misure di sicurezza possono essere misure non
detentive, come la libertà vigilata, o detentive, come il riformatorio giudiziario con la
modalità di collocamento in comunità. Anche se il riformatorio giudiziario è stato
soppresso nella sua dimensione oggettiva dal DPR 448/88, resta comunque il principio
che lo sosteneva di misura alternativa alla libertà vigilata.
LE DIFFERENTI NORMATIVE
L’evoluzione normativa è stata sempre connessa all’assetto organizzativo dei
servizi della Giustizia Minorile.
Capitolo 1 LA NUOVA GIUSTIZIA MINORILE
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Con il RDL 1404 del ’34 si vedeva il prevalere di una logica di intervento
pubblico di tipo autoritario e rieducativo. Però prima di ciò erano vigenti alcune
disposizioni contenute nel Codice penale del 1859, che stabiliva la responsabilità penale
per i maggiorenni di ventuno anni, mentre i ragazzi tra i quattordici e i ventuno anni di
età usufruivano di una riduzione della pena che doveva essere scontata nelle carceri
comuni. Inoltre i minori inferiori di anni 14 colpevoli di un reato, erano accolti in
apposite Case di Custodia o in stabilimenti pubblici di lavoro. Gli istituti di educazione
e di correzione furono organizzati con regole carcerarie e coercitive, solo più tardi
vennero previsti interventi differenziati per i minori sottoposti alla custodia per
condanna penale e per i ricoverati per altre cause.
Nel 1890 entrò in vigore il nuovo Codice penale, il Codice Zanardelli, in base al
quale il minore di quattordici anni, che avesse agito senza 'discernimento', non era
passibile di pena e, in caso di crimine o delitto, poteva essere consegnato ai genitori o
ricoverato in uno stabilimento pubblico di lavoro. Il nuovo Codice Zanardelli poneva
delle distinzioni: l'età minima per l'imputabilità venne fissata a nove anni; fra i nove e i
quattordici il ragazzo era imputabile, ma solo nel caso in cui il Magistrato ne avesse
accertato il 'discernimento'; dai quattordici ai diciotto anni era imputabile. Qualora il
minore fosse stato ritenuto imputabile, veniva assoggettato a pene diminuite, e lo stesso
regime era previsto per il minore di ventuno anni. Agli inizi del Novecento ci fu un
nuovo regolamento penitenziario, il “Regolamento per i riformatori governativi”, che
introdusse profondi cambiamenti. Gli agenti di custodia vennero sostituiti dalla figura
degli istruttori, reclutati fra gli insegnanti elementari; ma soprattutto si affrontò il
problema della delinquenza giovanile, prendendo in esame i temi dell’educazione e
della riabilitazione, anche se questi principi non furono affatto attenti alla cura del
singolo ma servirono solo per ottenere consenso e sottomissione.
Nel 1930 entrò in vigore il Codice Rocco, con cui si elevò il limite della
presunzione di non imputabilità assoluta, dai nove ai quattordici anni. Invece dai
quattordici ai diciotto anni il minore venne ritenuto responsabile solo se in possesso
della capacità di intendere e volere. Inoltre venne introdotto per la prima volta il
concetto di ‘immaturità’. Per il Codice Rocco, i minori, riconosciuti non imputabili, a
prescindere dall’età, potevano essere riconosciuti socialmente pericolosi e sottoposti alle
misure di sicurezza del riformatorio giudiziario, in collocamento in comunità o in libertà
Capitolo 1 LA NUOVA GIUSTIZIA MINORILE
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vigilata. Molto importanza assunse il ‘perdono giudiziale’, il cui scopo era quello di
“salvare dalla perdizione giovani esistenze e di favorire in tal modo il progresso civile,
rendendo sempre migliori, materialmente e moralmente, le condizioni della convivenza
sociale”
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. Con esso si mise in evidenza una maggiore attenzione per i minori e una
strategia punitiva più elastica.
Il RDL del 20 luglio 1934 n.1404 segna una profonda trasformazione nel sistema
giudiziario ordinario, ritenuto a farsi carico del settore minorile, promuovendo
l’attenuazione del rigore delle misure penali e sostenendo il ricorso all’educazione nei
confronti dei minori. Gli scopi del decreto furono:
a. “specializzare il giudice minorile nella forma più completa e più ampia;
b. indirizzare la funzione punitiva verso finalità del riadattamento del minorenne;
c. organizzare un sistema di prevenzione della delinquenza minorile con la
rieducazione dei traviati;
d. rendere possibile ai minori che delinquirono, o che furono ritenuti
semplicemente traviati, il ritorno alla vita sociale senza che alcuno possa ad
essi opporre la qualifica dei precedenti trascorsi”.
Il Tribunale Minorile venne istituito come un organo autonomo e specializzato
rispetto agli altri Tribunali penale e civili.
Il RDL n.1404 riguardò anche la dislocazione dei diversi istituti destinati ad
accogliere i condannati. L’art.1 stabiliva, infatti, che accanto al Tribunale, ci fu
l’istituzione di un Centro di rieducazione che comprendeva una vasta gamma di
istituzioni e servizi:
a. case di rieducazione, in cui, con decisione da parte del tribunale, veniva svolta
l’opera di recupero dei minori con condotta irregolare, che fossero entrati nel
circuito penale, minori prosciolti per incapacità di intendere e di volere o
prosciolti per concessione del perdono giudiziale;
b. "focolari" di semilibertà e pensionati giovanili: i primi erano delle comunità
dove vivevano un gruppo ristretto di adolescenti sotto la guida di un educatore
o di un assistente sociale, al cui interno si cercava di assicura ai minori un
clima di libertà, di sostegno, di socializzazione; i secondi, invece, erano istituti
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Relazione Ministeriale, 1929